Giornale di sicilia
Opera da 100 milioni
Maremonti, il Genio Civile
bandisce
l'appalto
La raccolta adesso si sposta nelle altre banchine
Sciacca, liberata dai rifiuti
l'area dell'isola ecologica
La telesorveglianza mobile sta funzionando
Laura Di Giovanna e Marcello Mangia
Venezia celebra
manager di Sciacca
L'episodio la notte di Capodanno
«Sparò contro abitazione»,
un denunciato a Licata
È firmata la determina con la quale il dirigente del Dipartimento regionale tecnico, Salvatore Lizzio,
autorizza il Genio civile a pubblicare la gara per progettare la nuova Maremonti. Si avvicina la realizzazione di una strada di fondamentale importanza per fae uscire
l'Agrigentino dall'isolamento viario, che avvicinerà un vasto comprensorio montano alla costa.
«Il Governo Musumeci si avvia
a scrivere una pagina di storia per
le infrastrutture nell'Agrigent ino.
Con la nuova strada Maremonti,
opera da cento milioni di euro, ridisegneremo in meglio l'assetto
viario di un ampio comprensorio
che da Santo Stefano Quisquina,
sui Sicani, degrada fino all'area di
Ribera e alla riva del Mediterraneo», dice l'assessore regionale alle Infrastrutture, Marco Falcone,
commentando il provvedimento.
L'infrastruttura connetterà le statali 189 «Valle del Platani» e 118
«Corleonese-Agrigentina» - scorrono nell'entroterra - con la statale 115 «Sud-occidentale sicula»
nel tratto fra Agrigento e Ribera.
La Maremonti andrà a servire
un bacino demografico e socio-economico di dieci comuni:
Bivona, Lucca Sicula, Santo Stefano Quisquina, Alessandria della
Rocca, Cianciana, Calamonaci,
Villafranca, Burgio e Ribera. La
mancanza di strade adeguate in
questo comprensorio è una delle
motivazioni per le quali si sollecita il ripristino del Pronto soccorso
generalista all'ospedale di Ribera.
(*GP *)
Incendi in tutte le province dell'isola
Regione, task force contro gli incendi
Il presidente Musumeci rinnova la richiesta al governo: «Impegnare l'Esercito nelle aree rurali»
Tre canadair dello Stato, otto elicotteri
della flotta regionale, seimila operai e
agenti della Forestale e dell'Antincendio, tutti, uomini e mezzi, mobilitati a
supporto dei vigili del fuoco, ma per
domare le fiamme che stanno devastando pezzi di territorio da un capo
all'altro dell'Isola, e in previsione di ciò
che potrebbe accadere da qui alla fine
dell'estate, serve uno sforzo in più, «servono ulteriori unità dell'Esercito in Sicilia». E stavolta la richiesta, indirizzata
a Roma per la seconda volta nel giro di
poche ore dal presidente della Regione
Nello Musumeci, ha tutti i crismi
dell'ufficialità, perché lanciata durante
il vertice convocato ieri mattina in videoconferenza con l'Unità di crisi nazionale, alla presenza del capo della
Protezione civile, Fabrizio Curcio, del
comandante nazionale dei Vigili del
fuoco, Fabio Dattilo, del dirigente generale del Corpo forestale regionale,
Giovanni Salerno, dell'assessore regionale al Territorio, Toto Cordaro, e del
capo della Protezione civile siciliana,
Salvo Cocina: un tavolo chiesto dallo
stesso governatore per far fronte, da
una parte, alla situazione di disagio che
da mesi stanno vivendo i centri etnei,
colpiti dall'incessante caduta di cenere
vulcanica, dall'altra, alle decine di incendi divampati in Sicilia negli ultimi
giorni.
Focolai, sottolinea Musumeci, «causati a volte dalla irresponsabile condotta dei proprietari dei fondi non coltivati o abbandonati, ma quasi sempre di
origine dolosa, accesi da piromani per i
quali ci vorrebbe il carcere a vita». Di
certo, rimarca Cocina, «il sistema di
protezione civile sta facendo il possibile, ma è una lotta impari contro delinquenti. Occorre un'azione di polizia e
militare da parte dello Stato. Ci aspettano mesi difficili». Da qui, la richiesta
dell'intervento dell'Esercito, «da impegnare nelle aree rurali particolarmente
vulnerabili». Ma la questione, che per
competenza sarà sottoposta al ministero della Difesa, suscita già le critiche
dell'opposizione, con il capogruppo
M5S all'Ars, Giovanni Di Caro, a dir poco scettico: «Anche quest'anno il governo regionale si è fatto trovare impreparato a fronteggiare la stagione estiva,
senza muovere un solo dito in fatto di
prevenzione, dai viali parafuoco, alle
coperture economiche per l'antiincendio. Altro che esercito, il presidente
della Regione non ha fatto neanche il
minimo sindacale. A questo punto
Musumeci venga a riferire in aula».
Sul tema si fa sentire anche la Coldiretti Sicilia, ricordando i 400 imprenditori agricoli che hanno aderito alla
campagna «avviata per porre un freno
al fuoco con segnalazioni e azioni di
spegnimento» e sottolineando che gli
oltre mille incendi scoppiati da gennaio scorso costituiscono «una situazione ormai incancrenita: siamo di
fronte ad un progetto criminale che sta
distruggendo tutta l'Isola, e a rischiare
non sono solo gli agricoltori, perché i
roghi lambiscono i centri urbani, provocando il panico e lo spopolamento
delle aree interne».
Intanto, sul fronte cenere vulcanica,
dopo aver deliberato la richiesta dello
stato di calamità, in un secondo vertice
convocato ieri mattina al PalaRegione
di Catania insieme ai primi cittadini
dell'area pedemontana etnea, Musumeci ha assicurato lo stanziamento di 5
milioni di euro da parte della Protezione civile nazionale per far fronte alle richieste dei sindaci coinvolti nell'emergenza, «e il primo milione è stato già accreditato come Regione. Pensiamo di
individuare, a breve, altre risorse per
creare un fondo con contratto aperto
in modo che i Comuni possano accedervi direttamente ed accelerare così le
procedure. La settimana prossima
l'Unità di crisi si riunirà in Sicilia per fare il punto sui danni». ( *A D O* )
Coronavirus, Brusaferro: "La discesa dei contagi si è fermata, fondamentale il tracciamento"
«Credo che la valutazione debba essere fatta in base alla situazione epidemiologica locale, dunque bene per gli inglesi se possono riacquistare alcune libertà». Lo afferma Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, in un'intervista al 'Corriere della Sera', commentando la scelta del Regno Unito di riaprire tutto il 19 luglio nonostante il nuovo aumento di contagi dovuti alla variante Delta. In Italia l'obbligo dell'uso della mascherina all'aperto è stato allentato, «ma anche in una fase di circolazione contenuta del virus come l'attuale, resta fondamentale mantenere l'attenzione nelle situazioni a rischio - ricorda Brusaferro - vale a dire quando ci ritroviamo nella folla o in situazioni che non consentono il distanziamento. Non bisogna stancarsi di ricordarlo. Stanno emergendo nuove varianti che come abbiamo visto sono capaci di conquistare il campo con grande rapidità».E sulla variante Delta e la sua minore o maggiore aggressività Brusaferro aggiunge che «al momento non abbiamo evidenze sufficienti per affermare che dal punto di vista clinico sia meno aggressiva, perché le infezioni si inseriscono in un contesto di popolazione vaccinata in percentuali elevate. Servono più dati per comprendere il reale impatto clinico del ceppo mutante. Sappiamo però che se siamo immunizzati al completo con doppia dose, la protezione dalla variante è molto alta, specie per quanto riguarda effetti più gravi, ricovero e mortalità». Per quanto concerne il numero dei contagi che si registrano in Italia «l'auspicio è che si possa scendere ancora, ma i dati al momento mostrano che la discesa si è fermata. La scommessa è mantenerci su numeri più bassi possibile che ci garantiscano di poter tracciare i casi positivi». Infine i viaggi: «Se partiamo vaccinati e osserviamo comportamenti prudenti possiamo sentirci più al sicuro. Dipende soltanto da noi. Un rischio potenziale c'è, se ci si addentra senza protezioni fra folle provenienti da altri Paesi. Al rientro sarà importante attuare una strategia di tracciamento dei casi e quarantena», conclude.
sicilia24h.it
"Consortile AICA", la politica perde il pelo ma non il vizio. Rimandata la nomina e pressioni per sistemare i soliti amici
Acqua pubblica ma posti di comando per amici. La politica sembra perdere il pelo ma non il vizio. La seduta per la nomina dei tre componenti del Consiglio di Amministrazione della costituenda Azienda Speciale Consortile (che si chiamerà AICA, Azienda Idrica Comuni Agrigentini) è stata rimandata a mercoledì 7. Nulla di fatto, ma appare evidente il tentativo della politica di occupare i posti in Consiglio di Amministrazione. Intanto, c'è tanto "maschilismo" nei curricula. Uno solo è al femminile. Il rischio dell'appartenenza alla politica sembra prevalere sulla meritocrazia. Il dominio della politica nelle scelte del massimo organo istituzionale della costituenda consortile rappresenterebbe il primo passo sbagliato per la gestione del servizio idrico integrato nella nostra provincia. Tuona il deputato regionale e sindaco di Montevago, Margherita La Rocca Ruvolo. "Non siamo riusciti ad arrivare ad una conclusione, un pò perché i curricula sono arrivati oggi, un pò perché ancora una volta sembra che la politica voglia prendere il sopravvento su scelte che, invece, devono basarsi sulla meritocrazia. La politica deve stare lontano dalla gestione del servizio idrico nella nostra provincia". Margherita La Rocca Ruvolo è determinata e lancia un messaggio: "Se si fanno scelte diverse dai meriti dei curricula, sparerò a zero su tutti". Insomma, La Rocca Ruvolo mette in guardia chi pensa di fare i soliti giochi di spartizione degli incarichi. "La nostra provincia- continua La Rocca Ruvolo- sta attraversando uno delle crisi più difficili che tocca il bene vitale, l'acqua. Vi erano già due curricula che potevano essere presi in considerazione e dare seguito, ma altri hanno sostenuto che la terna deve essere al completo". Insomma, c'è tempo nonostante la crisi drammatica che rischia di fare assetare tutti gli agrigentini. Filippo Cardinale
agrigentonotizie.it
Chi potrà andare in pensione nel 2022: l'ipotesi Quota 41 (con penalizzazione)Dopo mesi e mesi di ipotesi e indiscrezioni, non può più attendere un cronoprogramma credibile. Se non ci sarà un intervento realmente ampio e strutturale, dal 1° gennaio 2022 verrà ripristinata la legge Fornero, che prevede l'uscita dal lavoro a 67 anni ( limite che torna a crescere con l'aspettativa di vita)
Se non ci sarà un intervento realmente ampio e strutturale, dal 1° gennaio 2022 verrà ripristinata la legge Fornero, che prevede l'uscita dal lavoro a 67 anni ( limite che torna a crescere con l'aspettativa di vita). Cosa succederà l'anno prossimo? Dopo mesi e mesi di ipotesi e indiscrezioni, non può più attendere un cronoprogramma credibile. Il minsitro del Lavoro Andrea Orlando ha annunciato l'avvio di un confronto con le parti sociali, con gli altri ministeri interessati e in sede collegiale di governo, "al fine di individuare i percorsi più adeguati e con principi di condivisione per intervenire sul sistema pensionistico. Credo che le proposte di intervento che saranno prossimamente individuate e condivise non possano essere più di carattere sperimentale e transitorio, ma dovranno essere orientate, in termini di sostenibilità ed equità e di una prospettiva di lungo periodo. Dovranno avere carattere strutturale".Quota 100 scade il 31 dicembre 2021Il 31 dicembre scade Quota 100, che prevede di andare in pensione a 62 anni con una contribuzione minima di 38 anni. Sul rinnovo di Opzione Donna e Ape sociale non sembrano esserci ostacoli di sorta. Le ipotesi per le pensioni dal 2022 sono tante: Quota 102, Quota 92 (a fronte di un ricalcolo interamente contributivo della pensione), Quota 41, la flessibilità dai 62 anni di età chiesta dai sindacati. Senza contare il potenziamento del contratto di espansione che, di fatto, consente mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia o anticipata.Quota 100 per 3 anni ha consentito di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi, ma dal primo gennaio si tornerebbe alle regole di prima e quindi allo "scalone" di cinque anni di età. Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Lo scalone è un problema vero, da affrontare quanto prima. Facciamo un esempio: Ivano e Giuseppe hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Ivano andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giuseppe dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Insomma così non va, è evidente. Uno scalone del genere andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. Pensioni: Quota 41 può essere la soluzioneQuota 41 resta chiaramente l'ipotesi più apprezzata dai sindacati: darebbe la possibilità di pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contributi, per tutti i tipi di lavori. Piace poco ai lavoratori l'idea (che al momento resta tale, con qualsiasi "Quota") di un ricalcolo basato sulla proporzione tra coefficiente della pensione a 67 anni e coefficiente di uscita a 63 o 64 anni. Con coinvolgimento degli anni di versamento contributivo precedenti al 1996 e alla Riforma Dini. Cosa che avrebbe importanti benefici sulle casse Inps, e pochi invece per chi dopo aver lavorato tanti anni avrebbe diritto a godersi la pensione per cui ha versato per decenni i contributi. Quota 41 "per tutti" è troppo costosa per le casse dello Stato, addirittura peggio di Quota 100. Per approvare questa misura e renderla più sostenibile in termini finanziari, bisognerebbe inserire penalizzazioni, renderla sperimentale fissando un tempo limite come è avvenuto per Quota 100 (che aveva scadenza triennale). "Non è pensabile che dopo 41 anni di lavoro le persone debbano essere penalizzate" ha però sempre detto la Uil. Insomma, la trattativa sarebbe tutta da impostare."Bene la proposta della piattaforma sindacale per quota 41 per non tornare alla legge Fornero" ha ribadito da tempo il Sottosegretario all'Economia, Claudio Durigon (Lega). "Anche noi pensavamo a Quota 41, non posso che essere d'accordo con la proposta dei sindacati per non tornare alla legge Fornero" sottolinea il sottosegretario leghista, spiegando che "Quota 100 nasceva come una norma per la flessibilità in uscita che ha bloccato l'aspettativa di vita prevista dalla legge Fornero".La Quota 41 proposta prevede quindi la pensione anticipata con 41 anni di contributi senza un requisito anagrafico. Accompagnata da strumenti che consentano una certa flessibilità può davvero essere la sintesi giusta. Oggi in Italia per qualcuno Quota 41 esiste già. Dopo anni di discussione e lotte sindacali per re-introdurre un tetto massimo contributivo di 41 anni per uomini e donne, ovvero la cosiddetta Quota 41, l'articolo 1 co. 199 della Legge di Bilancio 2017 ha dato il via libera per questo tipo di intervento che concede particolari agevolazioni in termini di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro almeno in favore di categorie di lavoratori che abbiano condizioni lavorative ed economiche particolarmente disagiate. Il piano ora sarebbe quello di allargare la platea, ma una qualche forma di "penalizzazione" per chi lascia il lavoro in anticipo rispetto all'età anagrafica limite sarebbe inevitabile.Ipotesi scivolo di 5 anni per dipendenti pubblici e privatiC'è poi la proposta avanzata dal Ministro Brunetta che riguarda fondamentalmente i dipendenti della pubblica amministrazione, lo scivolo di 5 anni. Si tratterebbe di permettere ai dipendenti pubblici di accedere alla pensione a 62 anni con possibili penalizzazione sull'assegno (calcolo interamente contributivo?) che dovrebbe in qualche modo andare a ricalcare l'isopensione, oggi consentita ai soli dipendenti del settore privato, essendo l'anticipo interamente a carico del datore di lavoro. Inserendo le penalizzazioni, in ogni caso, si pensa che a pagare l'anticipo potrebbe essere il dipendente stesso ed in questo modo non ricadrebbero sulle casse dello Stato.Sul tavolo anche il potenziamento del contratto di espansione che, di fatto, consentirebbe di mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia o anticipata. Già introdotto dal Decreto Crescita nel 2019 ma solo per aziende di grandi dimensioni (oltre 1.000 lavoratori, e con un anticipo di soli due anni), l'ultima manovra ne ha ampliato la platea coinvolgendo anche le medie imprese (organico di almeno 250 lavoratori). Ora con il Decreto Sostegni bis c'è stato un ulteriore step abbassando la soglia per l'accesso ai contratti di espansione a 100 dipendenti e ampliando ancora la platea di possibili beneficiari di circa 15 mila aziende e circa 27 mila dipendenti nel 2021 (altrettanti nel 2022). Il contratto di espansione dà la possibilità di ridurre l'orario di lavoro, opzione della quale potranno beneficiare i dipendenti privi dei requisiti per accedere allo scivolo: per loro una speciale cassa integrazione a costo zero per l'azienda con riduzione massima dell'orario pari al 30%. Secondo i sindacati la proposta è eccessivamente costosa. Staremo a vedere.Pensioni: che cos'è lo scivolo con il contratto di espansioneMa che cos'è il contratto di espansione? In pratica consente di mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia ma anche anticipata. Serve un accordo da siglare presso il Ministero del Lavoro tra azienda e sindacati, che deve contenere anche un certo numero di nuove assunzioni e deve essere finalizzato alla reindustrializzazione e riorganizzazione in ottica di sviluppo tecnologico dell'attività. L'obiettivo è quello di favorire la ristrutturazione delle imprese in crisi e il ricambio generazionale.Il meccanismo funziona in questo modo: il lavoratore che si trova a meno di cinque anni dalla pensione chiude il rapporto con l'azienda e riceve in cambio la cosiddetta indennità di accompagnamento alla pensione. Ovvero una somma che gli viene corrisposta per tredici mensilità all'anno fino al compimento dei 67 anni e alla maturazione dei requisiti per lasciare il lavoro e maturare la pensione. A pagare sarà l'Inps ma a fornire i soldi sarà l'azienda di provenienza con cadenza mensile e garantita da una fidejussione. Non la cosa più semplice del mondo, sia chiaro. Ma un chiaro vantaggio per l'azienda è che dalla cifra versata al lavoratore viene sottratta la Naspi che gli dovrebbe essere corrisposta in caso di perdita del posto. Così un lavoratore che guadagna 36mila euro l'anno costerebbe all'azienda 100mila euro in cinque anni. Per il lavoratore c'è invece anche la possibilità di trovare un altro lavoro. Il dibattito è vivace in questi giorni, e lo diventerà sempre di più nel corso dei prossimi mesi. Nessuno si aspetta che la sintesi sarà trovata prima dell'autunno, e la strada è in salita. "Con Draghi tutti d'accordo (partito unico liberista) nel sferrare l'ennesima pugnalata alla classe lavoratrice" attacca Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista. Al momento le critiche all'assenza di programmi del governo sul fronte pensioni arrivano da partiti minori. Non è detto che non si alzino voci più forti nelle prossime settimane