/ Rassegna stampa » 2016 » Dicembre » 12 » Rassegna stampa del 10, 11 e 12 dicembre 2016
 

Rassegna stampa del 10, 11 e 12 dicembre 2016

Giornale di Sicilia

Sabato 10 dicembre 2016

La mappa dei dissesti
Polaris e Protezione idrogeologica hanno diffuso i dati sui disastri: il 90% del territorio isolano non è in sicurezza

Alluvioni, Ribera e Canicattì fra le più colpite
L'istituto di ricerca per la Protezione idrogeologica ha preso in esame i dati degli ultimi 50 anni, (dal 1964 al 2014). Per prevedere i rischi esistono strumenti di precisione che in Sicilia vengono usati raramente. Giorgio Mannino OOO I rischi idrogeologici in Sicilia hanno sempre costituito un serio pericolo, che persiste ancora oggi. Disastri che negli anni hanno causato vittime e dispersi, distrutto centinaia di case e costretto parte della popolazione a rinunciare per sempre alle proprie abitazioni. Basti pensare che la Sicilia è tra le regioni italiane che supera il 90% di dissesto idrogeologico nel proprio territorio con più ampio rischio frane. Nell'isola il rischio di mortalità media per frana e inondazione sfiora lo 0,06 %. Ma quali sono state le zone dell'isola, nel corso degli anni, che hanno maggiormente subito la violenza degli eventi geomorfologici? Il database Polaris in collaborazione con l'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, ha realizzato un censimento storico di danni a persone dovuto a inondazioni,  frane e alluvioni, che consente di capire quali province siciliane nell'ultimo cinquantennio (dal 1964 al 2014) siano state colpite da tali fenomeni. La cui previsione può essere affidata solo a strumenti di precisione che in Sicilia vengono raramente utilizzati. Le mappe realizzate dal database offrono una serie di dati che, seppur con riferimenti passati, inquadrano le zone dell'isola esposte al rischio idrogeologico. Dalla storica frana di Agrigento del 1966 fino alla più recente tragedia di Giampilieri, in provincia di Messina, nel 2009 che causò la morte di 37 persone, sono tantissimi i pezzi di Sicilia allagati e sbriciolati. Non figurano, ovviamente, nello studio le ultimi alluvioni che due settimane fa hanno messo in ginocchio la provincia agrigentina, in particolare Licata, Ribera e Sciacca. Per quanto concerne le province colpite da alluvioni, i maggiori danni si sono registrati nelle zone del trapanese, in particolar modo a Marsala, San Vito Lo Capo e Castellammare del  Golfo. Dove si sono contate più di 80 persone tra morti, dispersi e feriti. A cause delle incessanti piogge, anche le zone di Enna, Caltanissetta, Barrafranca e Leonforte hanno registrato più di 30 feriti e dispersi. Numeri inferiori sono stati segnalati nell'agrigentino tra Ribera e Canicattì. Mentre gli evacuati e i senzatetto, a San Giovanni Gemini, si sono aggirati tra i 151 e i 250. Più di 250 persone sono state fatte evacuare, a causa delle inondazioni che negli anni hanno colpito il messinese, nello specifico le città di Capo d'Orlando e Barcellona Pozzo di Gotto. Anche Gela, Siracusa, Noto non sono state risparmiate con numeri che hanno superato le 30 persone tra feriti e dispersi. Palermo, invece, negli anni ha subìto poche volte le conseguenze di potenti alluvioni. Il capoluogo siciliano, secondo quanto riportato dallo studio, presenta un numero di morti, feriti e dispersi di poco superiore a 5 unità. Mentre non sono segnalati evacuati o senzatetto a causa di inondazione. Situazione completamente di ferente per quanto riguarda le zone colpite da frane. La parte che ha subìto più danni in tal senso è quella orientale della Sicilia. In cui i paesi e le città messinesi hanno contato più di 100 persone tra vittime, dispersi e feriti. Mentre il maggior numero di evacuati e senzatetto per frana è stato segnalato nel cuore della Sicilia, tra le province di Palermo e il Parco delle Madonie. In particolar modo, sono da segnalare i numeri riguardanti Monreale e Misilmeri, dove sono state fatte sfollare più di 300 persone. Dati non dissimili anche per la provincia di Caltanissetta, dove gli evacuati sono stati più di 250.  Non è rimasta esente dal pericolo frane la costa orientale dell'isola, dove un gran numero di frane ha colpito le zone di Santo Stefano di Camastra, Sant'Agata di Militello, fino ad arrivare a Capo D'Orlando e Brolo. Luoghi in cui gli evacuati hanno toccato, complessivamente, le 600 unità. Nel trapanese, invece, l'unica zona colpita da frane è stata quella di San Vito Lo Capo. Il versante catanese ha in Lentini, Caltagirone e Augusta le città più danneggiate della provincia con un numero di evacuati e senzatetto che in totale ha sfiorato le 300 unità. Guardando al territorio italiano, invece, fra il 1° gennaio e il 30 giugno 2016 non si sono verificati eventi geo-idrologici particolarmente severi in termini di danni diretti a cose o persone. Nel complesso tali fenomeni si sono registrati in 27 comuni di 21 province distribuite in 12 regioni, tra cui figura la Sicilia. Dove in sei mesi sono state fatte evacuare per frana, tra le province di Palermo e Messina, un numero di persone compreso tra 1 e 50. (*GIOM*)

Domenica 11 dicembre 2016

Museo del mare a Sciacca, trasferiti due cannoni
Gli altri, dopo l'alluvione, necessitano di approfonditi interventi di pulizia, di trattamenti per i quali ci vorrà del tempo
Giuseppe Pantano -Sciacca
Soltanto due dei cannoni in bronzo che si trovavano al Museo del Mare, struttura invasa dal fango, in tutte le sale del pian terreno, durante il nubifragio del 25 novembre scorso, possono far parte della mostra che i Gruppi Archeologici d'Italia vogliono organizzare, a partire dal 23 dicembre, al complesso monumentale Fazello. Gli altri necessitano di interventi di pulizia, di trattamenti per i quali ci vorrà del tempo. E allora l'unica possibilità di organizzare   la mostra è legata al trasferimento al Fazello anche dei quattro cannoni che si trovano nell'atrio superiore del palazzo municipale. Su quest'ipotesi, però, il sindaco, Fabrizio Di Paola, frena: «Bisognerà prima acquisire prima il parere da parte della Soprintendenza ai beni culturali di Agrigento  ». Di Paola si mostra perplesso sull'ipotesi trasferimento al Fazello anche di questi cannoni «che la gente ammira all'interno del palazzo municipale», aggiunge il sindaco. Chi preme per il trasferimento al Fazello anche di questi reperti, invece, è Lillo Santangelo, a capo dei Gruppi Archeologici d'Italia: «Nell'atrio del municipio c'è gente che mette i bicchieri di plastica all'interno di questi cannoni ed è arrivato il momento di concentrare tutto il patromonio di reperti della nave in un'unica struttura. Se potremo avere anche questi cannoni l'esposizione si può fare. Altrimenti mi sembra difficile organizzare un'iniziativa con soli due cannoni». Intanto, tutti i cannoni e l'armamento della nave che è affondata, nel 1500, nel mare di Sciacca, che si trovavano al Museo del Mare, sono già al Fazello. Questa mattina saranno trasferiti gli ultimi reperti. Nella struttura di via Giuseppe Licata saranno collocati anche gli altri pezzi, le anfore, le ceramiche e tutto quanto si trova al Museo del Mare. La San Julian era una nave commerciale, che trasportava grano prelevato proprio a Sciacca. Aveva un imponente armamento per difendersi dalla pirateria. "Il nostro primo intervento nel sito di Coda della Volpe dove operiamo già da 25 anni - di - ce Lillo Santangel  - è stato nel maggio del 1991, quando abbiamo trovato il primo smeriglio, ad  avancarica, in bronzo. Nel 1992 abbiamo prelevato un mezzo falcone in bronzo e fino a questo momento si pensava a dei cannoni finiti in mare. Nel 1994 abbiamo trovato il cannone con la salamandra, la bastarda, e il mezzo falcone in bronzo a torciglione. Poi, nel 2007, abbiamo cominciato a lavorare in maniera più intensa, con i gruppi archeologici, e trovato tutta la minuteria, come chiodi, piombo. Nel 2008 abbiamo trovato gli altri cannoni in bronzo. Nel 2014, invece, palle di cannone in ferro e tanto altro, anche elementi della cucina. Gli studi sulla nave sono stati approfonditi dal professore Renato Gianni Ridella, di Genova, uno dei tre maggiori esperti, in Italia, di artiglieria navale. Abbiamo svolto un lavoro sinergico, da un lato il recupero dei reperti, la valutazione degli stessi da parte di un archeologo subacqueo che ha sempre seguito il nostro lavoro, e poi lo studio di carattere storico con il professore Ridella che c'è stato di grandissimo aiuto". E adesso i Gruppi Archeologici vorrebbero mettere tutto in mostra al Fazello. Sulle possibilità che questo possa avvenire già a Natale, però, sono sorti problemi e le prossime ore saranno decisive. (*GP*)

Rassegna.it

Allarme Province, rischio collasso
La Fp Cgil: "Quadro sconfortante, a due anni e mezzo dalla legge Delrio, molti enti si trovano nel baratro finanziario con tagli e decurtazioni ai salari. Bisogna intervenire subito, salvaguardare lavoro e servizi ai cittadini".
Un "quadro sconfortante e di assoluta indeterminatezza" delinea lo stato in cui versano Province e Città metropolitane, oramai al collasso, a due anni e mezzo dall'approvazione della legge Delrio e a pochi giorni dall'esito referendario. È quanto si legge in una nota della Fp Cgil nazionale in merito all'appello lanciato dall'Upi (Unione province italiane) al presidente della Repubblica Mattarella sullo stato in cui versano le Province.
Questi enti, spiega la Funzione pubblica Cgil, "come rilevato dalla stessa Upi, si trovano sull'orlo del collasso finanziario, molte già ampiamente nel baratro, per effetto dei tagli, con dipendenti che subiscono, in ragione dello sforamento ovvio del patto di stabilità, decurtazioni pesanti al salario e con il restringimento progressivo dei servizi offerti. Le Province sono in mezzo al guado e mai come adesso con una prospettiva di futuro totalmente incerta".
Secondo la Fp Cgil per ovviare allo stato di collasso e per poter garantire un'offerta adeguata di servizi ai cittadini, bisogna intervenire sulle risorse, azzerando il taglio di un miliardo previsto per il 2017 e restituire a Province e Città metropolitane le stesse capacità assunzionali riconosciute al sistema delle autonomie locali. "Ma se questi sono interventi urgenti, serve offrire un orizzonte a questi enti, integrando le funzioni fondamentali con altre che per loro natura ormai non possono non essere amministrate se non in forma sovra comunale. Un modo - conclude la Funzione pubblica Cgil - per invertire il declino al quale pare siano condannate queste istituzioni, un'esigenza non solo dei lavoratori coinvolti ma anche per quel complesso di diritti e di servizi alle comunità che rappresentano".

Riforma delle province incostituzionale: inevitabile prenderne atto
tratto da luigioliveri.blogspot.it
Moltissimi giornalisti, tra i quali spicca ovviamente Sergio Rizzo, avevano fatto una campagna ossessiva per l'abolizione delle province. Gli esiti del referendum rendono questa "meta" adesso molto complicata e la stampa generalista se ne adonta moltissimo, persistendo in una campagna degna sicuramente di miglior sorte.
Sia subito chiaro: non perché vi sia nulla che vieti di riformare l'ordinamento istituzionale e l'organizzazione della pubblica amministrazione, anche eliminando enti come le province.
Tuttavia, per perseguire questo scopo, occorrerebbe sgomberare il campo dai due clamorosi errori commessi da Governo e Parlamento in questi anni, nella compulsiva volontà di assecondare le inchieste sommarie e disinformate dei giornali e nella convinzione di dare vita ad una misura populistica dal consenso facile:
1.      poiché le province sono un ente espressamente considerato dalla Costituzione come un elemento fondante della Nazione e della Repubblica, per eliminarle occorre riformare la Costituzione, prima e non dopo di una legge ordinaria, come la Delrio;
2.      se l'intento è, oltre alla razionalizzazione amministrativa, anche quello di risparmiare risorse, esso è assolutamente velleitario ed erroneo: le province, come qualsiasi altro ente, spendono le risorse affidate alla loro gestione allo scopo di erogare servizi. L'unico sistema per risparmiare non è eliminare l'ente che li gestisce, quei servizi, bensì eliminare i servizi stessi a discapito dei cittadini che ne hanno bisogno, poiché se non si azzerano necessariamente qualche altro ente dovrà garantirli, senza, quindi, che si produca alcun risparmio significativo.
L'economista Roberto Perotti, tra i tantissimi sostenitori dell'abolizione delle province, ha quotato di recente il risparmio vero conseguibile: 340 milioni circa. Si tratta di una cifra certamente importante, ma assolutamente non risolutiva della situazione della finanza pubblica, in quanto rappresenta appena lo 0,04% del totale della spesa pubblica. Il nulla.
L'Unione Province Italiane, debolissima associazione delle province che con altrettanta (se non maggiore) debolezza ha cercato di difendere queste istituzioni da un attacco in realtà considerato inevitabile anche dall'associazione stessa (in particolare con l'attuale presidenza), ha spiegato nei giorni scorsi che la spesa corrente delle province si è ridotta di 2,7 miliardi, pari al 37% degli iniziali circa 8 miliardi, assestandosi in circa 5,3 miliardi di euro.
Non è stato, tuttavia, evidenziato che si tratta di una riduzione della sola spesa corrente del comparto delle province, non della spesa pubblica italiana nel suo complesso, che, infatti, non scende affatto, ma aumenta.
Il perché è molto semplice: la spesa corrente sparita dai bilanci delle province si è trasferita nei bilanci dei comuni, delle amministrazioni statali e soprattutto delle regioni. Infatti, tutte queste amministrazioni hanno assorbito i circa 20.000 dipendenti provinciali trasferiti a forza, per effetto della legge 190/2014, addossandosi la spesa connessa di circa 650 milioni; comuni e, soprattutto, regioni, poi, hanno anche acquisito mole delle funzioni non fondamentali provinciali sostituendosi alle province nell'erogare sostanzialmente il medesimo volume di spesa corrente.
Dopo il referendum, come detto, la stampa generalista non molla la presa e torna ad attaccare un bersaglio facile per il populismo imperante. Su La Repubblica on line dello scorso 7 dicembre, ad esempio, campeggiava l'articolo di Carmelo Lo Papa dal titolo "Riecco le Province. Cento carrozzoni da 5 miliardi di euro l'anno, tutti sull'orlo del dissesto. E ora da rifinanziare per strade e scuole". Un condensato di populismo e indicazioni erronee, quando non del tutto false. L'esordio è questo: "Riecco le Province. Sorelle mature e altrettanto attempate del Cnel e riesumate anche loro dalla vittoria del No al referendum di domenica. E ora chi le governa e chi le rappresenta torna alla luce, esce dalle "catacombe" di questi anni e soprattutto degli ultimi mesi, rivendica ruoli e finanziamenti. Tanti. Anche perché i vecchi enti tornati in vita, pur senza i consigli e gli organi elettivi, nel frattempo sono andati tutti in dissesto o quasi".
Il giornalista commette un'omissione gravissima, per chi ha il compito di dare informazioni complete: se le province sono andate in dissesto o quasi, ciò è dovuto alla legge 190/2014. La stampa generalista ha sempre raccontato che tale norma ha previsto "tagli" alle spese delle province. Non è affatto così. La legge 190/2014 ha, al contrario, previsto un prelievo forzoso: ha, cioè, imposto alle province a decorrere dal 2015 di versare allo Stato le somme di 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017 (che si aggiungono a 1,5 miliardi di precedenti interventi a partire dal Governo Monti), corrispondenti al volume di entrata dei tributi provinciali. In pratica, le province hanno fatto da gabelliere di Stato, continuando ad esigere le imposte, ma non potendole più spendere per i servizi delle proprie comunità, essendo costrette a versarle al bilancio statale: ciò ha fatto saltare totalmente i conti, perché come spiegato da Report mesi addietro, il Sose, società cui era stato affidato il compito di computare i risparmi possibili derivanti dalla riforma, aveva affermato che al massimo i bilanci delle province potevano sostenere 1 miliardo di riduzione della spesa corrente, da girare allo Stato.
Così non è andata, perché un legislatore sommario e frettoloso - come dimostrato nel frattempo da moltissimi altri esempi, vedasi legge Madia - ha insistito con tagli insostenibili.
Ora le province non rivendicano per nulla finanziamenti "tanti" e subito. La stampa generalista non ha ben compreso che le province hanno, come qualsiasi altro ente, dovuto gestire determinati compiti e rivolgere la spesa ai servizi connessi. In particolare, sono rimasti in capo alle province i servizi per la manutenzione di 100 mila chilometri di strade, una rete fondamentale per l'economia e la vita dei cittadini; nonché 5.000 edifici scolastici. Le leggi statali hanno strozzato i bilanci provinciali, nell'illusione di una riforma costituzionale che poi non è giunta, oltre ogni misura e se adesso le province chiedono finanziamenti non è per se stesse, ma per poter assicurare l'erogazione dei servizi necessari.
E' evidente che questo messaggio alla stampa non è chiaro: erogare servizi, significa spendere risorse pubbliche. Se si immagina di risparmiare i "finanziamenti chiesti" dalle province, per insistere sull'abolizione di questo ente, si potrebbe forse ottenere il tanto agognato esito della sparizione delle province, è vero; ma se si vuole garantire il diritto allo studio di milioni di studenti delle superiori e il diritto alla mobilità dei cittadini, allora quella spesa necessaria, se non gestita dalle province, dovrà comunque essere gestita ed erogata da altri. E il risparmio sarà sempre e comunque prossimo allo zero.
Ma, la stampa generalista insiste. Pur chiedendosi cosa succede alla sciagurata riforma Delrio, cerca di mandare messaggi tranquillizzanti e far passare l'idea che non sia accaduto nulla.
Questa è la linea de Il Messaggero, giornale molto governativo in questi anni e molto partecipe alla campagna populistica anti province. Sempre il 7 dicembre è stato pubblicato l'articolo "Le Province resuscitate dal No chiedono aiuto a Mattarella: non riusciamo a fare i bilanci", nel quale si affronta appunto il tema della riforma delle province dopo il no a furor di popolo alla riforma della Costituzione.
L'articolo riporta tre tesi:
1.      quella del costiuzionalista Ugo De Siervo: "Chiaro il ragionamento del giurista Ugo De Siervo, già presidente della Corte Costituzionale, che ammette senza giri di parole che «per le Province, e allo stesso modo per le Città Metropolitane, tutto rimarrà secondo l'impostazione data dalla legge 56». Anche se, aggiunge, «a questo punto qualcuno potrebbe chiedere una verifica della sua legittimità costituzionale». De Siervo spiega che «in termini effettivi la mancata revisione della costituzione non cambia nulla rispetto alla legislazione esistente», non senza segnalare però che «quella legge operava delle innovazioni che sarebbero state rese definitive e radicali con modifiche della Carta». Tuttavia, rileva, «rimane nei fatti una situazione che qualcuno potrebbe definire deplorevole e deficitaria, e per questo potrebbe chiedere una verifica sulla legittimità costituzionale di quel provvedimento». Il punto è che ad esempio il termine Province, con il varo degli enti di Area Vasta, «è stato sostanzialmente e non formalmente eliminato»";
2.      quella di Giancarlo Bressa, tra i protagonisti, in Parlamento, del sostegno più forte alla devastante riforma: "Diverso l'approccio del sottosegretario uscente agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, tra i padri della legge 56: «La questione è semplice, quel provvedimento - in vigore ormai da due anni e mezzo - è stato approvato a Costituzione vigente, che poi non è stata modificata, quindi nulla cambia». Al comma 51 del primo articolo si ricordava con chiarezza «che si era "in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione", ma tutto ciò - osserva - riguardava aspetti di coordinamento tra i vari enti e la necessità di operare qualche aggiustamento». Quindi, «gli enti di area vasta, secondo la denominazione della legge 56, continueranno a chiamarsi Province, al di là di ogni possibile questione di tipo nominalistico. Del resto le loro funzioni quelle erano e quelle rimangono»";
3.      quello dell'ex presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti, Antonio D'Atena: "«Posso dire, come ho fatto a suo tempo nelle commissioni parlamentari, che la legge Delrio abbia degli aspetti di provvisorietà, visto che ha trasformato le Province in enti di secondo grado, ma la Consulta ha validato quell'impostazione, regolando così la presenza di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato». Categorico infine sull'arrivo di possibili ricorsi: «Credo che possano riguardare soltanto questioni incidentali di legittimità costituzionale»".
E' necessario affermare che nessuna delle tre tesi suggerite dagli interlocutori de Il Messaggero appare convincente e corretta.
Non è vero che, archiviato il no alla riforma della Costituzione, non cambi nulla.
In particolare, risulta del tutto erroneo e inaccettabile il ragionamento proposto dal Bressa. La legge Delrio, la 56/2014, appare irrimediabilmente viziata da un gravissimo difetto di legittimità costituzionale, reperibile in quanto riportato nell'articolo 1, commi 4 e 51, laddove si dispone espressamente che il nuovo ordinamento delle città metropolitane e delle province è disposto "In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione".
Si tratta di una previsione semplicemente inaccettabile e devastante in un ordinamento giuridico basato su una Costituzione rigida, posta al vertice della gerarchia delle fonti. Se si ammettesse che una legge ordinaria possa intervenire su qualsiasi aspetto dell'ordinamento giuridico immaginando una successiva riforma della Costituzione ed anticipandone alcuni effetti "in attesa" che detta riforma venga poi, effettivamente, in vigore, allora si consentirebbe domani a qualsiasi Governo e Parlamento di oltraggiare la Costituzione con semplici leggi ordinarie, inserendo la stessa clausola di stile contenuta nella legge Delrio.
La bocciatura della riforma quale esito del referendum del 4 dicembre, suona anche necessariamente come bocciatura sonora della legge Delrio, in quanto essa è stata espressamente adottata in attesa di una riforma della Costituzione, in quanto legge ordinaria che, di fatto, ha agito nell'esercizio di un potere costituente e non di legislazione ordinaria.
Esiste un dovere politico, oltre che giuridico, di intervenire sulla legge Delrio almeno per eliminare esattamente quella clausola di stile, semplicemente inaccettabile per l'ordinamento, al netto, poi dei problemi complessivi di costituzionalità del disegno della riforma.
Che andrebbe cancellata e profondamente rivista (tornare totalmente indietro non sarà possibile) per almeno due motivi. Uno di fatto, l'altro sempre di legittimità costituzionale.
Esaminiamo il motivo di fatto. La legge Delrio andrebbe profondamente rivista per una ragione molto semplice: oltre ad aver illegittimamente inteso anticipare gli effetti di una riforma costituzionale, è risultata, in combinazione con la legge 190/2014, un disastro operativo di proporzioni gigantesche. Infatti, ha determinato quasi tre anni di mancate manutenzioni alle strade, divenute dei colabrodi, e alle scuole che ben lontane dall'essere "belle" e "buone", a loro volta risentono fin troppo di mancati finanziamenti per interventi di manutenzione, rispetto della normativa anti incendi ed anti sismica. Ma non sono solo queste le disfunzioni causate, come si nota, non all'ente provincia, bensì ai cittadini e ai loro diritti: si potrebbe parlare della riduzione formidabile delle ore di formazione professionale, o anche della conculcazione gravissima del diritto allo studio dei disabili, privati del servizio di accompagnamento a scuola e dell'assistenza allo studio, nel caso dei disabili sensoriali.
Oltre a questo cumulo di macerie organizzative e disastri dei servizi, una parte intera della legge Delrio non ha assolutamente funzionato: l'incentivazione all'associazionismo comunale, che avrebbe addirittura dovuto creare unioni tali da sostituirsi alle province come enti intermedi tra comuni e regione. Solo in Friuli Venezia Giulia l'esperimento è ancora in corso, ma destinato già al fallimento, analogo a quello che si è già registrato in Sicilia, dove la trasformazione delle province di "liberi consorzi" è una barzelletta esilarante. Nel resto d'Italia, forma associative sostitutive delle province non si sono viste nemmeno col microscopio a scansione nucleare, né mai si vedranno.
Sul piano strettamente giuridico, salta all'occhio che resta nella Costituzione l'indicazione delle province quali elementi essenziali della Repubblica, che con pari dignità istituzionale degli altri (comuni, città metropolitane, regioni e Stato) la costituiscono.
Il combinato disposto tra gli articoli 5 e 114 della Costituzione e, soprattutto, la loro pari dignità istituzionale, in relazione ancora all'articolo 1 che dispone la sovranità popolare, rende ovviamente costituzionalmente insostenibile una legge che ha privato i cittadini del diritto di voto dei rappresentanti politici provinciali. Nulla impedisce che essi continuino, come previsto dalla Delrio, a svolgere il loro mandato gratuitamente. Ma, l'elezione di secondo grado è una mortificazione della pari dignità istituzionale delle province e della sovranità popolare.
C'è ancora da osservare l'erroneità della visione proposta dal D'Atena, che ha richiamato implicitamente nell'intervista al Messaggero la sentenza della Corte costituzionale 50/2015, di rigetto di ricorsi proposti da alcune regioni contro la riforma Delrio. Una sentenza, in verità molto debolmente argomentata, figlia di un "clima" particolarmente contrario alle province e anche in qualche misura inevitabilmente condizionata dai contenuti dei ricorsi, oggettivamente non del tutto persuasivi.
Ma, il D'Atena, come qualsiasi altro costituzionalista e, soprattutto Governo e Parlamento, non dovrebbe dimenticare una ben più importante ed impattante sentenza della Consulta che, invece, fin qui è passata sotto silenzio, come non fosse mai stata pronunciata, nonostante essa sia deflagrante per far saltare in aria l'impianto della riforma Delrio nel suo micidiale combinato disposto con la legge 190/2014.
Si tratta della sentenza 205/2016, che nel respingere i ricorsi proposti contro l'articolo 1, comma 418, della legge 190/2014, sancisce: "Più precisamente, dunque, disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano «ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato», si deve ritenere - e in questi termini la disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014). La previsione del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma in itinere. E, così intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato (sentenze n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015). I commi 418, 419 e 451, dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo comma, Cost. nei termini lamentati dalla ricorrente, perché le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (così come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) è specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti".
In modo incontrovertibile, la Consulta ha emanato per questa parte una sentenza interpretativa di rigetto in merito all'articolo 1, comma 418, della legge 190/2014, espressamente considerato come una norma non incostituzionale solo se intesa nel senso che il prelievo forzoso da esso imposto alle province avrebbe un particolare "vincolo di destinazione": cioè, trasferire le risorse necessarie allo svolgimento delle funzioni non fondamentali dalle province, agli enti subentranti.
Questo implica almeno le seguenti conseguenze:
1)sono incostituzionali tutte le leggi dello Stato che destinano i miliardi imposti come prelievo forzoso al bilancio dello Stato, senza che da lì defluiscano a finanziare gli enti subentrati alle province (per decisione delle regioni) nella gestione delle funzioni provinciali non fondamentali; in una parola, il prelievo forzoso destinato a sostenere spese diverse da quelle per le funzioni provinciali è costituzionalmente illegittimo;
2)le regioni che sono subentrate in larga misura alle province nella gestione delle funzioni non fondamentali, hanno pieno diritto di ricevere dallo Stato i 3 miliardi che questo sottrae alle province, per finanziare le funzioni provinciali non fondamentali che le regioni si sono accollate;
3)laddove le province fossero state confermate dalle regioni (in molti casi è avvenuto) quali titolari delle funzioni non fondamentali, a loro volta esse avrebbero il diritto di ricevere dallo Stato la quota parte del prelievo forzoso imposto, per finanziare i servizi (ivi compreso anche il personale).
A seguito del referendum del 4 dicembre 2016, le regioni potrebbero giustificatamente essere tentate dal restituire alle province tutte le funzioni non fondamentali. Infatti, il meccanismo perverso e devastante determinato dalla combinazione terribile delle fallimentari leggi 56/2014 e 190/2014, ha costretto le regioni a farsi direttamente carico di coprire per intero il prelievo forzoso imposto dallo Stato alle province, visto che lo Stato si è guardato bene dal considerare tali risorse come soggette al vincolo di destinazione, pur voluto dalla Corte costituzionale. Le regioni, quindi, potrebbero a giusta ragione affermare che, contrariamente a quanto asserito da prime superficiali analisi, la mancata approvazione della riforma costituzionale dà modo di riattribuire alle province funzioni e, di conseguenza, finanziamenti. Di fatto, erodendo quasi ad azzerare gli effetti della legge 190/2014. Ma, se si azzerano quegli effetti, vuol dire che le funzioni qualificate imprudentemente come "non fondamentali" in attesa di un futuro assetto costituzionale mai entrato in vigore, tornerebbero alle province, vanificando quasi del tutto la scellerata riforma Delrio, che ha avuto la presunzione di poter modificare un assetto istituzionale definito dalla Costituzione con una semplice legge ordinaria.
Pare ve ne sia abbastanza per concludere per l'irrimediabile incostituzionalità dell'impianto complessivo della riforma delle province. Il che è necessario affermarlo, allo scopo non di escludere a priori una possibile riforma delle province, bensì di confermare che non va bene qualsiasi riforma, in qualsiasi modo pensata e scritta; al contrario, le riforme possono rivelarsi utili ed efficaci, se oltre al titolo ed agli slogan populistici, si riesce a scriverle bene, ad incastrare tutti gli elementi, a fare una corretta valutazione di impatto e delle conseguenze e, soprattutto, qualora si tratti di una riforma attuativa di altra riforma della Costituzione, ad attendere che prima entri in vigore la riforma costituzionale, per poi, ma solo poi, adottare le leggi ordinarie necessarie.

Certastampa.it

LE PROVINCE VANNO AL VOTO SENZA SOLDI E SENZA OBIETTIVI MINIMI, IL REFERENDUM HA PEGGIORATO LE COSE
By Elisabetta Dicarlo
Il No al referendum ha resuscitato le Province evitando la loro abolizione, pone però sul tappeto alcune questioni stringenti per la sopravvivenza degli enti. Dopo l'allarme lanciato dal presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, anche Antonio De Crescentiis, a capo di quella aquilana, fa capire che urge una svolta. Un ragionamento che accomuna anche i Presidenti di Teramo (Renzo Di Sabatino) e Chieti (Mario Pupillo), che hanno già espresso le stesse esigenze e preoccupazioni. «La legge di Stabilità 2014 ha previsto che per 2015, 2016 e 2017 il contributo delle Province alla finanza pubblica aumentasse gradualmente spiega De Crescentiis -. Nel caso dell'Aquila siamo partiti da 10 per arrivare ai 30 dell'anno prossimo. Non ce la faremmo, non è possibile. Il punto non sono i carrozzoni che evoca qualcuno. Il presidente e i consiglieri, infatti, non percepiscono un euro. C'è una parte di classe politica che da un paio d'anni sta portando avanti questo lavoro senza indennità, ma non si può assumere la responsabilità di avere scuole sicure e strade percorribili senza la possibilità di chiudere nemmeno il bilancio in pari, che è un obbligo di legge per giunta». E' stato pubblicato, intanto, l'elenco degli aventi diritto al voto suddivisi per fasce di popolazione alla Provincia di Teramo. Il corpo elettorale è composto da 575 votanti. La base elettorale per il rinnovo del Consiglio Provinciale è rappresentata dall'insieme dei consiglieri e dei sindaci dei Comuni della provincia, in carica alla data del 35° giorno antecedente quello della votazione. Non partecipa alla votazione il Comune di Tortoreto, attualmente commissariato. Sono eleggibili a Consigliere provinciale i Sindaci e i Consiglieri comunali in carica dei comuni della provincia. Le liste dovranno essere presentate presso l'Ufficio Elettorale costituito presso la Provincia in Via Milli n. 2 dalle ore 8 alle ore 20 di Domenica 18 Dicembre e dalle  dalle ore 8 alle ore 12 di Lunedì 19 Dicembre, utilizzando l'apposita modulistica; è di 29 il numero minimo di sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste di candidati alla carica di consigliere provinciale. I calcoli sono rintracciabili sul verbale dell'ufficio elettorale ed i moduli sono a disposizione sul sito. Nei prossimi giorni saranno pubblicati i dati ufficiali sugli indici ponderali di voto (il "peso" di ciascun votante sulla base della popolazione rappresentata). I partiti iniziano a incontrarsi in vista di questa scadenza e qualche riunione è stata anche rinviata, come in casa NCD dove gli interessati a queste elezioni erano davvero in pochi. Chi invece ci punta eccome, sarebbe probabilmente per affermare la leadership del suo comandante in capo: Paolo Gatti impegnato a scegliersi il posto o in Regione anche qui come comandante in capo o al Parlamento come uno dei tanti.

Tempostretto.it

Le richieste sindacali
Ex Provincia, la Regione vuole "alleggerire" gli uffici. Fronte aperto sui precari
Il Csa ha avanzato una una richiesta di incontro urgente al Presidente Crocetta ed agli Assessori Lantieri e Baccei. Il sindacato stigmatizza l'atteggiamento di chiusura che gli amministratori continuano ad assumere rispetto alle richieste di attivare con urgenza i tavoli di confronto.
La Regione chiede informazioni sui lavoratori dell'ex Provincia. I sindacati vogliono vederci chiaro. E' il Csa a segnalare che nei giorni scorsi l'Assessorato Autonomie Locali della Regione Siciliana ha inviato alle Città Metropolitane ed ai Liberi Consorzi dell'isola una circostanziata richiesta di dati sul personale in servizio agli Uffici Tecnici. Secondo il sindacato la richiesta è preliminare alla possibile mobilità dei dipendenti al Genio Civile e ad altri Enti, al fine di alleggerire gli organici degli enti di area vasta, ma è necessario fare chiarezza. Per questo è immediatamente stata avanzata una una richiesta di incontro urgente al Presidente Crocetta ed agli Assessori Lantieri e Baccei.
«Stigmatizziamo l'atteggiamento di chiusura che gli amministratori continuano ad assumere rispetto alle richieste di attivare con urgenza i tavoli di confronto in materia di "Ex Province" e "Precari", intraprendendo in materia iniziative completamente avulse dagli impegni sin qui portati avanti e delle quali arrivano solo notizie confuse o tramite stampa».
Nella stessa richiesta viene sollecitata l'urgente adozione della proroga per il personale precario, che per il Csa è l'unica alternativa al trasferimento dei lavoratori al contenitore regionale Resais.
"Due vertenze strettamente legate - dichiarano i responsabili CSA di Messina, Piero Fotia e Santino Paladino - e sulle quali si registrano ritardi che compromettono il futuro di migliaia di lavoratori. Per quanto riguarda le Ex Province, siamo aperti ad ogni scenario ma riteniamo che non si possa prescindere dalla piena condivisione delle scelte con i rappresentanti dei lavoratori, al fine di evitare disagi e penalizzazioni del personale, senza dimenticare che la Città Metropolitana dovrà affrontare con tutte le professionalità in servizio le prossime sfide della progettazione del "Masterplan" e del "Patto per Messina".

10 dicembre - sabato

LA SICILIA

Sarà inaugurata dopo 15 anni la sede dell'Istituto «Fermi».
RACALMUTO. E' fissata per le 10 di martedì 13 dicembre la cerimonia di inaugurazione della sede associata di Racalmuto dell'istituto d'istruzione Superiore statale Enrico Fermi di Agrigento.
A darne la notizia è la dirigente scolastica Elisa Casalicchio che, per l'occasione ha invitato il prefetto di Agrigento Nicola Diomede, il dirigente Provinciale del Ministero della Pubblica Istruzione Raffaele Zarbo, Commissario Straordinario del Libero Consorzio di Agrigento Roberto il  Racalmuto Emilio Messana e l'Arciprete Don Diego Martorana.
Saranno presenti alla cerimonia anche il senatore Fabrizio Bocchino, membro e segretario della Commissione Parlamentare Istruzione Pubblica, Beni Culturali, Ricerca Scientifica, Spettacolo e Sport ed il senatore Francesco Campanella, membro della Commissione Parlamentare Agricoltura e Produzione Agro-alimentare e segretario delta Commissione per la Semplificazione.
Il plesso dell'I.I.S.S. 'E. Fermi' di Racalmuto, sino a qualche mese fa, era quasi del tutto inagibile. E' stato solo grazie al fattivo interessamento dell'ex commissario del Libero Consorzio di Agrigento, Benito Infurnari, che è stato possibile restituire debitamente ristrutturata ed adeguata alle vigenti normative, una scuola per troppo tempo trascurata, n cu attualmente sono presenti due indirizzi, quello peri Servizi Socio-Sanitari e quello di Manutenzione ed Assistenza Tecnica.

DISINFESTAZIONE AL LIBERO CONSORZIO
Saranno effettuati venerdì 16 dicembre i programmati interventi di disinfestazione di alcune sedi del libero Consorzio ne comune d Agrigento.
Rimarranno, quindi, chiusi, gli Uffici di Via Acrone, ex ENEL; gli uffici di Via Francesco Crispi (ARPA); gli uffici di Via Esseneto ex IPAI; il Punto Informativo della Stazione, l'ufficio Tecnico del Viale della Vittoria; il Giardino Botanico di Via Demetra e il Punto Informativo di Porta Quinta, per i necessari interventi di disinfestazione da tempo programmati con l Sanitaria Provinciale di Agrigento. Il servizio di protezione civile sarà, in ogni caso, assicurato tramite personale reperibile.

I SINDACATI A CROCETTA: RISOLVERE SUBITO LA QUESTIONE PRECARI.
LA CRISI. I vertici regionali di Cgil, Cisl e Uil hanno sollecitato il governatore ad affrontare immediatamente le emergenze sociali.
PALERMO Le "bombe" da disinnescare sono più d'una. La prima pronta a deflagrare è la questione dei precari degli enti locali: un 'esercito' di oltre l4mila impiegati che il 31 dicembre, quando scadranno i contratti, rischiano di rimanere senza un lavoro. La seconda delle emergenze sociali non finisce qui, Ma è un lungo rosario: la disoccupazione-record al 21,9%; i 511mila 'Neet'   (i giovani che non studiano né lavorano); l'allarme povertà con 2 milioni e 700mila persone rischiano di rimanere ai margini (il 544% dei siciliani); l'emigrazione galoppante con 418mila persone che dal 2002 al 2014 hanno lasciato l'Isola. Queste ed altre emergenze i sindacati confederali le hanno raccolte in una lettera recapitata a Palazzo d'Orleans. Dest il governatore Rosario Crocetta. Contenuto : "Già la fase referendaria — scrivono segretari generali di Cgil, Cisl e Uil siciliane Michele Pagliaro, Mimmo Milazzo e Claudio Barone —ha messo in sordina la grave situazione economica e sociale che permane in Sicilia, come puntualmente hanno ricordato Istat e svimez, con le tante vertenze aperte e non risolte. La politica, quale che s il suo momento non può continuare a perdere tempo facendo incancrenire la situazione ulteriormente e peggiorando le condizioni e la vita dei siciliani. Chiediamo quindi un incontro urgente per l'individuazione di soluzioni ormai non più rinviabili». Dopo che a Roma è sfumata la possibilità di stabilizzazione per i precari, attraverso la legge di bilancio, la Regione lavora al 'piano 8". Ovvero alla proroga dei contratti fino al 2018. Il Salva-precari" sarà inserito nel ddl sull'esercizio provvisorio che il governo dovrebbe portare all'Ars nei prossimi giorni. I sindacati — e naturalmente i lavoratori—però non dormono sonni tranquilli. «La vicenda dei precari ci preoccupa molto — rimarca Milano — Bisogna trovare gli strumenti per evitare che ogni anno ci sia questa scadenza che crea angosce nelle famiglie. La parola passa a Crocetta che tra le 'ricette' anti-crisi propone cantieri disoccupati e servizio sociale per professionisti e laureati under 30.

Carta e faldoni vanno in soffitta
Corsia preferenziale per le grandi opere pubbliche ritenute di valore strategico

ROMA. Una raffica di scadenze, da qui ai primi giorni del prossimo anno: il calendario della P è fitto di date contrassegnate, daLla stretta sulle partecipate all'addio alla carta. Non c'è solo il dossier statali e in queste settimane maturano i termini su punti cruciali della riforma Madia, su cui pende ancora la sentenza della Consulta. Ecco allora le principali novità per cui è scattato I countdown.
- DAI FALDONI Al FILE, UN MESE PER LA SVOLTA DIGITALE, Entro il 14gennaio un decreto dovrebbe riscrivere le regole per passare ad un'amministrazione 2.0 e così far scattare l'obbligo per tutti gli enti di «adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti», Obbligo che doveva diventare effettivo quest'estate, ma poi rinviato con il nuovo Codice dell'amministrazione digitale. Ora però il tempo stringe e tutti gli uffici pubblici sono chiamati a superare la carta.
- PARTECIPATE LIGHT, TERMINI SCADUTI PER TETTTI STIPENDE.
Le s
ocietà a controllo pubblico «adeguano i propri statuti» alle novità del decreto Madia «entro il 31 dicembre 2016». Così recita il provvedimento stesso, Tra i nuovi paletti: deleghe a un solo amministratore, niente più vicepresidenti, divieto di gettoni di presenza o premi deliberati dopo lo svolgi mento dell'attività. Sono invece già trascorsi i termini per l'emanazione d decreto per nuovi limiti retributivi, si deve passare da tre a cinque fasce, con conseguente revisione al ribasso dell'ultima (si scenderà sotto i 100mila euro).
GRANDI OPERE, IN ARRIVO IDENTIKIT PER OTTENERE CORSIA VE LOCE. Volendo rispettate la tabella di marcia prevista dal decreto "Sblocca opere", nei prossimi giorni si dovrebbe raggiungere in conferenza unificata un'intesa per fissare i criteri in base a cui riconosce re un progetto come strategico o meno, Una sorta di checklist, di pagella, che decreta l'entrata o l'uscita di una proposta dalla rosa a cui verrà applicata una via referenziale, con il dimezzamento dei tempi della burocrazia. Entro l'11 gennaio la griglia di valutazione dovrà essere chiusa.
- OPERAZIONE TRASPARENZA, ENTRO L'ANNO ACCESSO LIBERO PER TUTFI. Il 23 dicembre ogni amministrazione dovrà assicurare "l'effettivo esercizio del diritto», per chiunque, di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalla Pa. Non c'è bisogno di giustificare l'istanza e la risposta deve essere data entro 30 giorni, Così vuole il cosiddetto Foia, posto che la Pa può non apri re gli archivi, motivando il rifiuto.
- AUTO BLU, INVIO DATI O SCATTANO SANZIONI. Ciascuna Pa, anche Regioni e Comuni, deve comunica re ogni armo l'elenco dettagLiato delle vetture in garage. L'invio dei dati è considerato un obbligo, il cui mancato rispetto comporta I taglio del 50% delle spese dedicate ai tra sporti. La sforbiciata viene applicata sull'ammontare dell'esborso relativo al 2013, quando la stretta non era ancora cominciata. I primi effetti del giro di vite si sono, infatti, visti lo scorso anno. quando è scattato il vincolo per la Pa, centrale (massimo cinque macchine, anche nei ministeri.
MARIANNA BERTI

11 dicembre - domenica

LA SICILIA

PALMA DI MONTECHIARO: DOPO UN MOVIMENTO FRANOSO
La Provinciale per Marina è pericolosa.
PALMA DI MONTECHIARO. Sulla strada provinciale per Marina di Palma, dopo pochi metri dall'ingresso del discount MD, esiste una situazione di pericolo per gli automobilisti provenienti sia dalla borgata marittima che dal quadrivio sulla SS 115. A causa di uno smottamento, infatti, i cantonieri della ex Provincia Regionale, hanno provveduto a transennare la piccola frana, apponendo anche una freccia dì direzione e un cartello segnalante il peri colo. Ma se le indicazioni certamente contribuiscono a segnalare ai mezzi in transito l'inconveniente esistente nella arteria, il transennamento invece ha quasi dimezzato il percorso della carreggiata che per gli automobilisti provenienti dal quadrivio sulla SS 115, è possibile at traversare rallentando e spostando la marcia nel lato sinistro. Ma il fatto che rende oltremodo pericoloso questo tratto della strada provinciale per Marina di Palma, è costituito dalla presenza di una curva a gomito dalla quale. provenienti da Marina di Palma e da altre località abitate, le vetture si presentano spesso a forte velocità con il concreto rischio di scontri frontali con i mezzi costretti a viaggiare a sinistra per evitare la transenna presente nel tratto stradale. Tale situazione permane da oh tre un mese senza che ancora ufficio tecnico della ex Provincia regionale abbia adottato il provvedimento con cui fare sistemare la frana e di conseguenza fare elimina re la transenna. Ma non solo, nella stessa arteria è quasi inesistente la segnaletica verticale ed orizzontale.
FILIPPO BELLIA

12 dicembre - lunedì

LA SICILIA

UNA PROPOSTA DI LEGGE PER LA MENFI - CASTELTERMINI
Iacono: «Più turismo grazie ai treni»
Proposta di legge per far diventare ferrovie turistiche la Menfi — Castelvetrano e la Porto Empedocle — Agrigento.
Si aprono buone prospettive turistiche per alcune tratte di ferrovie del territorio agrigentino grazie alla pro posta di legge che prevede a livello nazionale la rivalutazione di ben 17 tracciati ferroviari di cui quattro siciliani e due agrigentini. Si tratta della Menfi — Castelvetrano e della Porto Empedocle — Agrigento che hanno funzionato in passato cori treni su tratta a scartamento ridotto, già di smessa dalle Ferrovie dello Stato negli anni 80.
La proposta di legge 1178 per l'istituzione delle Ferrovie Turistiche in Italia porta la prima firma della deputata nazionale Maria Iacono, già sindaco di Caltabellotta, che vuole puntare sui treni storici. "Stiamo per portare a compimento un grande progetto che regalerà sviluppo e prosperità a territori finora rimasti ai margini dei grandi flussi turistici. La provincia di Agrigento potrà usufruire di due tracciati ferroviari, Porto Empedocle — Agrigento, che attraversa la mitica Valle dei Templi, e la Menti — Castelvetrano, che parte dalla Valle del Belice e costeggia il Parco archeologico nazionale di Selinunte. Un invito a nozze per i turistici che vogliono avventurarsi su tale percorso che mostra un ambiente e un litorale ancora integri. fascinosi e già ricchi per turismo ed agricoltura.
Mi piace sottolineare — ha detto Maria Iacono — come ben 4 dei per corsi ferroviari, già indicati in un primo elenco che sarà poi ulteriormente ampliato attraverso un decreto del ministro dei Beni e delle attività culturali, di concerto con quello delle Infrastrutture, sono siciliani: la Agrigento — Porto Empedocle, la Castelvetrano — Menfi. la Alcantara — Randazzo e la Noto Pachino. L'approvazione del testo da parte della commissione trasporti della Camera costituisce il frutto di un lavoro straordinario, portato avanti in questi anni con il prezioso contributo della Fondazione FS dello Stato Italiane e delle tante associazioni presenti nel territorio Italia— no che hanno contribuito con la oro esperienza e con tanta passione.
ENZO MINIO

Valuta questo sito: RISPONDI AL QUESTIONARIO