Giornale di sicilia
La tragedia di Menfi, l'ex Provincia
si difende: «Quei tubi c'erano da 50 anni»
Due i filoni dell'inchiesta per la
morte del piccolo Marco
Continuano le indagini per accertare le
responsabilità sul tragico incidente sulla strada provinciale 50 che
costeggia la località menfitana di Lido Fiori. Un incidente nel
quale ha perso la vita un bambino di sette anni, Marco Castelli, che
è morto a seguito delle gravi ferite riportate dopo che un palo in
ferro si è incastrato tra il seggiolino e il corpo del piccolo. Il
palo gli ha spezzato il femore in due e intaccato fegato e polmoni.
La palizzata in ferro è ora al centro dell'indagine. Le
investigazioni condotte dai carabinieri della compagnia di Sciacca e
coordinate dalla Procura della Repubblica vertono essenzialmente su
due filoni. Il primo riguarda la dinamica dello scontro. Il secondo,
la presenza di una vecchia protezione a bordo della strada
provinciale realizzata con tubi Innocenti. Una recinzione che non
sarebbe in linea con le normative vigenti. Le indagini, fanno sapere
dalla Procura, sono a 360 gradi. Non ci sono ancora ufficialmente
degli indagati, ma tra qualche ora potrebbero spuntare i primi nomi.
La vettura sulla quale viaggiava con i genitori si è scontrata con
un'al - tra auto ad un incrocio, è andata in testacoda finendo
proprio contro la palizzata in ferro. Intanto i genitori Gualtiero
Castelli e Antonella Lombardo hanno dato mandato ai loro legali di
procedere per capire il perché di quei tubi e di quella segnaletica
non rispettata. Pare che la macchina con a bordo una famiglia
palermitana non si sia fermata allo stop, provocando il tamponamento.
Il tratto di strada dove è avvenuto il sinistro stradale è stato
appurato che è di competenza della Provincia. Tubi obsoleti che -
fanno sapere dalla Provincia - si utilizzavano per le recinzioni dei
ponticelli e che proprio questi, oggetto del sinistro stradale, erano
lì da oltre cinquant'anni. L'ingegnere Michelangelo Di Carlo,
responsabile tecnico della viabilità di tutte le strade dell'Ex
Provincia ha fatto sapere che quella strada prima di essere ceduta
alla provincia era una strada consortile e che quindi i tubi in ferro
erano già presenti. «Abbiamo chiesto anni fa un finanziamento per
il rifacimento delle strade e tra queste c'era proprio la Sp 50 -
ha detto Di Carlo - ma il governo Monti di allora ci sospese le gare
d'ap - palto. Lo spiraglio è arrivato con il finanziamento per il
Patto del sud, dove abbiamo riproposto il progetto per la
manutenzione del manto stradale e soprattutto per la realizzazione di
nuove barriere di protezione. Ma non avendo ancora ricevuto nulla,
non possiamo procedere. Il progetto è stato presentato ad aprile.
Siamo in attesa del finanziamento da parte della regione Dobbiamo
attendere. Noi da parte nostra abbiamo fatto di tutto in questi anni,
abbiamo installato segnaletiche nei vari incroci e monitorato spesso
tutta l'area. Ci dispiace tanto per quello che è accaduto. Noi da
parte nostra non abbiamo colpe». La provincia si difende. Ma il
padre del piccolo Marco, Gualtiero Castelli che è un ingegnere non
la pensa cosi e ha fatto sapere che lo dimostrerà nelle sedi
opportune. Un Ferragosto felice, una famiglia in vacanza in Sicilia
che aveva deciso di trascorrere la giornata al mare nella località
balneare di Menfi a Lido Fiori, finito in tragedia. Una tragica
fatalità che forse poteva essere evitata. Qualcosa è andato storto
e la Nissan guidata dal papà di Marco si è schiantata contro la
barriera di vecchi pali in ferro. La famiglia vive a Turate in
provincia di Como. Il padre è di Como mentre la madre Antonella
Lombardo è di Partanna. L'altra coppia che era nella Ford e che
non avrebbe rispettato lo stop, aveva dietro due bambini piccoli
rimasti illesi.
In tutta la provincia ponti e strade a
rischio
Ci sono tanti assi viari fatiscenti e a
volte, addirittura, pericolanti: il grande viadotto Akragas ne è
diventato il simbolo
Da Racalmuto a Porto Empedocle, da
Favara fino a Bivona, il territorio di Agrigento il tema di ponti e
infrastrutture non è certo il vanto della provincia. Opere
incompiute, fatiscenti, chiuse e pericolanti fanno capolino in
pianura e tra le montagne dell'eteroge - nea provincia agrigentina.
Il caso più «caldo» e discusso, anche prima della tragedia
genovese, è quello del «Morandi», il viadotto Akragas che collega
Agrigento a Porto Empedocle, chiuso da ormai 17 mesi e probabilmente
mai più riaperto dopo quanto accaduto nel capoluogo ligure. Adesso
amministrazione comunale e Anas parlano di abbattimento nonostante la
gara d'appalto per i lavori sia stata già bandita e dalle pagine
di questo giornale era stato annunciato poche settimane fa l'inizio
dei lavori per la fine del 2018, per la durata di tre anni: un
investimento di 20 milioni di euro. Oggi la teoria più accreditata è
invece quella dell'abbattimento, sul quale preme Lillo Firetto,
sindaco di Agrigento, consequenzialmente al progetto di nuove opere
viarie che sostituiscano l'opera che non piace neanche agli
ambientalisti per il forte impatto che ha nel territorio dominato
dalla Valle dei templi. La situazione in provincia non è però
migliore di quella di Agrigento: a confermarlo è anche CNA Agrigento
che scrive una nota Mimmo Randisi, presidente: «Le nuove
infrastrutture tardano ad arrivare e quelle esistenti non sono per
nulla sicure - si legge -In queste ore - aggiunge Randisi - si
è aperto un serrato dibattito, alla luce di quanto accaduto in
Liguria e rispetto all'an - nunciato vertice programmato nei
prossimi giorni al Comune di Agrigento sul ponte Morandi di casa
nostra. Che fine farà? Inoltre ci sono altri ponti sotto
osservazione: quelli che attraversano Porto Empedocle lungo la
Statale 115, ma anche il Carabollace sul versante di Sciacca. Che non
fanno certamente dormire sonni tranquilli». A Porto Empedocle
infatti a fare paura è il ponte Salsetto, uno dei viadotti cruciali
per la viabilità del paese: questo mostra tutto il suo degrado nella
strada sottostante, mai completata, dove non è difficile raccogliere
calcinacci, pietre e intonaco staccatosi dalla struttura che oggi
mostra i ferri arrugginiti, segni del tempo che passa e di una scarsa
manutenzione. Sempre sulla Agrigento Porto Empedocle, altri viadotti
sono sotto la lente d'ingrandi - mento dell'Anas, compreso lo
Spinola, anche lui visibilmente deteriorato e il ponte Zubbie. La
provincia agrigentina è però celebre (tristemente) per il viadotto
Scorciavacche, crollato dopo pochi giorni dall'inaugurazione e per
il ponte Petrulla, che ancora oggi tiene sotto scacco la cittadina di
Ravanusa che attende da tre anni l'inizio dei lavori dell'impor -
tante asse viario. Altri casi importanti sono quelli di Racalmuto,
oltre a quelli della 189: nella città di Leonardo Sciascia, il ponte
in contrada "Dei Malati" che collega la città alla vecchia
strada per la statale 640 è infatti ridotto ad una corsia in quanto
è pericolante. I piloni poggiano infatti su un terreno e una
possibile instabilità di questo potrebbe causare problemi. Da più
di 5 anni si trova ridotto ad una corsia ma i lavori, da tempo
proclamati, non sono mai partiti. Nella stessa cittadina mostra i
segni del tempo, ferri arrugginiti e intonaco crollato, anche il
ponte Guardia, pericolante ma aperto. Lavori sono stati effettuati lo
scorso anno nel ponte della Ss 189, al chilometro 58, dal quale
cadevano calcinacci. Nonostante l'opera però le condizioni del
viadotto non sono certo delle migliori e questo rappresenta un
pericolo per la strada sottostante, l'im - portante arteria che
collega il paese di Aragona e quelli dell'hinterland all'ospedale
di Agrigento. Altro discorso per il ponte Petrusa che collega Favara
ad Agrigento, chiuso, smontato e mai più ricostruito, fino ad oggi.
(*ADS*)
Comuni senza piani di sicurezza Metà
impreparati in caso di disastri
Se Genova non avesse avuto un piano di
emergenza di protezione civile, i soccorsi dopo il crollo del ponte
Morandi sarebbero probabilmente avvenuti a rilento e tra mille
difficoltà. Complicato individuare subito le vie di fuga, i punti di
ritrovo, le zone a rischio, ancora più complicato per i soccorritori
provenienti da altre città muoversi su un territorio sconosciuto.
Dove far atterrare l'elicottero? Dove accogliere gli sfollati in
breve tempo assicurando la loro sicurezza? I piani comunali di
emergenza sono una bussola fondamentale in caso di eventi calamitosi,
perchè forniscono tutte queste risposte immediatamente. Peccato che
in Sicilia la metà dei Comuni ne sia ancora sprovvisto o abbia dei
documenti superficiali, mentre nelle altre regioni si va verso la
piena applicazione di questo obbligo di legge. Suona così un altro
campanello di allarme in materia di sicurezza. Ponti pericolanti,
scuole insicure, gran parte del territorio colpito da dissesto o a
rischio sismico. Eppure la prevenzione nell'Isola resta una
chimera. Secondo i dati forniti dal dipartimento nazionale di
Protezione civile, in Sicilia solo poco meno di 200 Comuni su 390 si
sono dotati di questo strumento. Il dato è aggiornato allo scorso
mese di marzo ed è rimasto sostanzialmente invariato da più di un
anno a questa parte. Al contrario, le altre regioni sembrano
viaggiare a ritmo spedito verso la piena applicazione della
normativa: Abruzzo, Emilia, Marche, Puglia, Toscana, Veneto, Molise,
Lazio, Liguria, nella maggior parte delle regioni sono in regola tra
il 90 e il 100 per cento dei Comuni. Chi è messo male è poco sotto
l'80 per cento. Poi c'è la Sicilia, ferma da tempo intorno al 50 per
cento mentre la media nazionale è passata in un anno e mezzo dal 77
all'88 per cento. Tra i Comuni inadempienti figura ad esempio
Corleone, che pure si trova in area a rischio sismico 2, cioè dove
possono verificarsi forti terremoti. Stesso discorso per Piana degli
Albanesi, oppure in provincia di Siracusa ad Avola e Pachino. Anche
Salaparuta, che si trova nella Valle del Belice col rischio sismico
più alto, secondo i dati della Protezione civile non ha il piano. A
dire il vero secondo il dipartimento regionale di Protezione civile,
i sindaci che hanno provato ad adeguarsi sono molti di più:
addirittura otto su dieci oggi avrebbero le carte in regola. Questo
perchè dal 2016 decine di municipi sono corsi ai ripari e hanno
approvato in Consiglio i documenti che metterebbero al riparo le
amministrazioni da contestazioni. In realtà tutto questo vale solo
sulla carta, mentre a livello operativo si tratta spesso di documenti
incompleti, inefficaci. «Molte volte sono fogli di poche pagine,
scopiazzati da altri piani, che in caso di emergenza non danno nessun
contributo alla sicurezza» dice Lorenzo Colaleo, presidente
regionale dell'Anpas e progettista. La situazione è nota al
dipartimento della Protezione civile siciliana, che da qualche tempo
è in pressing sui sindaci per farli allineare alla normativa. Gli
uffici regionali hanno passato ai raggi X tutti e 390 i Comuni
siciliani per verificare lo stato dell'arte dei piani. Il risultato,
spiega il dirigente generale Calogero Foti, che ha promosso questa
indagine capillare, sarà diffuso a breve, ma al momento sembra
confermare il trend negativo: «Solo la metà dei Comuni, forse meno
- dice Foti - è effettivamente in regola, non siamo messi bene».
Basti pensare, ricorda Foti, «che ci sono Comuni che hanno previsto
il rischio da caduta di meteorite. Ci sono linee guida da rispettare,
a noi interessa che i piani siano efficaci». E invece, spiega ancora
Colaleo, «spesso i Comuni si limitano a dei piani speditivi,
generici. Non dovrebbe essere così. Ormai il piano comunale di
Protezione civile è indispensabile per il piano regolatore, mette
mano a rischi e caratteristiche del territorio. Bisogna studiare i
terreni per individuare le vie di esodo più idonee, evitare, come
successo, di creare una zona ammassamento dove deve atterrare
l'elicottero, o peggio ancora dove c'è il rischio allagamento. Se ci
sono cittadini che hanno delle apparecchiature che le tengono in
vita, bisogna saperlo per attivare subito un gruppo elettrogeno al
bisogno. Un piano di emergenza - prosegue Colaleo - deve
prevedere quindi chi fa cosa. Senza contare la necessità di
collaudare l'organizzazione, anche con simulazioni. Invece accade che
nei Comuni non venga fatta formazione specifica del personale e i
centri operativi che devono coordinare le operazioni spesso sono
impreparati». Dal canto loro i sindaci chiedono una modifica alla
normativa che venga incontro alle proprie esigenze. «Non ha senso
realizzare dei piani per metterli in un cassetto, vanno aggiornati,
migliorati costantemente - dice Emanuele Alvano, segretario
generale dell'Anci Sicilia - Sarebbe comunque opportuno che si
parlasse più di piani territoriali e non comunali, per favorire
sinergie tra i Comuni anche dietro incentivazione. Oggi è utopistico
pensare che ogni Comune debba fare tutto, tra l'altro le emergenze
non si fermano sempre ai confini amministrativi. I problemi comunque
non riguardano solo i piani ma complessivamente tutti gli adempimenti
che i Comuni non riescono a rispettare a causa di un impoverimento di
figure professionali nei singoli uffici».
Gds.it
Assunzioni
e turn-over nel Pubblico, Bongiorno: "Servono persone o riforme
restano nulle"
Negli
ultimi 15 anni è stato effettuato un risanamento dei conti pubblici
soprattutto con il taglio della spesa pubblica corrente anche con
riferimento alle assunzioni.
Non condivido questo tipo di politica di risanamento», perché «poi
ci si lamenta che la pubblica amministrazione non va bene»,
afferma il
ministro della Pubblica amministrazione, Giulia
Bongiorno,
in un colloquio con il Messaggero.
Il
quotidiano scrive di un maxi
piano di
reclutamento che anticiperebbe al prossimo anno le
assunzioni previste
per il triennio 2019-2021 con lo sblocco
totale del turnover.
Si tratterebbe di 450mila
ingressi tramite concorso.
«Noi possiamo immaginare la migliore riforma - dice Bongiorno - ma
se poi non abbiamo le persone che la attuano è destinata a fallire e
a rimanere soltanto sulla carta. Per questo ho voluto battezzare
questo decreto concretezza».
Il
turn over - aggiunge - deve essere garantito al 100 per cento in
tutte le articolazioni della pubblica amministrazione: ci sarà un
impegno perché ci sia un rispetto dei tempi senza slittamenti di
questo processo di ricambio». Per quanto riguarda il decreto che sta
studiando, «la mia intenzione» spiega, «è muovermi su tre
direttrici: far lavorare chi non lavora. Far lavorare meglio chi
invece lavora. E far entrare nuove energie nella pubblica
amministrazione. Sono dell'idea che i dati dell'assenteismo
pubblico sono erronei, sottostimati, perché ogni volta che andiamo a
vedere sono assenze croniche». Da qui nasce l'intenzione di
introdurre le rilevazioni biometriche.
LA SICILIA
MENFI.
La Sp 50 presenta da tempo
criticità rilevate dal Libero Consorzio e inserite nel progetto
"Patto per il Sud"
QUELLA TRANSENNA MALEDETTA
Uno dei tubi si è conficcato
nell'auto su cui viaggiava il bimbo, ferendolo a morte.
GIUSEPPE RECCA
MENFI. La strada provinciale dove il
giorno di ferragosto si è verificato un incidente stradale che ha
poi causato la morte di un bambino di sei anni, presenta da tempo
delle criticità che erano già state rilevate dal Libero Consorzio
Comunale di Agrigento e inserite nel progetto "Patto per il Sud"
con cui si finanzia la manutenzione ordinaria e straordinaria delle
arterie di competenza provinciale. La precarietà della sede
stradale, ed in particolare la presenza di una sorta di transenna
composta da tubi in ferro ai quali è attaccato un reticolato di
materiale plastico, fanno parte del carteggio che i carabinieri della
compagnia di Sciacca hanno portato nella giornata di ieri
all'attenzione dei magistrati della Procura della Repubblica
saccense, che coordinano l'attività di polizia giudiziaria. Uno dei
tubi in ferro, com'è noto, si è conficcato nella parte posteriore
dell'abitacolo della Nissan Qashqaì che sulla provinciale 50 è
finita fuori strada dopo un impatto con una Ford Mondeo, è finita
fuori strada fermandosi nel punto dove c'era la barriera. Quel tubo
in ferro è stata la causa delle gravi ferite mortali riportate dal
bimbo. Dall'ufficio giudiziario saccense fino a ieri pomeriggio non
emergevano notizie di persone iscritte nel registro degli indagati,
ma appare inevitabile, vista la gravità dei fatti, che scatteranno a
breve avvisi di garanzia per l'ipotesi di reato di omicidio colposo.
Ieri mattina, si è svolto sul luogo dell'incidente un sopralluogo
dell'ufficio tecnico e della polizia provinciale del Libero Consorzio
comunale di Agrigento, disposto dal commissario straordinario Alberto
Di Pisa. L'iniziativa è servita per effettuare un'ulteriore e più
attenta ricognizione dei luoghi. Si è appreso in quel contesto che
la viabilità della zona risulta inserita nel progetto "Patto
per il Sud" per la manutenzione ordinaria e straordinaria. In
sostanza, da quanto emerge, il Libero Consorzio aveva ritenuto che
bisognava fare del-
le opere per migliorare la sicurezza.
Come del resto bisogna fare nel resto del territorio provinciale,
dove ci sono decine e decine di strade dove la sicurezza è quasi un
optìonal dopo diversi anni in cui piogge e nubifragi non sono
seguite opere di sistemazione per carenza di risorse finanziarie.
Nella tarda mattinata di ieri a Partanna, città di origine della
mamma, sono stati celebrati i funerali del piccolo Marco. Tutta la
comunità partannese si è stretta attorno alla sfortunata famiglia.
Il feretro poi è partito per la Lombardia, a Como, dove oggi si
terrà un'altra cerimonia funebre. Il padre del bimbo, Gueltiero
Castelli, è un ingegnere elettrotecnico e ogni anno con moglie e
figlio trascorreva
in Sicilia alcuni giorni di vacanza.
INFOAGRIGENTO
UNIVERSITÀ AD AGRIGENTO: ABBANDONO E CALO DI ISCRITTI IN 10 ANNI
Secondo quanto emerge dall'anagrafe studenti del Miur, in dieci anni sono infatti 300 gli agrigentini che hanno rinunciato ad iscriversi all'università ed oltre 2000 gli studenti che si sono ritirati dagli studi.E' la foto di una triste realtà quella che si ricava dall'anagrafe studentesca del Ministero dell'istruzione dell'Università e della Ricerca, la quale non fa altro che confermare il trend negativo che ormai da molti anni investe la provincia agrigentina in ambito universitario e lavorativo. E se già pesa come un macigno assistere alla continua partenza di migliaia di giovani verso altri orizzonti e alla ricerca di occasioni lavorative migliori, ancor più triste è prendere consapevolezza di una vera e propria "emorragia" di cervelli che parte proprio dall'università.Secondo quanto emerge dall'anagrafe studenti del Miur, in dieci anni sono infatti 300 gli agrigentini che hanno rinunciato ad iscriversi all'università ed oltre 2000 gli studenti che si sono ritirati dagli studi. Prendendo come riferimento il periodo temporale che va dal 2006 al 2016, gli immatricolati, quindi gli iscritti al primo anno, sono stati 2.648 a fronte nel 2016 di 2.348. Tutti gli iscritti, intesi invece nella loro totalità, nel 2006 sono stati 9.836, mentre nel 2016 sono stati 7.713; di questi, la maggior parte è rappresentata da agrigentini che frequentano perlopiù i corsi palermitani.Una "fotografia" che ci fa capire come, nel giro di dieci anni dal 2006 al 2016, ci sia stata una riduzione di iscritti di oltre 2100 studenti. In notevole crescita, invece, sono università più vicine ad Agrigento, come ad esempio la Kore ad Enna, dove gli iscritti nel 2006 sono stati 60 e nel 2016 sono stati 797.Le cause, come risaputo, sono da ricercare in svariati fattori. Da un lato, vi sono certamente la crisi economica e le condizioni di povertà che purtroppo accomunano la nostra provincia a quelle di molte città del Sud Italia, dove il tasso di disoccupazione è tre volte quello del Nord ed il malessere fa aumentare di gran lunga il rischio di esclusione sociale e l'emigrazione dei giovani alla disperata ricerca di condizioni lavorative migliori e decenti. Dall'altro, ragioni da ricercare anzitutto nel contesto siciliano come l'incertezza di fondi regionali a sostegno delle università e dei poli decentrati che, per anni, ha messo a dura prova il sostentamento dell'offerta formativa erogata dagli Atenei in sede decentrata. A ciò si aggiunga, di conseguenza, l'impossibilità per molti giovani di frequentare l'università nella propria città, vista la progressiva diminuzione dei Corsi di Laurea attivi presso il CUA di Agrigento.Attualmente, infatti, l'Università degli Studi di Palermo manterrà attivo ad Agrigento soltanto il Corso di Laurea in Servizi Sociali, mentre rimangono ad esaurimento le lezioni attive per i canali di Giurisprudenza ed Architettura, già chiusi alle nuove iscrizioni da qualche anno. In partenza ad ottobre è invece il Corso di Laurea triennale in Mediazione Linguistica e Culturale, promosso dalla scuola "Agora Mundi" e dal prof. Marcello Sajia, che conta già una settantina di matricole iscritte. Sembrerebbe, infine, ferma l'intenzione dell'Università rumena "Dunarea de Jos" di Galati di avviare prossimamente, presso l'università agrigentina, un nuovo corso in Ingegneria Agroalimentare