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Rassegna stampa del 21 agosto 2018

Giornale di sicilia

La tragedia di Menfi, l'ex Provincia si difende: «Quei tubi c'erano da 50 anni» Due i filoni dell'inchiesta per la morte del piccolo Marco

Continuano le indagini per accertare le responsabilità sul tragico incidente sulla strada provinciale 50 che costeggia la località menfitana di Lido Fiori. Un incidente nel quale ha perso la vita un bambino di sette anni, Marco Castelli, che è morto a seguito delle gravi ferite riportate dopo che un palo in ferro si è incastrato tra il seggiolino e il corpo del piccolo. Il palo gli ha spezzato il femore in due e intaccato fegato e polmoni. La palizzata in ferro è ora al centro dell'indagine. Le investigazioni condotte dai carabinieri della compagnia di Sciacca e coordinate dalla Procura della Repubblica vertono essenzialmente su due filoni. Il primo riguarda la dinamica dello scontro. Il secondo, la presenza di una vecchia protezione a bordo della strada provinciale realizzata con tubi Innocenti. Una recinzione che non sarebbe in linea con le normative vigenti. Le indagini, fanno sapere dalla Procura, sono a 360 gradi. Non ci sono ancora ufficialmente degli indagati, ma tra qualche ora potrebbero spuntare i primi nomi. La vettura sulla quale viaggiava con i genitori si è scontrata con un'al - tra auto ad un incrocio, è andata in testacoda finendo proprio contro la palizzata in ferro. Intanto i genitori Gualtiero Castelli e Antonella Lombardo hanno dato mandato ai loro legali di procedere per capire il perché di quei tubi e di quella segnaletica non rispettata. Pare che la macchina con a bordo una famiglia palermitana non si sia fermata allo stop, provocando il tamponamento. Il tratto di strada dove è avvenuto il sinistro stradale è stato appurato che è di competenza della Provincia. Tubi obsoleti che - fanno sapere dalla Provincia - si utilizzavano per le recinzioni dei ponticelli e che proprio questi, oggetto del sinistro stradale, erano lì da oltre cinquant'anni. L'ingegnere Michelangelo Di Carlo, responsabile tecnico della viabilità di tutte le strade dell'Ex Provincia ha fatto sapere che quella strada prima di essere ceduta alla provincia era una strada consortile e che quindi i tubi in ferro erano già presenti. «Abbiamo chiesto anni fa un finanziamento per il rifacimento delle strade e tra queste c'era proprio la Sp 50 - ha detto Di Carlo - ma il governo Monti di allora ci sospese le gare d'ap - palto. Lo spiraglio è arrivato con il finanziamento per il Patto del sud, dove abbiamo riproposto il progetto per la manutenzione del manto stradale e soprattutto per la realizzazione di nuove barriere di protezione. Ma non avendo ancora ricevuto nulla, non possiamo procedere. Il progetto è stato presentato ad aprile. Siamo in attesa del finanziamento da parte della regione Dobbiamo attendere. Noi da parte nostra abbiamo fatto di tutto in questi anni, abbiamo installato segnaletiche nei vari incroci e monitorato spesso tutta l'area. Ci dispiace tanto per quello che è accaduto. Noi da parte nostra non abbiamo colpe». La provincia si difende. Ma il padre del piccolo Marco, Gualtiero Castelli che è un ingegnere non la pensa cosi e ha fatto sapere che lo dimostrerà nelle sedi opportune. Un Ferragosto felice, una famiglia in vacanza in Sicilia che aveva deciso di trascorrere la giornata al mare nella località balneare di Menfi a Lido Fiori, finito in tragedia. Una tragica fatalità che forse poteva essere evitata. Qualcosa è andato storto e la Nissan guidata dal papà di Marco si è schiantata contro la barriera di vecchi pali in ferro. La famiglia vive a Turate in provincia di Como. Il padre è di Como mentre la madre Antonella Lombardo è di Partanna. L'altra coppia che era nella Ford e che non avrebbe rispettato lo stop, aveva dietro due bambini piccoli rimasti illesi.


In tutta la provincia ponti e strade a rischio
Ci sono tanti assi viari fatiscenti e a volte, addirittura, pericolanti: il grande viadotto Akragas ne è diventato il simbolo

Da Racalmuto a Porto Empedocle, da Favara fino a Bivona, il territorio di Agrigento il tema di ponti e infrastrutture non è certo il vanto della provincia. Opere incompiute, fatiscenti, chiuse e pericolanti fanno capolino in pianura e tra le montagne dell'eteroge - nea provincia agrigentina. Il caso più «caldo» e discusso, anche prima della tragedia genovese, è quello del «Morandi», il viadotto Akragas che collega Agrigento a Porto Empedocle, chiuso da ormai 17 mesi e probabilmente mai più riaperto dopo quanto accaduto nel capoluogo ligure. Adesso amministrazione comunale e Anas parlano di abbattimento nonostante la gara d'appalto per i lavori sia stata già bandita e dalle pagine di questo giornale era stato annunciato poche settimane fa l'inizio dei lavori per la fine del 2018, per la durata di tre anni: un investimento di 20 milioni di euro. Oggi la teoria più accreditata è invece quella dell'abbattimento, sul quale preme Lillo Firetto, sindaco di Agrigento, consequenzialmente al progetto di nuove opere viarie che sostituiscano l'opera che non piace neanche agli ambientalisti per il forte impatto che ha nel territorio dominato dalla Valle dei templi. La situazione in provincia non è però migliore di quella di Agrigento: a confermarlo è anche CNA Agrigento che scrive una nota Mimmo Randisi, presidente: «Le nuove infrastrutture tardano ad arrivare e quelle esistenti non sono per nulla sicure - si legge -In queste ore - aggiunge Randisi - si è aperto un serrato dibattito, alla luce di quanto accaduto in Liguria e rispetto all'an - nunciato vertice programmato nei prossimi giorni al Comune di Agrigento sul ponte Morandi di casa nostra. Che fine farà? Inoltre ci sono altri ponti sotto osservazione: quelli che attraversano Porto Empedocle lungo la Statale 115, ma anche il Carabollace sul versante di Sciacca. Che non fanno certamente dormire sonni tranquilli». A Porto Empedocle infatti a fare paura è il ponte Salsetto, uno dei viadotti cruciali per la viabilità del paese: questo mostra tutto il suo degrado nella strada sottostante, mai completata, dove non è difficile raccogliere calcinacci, pietre e intonaco staccatosi dalla struttura che oggi mostra i ferri arrugginiti, segni del tempo che passa e di una scarsa manutenzione. Sempre sulla Agrigento Porto Empedocle, altri viadotti sono sotto la lente d'ingrandi - mento dell'Anas, compreso lo Spinola, anche lui visibilmente deteriorato e il ponte Zubbie. La provincia agrigentina è però celebre (tristemente) per il viadotto Scorciavacche, crollato dopo pochi giorni dall'inaugurazione e per il ponte Petrulla, che ancora oggi tiene sotto scacco la cittadina di Ravanusa che attende da tre anni l'inizio dei lavori dell'impor - tante asse viario. Altri casi importanti sono quelli di Racalmuto, oltre a quelli della 189: nella città di Leonardo Sciascia, il ponte in contrada "Dei Malati" che collega la città alla vecchia strada per la statale 640 è infatti ridotto ad una corsia in quanto è pericolante. I piloni poggiano infatti su un terreno e una possibile instabilità di questo potrebbe causare problemi. Da più di 5 anni si trova ridotto ad una corsia ma i lavori, da tempo proclamati, non sono mai partiti. Nella stessa cittadina mostra i segni del tempo, ferri arrugginiti e intonaco crollato, anche il ponte Guardia, pericolante ma aperto. Lavori sono stati effettuati lo scorso anno nel ponte della Ss 189, al chilometro 58, dal quale cadevano calcinacci. Nonostante l'opera però le condizioni del viadotto non sono certo delle migliori e questo rappresenta un pericolo per la strada sottostante, l'im - portante arteria che collega il paese di Aragona e quelli dell'hinterland all'ospedale di Agrigento. Altro discorso per il ponte Petrusa che collega Favara ad Agrigento, chiuso, smontato e mai più ricostruito, fino ad oggi. (*ADS*)

Comuni senza piani di sicurezza Metà impreparati in caso di disastri

Se Genova non avesse avuto un piano di emergenza di protezione civile, i soccorsi dopo il crollo del ponte Morandi sarebbero probabilmente avvenuti a rilento e tra mille difficoltà. Complicato individuare subito le vie di fuga, i punti di ritrovo, le zone a rischio, ancora più complicato per i soccorritori provenienti da altre città muoversi su un territorio sconosciuto. Dove far atterrare l'elicottero? Dove accogliere gli sfollati in breve tempo assicurando la loro sicurezza? I piani comunali di emergenza sono una bussola fondamentale in caso di eventi calamitosi, perchè forniscono tutte queste risposte immediatamente. Peccato che in Sicilia la metà dei Comuni ne sia ancora sprovvisto o abbia dei documenti superficiali, mentre nelle altre regioni si va verso la piena applicazione di questo obbligo di legge. Suona così un altro campanello di allarme in materia di sicurezza. Ponti pericolanti, scuole insicure, gran parte del territorio colpito da dissesto o a rischio sismico. Eppure la prevenzione nell'Isola resta una chimera. Secondo i dati forniti dal dipartimento nazionale di Protezione civile, in Sicilia solo poco meno di 200 Comuni su 390 si sono dotati di questo strumento. Il dato è aggiornato allo scorso mese di marzo ed è rimasto sostanzialmente invariato da più di un anno a questa parte. Al contrario, le altre regioni sembrano viaggiare a ritmo spedito verso la piena applicazione della normativa: Abruzzo, Emilia, Marche, Puglia, Toscana, Veneto, Molise, Lazio, Liguria, nella maggior parte delle regioni sono in regola tra il 90 e il 100 per cento dei Comuni. Chi è messo male è poco sotto l'80 per cento. Poi c'è la Sicilia, ferma da tempo intorno al 50 per cento mentre la media nazionale è passata in un anno e mezzo dal 77 all'88 per cento. Tra i Comuni inadempienti figura ad esempio Corleone, che pure si trova in area a rischio sismico 2, cioè dove possono verificarsi forti terremoti. Stesso discorso per Piana degli Albanesi, oppure in provincia di Siracusa ad Avola e Pachino. Anche Salaparuta, che si trova nella Valle del Belice col rischio sismico più alto, secondo i dati della Protezione civile non ha il piano. A dire il vero secondo il dipartimento regionale di Protezione civile, i sindaci che hanno provato ad adeguarsi sono molti di più: addirittura otto su dieci oggi avrebbero le carte in regola. Questo perchè dal 2016 decine di municipi sono corsi ai ripari e hanno approvato in Consiglio i documenti che metterebbero al riparo le amministrazioni da contestazioni. In realtà tutto questo vale solo sulla carta, mentre a livello operativo si tratta spesso di documenti incompleti, inefficaci. «Molte volte sono fogli di poche pagine, scopiazzati da altri piani, che in caso di emergenza non danno nessun contributo alla sicurezza» dice Lorenzo Colaleo, presidente regionale dell'Anpas e progettista. La situazione è nota al dipartimento della Protezione civile siciliana, che da qualche tempo è in pressing sui sindaci per farli allineare alla normativa. Gli uffici regionali hanno passato ai raggi X tutti e 390 i Comuni siciliani per verificare lo stato dell'arte dei piani. Il risultato, spiega il dirigente generale Calogero Foti, che ha promosso questa indagine capillare, sarà diffuso a breve, ma al momento sembra confermare il trend negativo: «Solo la metà dei Comuni, forse meno - dice Foti - è effettivamente in regola, non siamo messi bene». Basti pensare, ricorda Foti, «che ci sono Comuni che hanno previsto il rischio da caduta di meteorite. Ci sono linee guida da rispettare, a noi interessa che i piani siano efficaci». E invece, spiega ancora Colaleo, «spesso i Comuni si limitano a dei piani speditivi, generici. Non dovrebbe essere così. Ormai il piano comunale di Protezione civile è indispensabile per il piano regolatore, mette mano a rischi e caratteristiche del territorio. Bisogna studiare i terreni per individuare le vie di esodo più idonee, evitare, come successo, di creare una zona ammassamento dove deve atterrare l'elicottero, o peggio ancora dove c'è il rischio allagamento. Se ci sono cittadini che hanno delle apparecchiature che le tengono in vita, bisogna saperlo per attivare subito un gruppo elettrogeno al bisogno. Un piano di emergenza - prosegue Colaleo - deve prevedere quindi chi fa cosa. Senza contare la necessità di collaudare l'organizzazione, anche con simulazioni. Invece accade che nei Comuni non venga fatta formazione specifica del personale e i centri operativi che devono coordinare le operazioni spesso sono impreparati». Dal canto loro i sindaci chiedono una modifica alla normativa che venga incontro alle proprie esigenze. «Non ha senso realizzare dei piani per metterli in un cassetto, vanno aggiornati, migliorati costantemente - dice Emanuele Alvano, segretario generale dell'Anci Sicilia - Sarebbe comunque opportuno che si parlasse più di piani territoriali e non comunali, per favorire sinergie tra i Comuni anche dietro incentivazione. Oggi è utopistico pensare che ogni Comune debba fare tutto, tra l'altro le emergenze non si fermano sempre ai confini amministrativi. I problemi comunque non riguardano solo i piani ma complessivamente tutti gli adempimenti che i Comuni non riescono a rispettare a causa di un impoverimento di figure professionali nei singoli uffici».

Gds.it
Assunzioni e turn-over nel Pubblico, Bongiorno: "Servono persone o riforme restano nulle"

Negli ultimi 15 anni è stato effettuato un risanamento dei conti pubblici soprattutto con il taglio della spesa pubblica corrente anche con riferimento alle assunzioni. Non condivido questo tipo di politica di risanamento», perché «poi ci si lamenta che la pubblica amministrazione non va bene», afferma il ministro della Pubblica amministrazioneGiulia Bongiorno, in un colloquio con il Messaggero. Il quotidiano scrive di un maxi piano di reclutamento che anticiperebbe al prossimo anno le assunzioni previste per il triennio 2019-2021 con lo sblocco totale del turnover. Si tratterebbe di 450mila ingressi tramite concorso. «Noi possiamo immaginare la migliore riforma - dice Bongiorno - ma se poi non abbiamo le persone che la attuano è destinata a fallire e a rimanere soltanto sulla carta. Per questo ho voluto battezzare questo decreto concretezza». Il turn over - aggiunge - deve essere garantito al 100 per cento in tutte le articolazioni della pubblica amministrazione: ci sarà un impegno perché ci sia un rispetto dei tempi senza slittamenti di questo processo di ricambio». Per quanto riguarda il decreto che sta studiando, «la mia intenzione» spiega, «è muovermi su tre direttrici: far lavorare chi non lavora. Far lavorare meglio chi invece lavora. E far entrare nuove energie nella pubblica amministrazione. Sono dell'idea che i dati dell'assenteismo pubblico sono erronei, sottostimati, perché ogni volta che andiamo a vedere sono assenze croniche». Da qui nasce l'intenzione di introdurre le rilevazioni biometriche.

LA SICILIA
MENFI.
La Sp 50 presenta da tempo criticità rilevate dal Libero Consorzio e inserite nel progetto "Patto per il Sud"

QUELLA TRANSENNA MALEDETTA

Uno dei tubi si è conficcato nell'auto su cui viaggiava il bimbo, ferendolo a morte. GIUSEPPE RECCA MENFI. La strada provinciale dove il giorno di ferragosto si è verificato un incidente stradale che ha poi causato la morte di un bambino di sei anni, presenta da tempo delle criticità che erano già state rilevate dal Libero Consorzio Comunale di Agrigento e inserite nel progetto "Patto per il Sud" con cui si finanzia la manutenzione ordinaria e straordinaria delle arterie di competenza provinciale. La precarietà della sede stradale, ed in particolare la presenza di una sorta di transenna composta da tubi in ferro ai quali è attaccato un reticolato di materiale plastico, fanno parte del carteggio che i carabinieri della compagnia di Sciacca hanno portato nella giornata di ieri all'attenzione dei magistrati della Procura della Repubblica saccense, che coordinano l'attività di polizia giudiziaria. Uno dei tubi in ferro, com'è noto, si è conficcato nella parte posteriore dell'abitacolo della Nissan Qashqaì che sulla provinciale 50 è finita fuori strada dopo un impatto con una Ford Mondeo, è finita fuori strada fermandosi nel punto dove c'era la barriera. Quel tubo in ferro è stata la causa delle gravi ferite mortali riportate dal bimbo. Dall'ufficio giudiziario saccense fino a ieri pomeriggio non emergevano notizie di persone iscritte nel registro degli indagati, ma appare inevitabile, vista la gravità dei fatti, che scatteranno a breve avvisi di garanzia per l'ipotesi di reato di omicidio colposo. Ieri mattina, si è svolto sul luogo dell'incidente un sopralluogo dell'ufficio tecnico e della polizia provinciale del Libero Consorzio comunale di Agrigento, disposto dal commissario straordinario Alberto Di Pisa. L'iniziativa è servita per effettuare un'ulteriore e più attenta ricognizione dei luoghi. Si è appreso in quel contesto che la viabilità della zo­na risulta inserita nel progetto "Patto per il Sud" per la manutenzione ordinaria e straordinaria. In sostanza, da quanto emerge, il Libero Consorzio aveva ritenuto che bisognava fare del- le opere per migliorare la sicurezza. Come del resto bisogna fare nel resto del territorio provinciale, dove ci sono decine e decine di strade dove la sicurezza è quasi un optìonal dopo diversi anni in cui piogge e nubifragi non sono seguite opere di sistemazione per carenza di risorse finanziarie. Nella tarda mattinata di ieri a Partanna, città di origine della mamma, sono stati celebrati i funerali del piccolo Marco. Tutta la comunità partannese si è stretta attorno alla sfortunata famiglia. Il feretro poi è partito per la Lombardia, a Como, dove oggi si terrà un'altra cerimonia funebre. Il padre del bimbo, Gueltiero Castelli, è un ingegnere elettrotecnico e ogni anno con moglie e figlio trascorreva in Sicilia alcuni giorni di vacanza.

INFOAGRIGENTO

UNIVERSITÀ AD AGRIGENTO: ABBANDONO E CALO DI ISCRITTI IN 10 ANNI

Secondo quanto emerge dall'anagrafe studenti del Miur, in dieci anni sono infatti 300 gli agrigentini che hanno rinunciato ad iscriversi all'università ed oltre 2000 gli studenti che si sono ritirati dagli studi.E' la foto di una triste realtà quella che si ricava dall'anagrafe studentesca del Ministero dell'istruzione dell'Università e della Ricerca, la quale non fa altro che confermare il trend negativo che ormai da molti anni investe la provincia agrigentina in ambito universitario e lavorativo. E se già pesa come un macigno assistere alla continua partenza di migliaia di giovani verso altri orizzonti e alla ricerca di occasioni lavorative migliori, ancor più triste è prendere consapevolezza di una vera e propria "emorragia" di cervelli che parte proprio dall'università.Secondo quanto emerge dall'anagrafe studenti del Miur, in dieci anni sono infatti 300 gli agrigentini che hanno rinunciato ad iscriversi all'università ed oltre 2000 gli studenti che si sono ritirati dagli studi. Prendendo come riferimento il periodo temporale che va dal 2006 al 2016, gli immatricolati, quindi gli iscritti al primo anno, sono stati 2.648 a fronte nel 2016 di 2.348. Tutti gli iscritti, intesi invece nella loro totalità, nel 2006 sono stati 9.836, mentre nel 2016 sono stati 7.713; di questi, la maggior parte è rappresentata da agrigentini che frequentano perlopiù i corsi palermitani.Una "fotografia" che ci fa capire come, nel giro di dieci anni dal 2006 al 2016, ci sia stata una riduzione di iscritti di oltre 2100 studenti. In notevole crescita, invece, sono università più vicine ad Agrigento, come ad esempio la Kore ad Enna, dove gli iscritti nel 2006 sono stati 60 e nel 2016 sono stati 797.Le cause, come risaputo, sono da ricercare in svariati fattori. Da un lato, vi sono certamente la crisi economica e le condizioni di povertà che purtroppo accomunano la nostra provincia a quelle di molte città del Sud Italia, dove il tasso di disoccupazione è tre volte quello del Nord ed il malessere fa aumentare di gran lunga il rischio di esclusione sociale e l'emigrazione dei giovani alla disperata ricerca di condizioni lavorative migliori e decenti. Dall'altro, ragioni da ricercare anzitutto nel contesto siciliano come l'incertezza di fondi regionali a sostegno delle università e dei poli decentrati che, per anni, ha messo a dura prova il sostentamento dell'offerta formativa erogata dagli Atenei in sede decentrata. A ciò si aggiunga, di conseguenza, l'impossibilità per molti giovani di frequentare l'università nella propria città, vista la progressiva diminuzione dei Corsi di Laurea attivi presso il CUA di Agrigento.Attualmente, infatti, l'Università degli Studi di Palermo manterrà attivo ad Agrigento soltanto il Corso di Laurea in Servizi Sociali, mentre rimangono ad esaurimento le lezioni attive per i canali di Giurisprudenza ed Architettura, già chiusi alle nuove iscrizioni da qualche anno. In partenza ad ottobre è invece il Corso di Laurea triennale in Mediazione Linguistica e Culturale, promosso dalla scuola "Agora Mundi" e dal prof. Marcello Sajia, che conta già una settantina di matricole iscritte. Sembrerebbe, infine, ferma l'intenzione dell'Università rumena "Dunarea de Jos" di Galati di avviare prossimamente, presso l'università agrigentina, un nuovo corso in Ingegneria Agroalimentare



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