/ Rassegna stampa » 2022 » Agosto » 17 » rassegna stampa dal 13 al 17 agosto 2022
 

rassegna stampa dal 13 al 17 agosto 2022

today.it

Scuola, alla Sicilia assegnati 163 milioni per nuovi laboratori e per trasformare le classi in ambienti innovativiin arrivo i fondi statali del "Piano Scuola 4.0" per gli istituti primari e secondari: oltre 40 milioni per la provincia di Palermo. Minardo (Lega): "Provvedimento fortemente sostenuto dal nostro partito, i dirigenti scolastici potranno decidere in autonomia come utilizzare le risorse". Floridia (M5S): "Intervento concreto".


Ammontano a 163 milioni di euro i fondi assegnati dal ministero dell'Istruzione alla Sicilia nell'ambito del "Piano Scuola 4.0". Nello specifico, lo stanziamento prevede 125 milioni per "Next generation classrooms", le classi innovative, e 38 milioni per "Next generation labs", gli spazi per le professioni digitali del futuro. I fondi sono stati assegnati attraverso un piano di riparto nazionale, sulla base del numero delle classi di ciascuna scuola, con una riserva del 40% a favore degli istituti scolastici delle Regioni del Mezzogiorno.Nello specifico arriveranno risorse sia per la scuola primaria che per la scuola secondaria per un importo complessivo di 40.276.237,90 euro per la provincia di Palermo, 35.846.273,20 euro per la provincia di Catania, 14.229.102,24 euro per la provincia della Agrigento, 9.531.788,35 euro per la provincia di Caltanissetta, 6.116.770,07 euro per la provincia di Enna, 19.925.928,68 euro per la provincia di Messina, 10.139.480,11 euro per la provincia di Ragusa, 13.392.890,11 euro per la provincia di Siracusa e 13.922.497,25 in provincia di Trapani."Si tratta di un provvedimento è stato fortemente sostenuto dalla Lega e frutto dell'importante impegno del sottosegretario Sasso. Il piano prevede la trasformazione di classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento e la creazione di laboratori per le professioni del futuro, e ciascuna scuola potrà decidere in autonomia come utilizzare le risorse. I dirigenti scolastici, in collaborazione con l'animatore digitale e il team per l'innovazione, potranno costituire un gruppo di progettazione insieme a docenti e studenti per pianificare gli interventi".Lo dice in una nota il deputato della Lega Nino Minardo, coordinatore del partito in Sicilia, che aggiunge: "A disposizione di ogni istituto ci saranno strumenti di accompagnamento, come il gruppo di supporto al Pnrr, costituito al ministero dell'Istruzione e negli Uffici scolastici regionali, oltre che la task force scuole, gestita in collaborazione con l'Agenzia per la coesione territoriale"."Ancora una volta, mentre gli altri chiacchierano, la Lega lavora per i cittadini e per dare risposte concrete alle richieste che arrivano dai territori di tutta Italia, a partire dalla nostra regione. Un passo in più per una scuola rinnovata e innovativa, capace di tutelare i ragazzi, le famiglie e i docenti", sottolinea Minardo.Per la sottosegretaria all'Istruzione, Barbara Floridia (M5S), siamo in presenza di "un intervento concreto che trasformerà profondamente la scuola italiana, rivoluzionando i processi di apprendimento delle nostre studentesse e dei nostri studenti, all'insegna della tecnologia e dell'innovazione"."Questo piano è suddiviso in due azioni. La prima è denominata Next generation classrooms 100 mila classi innovative, prevede che ciascuna scuola del primo e del secondo ciclo potrà trasformare almeno la metà delle classi attuali, progettando nuovi ambienti e una nuova didattica con un finanziamento complessivo di 1 miliardo e 296 milioni. La seconda si chiama Next generation labs, gli spazi per le professioni digitali del futuro: questa azione si rivolge alle scuole secondarie di secondo grado per realizzare laboratori in grado di sviluppare competenze digitali", conclude la Sottosegretaria Floridia.

openpolice.it 

A che punto è il dibattito su province e città metropolitane
Una riforma incompleta
Se fino ad alcuni anni fa, da un punto di vista istituzionale, le province erano enti amministrativi del tutto simili ai comuni con un presidente e un consiglio eletti direttamente dai cittadini, attualmente la situazione è decisamente più complessa e a tratti confusa. E questo a partire dal nome. Parlare semplicemente di province infatti è, da un punto di vista amministrativo, molto riduttivo, essendo ora queste solo uno dei diversi "enti di area vasta" presenti sul territorio. Oltre alle province infatti, sono "enti di area vasta" le 14 città metropolitane ma anche i 6 liberi concorzi comunali della Sicilia e i 4 enti di decentramento regionale (Edr) del Friuli-Venezia Giulia.Un assetto questo delineato dalla legge 56/2014 ovvero la cosiddetta legge Delrio, oltre che da alcune leggi di regioni a statuto speciale che, come la normativa nazionale, rispondevano un'idea molto diffusa in quella fase politica. Ovvero che le province fossero enti sostanzialmente da superare. Proprio per questo la legge aveva definito una disciplina che sarebbe dovuta essere transitoria, in attesa della completa abolizione delle province.
La riforma costituzionale Renzi-Boschi infatti prevedeva che le città metropolitane restassero gli unici enti di area vasta presenti nel paese. Come è noto però la riforma non è mai entrata in vigore, visto il voto contrario al referendum. Da quel momento la "normativa provvisoria", seppur con qualche accorgimento, è rimasta attiva per 8 anni. Un periodo lungo in cui è diventato evidente come l'indebolimento degli enti di area vasta abbia rappresentato una criticità nel sistema istituzionale locale.
Uno degli aspetti critici, relativi in particolare alle province, ha riguardato in questi anni il loro profilo finanziario. Intanto perché a questi enti si è iniziato a togliere risorse da ben prima della riforma Delrio. Inoltre perché questa riforma ha delineato un quadro finanziario del tutto incerto per enti che tuttavia rimangono attivi e titolari di competenze tutt'altro che residuali. È infatti alle province, o comunque agli enti di area vasta che spetta la gestione delle strade provinciali e la manutenzione dell'edilizia scolastica.La sentenza della corte costituzionaleMa a smuovere le acque sul tema degli enti di area vasta è stato soprattutto un intervento della corte costituzionale arrivato lo scorso novembre con la sentenza 240/2021. La consulta infatti, pur avendo dichiarato inammissibile il ricorso proposto, ha tenuto a specificare in alcuni passaggi del dispositivo la non infondatezza di varie delle questioni sollevate, invitando peraltro il parlamento a prendere provvedimenti.Da un punto di vista giuridico costituzionale il ricorrente ha sostenuto che l'attuale sistema con cui viene designato il sindaco metropolitano sia lesivo dei diritti costituzionali di rappresentanza politica dei cittadini residenti nei comuni non capoluogo della città metropolitana. Il sistema attuale infatti prevede che il sindaco del comune capoluogo sia automaticamente anche il sindaco della città metropolitana. In questo modo dunque l'individuazione di questa figura è posta esclusivamente in capo ai cittadini residenti nel comune capoluogo mentre restano esclusi dal processo elettorale tutti gli altri.Questa impostazione tuttavia non è stata condivisa dalla corte che ha sostenuto come i residenti del comune capoluogo votino esclusivamente il sindaco del proprio comune e non quello metropolitano. A determinare che sia questa stessa persona a ricoprire il ruolo di sindaco metropolitano quindi non sono gli elettori, ma esclusivamente la legge.Una posizione questa che oltre a non essere condivisa da tutta la dottrina da un punto di vista tecnico è smentita nella pratica dal fatto che in diverse elezioni comunali il tema della città metropolitana è stato al centro della campagna elettorale di alcuni candidati presso il comune.Quello di sindaco metropolitano dunque è stato, secondo la corte, configurato come un incarico non elettivo. Proprio da questo quindi la consulta procede sottolineando come questa non elettività, legittima in sé, configuri un diverso rapporto tra cittadini e vertici istituzionali nelle province e nelle città metropolitane. Nelle prime infatti gli organi politici sono scelti attraverso un'elezione, seppur di secondo livello, nelle seconde no.


pamagazine.it
Tfs-Tfr statali, ecco la tassa occulta che taglia la buonuscita
Il tempo è ormai scaduto. Quella che poteva essere considerata un'intollerabile ingiustizia, adesso si trasforma anche in un enorme danno economico per centinaia di migliaia di famiglie. Il pagamento del Tfs (trattamento di fine servizio) o del Tfr (Trattamento di fine rapporto) ai dipendenti della Pubblica amministrazione è un'emergenza. La questione è nota, anche se sistematicamente ignorata dai governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni. I lavoratori pubblici, gli uomini e le donne che mandano avanti la macchina statale, dagli infermieri ai poliziotti, dagli insegnanti ai vigili urbani, quando vanno in pensione ricevono la loro "liquidazione" fino a cinque anni dopo aver finito il loro servizio per lo Stato. Si tratta di una misura introdotta per salvare l'Italia dalla crisi dello spread del 2011, quando fu deciso che uno dei prezzi più alti di quella stagione di austerity dovesse essere pagato dal pubblico impiego.
LA TASSA OCCULTA
Ma adesso c'è un fatto nuovo. Una circostanza che rende intollerabile ed economicamente inaccettabile mantenere in piedi questa misura punitiva per i dipendenti pubblici: l'inflazione. Negli ultimi dieci anni i prezzi non sono aumentati. Il caro-vita è stato inesistente. La Banca centrale europea ha tenuto i tassi a zero e per un certo periodo addirittura negativi. I dipendenti pubblici hanno ricevuto il loro Tfs e il loro Tfr tra i due e i cinque anni dopo il pensionamento, hanno dovuto attendere ma non ci hanno rimesso. Ora con l'inflazione superiore all'8 per cento subiranno una penalizzazione, dopo aver lavorato per quaranta anni, ingiustificabile. Chi, per fare un esempio, andasse in pensione quest'anno avendo maturato 100 mila euro di Tfs o di Tfr, supponendo nel migliore dei casi che ricevesse la liquidazione tra due anni, è come se ottenesse 86 mila euro con un'inflazione all'8 per cento annuo. Insomma, sarebbe quanto meno necessario intervenire riconoscendo una rivalutazione delle somme pagate in ritardo con un meccanismo simile a quello delle pensioni.
L'ACCORDO BEFFA
Per adesso, invece, il governo ha deciso semplicemente di rinnovare per altri due anni il cosiddetto "anticipo" fino a 45 mila euro. I dipendenti pubblici possono chiedere alle banche convenzionate un prestito fino a 45 mila euro del loro Tfs-Tfr, a un tasso d'interesse "calmierato" fissato allo 0,4 per cento. Le banche, secondo la convenzione firmata dal governo e dall'Associazione bancaria, non possono applicare ai richiedenti altre commissioni. Resta la peculiarità, per usare un eufemismo, della necessità per i dipendenti pubblici di dover ricorrere a un prestito per ottenere soldi che di fatto sono loro e che lo Stato dovrebbe versare senza troppi indugi. Una beffa, insomma
LA CORTE COSTITUZIONALELa vicenda del pagamento ritardato del Tfs-Tfr da parte dello Stato è già arrivato davanti alla Corte Costituzionale grazie a un ricorso presentato da Unsa-Confsal (che edita questo sito). E cosa hanno detto i giudici? Hanno detto sostanzialmente che il pagamento ritardato della liquidazione è ammissibile se il dipendente ha usato uno scivolo per anticipare la pensione. Per esempio Quota 100. Se il lavoratore ha lasciato il posto a 62 anni, lo Stato può insomma ritardare il pagamento del Tfs-Tfr fino al momento in cui lo stesso lavoratore sarebbe dovuto andare in pensione con i normali requisiti (67 anni). I giudici della Consulta però, hanno mandato un avviso al Parlamento, chiedendo di intervenire sul tema. Il concetto espresso è semplice: se un dipendente lascia il lavoro al compimento dei 67 anni, ho una volta raggiunta la contribuzione massima, allora il pagamento del Tfr-Tfs non può essere rimandato. Un invito (ignorato fino ad oggi) a intervenire. Il caso esaminato dai giudici riguardava un pensionamento anticipato. Ma nel momento in cui davanti alla Corte arriverà il caso di un dipendente andato in pensione con i requisiti di vecchiaia o contributivi pieni, la decisione appare scontata. Tanto più che ora, a danneggiare i dipendenti pubblici, c'è anche la tassa occulta dell'inflazione.

Valuta questo sito: RISPONDI AL QUESTIONARIO