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Comuni ed ex Province al collasso:
spese superiori alle entrate, allarme dei Corte dei Conti
Comuni
ed ex Province che spendono più di quanto incassano con gravi
problemi di liquidità, trasferimenti in calo e debiti fuori bilancio
che lievitano, contenziosi e pignoramenti a carico degli enti locali:
è un ritratto a tinte fosche quello che emerge dalla relazione sulla
finanza locale della Corte
dei Conti - sezione di controllo per la Sicilia,
redatta dopo tre mesi di indagine.
Il
periodo sotto osservazione è quello compreso fra il 2012 e il 2015,
durante il quale lo stato dei conti è peggiorato. I magistrati
contabili parlano subito, già dalla prima riga, di un «progressivo
deterioramento della finanza degli enti locali siciliani» e indicano
la causa nelle mancate riforme, a cominciare da «quella
sull'armonizzazione dei sistemi contabili e sul riordino delle
funzioni di area vasta». Proprio riguardo alle ex Province la Corte
parla anzi di «una perdurante e pericolosa fase di stallo nel
processo di attuazione del disegno di riforma in atto». Finché non
si va ad elezioni non può esse re costituito l'Osservatorio
regionale cui compete la definizione dei criteri per la riallocazione
delle funzioni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali e la
ricognizione delle entrate e delle spese.
Le
entrate riscosse dai Comuni, sono scese dal 2012 al 2015 da 4
miliardi e 381 milioni a 3 miliardi 933 milioni,
un calo del 10% riconducibile in particolar modo alla diminuzione dei
trasferimenti. Tasse, imposte e tributi incassati sono aumentati (da
un miliardo e 708 milioni a 2 miliardi e 397 milioni), un calo
drastico invece (pari all' 80%) quello dei cosiddetti trasferimenti
erariali (ossia i contributi dello Stato) che si sono ridotti da un
miliardo e 308 milioni a soli 265 milioni. Una riduzione meno marcata
quella dei trasferimenti regionali (da 906 a 829 milioni) e con una
inversione di tendenza nell' ultimo anno, riconosce la Corte che però
ha espresso «forti motivi di preoccupazione» per la «prolungata
fase di trattativa con lo Stato» che «per oltre metà esercizio»
ha impedito la spesa.
Particolarmente
critica, sul fronte delle entrate, la situazione nelle ex
Province: le
entrate correnti riscosse sono scese da 597 a 575 milioni, compresi
però introiti straordinari ottenuti nel 2015. I trasferimenti dallo
Stato, fra il 2011 e il 2014, sono stati abbattuti del 96% (da 184
milioni a 7), a poco serve l' aumento di quelli dalla Regione (da 67
a 114 milioni). Lo scorso anno poi il contributo versato allo Stato
per il concorso al contenimento della spesa pubblica è stato di
oltre 115 milioni e continuerà a crescere questo e il prossimo anno.
Difficile aumentare le entrate tributarie, una situazione che secondo
la Corte provoca «rilevanti squilibri di carattere strutturale,
determinando forti rischi di paralisi».
Sia nei Comuni che nelle
ex Province la spesa per investimenti si ferma al 6% e la Corte
auspica «politiche di ridimensionamento della spesa corrente
improduttiva» e un «reale sostegno allo sviluppo». Magistrati
critici anche rispetto al pagamento delle rate di mutui e prestiti
con i soldi del Fondo per gli investimenti (115 milioni nel 2015 per
i Comuni, 30 per i Liberi Consorzi) e dei fondi Pac (115 milioni più
altri 30). Spesa corrente (seppur diminuita da da 941 a 894 euro pro
capite) resta sottolinea la Corte - «costantemente al di sopra»
delle entrate, con una forbice nell'ultimo anno di 155 milioni.
Questo divario, insieme a un disallineamento fra i tempi delle
entrate e delle uscite, si traduce in continue anticipazioni di
cassa, situazione «difficilmente sostenibile già nel breve periodo»
dice la Corte che ipotizza casse vuote al punto da compromettere «la
continuità dell' erogazione dei servizi indispensabili».
Altra
nota dolente i debiti fuori bilancio,
218 milioni nel 2014, in aumento dal 2012. Debiti spesso
riconducibili a sentenze passato in giudicato (il 97% per il Liberi
Consorzi) che secondo i magistrati «costituiscono spesso una
modalità per rinviare in futuro» le spese sostenute. La Corte
sottolinea un «frequente ricorso a resistenze in giudizio
pretestuose, se non addirittura temerarie». Altri 239 milioni di
debiti fuori bilancio sono in attesa di essere riconosciuti, 153
derivano da contenziosi. E crescono anche pignoramenti e azioni
esecutive, 34,5 milioni nel 2014.
I sindaci: i tagli di Stato e Regione
dietro la crisi di Comuni e Province
La relazione sulla finanza locale che
certifica il peggioramento dei conti di Comuni ed ex Province è
l'occasione per una nuova polemica fra Anci e Regione. «Le
posizioni della Corte dei Conti con grande autorevolezza confermano
ripetute posizioni e denunce di Anci Sicilia - dice Leoluca Orlando,
sindaco di Palermo e presidente di Anci Sicilia - : tagli enormi dei
trasferimenti da parte di Stato e di Regione, con l'aggravante, per
i tagli regionali, che ancora oggi è stata resa disponibile soltanto
una assai esigua parte delle risorse relative all'anno in corso».
Per Orlando la situazione «è aggravata dalla mancata erogazione di
somme previste per investimenti e pagamenti di rate di mutui per
appalti in corso che pone a rischio di fallimento centinaia di
imprenditori». «Quanto alle ex Province - aggiunge - si registra in
taluni casi (come Siracusa) la inevitabilità del dissesto e per
tutte le ex province comunque la impossibilità di chiudere i
bilanci», situazione aggravata dal rinvio a settembre della manovra
che prevede 9 milioni. Orlando parla, ancora una volta, di «calamità
istituzionale della Regione che travolge l'intero sistema delle
autonomie in Sicilia». L'altro lato della medaglia potrebbe essere
quello di tagliare i costi, per Orlando però l'operazione «dopo
la applicazione dei vincoli e dei rigori delle leggi finanziarie, si
riduce in ogni Comune in tagli di servizi per cittadini e di opere».
Margini di intervento ci sono, per il vicepresidente Mario Emanuele
Alvano, ma «i bilanci sono spesso ingessati perché il costo del
personale è la parte più consistente». Fra le altre voci che
pesano i costi per la gestione del servizio rifiuti e quelli per
l'energia elettrica. «I conti - aggiunge Alvano - subiranno un
peggioramento. Sono ancora fermi i trasferimenti dei fondi Pac e non
potranno più essere utilizzati per pagare le rate dei mutui ma solo
per progetti le cui modalità non sono state definite. La soluzione è
fare le riforme».
Comuni e Ato rifiuti, il rebus dei
bilanci in rosso
Comuni e Ato sono sommersi dai debiti,
i costi per garantire la gestione dei rifiuti sono lievitati a
dismisura e non riescono a essere coperti attraverso la riscossione
della tassa sui rifiuti, una fase di emergenza destinata a protrarsi
a causa di norme e regole che negli anni si sono sovrapposte creando
confusione. Le difficoltà del settore emergono tutte dall'ultima
relazione della Corte dei conti sulla finanza locale, distorsioni che
richiamano quelle dell'Anac a gennaio. I debiti accumulati dagli
Ato Il sistema nel suo complesso ha oggi debiti per un miliardo e 789
milioni. Sono le società d'ambito ad avere la fetta più grande di
esposizione nei confronti di banche e fornitori: la certificazione
aggiornata al 20 aprile di quest'anno è di un miliardo e 176
milioni. Debiti che, secondo i magistrati contabili potrebbero essere
anche sottostimati: le spese derivanti da contenzioso, ad esempio,
sono quantificate in quasi 4 milioni ma il dato mal si sposa con
quella che viene definita «enorme mole di contenzioso», soprattutto
per quanto riguarda cause di lavoro. La Corte dei conti sottolinea
poi che le gestioni commissariali «hanno accumulato un'esposizione
debitoria, al 31 marzo 2016, pari a circa 49,13 milioni (cifra che, a
dati completi, potrebbe lievitare ad almeno 71 milioni). A tutti
questi debiti però, c'è da dire, corrispondono importanti crediti
vantati dagli Ato, un miliardo e 127 milioni quelli certificati,
spesso riconducibili alle somme che i Comuni devono versare alle
società. Anche in questo caso sono diversi i contenziosi fra Comuni
e Ato. Le somme anticipate dalla Regione ai Comuni Le amministrazioni
comunali hanno usufruito, negli anni, di diverse anticipazioni da
parte della Regione che ad oggi deve recuperare 544,7 milioni. Con
non poche difficoltà. Le somme, in alcuni casi, possono essere
trattenute dai trasferimenti dovuti dalla Regione ma spesso il debito
è superiore. In molti casi poi sono maturati contenziosi con gli
enti locali. Debiti che si sono sommati ad altri debiti (da ripianare
in dieci anni) fatti per estinguere i primi. «Il problema - dice il
presidente della Regione, Rosario Crocetta - nasce dalle passate
gestioni. Non c'è mai stato un accordo chiaro con i Comuni. Gli
ultimi anni si è stabilito di trattenere questi soldi dai
trasferimenti, prima no. Ma oggi dobbiamo agire con equilibrio, non
possiamo determinare il fallimento degli enti locali. Certamente
serve un reset del sistema, dobbiamo smettere di fare debiti». Una
mole di debiti tale per cui, secondo il vicepresidente dell'Anci
Sicilia Mario Emanuele Alvano «si deve pensare a orizzonti lunghi,
trovare forme di dilazione che tengano conto di tutti i debiti
maturati dai Comuni. Mi chiedo però perché si discuta di una nuova
riforma quando ancora quella precedente non è stata attuata. La
differenziata? ben venga ma prevedere campagne affidate in ogni
Comune? Meglio che alcuni meccanismi fossero affidati a livello unico
regionale». Le criticità del sistema Quattordici commissari
liquidatori sono stati nominati un anno fa per accompagnare il
passaggio dagli Ato alle Srr, previsto dalla legge. Il sistema ha
dato vita ad una «gestione liquidatoria unitaria» accentrata
all'assessorato dell'Economia e coordinata dal Dipartimento
Rifiuti. Negli Ato si sono trovati insieme commissari straordinarie
commissari liquidatori, una «convivenza» che secondo la Corte «non
sembra aver garantito adeguatamente la transizione» anzi ci
sarebbero stati «rapporti spesso conflittuali». Questo si aggiunge
a norme e regole «non sempre lineare e di facile attuazione» che
hanno generato contenziosi. Per i magistrati tutte le incongruenze
del sistema hanno determinato il protrarsi dell'emergenza con «una
lievitazione smisurata dei costi che, se ha portato a lucrosi
introiti a pochi gestori privati dei siti di discarica, ha al
contempo incrementato a dismisura l'esborso pubblico e il debito
connesso». Con gravi ripercussioni sia per i bilanci dei Comuni che
della Regione.
Agrigentonotizie.it
Docenti "deportati" fuori
dall'isola, venerdì sarà protesta
„
l
raduno è fissato per le 10,30 di venerdì davanti la Questura di
Agrigento, accanto alla sede della Posta centrale. Il corteo poi si
sposterà verso l'ex Provveditorato agli studi del viale Della
Vittoria. Sciopero
dei docenti precari di Agrigento e provincia.
Insegnanti che "marceranno" su Agrigento contro il decreto
"Buona scuola" del Governo Renzi. Uomini e donne che sono
in procinto di trasferirsi - essere "deportati",
dicono loro - al
Nord Italia, lasciando le proprie famiglie e la propria terra.
"Faccio parte dei precari storici
- racconta Giovanna Sanfilippo, originaria di Licata, ma residente a
Favara - . Questa legge prevedeva l'assunzione straordinaria dei
precari storici. Assumerli perché, in caso contrario, sarebbe
scattata una multa dell'Unione Europea che impone di non tenere
precari per oltre 36 mesi".
Il piano di assunzioni "Gae"
- graduatoria ad esaurimento - prevedeva la collocazione in Sicilia
dei docenti. Ma adesso, 100 posti sono andati agli idonei del
concorso del 2012 e altri posti ai beneficiari della legge 104.
Nell'isola
sono 4.096 gli insegnanti che dovranno trasferirsi, "deportati"
- dicono loro - . "Non
vogliamo il posto sotto casa - ha
detto Giovanna Sanfilippo - . Vogliamo il posto che ci spetta, in
base alle graduatorie che sono trasparenti, oneste e che vengono
aggiornate di anno in anno. Adesso, invece, con il misterioso
algoritmo di Renzi non si sa dove andremo a finire". Sanfilippo,
ad esempio, è stata trasferita a Pisa e provincia. "Ci
ribelliamo al fatto hanno cambiato le regole mentre stavamo giocando
- spiega - . Mi sono presentata come facente parte della Gae. Ed
invece, adesso, le regole sono state cambiate". Venerdì
mattina, dunque, la "marcia" su Agrigento.