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rassegna stampa del 13 dicembre 2016

Il sole24ore.it

Premi di produttività per 5 milioni
di Claudio Tucci

Poco più di cinque milioni di dipendenti, quasi 16.400 accordi e un premio medio di 1.500 euro a lavoratore: è la fotografia, aggiornata a fine novembre, dell'applicazione nelle "fabbriche" della detassazione dei premi di produttività, reintrodotti quest'anno dalla precedente legge di Bilancio, fino a 2mila euro di somme "incentivate" con la cedolare secca al 10% (2.500 euro, in caso di accordi paritetici nell'organizzazione del lavoro) e per redditi fino a 50mila euro lordi annui. L'osservatorio per monitorare l'andamento della misura, strettamente legata alla contrattazione di secondo livello, e ancorata a incrementi reali di produttività, redditività, efficienza e innovazione, è stato voluto da palazzo Chigi e ministero del Lavoro; e a fine marzo scorso un decreto del dicastero guidato da Giuliano Poletti ha reso disponibile la procedura per il deposito telematico degli accordi. Ebbene, dai primi numeri rilevati, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, emerge come lo strumento si stia piano piano diffondendo: gli oltre cinque milioni di dipendenti, 5.069.412, per l'esattezza, che hanno ricevuto un premio di risultato (o una misura di welfare) rappresentano il 29,8% dei 17 milioni di lavoratori dipendenti italiani; vale a dire all'incirca uno su tre. Certo, l'asse è spostato ancora verso le imprese medio grandi, soprattutto delle regioni Centro-Settentrionali (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio, in particolare). Le pmi e il Mezzogiorno, più o meno in tutte le realtà territoriali, restano indietro. La contrattazione decentrata però sta conquistando spazi: dei 16.361 accordi complessivi finora depositati, ben 13.460 sono contratti aziendali, che interessano 3,8 milioni di lavoratori beneficiari di premi incentivati, dal valore medio di 1.650 euro (se si converte il premio agevolato nei benefit ricompresi nel welfare aziendale, dall'assistenza sanitaria alla previdenza complementare alla conciliazione vita-lavoro, le somme sono interamente detassate, e quindi non soggette neanche all'imposta sostitutiva del 10 per cento). Per rendersi conto del passo avanti basti ricordare che nel 2014, secondo dati di fonti Inps, si fermavano a circa 10mila le imprese utilizzatrici degli sgravi di produttività previsti nei contratti aziendali, e circa 30mila (soprattutto quelle più piccole, di norma aziende artigiane) all'interno dei contratti territoriali. Nel 2015, come noto, la misura è stata stoppata per mancanza dei fondi; è stata, poi, ripristinata da gennaio 2016 (ma si è consentito il deposito anche dei contratti di secondo livello firmati l'anno precedente). «La scelta di reintrodurre da gennaio 2016 la detassazione sui premi di produttività si sta rivelando molto utile - sottolinea Marco Leonardi, consigliere economico dell'uscente governo Renzi -. Anche i contratti territoriali, probabilmente stimolati dall'accordo siglato a luglio tra Confindustria e sindacati, stanno aumentando: parliamo di circa 3mila accordi, che interessano 1,2 milioni di dipendenti, che hanno beneficiato di un premio medio di mille euro a testa. La strada che abbiamo intrapreso è quella giusta, e per questo motivo l'esecutivo uscente l'ha rafforzata nella manovra 2017 estendendo sia i tetti delle somme incentivate sia i redditi dei lavoratori beneficiari, includendo anche quadri e dirigenti non apicali» (accanto a operai e impiegati). Passando alle singole misure previste nei contratti depositati presso il ministero del Lavoro, in circa 3mila imprese si è puntato sui programmi di welfare, che hanno riguardato più di 2 milioni di dipendenti. Fanno più fatica i piani di partecipazione, presenti in 1.700 accordi, pari a 1,6 milioni di lavoratori. Non sta invece decollando la distribuzione di utili: viene praticata da meno di 400 imprese. Guardando, infine, all'ammontare dei premi di produttività erogati ai dipendenti, in circa 6.500 aziende la somma elargita ai lavoratori è stata inferiore ai mille euro; una quota più o meno simile di imprese ha distribuito premi tra i mille e i 2mila euro; mentre solo appena un migliaio di aziende si sono spinte un pò più su, assegnando ai propri dipendenti premi di risultato superiori a 3mila euro. Per incentivare partecipazione ed erogazioni "di un certo peso" (provando così a rendere più variabile il salario, senza schiacciarlo a livello di Ccnl) un possibile intervento da mettere in campo, aggiunge Leonardi, «è la decontribuzione per le aziende: si tratterebbe - spiega l'economista di palazzo Chigi - di riconoscere uno sgravio a quei datori che coinvolgono i lavoratori e decidano di scommettere sulla retribuzione accessoria legato alla produttività. Avevamo approfondito il tema durante la discussione dell'attuale manovra di Bilancio. Il dossier è praticamente pronto, potrebbe essere riaperto in qualsiasi momento dal nuovo esecutivo» .


Appalti «in house», nuovi paletti dalla Corte di giustizia

-di Mauro Salerno |

Niente appalti in house a controllate che svolgono una quota rilevante di attività per altre aziende, anche se si tratta di amministrazioni pubbliche. Con la sentenza C-553/15 la Corte di Giustizia europea fissa un altro paletto al recinto di regole che permettono l'assegnazione in via diretta di contratti tra enti pubblici (i cosiddetti appalti «in house») derogando alla regola generale che impone di mettere il contratto sul mercato, avviando una gara formale aperta quanto più possibile alle imprese private, in nome della concorrenza. Al cospetto dei giudici europei arriva il ricorso promosso da un'azienda (Undis Servizi) contro la scelta del Comune abruzzese di Sulmona di affidare il servizio di raccolta rifiuti a Cogesa, società a capitale interamente pubblico, partecipata da vari Comuni dell'Abruzzo, tra cui lo stesso Comune di Sulmona. La causa del contendere? Secondo Undis, la scelta dell'appalto in house non era possibile perché Cogesa oltre a svolgere una quota di attività per il Comune di Sulmona, ricavava buona parte del fatturato dai servizi svolti non solo per gli altri comuni soci, ma anche enti locali che - pur avendo natura pubblica - non facevano parte della compagne di controllo del suo capitale sociale. «Infatti - si legge nella sentenza - secondo la Undis, i bilanci di esercizio della Cogesa per gli anni dal 2011 al 2013 evidenziavano come l'attività di quest'ultima con gli enti territoriali soci rappresentasse soltanto il 50% della sua attività complessiva, nella quale doveva essere inclusa l'attività svolta da tale società a favore dei comuni non soci». In prima battuta il Tar Abruzzo aveva respinto il ricorso Undis, considerando che l'attività svolta da Cogesa per i Comuni non soci non dovesse essere inclusa nel calcolo del fatturato minimo (almeno l'80% secondo le ultime disposizioni comunitarie). Escludendo quella quota di fatturato, la soglia di ricavi raccolta da Sogesa presso i Comuni soci saliva così al 90%. Sul punto nutre meno certezze il Consiglio di Stato, che infatti ha deciso di rivolgersi ai giudici europei. La risposta è abbastanza chiara. In base alle norme Ue (e al codice degli appalti) la deroga alle gare, con l'affidamento in house, può essere attivata se sussistono contemporaneamente due condizioni. Primo: l'amministrazione pubblica deve esercitare sulla partecipata un «controllo analogo», vale a dire deve godere di un potere di indirizzo stringente sulle sue scelte aziendali. Secondo: la quota preponderante del fatturato (ora stabilita a oltre l'80%) della società controllata deve essere raccolta attraverso servizi svolti a favore dell'ente pubblico di riferimento. «In casi siffatti - sintetizza la Corte Ue -, si può ritenere che l'amministrazione aggiudicatrice ricorra, in realtà, ai propri strumenti e che l'ente affidatario faccia praticamente parte dei servizi interni della stessa amministrazione». Le cose cambiano se invece la società svolge servizi anche per altri enti, fuori dalla propria compagine sociale. In questo caso, per i giudici, la società anche se pubblica, si comporta come qualsiasi altra impresa e non può godere di "riserve di mercato". Nel caso specifico la Corte chiarisce che gli altri comuni non soci «devono essere considerati terzi». E il 13/12/2016 Appalti «in house», nuovi paletti dalla Corte di giustizia, fatturato ricavato da questa attività non può essere considerata ai fine del rispetto dei paletti imposti dalle norme sull'in house. Infatti, «stando alle indicazioni contenute nell'ordinanza di rinvio, non sussiste alcuna relazione di controllo tra tali enti e tale società, cosicché manca il legame interno particolare tra l'amministrazione aggiudicatrice e l'ente affidatario che giustifica, secondo la giurisprudenza della Corte, l'eccezione relativa agli affidamenti detti in house». La Corte precisa inoltre che ai fini del calcolo dell'attività prevalente, va incluso anche il fatturato relativo all'attività svolta presso gli enti di riferimento anche prima dell'affidamento dell'appalto e di eventuali accordi, tra i comuni soci, volti a formalizzare l'esercizio di un controllo analogo sulla società controllata.  

GIORNALE DI SICILIA

I nodi della Sicilia
Ieri il presidente Crocetta assieme all'assessore alla Funzione pubblica ha definito il cronoprogramma
Precari, Regione: subito la proroga dei contratti

Subito la proroga dei 15 mila precari degli enti locali, la mobilità dei dipendenti delle ex Province e il salvataggio dei circa mille precari dei Comuni in dissesto. Poi, nei primi mesi del 2017, sarà varato il piano per la definitiva stabilizzazione di tutto la platea. Ieri il presidente della Regione, Rosario Crocetta, ne ha discusso con l'assessore alla Funzione pubblica, Luisa Lantieri, definendo il cronoprogramma che già oggi potrebbe ricevere il via della giunta di governo. Il primo scoglio da superare riguarda la proroga dei contratti che spetta sì alla Regione, ma deve essere collegata a un piano che preveda la loro stabilizzazione. Questo piano era stato già stabilito dall'esecutivo regionale assieme al governo  nazionale, ma si è arenato a causa della caduta del governo Renzi. Nella legge di Stabilità nazionale erano previste infatti delle deroghe alle somme che possono essere stanziate dagli enti locali per pagare i lavoratori ma molti emendamenti sono caduti, compreso quello che interessava i con rattisti dell'Isola. «Sono certa che la questione si risolverà col nuovo governo - rassicura l'assessore Lantieri - altrimenti sarebbero utilizzabili solo il 25 per  cento delle risorse necessarie alla stabilizzazione di tutta la platea». Nel frattempo il governo farà quello che è nelle sue possibilità: approverà la proroga di tutti i contrattasti che sono in scadenza a fine anno e la invierà alle commissioni all'Ars per approvare la norma entro l'anno con l'esercizio provvisorio, il documento economico che regolerà le spese della Regione in attesa che venga approvata la finanziaria all'inizio del nuovo anno. Il testo conterrà anche le indicazioni per la mobilità di circa il 15 per cento del personale delle ex Province che dotrebbe transitare nelle amministrazioni statali alleggerendo così le piante organiche. Resta da sciogliere il nodo dei precari degli enti in dissesto, circa mille in tutto anche se il numero è destinato a crescere con la crisi dei bilanci di altri due Comuni, Porto Empedocle e Favara. Anc e in questo caso la crisi del governo Renzi ha compromesso il loro salvataggio. «La legge - spiega l'assessore Lantieri - oggi prevede che i Comuni in dissesto non possano prorogare i contratti perché devono conseguire dei risparmi. Ma la spesa per questi stipendi è interamente a carico della Regione, quindi siamo certi che la norma che prorogherà questi lavoratori non sarà impugnata perché non ci saranno costi aggiuntivi». A questo punto bisognerà lavorare alla definitiva stabilizzazione. Mentre con Roma si dovrà discutere, come detto, della deroga alle somme da stanziare, nell'Isola bisognerà mettere a punto il testo che consentirà da qui al 2018 ai Comuni di assumere i precari. «Credo sia giusto portare la norma nella finanziaria regionale dopo l'approvazione dell'esercizio provvisorio - dice Lantieri - è una legge che interessa più di 15 mila persone, non possiamo fare le cose di corsa, bisogna seguire il giusto iter». La norma comunque non dovrebbe discostarsi molto da quella inizialmente concordata col  overno nazionale. Entro il 2018 dovrebbero essere assunti tra 7 mila e 9 mila precari mentre quelli che resterebbero fuori sarebbero assunti nella società regionale Resais e utilizzati nei Comuni dove già lavorano oggi. E proprio in ottica finanziaria, oggi alle 14 si terrà una riunione del gruppo Pd all'Ars alla quale parteciperanno anche il segretario regionale Fausto Raciti, il presidente Crocetta e l'assessore all'Economia Alessandro Baccei. (*RIVE*)  

Regionali a iosa e premi a pioggia
PIÙ DI 19 MILA DIPENDENTI
Il Personale di ruolo della Regione Siciliana si attesta, a 19.007 unità, senza considerare partecipate, forestali ed enti vari.
SIAMO L'ISOLA DEI REGIONALI
I «regionali» siciliani rappresentano il 20% di tutti i regionali italiani e i dirigenti sono il 34% .
PIÚ DIRITTI SINDACALI DEGLI ALTRI
I regionali hanno più ore di permessi sindacali e distacchi rispetto agli statali, benchè una recente riforma li abbia dimezzati. Fino a qualche anno erano dieci volte di più.
IL POPOLO DEI FORESTALI
Il comparto forestale impiega in Sicilia 25.766 unità lavorative per un totale di 2,7 milioni di giornate; costano 250 milioni l'anno.
QUASI VENTI SOCIETÀ PARTECIPATE
Le società partecipate dalla Regione sono 19 ed hanno 7.224 dipendenti, di cui 20 dirigenti e 334 funzionari con un costo complessivo di 275 milioni l'anno.
TROPPI DIRIGENTI
In Sicilia c'è un dirigente ogni nove dipendenti, in Italia uno ogni sedici.
QUANTI MILIONI PER I PENSIONATI
Per i pensionati la Regione sostiene una spesa di 609 milioni di euro, destinata a crescere sensibilmente nei prossimi anni.
TUTTI PREMIATI
Il 70% del fondo di premialità regionale è assegnato «a pioggia», affidando al tavolo sindacale soltanto il residuo 30%.
DIPENDENTI INAMOVIBILI
Dopo una riforma, dipendenti e funzionari possono essere trasferiti permotivi di servizio ( prima era obbligatorio il loro consenso ). Ma resta inattuata perchè le nuove regole , alla prova dei fatti, risultano complesse e confuse.
E I COSTI VANNO ALLE STELLE
La Regione spende per il Personale diretto (stipendi e oneri sociali) 909 milioni di euro. Una ricognizione sommaria della spesa (diretta e indiretta ) regionale per stipendi e pensioni porta a un totale di 5,2 miliardi di euro, a fronte di circa 140 mila unità.
IMMONDIZIE E DEBITO
Il sistema dei rifiuti è sepolto sotto il debito colossale di 1,8 miliardi di euro che mette a rischio dissesto i Comuni e lo stesso bilancio regionale.
POCA DIFFERENZIATA
La produzione di rifiuti è di 2,3 milioni di tonnellate l' anno, mentre la «differenziata » raggiunge appena le 293 mila tonnellate, meno della metà della media nazionale.
...E ABBIAMO IL DOPPIO DEGLI ADDETTI
Applicando alla Sicilia lo stesso rapporto abitanti/operatore ecologico del resto del nostro Paese, dovremmo avere 6 mila addetti e ne abbiamo invece circa 11 mila.
MUNICIPI CON TROPPO PERSONALE
In Sicilia nei municipi, ci sono 10 dipendenti ogni mille abitanti. In Italia 7. Abbiamo il 46% in più di comunali. E i loro stipendi sono più alti, costano il 18 percento in più. Se rispettassimo la media nazionale risparmieremmo 350 milioni.
I COMUNI NON INCASSANO LE SOMME DOVUTE
I residui attivi dei Comuni (le somme iscritte in bilancio e non incassate) raggiungono il 72% del totale, mentre nella media nazionale si fermano al 38%.
...E SPENDONO POCO PER INVESTIMENTI Subissati dalle uscite correnti, spendono appena 134 a testa per gli investimenti, a fronte di una spesa media nazionale di 210 euro (-36%).
CITANDO
A PROPOSITO DEI REGIONALI
Questa non è una società meritocratica, e qui tutti diventano qualcuno per merito di qualcun altro. Fiabeschi

Sicilia
Cracolici: il vino traina tutto l'agroalimentare
«In passato si sono fatti degli errori e l'arrivo dei fondi europei alle aziende è stato lento e farraginoso. Ci siamo attivati su tutte le misure portando avanti Psr e Ocm per fare ripartire la "locomotiva" del vino che traina tutto l'agroalimentare siciliano». Lo ha detto l'assessore regionale all'Agricoltura, Antonello Cracolici, all'incontro organizzato dal Consorzio Tutela vini Doc Sicilia a villa Niscemi a Palermo. «Dobbiamo impegnarci per dare maggiore remunerazione al prodotto uva perché altrimenti rischiamo di depauperare uno dei patrimoni più  mportanti. Abbiamo stanziato anche 50 milioni per le strade rurali ».

Ribera- Istituto Toscanini
Concesso contributo straordinario
L'istituto musicale Toscanini di Ribera ha ricevuto il contributo statale straordinario di emergenza pari a 650 mila euro. "Questo contributo è un segnale importante da parte del ministero dell'Istruzione e quindi dello Stato - affermano il direttore, Mariangela Longo, e il presidente, Giuseppe Tortorici - un pieno riconoscimento della importanza della nostra istituzione e della nostra reale criticità, accertata dagli ispettori ministeriali. Il finanziamento - aggiungono - mette al sicuro tutto l'anno accademico 2016/17 e che testimonia come ormai, a prescindere dalla statalizzazione che auspichiamo possa andare presto a buon fine, il nostro principale ente finanziatore sia di fatto lo Stato, coadiuvato dalla Regione Siciliana che per il 2016 ci ha erogato un contributo straordinario di 200 mila euro in cui confidiamo anche per i prossimi anni". (*GP*)

Lo Spiffero

Province, "indietro non si torna"
L'esito del referendum non impone la revisione della legge Delrio e la Regione Piemonte non ha intenzione di stoppare il processo di riordino istituzionale. Ma non mancano le spinte restauratrici
"L'esito del referendum non significa tornare al passato". In un quadro politico e istituzionale sempre più pasticciato, tra leggi elettorali appese al giudizio dei giudici e una riforma costituzionale bocciata dai cittadini e definitivamente accantonata, resta in sospeso quel che sarà delle province. Riformate dalla legge Delrio, affamate dalla progressiva riduzione degli stanziamenti e ora, almeno in parte, rigenerate da una consultazione popolare che ha detto No alla loro eliminazione dalla Carta Costituzionale. A tentare di stoppare sul nascere ogni tentativo di ritorno al passato è il vicepresidente della Regione Piemonte Aldo Reschigna, intervenuto questa mattina a un convegno sulla legge 23 - a un anno dalla sua approvazione - con cui piazza Castello ha recepito la Delrio. Dal punto di vista normativo, è giusto precisarlo, l'esito del referendum non comporta il ritorno all'elettività degli amministratori provinciali (è, per esempio, quel che ha chiesto la Lega Nord con il segretario Riccardo Molinari), o al ripristino della vecchia ripartizione di funzioni e competenze: le province resteranno sulla Carta e nella sostanza, ma "bisogna prendere atto del voto dei cittadini e quindi rimetterle in funzione" dice il pentastellato Dimitri De Vita, consigliere della Città Metropolitana di Torino.
La scelta delle aree vaste e della gestione associata delle funzioni, principi contenuti nella legge 23, sono per Reschigna "una risposta alla crisi delle Province e conferma la loro utilità anche dopo la consultazione referendaria". Rimarranno dunque le Province (come deciso dai cittadini), "ma l'area vasta permetterà anche la costituzione di strutture tecnico-professionali efficaci, in grado di migliorare l'esercizio delle funzioni proprie". "In questi giorni - prosegue Reschigna - abbiamo definito di concerto con le Province un testo di convenzione per la gestione associata delle attività estrattive, della caccia e della pesca, e contiamo di concludere l'iter entro l'anno". Intanto, però, c'è chi come il presidente della provincia di Vercelli, Carlo Riva Vercellotti, del centrodestra, rilancia e chiede che "venga rispettato il voto del referendum", mentre il consigliere regionale grillino Mauro Campo pone l'attenzione sulla necessità di "far pronunciare i cittadini", che i più hanno interpretato come una richiesta di tornare all'elettività dei consigli provinciali. Un'ipotesi respinta da Alberto Avetta - ex braccio operativo di Piero Fassino alla Città Metropolitana di Torino e, prima ancora, assessore provinciale con Antonio Saitta, che pure si è espresso in passato contro questa riforma, "ma non si può neanche pensare di fare un passo avanti e due indietro, tornando da dov'eravamo partiti". E il Piemonte per certi versi ha anche anticipato una serie di processi, come il protocollo d'intesa sottoscritto ad aprile da Upi e Anci che prevede, tra l'altro, la nascita di uffici gestiti in forma associata. Restano, tuttavia, dei nodi irrisolti a partire dal destino dei dipendenti dei centri per l'impiego. Sarebbero dovuti passare all'Agenzia nazionale del Lavoro che però non ha ancora visto la luce e chissà se la vedrà nei prossimi mesi, viste le altre urgenze del nascituro governo Gentiloni.  Resta aperto, inoltre, "il tema delle risorse da affidare alle Province, che restano in Costituzione e non possono permettersi di vivere l'emergenza finanziaria che hanno vissuto ormai da troppo tempo - conclude Reschigna -. E poi il nodo delle funzioni, laddove sono state gestite centralmente in modo confuso, come nel caso dei centri per l'impiego e delle politiche attive sul lavoro o sulla viabilità". Intanto Reschigna ha inoltrato a tutte le province una road map su come intende procedere nei prossimi giorni, a partire dalla gestione associata di alcuni servizi, ragionando nell'ottica dei quadranti così come individuati proprio dalla norma regionale (Cuneo - Torino - Asti e Alessandria - Novara, Vco, Biella e Vercelli). In un secondo momento bisognerà armonizzare le competenze delle province con altri organismi di area vasta, come le unioni dei comuni e le comunità montane, evitando sovrapposizioni.

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