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Rassegna stampa del 13 luglio 2017

AdnKronos

SICILIA: CROCETTA, RITORNO PROVINCE? CHIUNQUE SI SENTE AUTORIZZATO A FARE CIO' CHE VUOLE
Il Governatore dopo l'approvazione in Commissione Ars della modifica norma Delrio

Palermo, 12 lug. (AdnKronos) - "E' evidente che chiunque si sente autorizzato a fare qualsiasi proposta di legge. L'empasse del sistema è di tipo nazionale perché il referendum che prevedeva l'abolizione delle province per Costituzione non è passato". Lo ha detto all'Adnkronos il Governatore siciliano Rosario Crocetta commentando la modifica alla norma Delrio sull'abolizione delle province approvata ieri pomeriggio dalla Commissione Affari istituzionali all'Assemblea regionale siciliana. Forza Italia e Pd hanno votato insieme la modifica di legge che reintroduce l'elezione diretta del presidente e del consiglio del Libero consorzio e della città metropolitana. Previsto anche il ritorno del gettone di presenza. Mentre la norma nazionale non prevede né gettoni né l'elezione diretta. In altre parole, la Sicilia è tornata indietro di cinque anni quando, per prima in Italia, aveva abolito le province. Solo il M5S ha votato contro la modifica di legge in Commissione. Adesso la legge  approderà in aula per il voto finale. "Per quel che mi riguarda - spiega Crocetta - il tema non è elezione diretta o no ma se i Liberi consorzi hanno autonomia vera e corrispondenza con il territorio. Un po' di pasticcio su questo si è fatto...". E conclude: "Spero che si cominci a ragionare dei contenuti, soprattutto del rispetto dello Statuto siciliano".

Telecras

Province, "indietro tutta"
Gloria Scafè

La riforma delle Province varata dal governo Crocetta sembra giungere al tramonto. All'Assemblea regionale siciliana, sia Forza Italia che Partito Democratico, dunque in modo ampio e trasversale, hanno votato una modifica alla norma Delrio sull'abolizione delle Province. Contrari, invece, solo i 5 Stelle. La proposta di legge, esaminata e approvata in Commissione Affari istituzionali, reintroduce non solo l'elezione diretta del presidente e del consiglio del Libero consorzio e della città metropolitana, ma anche il gettone di presenza. La norma nazionale che cinque anni fa ha abolito i gettoni e l'elezione diretta vede un ulteriore cambio di rotta che la riporta al passato. Adesso bisogna attendere il voto finale in aula. Entriamo nel dettaglio e spieghiamo cosa prevede il testo votato in Commissione: l'elezione diretta dei consiglieri e del presidente delle ex Province, e in più un gettone di presenza, vale a dire che il presidente della città metropolitana o del Libero consorzio riceverà uno stipendio pari a quello del sindaco del capoluogo, mentre il consigliere avrà un compenso equiparato a quello del consigliere comunale. Forza Italia, tramite Marco Falcone e Franco Rinaldi, commenta: "Il voto diretto restituisce finalmente la parola ai siciliani sottraendola alle segreterie di partito. Siamo altrettanto soddisfatti del taglio del 30 per centro del numero dei consiglieri. Infatti, la nuova norma consentirà il giusto equilibrio tra rappresentanza e contenimento dei costi". L'auspicio di Forza Italia è che una governance che sia espressione dei cittadini, possa rimettere in moto gli enti sovracomunali per ritornare ad essere il punto di riferimento dei territori siciliani, recuperando i danni prodotti dalla riforma Crocetta, mai del resto attuata. Ed è ancora soddisfazione da parte dei Centristi: "Con il disegno di legge approvato in commissione Ars si apre la strada al suffragio universale per far tornare la politica nelle ex Province" - dichiara Marco Forzese, capogruppo dei Centristi per la Sicilia all'Assemblea regionale siciliana.

Agrigento Notizie

Libero Consorzio, nuovo indirizzo di studi a Casteltermini

Proseguono le autorizzazioni del Commissario straordinario Giuseppe Marino, a seguito delle proposte del Settore Politiche del Lavoro e dell'Istruzione, per la creazione di nuovi indirizzi di studio per l'anno 2018/2019. L'ulteriore richiesta di autorizzazione è stata inviata dal dirigente scolastico Antonino Pardi dell'I.P.I.A. "Archimede" di Cammarata. Il Dirigente scolastico ha chiesto l'istituzione di un nuovo indirizzo di studio nella sede di Casteltermini dell'Istituto Tecnico all'interno del "Settore Tecnologico" già esistente. La richiesta riguarda l'Istituto Tecnico-Settore Tecnologico, con indirizzo "Meccanica, Meccatronica ed Energia - Articolazione "Meccanica e Meccatronica (ITMM)". Il nuovo indirizzo Tecnico richiesto verrebbe a sostituire l'attuale corso MAT già attivo nell'Istituto. L'autorizzazione del Libero Consorzio è propedeutica alla decisione della Regione che potrà istituire i nuovi L'autorizzazione non comporterà costi per il Libero Consorzio. Purtroppo le notevoli difficoltà finanziarie determinate dai cospicui tagli ai trasferimenti sia statali che regionali determinano l'oggettiva impossibilità dell'Ente di fronteggiare ulteriori oneri aggiuntivi conseguenti all'approvazione del Decreto Regionale dell'istituzione del nuovo indirizzo di studio.
Tutte le richieste di istituzione di nuovi corsi di studio dovranno essere inviate alla Regione entro il 15 luglio."

Giornale di Sicilia

L'allarme. I giudici contabili analizzano le cause: pensionamenti non bilanciati dal ricambio generazionale
Bacchettate dalla Corte dei Conti: le somme europee gestite male
Palermo
Alla Regione mancano le figure giuste per la gestione dei fondi europei che così vengono spesi male. A lanciare l'accusa è la Corte dei Conti guidata da Maurizio Graffeo che contesta il «depotenziamento» degli uffici per colpa dei pensionamenti non bilanciati da un adeguato ricambio generazionale. I giudici contabili contestano anche la frammentazione degli interventi che non riesce a creare vere opportunità di lavoro ma ha soltanto un effetto tampone alla crisi. Mentre, sottolinea la Corte, per una migliore efficacia si dovrebbe concentrare la programmazione su grandi interventi infrastrutturali. I giudici rilevano anche che sul Fesr, il fondo europeo di sviluppo regionale, erano state certificate soltanto somme inferiori a 3,7 milioni di euro, pari all'85 per cento. Molto meno rispetto alla media nazionale. In questo modo la Sicilia resta all'ultimo posto tra le regioni dell'obiettivo convergenza. Ecco nel dettaglio cosa rilevano le sezioni riunite della Corte dei Conti presiedute da Maurizio Graffeo nell'ultima relazione sul rendiconto generale. Il 31 marzo 2017 il periodo di pr ogrammazione comunitaria 2007/2013 è definitivamente concluso. I dati finali si attestano sul 96,42 per cento di spesa certificata relativamente al Fesr, sul 100 per cento per il Fondo Sociale Europeo (Fse), sul 98,75 per cento per il Programma di Sviluppo Rurale che, però, si era già definitivamente chiuso al 31 dicembre 2015 e sul 83,57 per cento per quanto riguarda il Fondo europeo per la Pesca. «Il conseguimento di tale risultato appariva molto incerto - scrivono i giudici - atteso che, se alla data del 31 marzo 2017 tutte le opere, ancora in fase di completamento (con fondi nazionali o regionali), non fossero state rese funzionali e fruibili, tutto il contributo comunitario relativo avrebbe dovuto essere restituito all'Unione Europa». Secondo i dati dell'Agenzia per la Coesione, a cui fa riferimento la Corte, al 31 dicembre 2016, sul Fesr, «erano state certificate somme di poco inferiori a 3,7milioni di euro, pari al 85,98 per cento della dotazione complessiva del programma ». Il risultato regionale era di gran lunga inferiore rispetto alla media nazionale che si attestava già su una percentuale del 97,03 rispetto alla dotazione di tutti i programmi. La Corte sottolinea che l'integrale assorbimento dei fondi strutturali europei sia di cruciale importanza per il panorama regionale siciliano. I giudici ritengono che «l'utilizzazione dei fondi strutturali non abbia avuto quell'effetto propulsivo e moltiplicativo, tipico degli investimenti pubblici, ma soltanto un effetto sostitutivo e "tampo -  ne" rispetto alle conseguenze della crisi». Secondo la Corte dei Conti «un'efficiente gestione dei fondi europei rappresenterebbe, in effetti, l'unica vera risorsa per colmare il grave gap esistente tra la Sicilia con le altre regioni italiane e con gli altri paesi europei che, malgrado la profusione di ingenti risorse, alla fine del quarto ciclo di programmazione comunitaria, non risulta colmato, dal momento che l'Isola si trova ancora all'ultimo posto delle regioni facenti parte dell'obiettivo convergenza ». Formazione professionale, infrastrutture, turismo, ricerca e innovazione, efficientamento energetico, sviluppo sostenibile e agricoltura sono gli ambiti, sostengono i giudici, attraverso i quali la spesa dei fondi europei dovrebbe creare una maggiore competitività. La Corte chiede al governo regionale di «concentrare la programmazione dei fondi comunitari, prevalentemente, su grandi interventi infrastrutturali per assicurare una migliore efficacia del programma, una riduzione della frammentazione degli interventi e garantire una maggiore crescita occupazionale nell'isola». I giudici rilevano che «successivamente all'ammissione al finanziamento, sono intervenuti numerosi provvedimenti di revoca, per un valore di poco superiore a 93,4 milioni, dei quali 73,6 emessi dal dipartimento Attività produttive». I giudici si dicono preoccupati poi per gli effetti della riorganizzazione del personale regionale con particolare riferimento alle posizioni apicali: «La sostituzione di figure chiave per la gestione della macchina amministrativa regionale e della spesa comunitaria - si legge nella relazione - a causa dei recenti e prossimi pensionamenti, non bilanciata da un adeguato ricambio generazionale, sta creando un "depotenziamento" delle strutture di tutte le amministrazioni centrali preposte all'attuazione e al controllo». Ieri non è arrivata alcuna replica dalla Presidenza della Regione. Salvatore Fazio

Libero consorzio. Per le successive richieste, da parte degli istituti, ci sarà tempo fino a sabato prossimo
Nuovi indirizzi scolastici in provincia
Arrivano altre due autorizzazioni

Proseguono le autorizzazioni del Commissario straordinario Giuseppe Marino, a seguito delle proposte del Settore Politiche del Lavoro e dell'Istruzione, per la creazione di nuovi indirizzi di studio per l'anno 2018/2019. L'ulteriore richiesta di autorizzazione è stata inviata dal dirigente scolastico, Antonino Pardi  dell'Ipia «Archimede» di Cammarata. Il dirigente scolastico ha chiesto l'istituzione di un nuovo indirizzo di studio nella sede di Casteltermini dell'Istituto Tecnico all'interno del «Settore Tecnologico» già esistente. La richiesta riguarda l'Istituto Tecnico- Settore Tecnologico, con indirizzo «Meccanica, Meccatronica ed Energia - Articolazione» «Meccanica e Meccatronica». Il nuovo indirizzo Tecnico richiesto verrebbe a sostituire l'attuale corso già attivo nell'Istituto. Nei giorni scorsi il Commissario straordinario, Marino aveva autorizzato, per la parte di competenza dell'Ente, su proposta del settore Politiche del Lavoro e dell'Istruzione, l'istituto «Pirandello» di Bivona ad attivare un nuovo corso di studio per l'anno scolastico 2018/2019. Si tratta del corso di studio serale ad indirizzo «Enogastronomia ed Ospitalità Alberghiera ». La richiesta dell'apertura dei nuovi corsi serali è stata presentata dal Dirigente scolastico Giovanna Bubello. La stessa dirigente ha dichiarato che «l'attivazione dei nuovi indirizzi scolastici per il prossimo quinquennio non comporterà l'esigenza di reperire nuove aule, apportare modifiche o eseguire interventi di ristrutturazione dell'edificio scolastico in uso alla scuola». L'autorizzazione del Libero Consorzio è propedeutica alla decisione della Regione che potrà istituire i nuovi indirizzi di studi dopo avere disposto gli appositi decreti regionali. L'autorizzazione non comporterà costi per il Libero Consorzio. Purtroppo le notevoli difficoltà finanziarie determinate dai cospicui tagli ai trasferimenti sia statali che regionali determinano l'oggettiva impossibilità dell'Ente di fronteggiare ulteriori oneri aggiuntivi conseguenti all'approvazione del Decreto Regionale dell'istituzione del nuovo indirizzo di studio. Tutte le richieste di istituzione di nuovi corsi di studio dovranno essere inviate alla Regione entro il 15 luglio. (*PAPI*)

Università. Si tratta di una laurea triennale che per la prima volta aprirà il proprio corso nel polo universitario di contrada Calcarelle diretto da Gaetano Armao

L'università di Agrigento «apre» il primo corso di studi superiori in Mediazione Linguistica, una laurea triennale (curriculum Mediazione Culturale classe di laurea L-12). Le prime lezioni si terranno a novembre presso la sede del consorzio universitario agrigentino, nel prestigioso Palazzo Tomasi che il Comune di Agrigento ha ceduto al Cua. Sul sito del Consorzio è stata attivata una sezione con l'illustrazione del corso ed il modulo di preiscrizione. La prima parte è dedicata agli sbocchi professionali che ha un mediatore culturale. «La professione di Mediatore culturale, già oggi diffusissima in tutta Europa - si legge - sarà indispensabile a misura che il fenomeno migratorio raggiunga i livelli attentamente stimati dalle proiezioni ottenute dall'analisi degli attuali trend di crescita. Le competenze di gestione della diversità culturale e di orientamento positivo della relazione interindividuale proprie del mediatore interculturale trovano infatti specifica applicazione dovunque si operi nell'elaborazione di strategie collaborative o di riduzione di potenziali conflitti tra società italiana e comunità di origine straniera, così come tra comunità di origine straniera di diversa composizione culturale. Esse sono, inoltre, richieste nelle relazioni operatori-utenti che avvengono nei servizi pubblici e territoriali. In particolare i Mediatori Interculturali hanno come sbocco professionale od occupazionale la consulenza o l'intervento diretto  come operatore di mediazione: negli uffici e i servizi che si occupano d'immigrazione nel disegno di governance della pubblica amministrazione nazionale, regionale e locale disposto dal Ministero dell'Interno; negli uffici territoriali del Ministero dell'Interno che si occupano di permessi di soggiorno per lavoro, protezione internazionale, motivi religiosi, ricongiungimento familiare, soggiorno di lunga durata». Si tratta di una professionalità che servirà negli uffici e i servizi della pubblica amministrazione locale che si occupano di promozione delle culture delle comunità straniere immigrate e d'integrazione culturale; negli uffici e i servizi della pubblica  amministrazione regionale e locale che si occupano di scuole, infanzia e tempo libero; negli asili nido, le scuole materne e dell'obbligo a sostegno degli insegnanti di alunni stranieri immigrati e del rapporto scuolafamiglia; negli uffici e i servizi regionali e locale che erogano interventi di sostegno sociale e di prevenzione e contrasto ai processi di marginalità, di disagio sociale e discriminazione; negli uffici e i servizi della pubblica amministrazione regionale e locale che gestiscono i servizi di accesso al mondo del lavoro, della gestione tra domanda e offerta di lavoro territoriale e di promozione e sviluppo dell'imprenditorialità immigrata; nei Caf cui si rivolgono utenti immigrati; nei servizi sanitari e sociosanitari delle aziende sanitarie e ospedaliere; nelle organizzazioni sindacali e padronali che intervengono sulle condizioni di lavoro territoriali; nelle imprese sociali del terzo settore che gestiscono i centri d'accoglienza di primo e secondo livello per adulti (Cara, Sprar) e minori immigrati; nelle imprese sociali Il presidente del «Cua» Gaetano Armao del terzo settore. (*PAPI*

Ilfattoquotidiano.it

Riforma Madia, rivoluzione mancata. I dirigenti? Ancora intoccabili




I furbetti del cartellino potranno essere licenziati, certo. Come prevede fin dal 2009 la riforma Brunetta nei casi di "falsa attestazione della presenza in servizio mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza". Le partecipate dello Stato invece resteranno migliaia, perché la stretta annunciata da Matteo Renzi all'arrivo a Palazzo Chigi si è concretizzata in paletti larghissimi con numerose deroghe. E i 36mila dirigenti pubblici non saranno affatto costretti a cambiare poltrona ogni 4 anni in modo da "scardinare il meccanismo" per cui "troppe persone per troppo tempo gestiscono un potere", come aveva promesso Marianna Madia: il decreto sul ruolo unico è saltato. A quasi due anni dal varo del disegno di legge sulla riforma della pubblica amministrazione, la ministra ha dichiarato chiuso il cantiere di quello che doveva essere uno dei fiori all'occhiello del governo del leader Pd, "la riforma da cui dipendono le altre". Ma, al netto del fatto che in realtà manca ancora all'appello il decreto correttivo sui dirigenti sanitari, l'obiettivo di rivoltare come un calzino la macchina della burocrazia per "avere servizi di maggiore qualità e fare pagare meno tasse ai cittadini" dovrà attendere ancora.La settima "rivoluzione" in 24 anni - Quello firmato dalla Madia, rimasta alla guida del ministero nonostante lo scandalo della tesi di dottorato plagiata, è il settimo intervento di riordino della pa annunciato come rivoluzionario nell'arco degli ultimi 24 anni. Questo se non si vogliono contare pure le (anch'esse rivoluzionarie) norme sulla mobilità degli statali volute nel 1988 dall'allora ministro della Funzione pubblica Paolo Cirino Pomicino. Ma secondo Veronica De Romanis, per 12 anni membro del Consiglio degli esperti del Tesoro, oggi docente di Politica economica europea nella sede fiorentina della Stanford University e alla Luiss, l'esito anche in questo caso lascia a desiderare. "Renzi ha puntato molto sugli slogan, a partire dalla battaglia contro i furbetti del cartellino", sintetizza. "Ma, piuttosto che iniziare dalle sanzioni contro quelli che non lavorano, meglio sarebbe stato concentrarsi su chi è preposto a verificare il loro lavoro, per migliorare l'efficienza dei servizi per i cittadini. Inoltre nella riforma non sono stati fissati obiettivi quantitativi. Lotta ai furbetti e licenziamenti rapidi sono stati tra gli aspetti della riforma più decantati da Renzi. Ma secondo Luigi Oliveri, dirigente della provincia di Verona e collaboratore de lavoce.info su questi temi, l'attuazione è all'acqua di rose. "Per cambiare davvero qualcosa servirebbero regole operative: quali sono concretamente i parametri in base ai quali gli statali vanno valutati? Con quali tecnologie si può combattere in modo efficace l'assenteismo? Invece ci si limita a intervenire su aspetti formali. Così gli obiettivi restano fumosi, non ci sono standard oggettivi". E i "licenziamenti in 48 ore" dei furbetti del cartellino? "Il termine di 48 ore vale solo per la sospensione di chi viene colto in flagranza. Per i licenziamenti cambia in realtà pochissimo rispetto alle norme scritte da Brunetta: non a caso il Comune di Sanremo l'anno scorso ha licenziato 32 assenteisti (tra cui il famigerato vigile che timbrava il cartellino in mutande, ndr) appellandosi alla vecchia legge. Sul fronte dei provvedimenti minori, come il rimprovero scritto o la multa pari a 4 ore di retribuzione, c'è invece un paradosso: nell'ultima versione del decreto Madia il tempo massimo per concludere l'azione disciplinare è fissato in 120 giorni, il doppio rispetto a quanto era previsto finora". Per quanto riguarda i licenziamenti dopo tre "pagelle" negative di fila, celebrati come il trionfo della meritocrazia, il decreto Brunetta già sanciva che gli statali fossero lasciati a casa a fronte di "una valutazione di insufficiente rendimento dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa" nell'arco di almeno un biennio. Il vero nodo, però, sta proprio nelle valutazioni: il decreto attuativo "non entra nel dettaglio, lascia all'autonomia delle singole amministrazioni il compito di definirsi il sistema valutativo", sottolinea Marta Barbieri, docente di Public management and policy alla Scuola di direzione aziendale (Sda) della Bocconi. "Bene sottolineare la rilevanza della performance organizzativa, oltre che di quella individuale, però resta il dubbio su cosa si intenda con questo. Per valutare positivamente le politiche per il lavoro, per esempio, basterà verificare di aver svolto le attività previste o si dovrà guardare come è variato il tasso di occupazione?". E tener conto dei giudizi di soggetti terzi rimane solo un consiglio. Per quanto riguarda la performance individuale, negli altri Paesi funziona diversamente: "Il numero di obiettivi, le scale di valutazione relative e l'individuazione di pesi variano, ma sono in generale disciplinati nel dettaglio", si legge nel white paper sui Sistemi di selezione e valutazione dei dirigenti pubblici in Europa, pubblicato lo scorso anno in una collana della Sda Bocconi. In Irlanda, Lettonia, Polonia, Portogallo e Regno Unito, in particolare, ci sono schede di valutazione standard in cui indicare obiettivi, indicatori e risultati conseguiti e comportamenti. "Da noi invece", spiega Barbieri, "a validare le relazioni sulle performance sono gli Organismi indipendenti di valutazione". Che però sono nominati, previa selezione pubblica, dalla politica. E che ad oggi non validano ex ante i piani della performance. Inoltre le richieste all'ente che affiancano nel monitoraggio - per esempio sostituire un indicatore troppo generico con uno oggettivo - sono "non vincolanti". La Madia in compenso ha affidato agli Oiv anche il compito di stabilire come il giudizio dei cittadini sui servizi pubblici, espresso attraverso "sistemi di rilevamento della soddisfazione", contribuirà alla valutazione. L'altra faccia del cambiamento all'insegna della meritocrazia avrebbero dovuto essere i premi alla produttività differenziati e non a pioggia. Ma la distribuzione dei premi dipende dalle valutazioni troppo discrezionali di cui sopra. In più, se il principio di base è giusto, le cifre in ballo sono davvero piccole. "Ci sono eccezioni, ma in media parliamo di 500-600 euro l'anno", quantifica Barbieri. "Per i dipendenti degli enti locali la parte accessoria del salario può arrivare a 4mila euro annui su un totale di 29mila", aggiunge Oliveri. "Ma attenzione, nella parte accessoria sono compresi anche straordinari e indennità per i turni e le reperibilità". E l'ultimo decreto Madia si limita a stabilire che a premiare la performance vada la "quota prevalente" di questa fetta, esattamente come prevedeva il decreto Brunetta. La vera differenza rispetto alla norma del 2009 è che viene meno l'obbligo di dividere i dipendenti di ogni amministrazione statale in tre fasce di merito azzerando del tutto i premi per quelli che finiscono nella più bassa. Ma quel che più ha fatto storcere il naso ai giuristi è che la riforma del pubblico impiego, oltre a sancire che per gli statali continuano a valere le tutele dell'articolo 18, dice esplicitamente che la contrattazione nazionale potrà derogare alle disposizioni di legge, regolamento o statuto sul lavoro nella pa. E sempre alle complicate intese tra Stato (attraverso l'agenzia Aran) e sindacati, che nei prossimi mesi dovranno trovare la quadra sul rinnovo dei contratti congelati dal 2010, è demandato il capitolo delle progressioni economiche. Sui dirigenti statali, i veri inamovibili della Repubblica, è andata anche peggio. Una débâcle totale. "C'era nell'amministrazione pubblica una perversione che arrivava a costruire degli intoccabili che crescevano sempre di più. C'era chi diceva che erano intoccabili perché senza di loro crollava il ministero. Ma nessuno deve essere insostituibile", ragionava la Madia nel settembre 2015, annunciando l'arrivo di un decreto attuativo che avrebbe scardinato il sistema attraverso il ruolo unico e il licenziamento per i grand commis pubblici che, persa una poltrona, rimanessero per diversi anni senza incarico. Nell'agosto 2016, dopo un rinvio dovuto alle resistenze dei boiardi di Stato e a pochi giorni dalla scadenza della delega, il testo è arrivato. Ma a novembre la Consulta ha bocciato il provvedimento, insieme ad altri tre, perché varato con il solo "parere"della Conferenza Stato-Regioni invece della necessaria intesa. A quel punto la delega era scaduta e addio decreto (peraltro già demolito dal Consiglio di Stato che aveva rilevato l'assenza di nuovi sistemi di valutazione). Tripudio del sindacato dei dirigenti pubblici, che avevano gridato allo scandalo sostenendo che l'intenzione del governo era evidentemente quella di "distruggere i servitori dello Stato" nonché "annichilire, asservire, sottomettere la dirigenza pubblica". "E' stato un vero un peccato", è invece il giudizio di Marta Barbieri. "Potenziare la classe dirigente pubblica è un obiettivo in cui hanno investito tutti i Paesi Ocse". Oliveri fa però notare che il decreto era a rischio incostituzionalità, perché di fatto avrebbe trasformato dirigenti a tempo indeterminato in "lavoratori a chiamata". Quanto alla licenziabilità, sulla carta c'è: la riforma del 2009 la prevede come extrema ratio nei casi di "mancato raggiungimento degli obiettivi" o "inosservanza delle direttive".

Livesicilia.it

Ex province. Quel capriccio è costato caro. Carissimo. E non solo, e non tanto in termini di quattrini.


La riforma mancata delle Province, ormai rivelatasi un epocale bluff, si è tradotta in un disastro per tanti siciliani. Gli automobilisti a rischiare grosso sulle strade da tempo ormai abbandonate al loro destino. Gli studenti delle scuole costretti a frequentare aule gelide persino nei mesi invernali. E i più deboli, come i portatori di handicap, privati dei servizi essenziali, dal trasporto all'assistenza.

È questo il vero disastro delle ex Province. Un "capolavoro" iniziato in televisione, nel 2013, quando, nel teatro che sarebbe poi divenuto familiare dell'Arena di Giletti, il governatore Rosario Crocetta annunciava l'epocale riforma: "Siamo i primi in Italia". A cancellare le Province. Un annuncio che si sarebbe rivelato poco più che uno spot. Poco meno che una bugia. Le Province sono ancora lì. E presto lo saranno a tutti gli effetti, dopo la decisione dell'Assemblea regionale di dare il primo "sì" al ritorno delle elezioni dirette.

E' cambiato solo il nome E a certificare la portata dell'annuncio di Crocetta quattro anni fa è stata, molto recentemente, la Corte dei conti. In uno dei passaggi di una delibera che appare, oggi, persino imbarazzante: "A livello regionale, nell'attuale, perdurante, fase transitoria avviata nel 2013, - scrivono i magistrati contabili pochi mesi fa - i nove enti di area vasta continuano ad operare con gli statuti, i regolamenti, le risorse umane, strumentali e finanziarie delle ex Province regionali, esercitando ancora le funzioni precedentemente svolte". Insomma, non è cambiato nulla. O quasi. È cambiato il nome dell'ente. Alla guida di questo, poi, non ci sono più rappresentanti scelti dai siciliani, ma fedelissimi del presidente. E sono cresciuti, con effetti drammatici, i guai.

I danni per i cittadini
Basterebbe ripercorrere quelle 190 pagine, distribuite su due documenti diversi, che la Sezione di controllo ha depositato tra il marzo e il giugno di quest'anno, per reperire un racconto fedele, sebbene impietoso, di questo disastro. A cominciare dai veri e più concreti effetti della mancata riforma delle Province: i danni, cioè, a strade, scuole e disabili. "L'intensificarsi dell'emergenza finanziaria, - scrive la Sezione di controllo della Corte - il marcato ridimensionamento dei budget di spesa ha ridotto al minimo l'attività istituzionale svolta dai liberi Consorzi nei confronti sia degli altri livelli di governo che, soprattutto, dei fruitori dei servizi pubblici. Hanno risentito particolarmente i servizi per i disabili e quelli di supporto alle scuole di secondo grado; nei casi più gravi, si segnalano situazioni di notevole arretrato nel pagamento degli stipendi".

Stop ai servizi per i disabili E le parole della Sezione di controllo trovano un tragico specchio nelle cronache di questi ultimi anni. A cominciare dalle storie dei disabili ai quali, a causa della confusione legata alle funzioni dei nuovi-vecchi enti, si sono trovati senza il servizio di trasporto da e verso le scuole provinciali. "Risultano aver risentito dei tagli, principalmente, - segnala la Corte dei conti - i servizi per i disabili, che sono stati erogati con discontinuità ed in modo fortemente disomogeneo tra i diversi territori, in base alla capacità degli enti di far fronte all'emergenza con le sparute risorse".

Scuole al gelo, strade crollate Le scuole secondarie, poi, a loro volta, sono rimaste, racconta sempre la Corte, a volte al gelo. "Anche il supporto alle scuole di secondo grado - scrive sempre la Corte dei conti - ha visto importanti riduzione dei servizi, con istituti in cui, ad esempio, non è stato garantito il riscaldamento dei locali nei mesi più freddi". E ancora, le strade. Un passaggio tra le relazioni della Corte dei conti è inquietante, ma allo stesso tempo, è stato purtroppo verificato, in questi anni, dai tanti siciliani che hanno dovuto mettersi in auto sulle arterie che, prima delle riforma, erano in qualche modo gestite dalle Province: "In molti casi - scrive la Corte - la spesa in conto capitale si attesta ben al di sotto della soglia minima per la manutenzione - e in alcuni casi, addirittura, per la stessa messa in sicurezza - dell'ingente patrimonio destinato a bisogni primari della collettività (in primis, strade ed edifici scolastici). Con riferimento alla manutenzione stradale - prosegue la Corte - l'Assessorato riferisce che è, allo stato, 'di fatto azzerata con la chiusura di diverse tratte'". Manutenzione delle strade azzerata. Impossibilità persino della messa in sicurezza. Un grido d'allarme lanciato in qualche caso dagli stessi commissari delle Province. Alla fine del 2016, ad esempio, l'ex commissario del libero consorzio di Trapani Giuseppe Amato ammetteva: "Per strade e scuole non abbiamo nulla, possiamo fare zero interventi. Ci sono pericoli concreti, reali, seri e gravi: i governi dovrebbero intervenire di conseguenza".

I lavoratori senza stipendio E c'è poi ovviamente tutto il capitolo che riguarda i lavoratori delle ex Province. Passati da una condizione lavorativa "normale" fin sulla soglia del baratro. Che nel caso dei dipendenti del Libero consorzio di Enna, ad esempio, per giorni è stato molto meno "metaforico" di quanto si pensi: nella seconda metà dell'anno scorso, allo stremo per il ritardo degli stipendi che non arrivavano ormai da mesi, i lavoratori hanno deciso di salire sul tetto dell'ente, in pieno centro città. Lo stesso avrebbero fatto, di lì a poco, i colleghi di Siracusa. Uno di loro ha anche avviato lo sciopero della fame, protestando a Roma e a Bruxelles. Mentre in un'altra Provincia, quella di Siracusa, un commissario addirittura si arrendeva, sconsolato: nel luglio del 2016 Antonino Lutri alzava bandiera bianca e si dimetteva di fronte al disastro economico-finanziario dell'ente.

Messina e l'ombra del dissesto Proprio alla Corte, poi, sarà la Città Metropolitana di Messina a raccontare la condizione gravissima nella quale si trovano gli enti, paventando l'ipotesi del dissesto finanziario: "Tale condizione - spiegano i vertici dell'ente nel corso delle controdeduzioni di fronte alla Corte - determina seri rischi anche in termini di responsabilità nonché gravi danni ai cittadini con il pregiudizio di vedere compromesso l'intero progetto di sviluppo della Città di Messina e del suo territorio. Il disagio per il nostro Ente - prosegue - si riscontra anche sull'impossibilità di poter accedere a diverse opportunità di finanziamento che si presentano nello scenario dei Fondi Pon Fesr per l'impossibilità di dichiarare la capacità finanziaria come prescritto nei bandi. Tale situazione di disagio potrebbe compromettere altresì il prosieguo dei fondi correlati al Patto per il Sud". L'ente spiega di aver provato a rispondere in qualche modo a questa situazione, tramite una "drastica razionalizzazione della spesa, garantendo unicamente le spese obbligatorie per legge nonché le funzioni ed i servizi essenziali. Per mantenere gli equilibri di bilancio, sono stati, per esempio, - racconta - tagliati i fitti passivi per gli edifici scolastici di competenza, nonostante le serie difficoltà di allocare gli studenti in altri edifici con conseguenti disagi e proteste". La Città metropolitana è costretta persino a tagliare gli affitti e a far traslocare, con grandi difficoltà, gli studenti.

E come detto, le difficoltà, rischiano di produrre "gravi ripercussioni - si legge nella memoria dell'ente messinese - nei riguardi dei dipendenti, ai quali non potrà essere garantito nel prosieguo il pagamento delle spettanze; degli istituti scolastici (comprese le utenze), i quali potrebbero non avere i necessari finanziamenti per assicurare il regolare andamento delle lezioni; della manutenzione degli istituti scolastici e per la tutela della sicurezza degli stessi. Anche per quanto concerne la viabilità si rende necessario - spiega l'ente - reperire ulteriori risorse per far fronte ad emergenze che garantiscano la messa in sicurezza di oltre Km. 2.650,00 di strade provinciali che rischiano la chiusura con conseguente isolamento dei tanti Comuni montani di questa Provincia". Oltre 2.600 chilometri a rischio chiusura. Un disastro. Frutto di un capriccio. Frutto di un annuncio sparato in tivvù.


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