GIORNALE DI SICILIA
Le riforme in bilico. Dai precari degli enti locali alle ex Province, dalla sanità ai rifiuti: tutti i piani che dipendono dal governo Renzi
Trentamila lavoratori restano con il fiato sospeso
Dai precari della sanità ai contrattisti degli enti locali fino alle ex Province. Le più attese riforme dell'Isola sono legate a doppio filo al destino del governo nazionale e per 30 mila lavoratori cresce la preoccupazione. Con la caduta del governo Renzi gli accordi siglati rischiano di azzerarsi.
Sanità
Al ministero è aperto il tavolo di verifica della rete ospedaliera propedeutico allo sblocco dei concorsi per 5 mila assunzioni. La Regione attende il via libera di Roma e l'assessore regionale Baldo Gucciardi ha espresso una certa preoccupazione perché nonostante il tavolo sia istituzionale e non politico (dunque la Regione non sta beneficiando di alcuna particolare deroga) i tempi rischiano di allungarsi. Nella Legge di Stabilità è inserita invece la proroga delle graduatorie dei vecchi concorsi in scadenza al 31 dicembre. In Finanziaria nazionale è stata anche prevista l'assunzione nella rete dell'emergenza urgenza di 7 mila unità a livello nazionale, di cui 600 circa in Sicilia. Dipende invece dalla decisione del ministero l'autorizzazione alle immissioni per i fabbisogni sull'emergenza urgenza in Sicilia che ammontano a circa 1.500 unità. Un via libero che l'assessore Gucciardi ha chiesto non con deroghe particolari ma ai sensi della legge di Stabilità in vigore e su cui si attende una risposta.
Formazione prepensionamenti
L'assessore regionale Bruno Marziano aveva già concordato e ottenuto il via libera a un piano di prepensionamenti nella Formazione professionale per ridurre il numero degli oltre 7 mila addetti. Il piano prevede che lo Stato si faccia carico dei primi tre anni di «Ape» per i lavoratori della Formazione siciliana. La norma è inserita nella Legge di Stabilità e l'unico timore è che un nuovo governo possa decidere di spostare questo costo a carico dei lavoratori. «Difficile che avvenga, è tutto nella norma», dice però Marziano.
Precari degli enti locali
C'è un piano messo a punto da Regione e governo nazionale che prevede la stabilizzazione di 15 mila contrattisti degli enti locali. Una parte consistente sarebbe assunta entro il 2018, la restante parte sarebbe assorbita dalla società regionale Resais e impiegata dai Comuni. Questo piano si basa su accordi con il governo nazionale e su norme statali che prevedono delle deroghe alla spesa senza le quali le assunzioni non sarebbero possibili. C'è anche un problema di impugnativa, in Resais i lavoratori transiterebbero solo grazie a ulteriori deroghe. È questo uno dei fronti più delicati.
Ex Province al collasso
La Regione trattava con Roma per inserire i Liberi consorzi siciliani tra quelli beneficiari della ripartizione delle risorse nazionali che al momento sono riconosciute alle regioni che hanno approvato la riforma Delrio. I nove enti siciliani sono ormai sull'orlo del dissesto anche a causa del cosiddetto contributo per il risanamento della finanza pubblica nazionale che è aumentato. Si tratta di somme che il governo nazionale chiede agli enti locali: nel 2015 l'importo ammontava a 65 milioni circa, per quest'anno Roma chiede quasi il doppio.
Autostrade, tutto da rifare?
L'assessore regionale alle Infrastrutture e trasporti, Giovanni Pistorio, aveva avviato un percorso per l'istituzione in Sicilia di un concessionario unico delle autostrade, con sede legale nell'Isola, che sarebbe diventato il terzo concessionario italiano. L'obiettivo era mettere insieme le concessioni gestite oggi dal Cas e dall'Anas. Sarebbe nato un soggetto forte in grado di eseguire alcuni importanti interventi attraverso l'autofinanziamento, cioè utilizzando gli introiti del pedaggio. Per creare questo soggetto serve però una norma nazionale che Pistorio aveva discusso col ministro Delrio e col premier Renzi, aveva raggiunto un'intesa di massima. Ora tutto torna in discussione.
Rifiuti
Per uscire dall'emergenza la Regione aveva concordato col ministero dell'Ambiente un piano con obiettivi e date da rispettare. La gestione emergenziale nei giorni scorsi è stata prorogata fino a maggio dal presidente Crocetta. La linea del ministero era stata comunque piuttosto morbida nei confronti della Regione che non ha rispettato tutti gli obiettivi e le scadenze. La differenziata non è ad esempio ancora a livelli soddisfacenti. Le prospettive potrebbero cambiare.
(*RIVE*) ri.ve.
università. Lo ha stabilito il Consiglio d'amministrazione del polo universitario, presieduto dall'avvocato Gaetano Armao
«Cupa», trasferimento a Palazzo Tomasi
La sede istituzionale del Cupa, il consorzio universitario della Provincia di Agrigento si "trasferisce" a Palazzo Tomasi, in piazza Sanzo. Lo ha stabilito il Consiglio d'amministra - zione del polo universitario, presieduto dall'avvocato Gaetano Armao, durante l'ultima riunione che si è svolta negli uffici di contrada Calcarelle. Palazzo Tomasi, che il Comune ha offrendo all'Università per farlo diventare un centro specialistico per ospitare i master, in un più complessivo investimento sul centro storico di Agrigento. Il palazzo risale al 1100, è di particolare interesse storico ed artistico, gode di 4 piani, per una superficie complessiva di 600 metri quadri. Ilconsolidamentoed il recupero sono stati affidati nel 1992 dal commissario Scialabba all'architetto Tripodi e all'ingegnere Lo Presti. L'università agrigentina, con il suo patrimonio umano (rappresentato da studenti, docenti e collaboratori), è l' occasione più propizia per rilanciare vitalità e valore sociale al centro storico. Ma ad una notizia buona se ne aggiungono altre negative per il futuro dell'ente. L'ateneo di Palermo ha chiesto al Cupa il pagamento di 9 milioni di euro per l'impiego dei docenti universitari nei corsi accademici attivati ad Agrigento, nel corso degli anni. Una ingiunzione di pagamento è stata notificata al Cupa e sarebbe la mazzata finale. Perché l'ente non ha i soldi, uno, e poi ci sono alcune risorse che non potrà introitare dall'ex Provincia che ha rinunciato al ruolo di socio fondatore. Il vice presidente del Cupa, Giovanni Di Maida ha annunciato che l'ente resisterà in giudizio e cercherà di bloccare l'ingiunzione. Quest'anno ci sono state solo 100 nuove iscrizioni. (*PAPI*)
Upinet
Province: Variati si rivolge al Presidente della Repubblica
"Serve un decreto legge per risolvere i nodi su bilanci delle Proivnce non sciolti dalla Legge di bilancio"
"Le Province, che in seguito al risultato del referendum sono state confermate tra le istituzioni costitutive della Repubblica, a causa degli tagli insopportabili a cui sono state sottoposte sono nell'impossibilità di predisporre i bilanci per il 2017. La conseguenza di questa emergenza avrà, se non risolta, ripercussioni pesantissime sui servizi ai cittadini la cui erogazione non potrebbe più essere garantita". Lo scrive il presidente dell'Upi Achille Variati in una lettera indirizzata oggi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Il governo uscente - spiega il Presidente Variait nella missiva - dopo un lungo confronto avuto nei mesi scorsi, aveva riconosciuto la gravità di questa situazione, tanto che aveva previsto di inserire interventi correttivi in grado di assicurare il finanziamento delle funzioni fondamentali dell'ente, nel passaggio in Senato della legge di Bilancio 2017. Con l'apposizione della fiducia però tale possibilità è venuta a mancare e sono rimasti irrisolti tutti i nodi riguardanti gli Enti locali, Province e città metropolitane in particolare. Ritengo indispensabile informarLa - aggiunge allora Variati - che se non si individuerà un provvedimento straordinario attraverso cui risolvere tali questioni, nessuna Provincia sarà in grado di predisporre i bilanci per il 2017 con la conseguente interruzione dell'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini. Mi rivolgo a Lei, garante della Costituzione - conclude il Presidente Variati rivolgendosi al capo dello Stato - certo di potere contare sulla Sua sensibilità riguardo al dovere da parte di tutti i livelli istituzionali della Repubblica di garantire ai cittadini uguali diritti e assicurare alle comunità e ai territori pari opportunità di potere partecipare alla crescita del Paese e favorirne lo sviluppo".
Repubblica
Riecco le Province. Cento carrozzoni da 5 miliardi di euro l'anno, tutti sull'orlo del dissesto. E ora da rifinanziare per strade e scuole
Non solo Cnel tra i "salvati" dal No al referendum costituzionale. Sono 23 mila i dipendenti rimasti per gestire strade e scuole. Variati (Upi): Il governo ci aiuti a sopravvivere. La "maledizione" dei quattro premier caduti dopo aver tentato la cancellazione degli enti
di CARMELO LOPAPA
ROMA - Riecco le Province. Sorelle mature e altrettanto attempate del Cnel e riesumate anche loro dalla vittoria del No al referendum di domenica. E ora chi le governa e chi le rappresenta torna alla luce, esce dalle "catacombe" di questi anni e soprattutto degli ultimi mesi, rivendica ruoli e finanziamenti. Tanti. Anche perché i vecchi enti tornati in vita, pur senza i consigli e gli organi elettivi, nel frattempo sono andati tutti in dissesto o quasi. Una malora generale che - ci scherzano su ma neanche tanto a Palazzo Cardelli, sede storica dell'Unione delle Province nell'omonima piazza di Roma - accomuna al loro destino anche quello dei presidenti del Consiglio che negli ultimi cinque anni hanno deciso di mettere mano alle Province per riformarle o cancellarle del tutto. Una sorta di "maledizione" che ha visto cadere come birilli dal 2011 - pochi mesi dopo aver presentato il progetto di legge all'insegna dei tagli ai costi degli enti inutili - Silvio Berlusconi e poi in sequenza Mario Monti ed Enrico Letta, fino a Matteo Renzi, che proprio sul referendum si è giocato il governo.
Già, perché uno dei tasselli della riforma costituzionale era proprio la cancellazione dagli articoli 114 e 118 della Costituzione di ogni riferimento alle Province, lasciando al loro posto come enti costitutivi della Repubblica solo Comuni, Città metropolitane e Regioni. Un colpo di spugna definitivo, dopo le leggi che in questi anni avevano comunque ridimensionato le strutture, le loro competenze, il loro personale. Eliminato soprattutto i famosi consigli provinciali, con i loro eletti e i gettoni di presenza, senza considerare le giunte con gli assessori, i presidenti e vice. Carrozzoni da svariati milioni di euro. E adesso?
Da settembre scorso le 76 Province delle Regioni a statuto ordinario sono amministrate da sindaci ed entro gennaio 71 su 76 andranno al voto per rinnovare i consigli per la seconda volta. Da 43 mila impiegati in Province e Città metropolitane nel 2013 si è passati agli attuali 23 mila circa (restano da ricollocare 472 persone). "Se fosse passato il Sì sarebbero state abolite le Province, ma sarebbero stati istituiti poi gli enti di area vasta e cos'altro siamo noi se non enti di area vasta" spiega Achille Variati, sindaco e presidente della Provincia di Vicenza che guida anche l'Upi rappresentandole tutte. Ma il nocciolo della questione restano appunto le spese. Quelle che Renzi avrebbe voluto cancellare del tutto assieme alla parola "Province". Stando sempre ai dati dell'Unione delle Province, dai 7,5 miliardi di spesa corrente nel 2013 si è passati ai 4,8 miliardi di euro di quest'anno, 970 milioni solo per il personale.
Dopo la vittoria del no al referendum non c'è stato "alcun brindisi, ma ci sono l'impegno e la volontà di andare avanti, le cicale sono altrove non qui", taglia corto Variati, commentando a Palazzo Cardelli il risultato di domenica. Noi non siamo le Province di ieri, elette dai cittadini con le competenze e i costi che avevano. Da quando noi sindaci siamo entrati nelle Province post riforma Delrio abbiamo fatto il lavoro che ci era stato indicato: farne una casa dei Comuni, efficientare la spesa e ridurre il personale".
Riecco le Province. Il rischio è scampato, la ghigliottina alle spalle, ma i problemi di sopravvivenza restano. "Con i tagli decisi dal governo nel 2015 le Province ormai stanno andando tutte in dissesto finanziario - spiega - . Anche perché mantengono alcune funzioni fondamentali: gestiscono 100mila chilometri di strade provinciali, 5mila scuole e fanno assistenza ai Comuni". Il dimagrimento con la legge Delrio del 2014 c'è stato: "20mila dipendenti delle vecchie Province sono slittati ad altre amministrazioni". Allora perché servono altri quattrini? Perché quei 5 miliardi di euro del 2016? Servono per gestire appunto quei 100mila chilometri di strade nelle manutenzioni straordinarie, è la spiegazione. E in buona parte i fondi arrivano da una sovrattassa che i contribuenti pagano sulla Rca. E poi con la Delrio resta anche la competenza sulle scuole superiori. Non poca cosa. Archiviato il referendum bisognerà rimpinguare anche queste cento vecchie casse.