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Rassegna stampa del 12 gennaio 2023

today.it

Perché tornano le Province Una volta erano considerati enti antistorici. Oggi sono quattro i Ddl depositati in Senato per ritornare a eleggere presidente e consiglieri provinciali

Le province stanno tornando. Da anni non se ne sentiva parlare. In passato erano diventate la fissazione di chi si dichiarava nemico della burocrazia; l'emblema di ogni spreco di denaro pubblico; erano guardate come carrozzoni, utili solo a garantire qualche poltrona ai politici. Non se ne è più discusso per dieci anni, da quando le province sono state ridimensionate con la così detta "Riforma Delrio". Nel 2014 la legge partorita dall'allora governo Renzi aveva dato il colpo di grazia ai già svuotati organi provinciali: privati di competenze, strutture, personale e senza che i componenti fossero eletti a suffragio universale. Sembravano delle metastasi da eliminare. Fino a oggi perché, dall'inizio del governo Meloni, sono già stati depositati quattro Ddl di Fratelli d'Italia, Forza Italia, Lega e Pd. Tutti vogliono il ritorno alle province. Possibile? Cerchiamo di capire perché. Dallo svuotamento delle Province alla legge DelrioOltre venti anni fa, le province avevano un peso importante perché erano lo snodo fra i Comuni e le Regioni. Le elezioni provinciali richiamavano l'elettorato a votare un organo che, seppur non come il comune di residenza, rappresentava un'istituzione vicina e tangibile al proprio territorio. Prima della riforma infatti, ogni cinque anni, i cittadini eleggevano il consiglio provinciale e il presidente della provincia. Di fatto, con il passaggio delle urne (e legge elettorale con premio di maggioranza) il sistema era assimilabile a quello dei comuni, con un presidente eletto, una maggioranza a sostegno di quest'ultimo in consiglio, una giunta formata da membri della maggioranza e le liste sconfitte all'opposizione. Tuttavia, già a partire dal 2010, sono cominciati i primi assalti per sottrarre risorse e competenze alle province, viste ormai come strutture sacrificabili e da cui poter ricavare un risparmio in termini di spesa pubblica. La vera svolta però è arrivata durante il governo Matteo Renzi nel 2014. L'allora Ministro alle Infrastrutture e trasporti Graziano Delrio ha tentato di portare a termine il piano di abbattere quegli enti diventati ormai antistorici. Per superare le province, sono state abolite le elezioni dirette e gli enti hanno perso quasi tutte le loro competenze. Mappa Province - foto sito Unione province d'Italia Il problema è che questa condizione sarebbe dovuta essere temporanea. Infatti la riforma Delrio era legata alla legge costituzionale su cui Maria Elena Boschi e Matteo Renzi avevano fatto il loro all-in politico. Se fosse passato il referendum, le province sarebbero state abolite del tutto. Non è andata così. Nel dicembre 2016 i cittadini si sono detti contrari alle modifiche della Costituzione del premier Renzi, compresa l'eliminazione delle province. Le province sono rimaste ma come le aveva lasciare la manovra di Derio, cioè a pezzi. Quella che sarebbe dovuta essere una legge pro tempore, è diventata strutturale. Così, da quella volta, non ci sono stati più interventi. È stato  proprio in questi otto anni che ci si è resi conto del livello di indebolimento a cui sono arrivati gli enti provinciali, che si è tradotto in un ulteriore aggravio di lavoro per altri enti, con altri costi e maggiori problemi per i territori più periferici della ree vaste. Le province, come funzionano oggi  non si vota più per gli organi provinciali. Ogni due anni, sono i consiglieri comunali e i sindaci a eleggere, a loro volta, il consiglio provinciale. Ogni quattro scelgono il presidente della provincia, che deve essere necessariamente un sindaco con almeno 18 mesi di mandato sul suo curriculum. La stessa cosa vale per le città metropolitane, con l'unica differenza che il sindaco metropolitano è di diritto quello del comune capoluogo. Anche i servizi sono cambiati. DI fatto alle province sono rimaste tre competenze e anche parziali: scuola, viabilità e parte dell'ambiente. Se ne rende di più conto chi vive lontano dai centri, dove i servizi arrivano con maggiore fatica. Infatti, secondo i numeri dell'Ufficio valutazione impatto del Senato, alle ex province sono rimaste in gestione circa 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In molti casi collocate in aree montane, dove spesso non esistono collegamenti alternativi. C'è poi l'edilizia scolastica ha un impatto sulla vivibilità dei comuni. In particolare di quelli interni, soggetti a un progressivo spopolamento proprio per la carenza di servizi. Perciò anche in questo ambito, alle ex province è stato lasciato un compito di tutto rilievo. Tutto questo apre a tre problematiche, individuate da Openpolis, in un rapporto basato su dati Istat: l'elezione indiretta del presidente e del consiglio provinciale; L'incertezza del quadro finanziario in cui operano; la difficoltà di riordinare le funzioni di area vasta nel nuovo sistema. In particolare, la prima criticità è forse quella più preoccupante perché oggi, chi amministra la provincia, lo fa a tempo perso, senza remunerazione e senza alcun riconoscimento. Se ne occupa dopo aver affrontato le urgenze a livello comunale, dove è stato scelto attraverso il voto dei cittadini. In provincia dunque vi è una classe dirigente deresponsabilizzata in quanto delegittimata. Basta guarda alle campagne elettorali. Le formazioni, che devono pur essere scelte dai sindaci e consiglieri comunali, possono rispondere ai più classici blocchi politici destra contro sinistra. Eppure negli anni ci sono stati casi di accordi trasversali fra partiti in antitesi ma uniti dall'interesse di rappresentare precise esigenze territoriali. Nella storia si è visto di tutto. Ci sono stati anche casi di coalizioni anomale, con formazioni di liste trasversali non riconducibili né alla destra né alla sinistra. In provincia di Vicenza, in una occasione, si sono fronteggiati i comuni del nord con quelli del sud, con i partiti uniti trasversalmente per fare gli interessi della propria porzione di provincia. Insomma c'è stata una progressiva spoliticizzazione, fino all'irrilevanza. Alla fine chi ci ha rimesso sono state le Regioni e i Comuni, ai quali sono passate tutte le competenze delle province esautorate, con il rischio di lasciare indietro quei territori, interessati ai servizi rimasti nella gestione delle province. Quattro Ddl per far rivivere le province L'esperienza ha dunque portato i partiti ad affrontare questo problema, proponendo quattro disegni di legge per il ripristino del sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle province: uno di Forza Italia a prima firma Licia Ronzulli insieme ad altri senatori, tra cui Silvio Berlusconi; uno di Marco Silvestroni di Fratelli d'Italia; uno di Massimiliano Romeo della Lega e uno di Bruno Astorre del Partito democratico. La proposta della capogruppo di Forza Italia in Senato prevede che il presidente della provincia e i consiglieri provinciali siano eletti a suffragio universale e diretto. In particolare l'articolo 2 "prevede l'elezione diretta del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano. L'articolo 6 provvede alla ridefinizione delle funzioni fondamentali delle province sulla base di principi che riguardano l'autonomia organizzativa, l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale nonché funzioni concernenti la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade e la programmazione, l'organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l'edilizia scolastica, relativi all'istruzione secondaria di secondo grado".Anche il leghista Romeo vuole reintrodurre l'elezione diretta degli amministratori provinciali con il sistema previsto precedentemente al 2000. In più Romeo prevede anche una modifica per l'elezione del sindaco dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Se la sua proposta dovesse essere approvata dal Parlamento, sarebbe proclamato eletto sindaco "il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l'elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età". Infine la proposta del democratico Bruno Astorre, che non solo vuole reintrodurre le provincie ma vuole anche "introdurre il medesimo sistema elettorale anche per il sindaco e per il consiglio metropolitano. Stabilendo al contempo l'indennità di carica per il presidente della provincia e il diritto, per i consiglieri, di percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni". Tutte proposte depositate e pronte a finire sul tavolo della commissione Affari costituzionali che, a giorni, inizierà le audizioni e l'esame congiunto dei testi. La relatrice è la leghista Daisy Pirovano, che si è detta emozionata di avere in mano anche un testo del Pd, perché "finalmente anche voi avete capito che quella riforma è stata un errore". Al netto della posizione politica della senatrice del Carroccio, i disegni di legge non si discostano molto l'uno dall'altro: partono da premesse condivise per approdare a proposte simili. Non è dunque escluso che si possa arrivare a un testo bipartisan, sostenuto sia a destra che a sinistra.  


lastampa.it
GLI ORGANI PROVINCIALI DOVEVANO ESSERE ABOLITI DEFINITIVAMENTE, ORA MAGGIORANZA E DEM PUNTANO A RIMETTERLI IN PIEDI CON PIENI POTERI

Tornano le province. Depotenziate dalle legge Delrio del 2014, ai tempi del governo Renzi, ora centrodestra e Pd puntano a rimetterle in piedi con pieni poteri. Sono stati depositati in Senato quattro disegni di legge per il ripristino del sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle province. Quello di Forza Italia porta la firma di Licia Ronzulli e di altri dodici senatori azzurri, tra cui Silvio Berlusconi. Poi ci sono i ddl di Marco Silvestroni (FdI), di Massimiliano Romeo (Lega) e Bruno Astorre (Pd).
A giorni la commissione Affari costituzionali inizierà le audizioni e l'esame congiunto dei testi. La relatrice, la leghista Daisy Pirovano, ieri si è concessa una battuta davanti ai colleghi: «Sono emozionata di avere in mano anche un testo del Pd, finalmente anche voi avete capito che quella riforma è stata un errore». L'esito finale, «se si trovasse una proposta equilibrata» come dice Astorre, potrebbe anche essere un testo bipartisan.
Le province furono svuotate delle loro funzioni dalla riforma Delrio, che passò alla Camera tra le proteste del centrodestra. «Golpe! Questo è un golpe! Votiamo compatti no», gridava dai banchi dell'aula Renato Brunetta, allora capogruppo di FI. «Abbiamo detto basta a tremila politici nelle province», esultava invece Renzi: sulle riforme «dobbiamo andare avanti come un rullo compressore».
Mentre Giorgia Meloni ironizzava: «Primo vero prodigio di Renzi, finge di abolire le province e crea 25 mila poltrone in più. Supereroe». Dovevano poi essere definitivamente abolite con la riforma della Costituzione, ma la bocciatura del referendum del 4 dicembre 2016 lasciò le province a fluttuare in una zona grigia.
Ecco che ora le forze politiche provano a inserire la retromarcia. Partendo proprio dall'esito della consultazione popolare che chiuse l'esperienza di Renzi a palazzo Chigi, «quando in modo chiaro la stragrande maggioranza dei cittadini ha bocciato le riforme costituzionali nel loro complesso», scrive Romeo nel ddl che porta la sua firma e che «si prefigge lo scopo di ripristinare la legalità costituzionale».
Il disegno di legge di Forza Italia intende «ridare voce a milioni di elettori che si sono visti rimuovere il loro diritto a votare direttamente il loro presidente della provincia e il consiglio provinciale», spiega Licia Ronzulli. Il testo di FI e quello della Lega hanno in comune anche l'abolizione del ballottaggio nei comuni oltre i 15 mila per i sindaci che al primo turno abbiano preso il 40% dei voti. Il Pd chiede di rivalutare il ruolo e ripristinare le funzioni delle province «molto spesso oggetto di campagne approssimative e fuorvianti, a tratti eccessivamente denigratorie». Astorre auspica «una sorta di ripensamento normativo», necessario per «completare la riforma del Titolo V in senso ancor più autonomistico».
Anche FdI chiede di tornare all'assetto istituzionale pre 2014, cancellando la legge Delrio che «in sostanza si è limitata ad abolire i compensi e l'elezione diretta degli organi provinciali e delle città metropolitane. Questa esperienza negativa deve essere superata - chiedono Silvestroni e altri sei senatori del partito - e la parola deve tornare ai cittadini che dovranno essere di nuovo chiamati a eleggere gli amministratori». Dietrofront, nove anni dopo.


ITALIAOGGI
Parte il cantiere di riforma dell'abuso d'ufficio.
Si è aperto ieri al ministero della Giustizia il tavolo che, come promesso ufficialmente ai sindaci dal presidente del consiglio Giorgia Meloni e annunciato dal Guardasigilli, Carlo Nordio, porterà a ridisegnare i reati di abuso d'ufficio e traffico di influenze
Parte il cantiere di riforma dell'abuso d'ufficio. Si è aperto ieri al ministero della Giustizia il tavolo che, come promesso ufficialmente ai sindaci dal presidente del consiglio Giorgia Meloni e annunciato dal Guardasigilli, Carlo Nordio, porterà a ridisegnare i reati di abuso d'ufficio e traffico di influenze, adeguandoli alla realtà. Ossia la realtà di un reato che fa registrare solo il 3 per cento di condanne, mentre le statistiche indicano 5400 procedimenti nel 2021, conclusi con 9 condanne davanti al gip e 18 in sede di dibattimento. Nordio, assieme al viceministro Francesco Paolo Sisto e ai sottosegretari, Andrea Delmastro Delle Vedove ed Andrea Ostellari, hanno annunciato la presentazione di un disegno di legge governativo che miri a superare la paura della firma degli amministratori pubblici. L'obiettivo di via Arenula è sconfiggere la burocrazia difensiva che rischia di essere ancora più dannosa per il nostro Paese in un periodo in cui invece bisognerà accelerare con la messa a terra dei progetti finanziati dal Pnrr. Il ministero ha annunciato "interventi radicali in tempi brevissimi nel modo più idoneo a raccogliere le istanze ripetutamente formulate dall'Anci". Una formula che lascia aperte entrambe le ipotesi in campo: la cancellazione totale del reato o la sua radicale trasformazione, eliminando il cosiddetto abuso d'ufficio di vantaggio (in cui un atto amministrativo viene ritenuto abusivo e fa scattare la responsabilità penale solo sulla scorta dell'ipotesi che quell'atto possa provocare un vantaggio) e lasciando in vigore il cosiddetto abuso d'ufficio di danno ossia quello che arreca ad altri un danno ingiusto. In questa direzione muove la proposta di legge presentata a fine 2022 dai deputati di Forza Italia Roberto Pella (primo firmatario), Pietro Pittalis e Alessandro Cattaneo. L'altra ipotesi, ossia quella della cancellazione totale (anch'essa trasposta in una proposta di legge di Forza Italia, questa volta a prima firma Pittalis), inizialmente considerata più radicale e quindi di più complessa realizzazione, sta però via via creando consensi. Non solo all'interno della platea dei sindaci, ma anche all'interno del governo. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, lo stesso Nordio (così come Sisto) propenderebbero per cancellare del tutto l'art.323 del codice penale. Una prospettiva che, tuttavia, non raccoglierebbe favori in Fratelli d'Italia a cominciare dal sottosegretario Delmastro Delle Vedove che invece sarebbe più favorevole alla riforma del reato senza cancellarlo. Soddisfazione per l'avvio del tavolo è stata espressa da Roberto Pella (che è anche vicepresidente vicario dell'Anci). "L'auspicio dei sindaci è di essere messi nelle condizioni di lavorare e solo intervenendo sull'abuso d'ufficio potranno essere liberati dalla paura di azioni giudiziarie "


LENTEPUBBLICA
Congedo Parentale: tutte le novità del 2023
Dopo l'approvazione della legge di bilancio 2023 alla fine dello scorso anno sono arrivate anche alcune novità in materia di congedo parentale: ecco un riepilogo.
All'interno della manovra economica per il 2023, che per quest'anno ha un  valore complessivo pari a 35 miliardi di euro, sono presenti numerose misure a tutela del lavoro e della famiglia.
Sono presenti, infatti, tra le altre cose, misure contro l'inflazione, sull'assegno unico per le famiglie, sul reddito alimentare e sul congedo parentale.
Analizziamo, in questo breve articolo, quali sono tutte le novità previste su quest'ultimo punto e su come cambia il congedo parentale a partire dal 2023.
Congedo Parentale: tutte le novità del 2023
Si ricorda che il congedo parentale è rivolto a lavoratrici e lavoratori dipendenti, a condizione che abbiano un rapporto di lavoro in corso.
L'indennità, invece, non spetta a:
genitori disoccupati o sospesi;
genitori lavoratori domestici;
genitori lavoratori a domicilio.
Ma quali sono le novità per quest'anno? La legge di bilancio allunga, nello specifico, i tempi di fruizione per il congedo parentale e aumenta le retribuzioni totali.
Nello specifico si registra un incremento dal 30 all'80 per cento sull'indennità per congedo parentale destinata a:
madri lavoratrici dipendenti
padri lavoratori dipendenti
Tuttavia questi soggetti possono fruire dell'indennità maggiorata all'80 per cento:
in alternativa tra loro
e nel limite massimo di un mese da usufruire entro il sesto anno di vita del figlio con riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori che terminano il periodo di congedo di maternità o di paternità successivamente al 31 dicembre 2022.
Confermate le novità introdotte dal DL Conciliazione vita-lavoro
Restano inoltre in vigore tutte le altre novità in materia di congedo parentale introdotte dal decreto conciliazione vita-lavoro (Decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105.)
Con questo testo il diritto all'indennità risulta esteso fino ai 12 anni d'età del bambino, rispetto ai sei anni precedentemente previsti, e con una diversa ripartizione dei periodi indennizzabili che complessivamente possono arrivare fino a un massimo di nove mesi e non più sei.
In presenza di un solo genitore o di un genitore con affidamento esclusivo, la durata massima del congedo per i figli fino a 12 anni di età, passa da 10 a 11 mesi.
Per quanto riguarda i genitori adottivi e affidatari, la legge prevede infatti che siano equiparati ai genitori naturali in materia di congedi per maternità e congedi parentali.
Infine il diritto all'indennità si prescrive entro un anno e decorre dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile. Per evitare la perdita del diritto, è necessario che la lavoratrice o il lavoratore presentino all'INPS (prima dello scadere dell'anno) istanze scritte di data certa, dirette a ottenere il pagamento della indennità.
Quando fare domanda?
La domanda va inoltrata prima dell'inizio del periodo di congedo richiesto. Se viene presentata dopo saranno pagati solo i giorni di congedo successivi alla data di presentazione della domanda.
Per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, l'indennità è anticipata dal datore di lavoro, tranne per gli operai agricoli a tempo determinato, i lavoratori stagionali a termine e i lavoratori dello spettacolo a tempo determinato, per i quali è previsto il pagamento diretto dall'INPS, così come per le lavoratrici e i lavoratori iscritti alla Gestione Separata e per le lavoratrici autonome.
Come fare domanda?
Le lavoratrici e i lavoratori possono presentare la domanda di congedo parentale online all'INPS attraverso il servizio dedicato (previa registrazione/accesso con credenziali). Il menu del servizio si articola nelle seguenti voci:
informazioni - pagina che descrive le prestazioni previste per le differenti categorie di lavoratori in caso di parto, adozione o affidamento;
manuali - pagina dalla quale è possibile consultare e scaricare i manuali d'uso della funzionalità di "acquisizione domanda" disponibili per ogni categoria di lavoratrice/lavoratore;
acquisizione domanda - funzionalità che consente la compilazione e l'invio della domanda di congedo parentale per le diverse categorie di lavoratrici/lavoratori;
annullamento domande - funzionalità che permette di annullare la domanda inserita;
consultazione domande - funzionalità che consente di verificare le domande inserite e inviate all'INPS.
In alternativa, si può fare la domanda tramite:
Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;
Enti di patronato e intermediari dell'Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.


GRANDANGOLO
Gli studenti della scuola media Galileo Galilei di Raffadali visitano il Palazzo della Provincia
Si tratta di progetto volto a far conoscere ed apprezzare i luoghi del territorio e condividere con i ragazzi la bellezza del nostro territorio.
Da Redazione
Iniziata questa mattina, la visita degli studenti della scuola media "Galileo Galilei " di Raffadali, accompagnati dai rispettivi docenti, alla scoperta del patrimonio culturale della città di Agrigento.
Si tratta di un progetto voluto dalla Dirigente dell'Istituto Antonella Argento per far conoscere ed apprezzare i luoghi del territorio e condividere con i ragazzi la bellezza del nostro territorio.
50 ragazzi delle classi prime hanno  partecipato ad un tour alla scoperta dei luoghi del Libero Consorzio Comunale di Agrigento, iniziativa che ha trovato l'accoglimento del Commissario straordinario Raffaele Sanzo. Il Palazzo   della Provincia, la Scala Reale, la Biblioteca Provinciale, sono state le tappe principali degli studenti accompagnati dai funzionari dell'Ente che hanno illustrato gli spazi culturali, oggetto della visita. I ragazzi hanno visitato, dunque,  il Palazzo della Provincia, partendo dalla   Biblioteca Provinciale che raccoglie circa 6000 volumi, la Scala Reale con gli straordinari affreschi, la Galleria dei Presidenti ed infine  l'Aula Consiliare " Luigi Giglia ".
All'interno dell'Aula Consiliare, gli studenti hanno ascoltato le illustrazioni dei funzionari dell'Ente partecipando al dibattito con domande e curiosità.


AGRIGENTONOTIZIE 

Perché tornano le Province

Una volta erano considerati enti antistorici. Oggi sono quattro i Ddl depositati in Senato per ritornare a eleggere presidente e consiglieri provincialiLe province stanno tornando. Da anni non se ne sentiva parlare. In passato erano diventate la fissazione di chi si dichiarava nemico della burocrazia; l'emblema di ogni spreco di denaro pubblico; erano guardate come carrozzoni, utili solo a garantire qualche poltrona ai politici. Non se ne è più discusso per dieci anni, da quando le province sono state ridimensionate con la così detta "Riforma Delrio". Nel 2014 la legge partorita dall'allora governo Renzi aveva dato il colpo di grazia ai già svuotati organi provinciali: privati di competenze, strutture, personale e senza che i componenti fossero eletti a suffragio universale. Sembravano delle metastasi da eliminare. Fino a oggi perché, dall'inizio del governo Meloni, sono già stati depositati quattro Ddl di Fratelli d'Italia, Forza Italia, Lega e Pd. Tutti vogliono il ritorno alle province. Possibile? Cerchiamo di capire perché.
Dallo svuotamento delle Province alla legge Delrio
Oltre venti anni fa, le province avevano un peso importante perché erano lo snodo fra i Comuni e le Regioni. Le elezioni provinciali richiamavano l'elettorato a votare un organo che, seppur non come il comune di residenza, rappresentava un'istituzione vicina e tangibile al proprio territorio. Prima della riforma infatti, ogni cinque anni, i cittadini eleggevano il consiglio provinciale e il presidente della provincia. Di fatto, con il passaggio delle urne (e legge elettorale con premio di maggioranza) il sistema era assimilabile a quello dei comuni, con un presidente eletto, una maggioranza a sostegno di quest'ultimo in consiglio, una giunta formata da membri della maggioranza e le liste sconfitte all'opposizione.
Tuttavia, già a partire dal 2010, sono cominciati i primi assalti per sottrarre risorse e competenze alle province, viste ormai come strutture sacrificabili e da cui poter ricavare un risparmio in termini di spesa pubblica. La vera svolta però è arrivata durante il governo Matteo Renzi nel 2014. L'allora Ministro alle Infrastrutture e trasporti Graziano Delrio ha tentato di portare a termine il piano di abbattere quegli enti diventati ormai antistorici. Per superare le province, sono state abolite le elezioni dirette e gli enti hanno perso quasi tutte le loro competenze. 
Il problema è che questa condizione sarebbe dovuta essere temporanea. Infatti la riforma Delrio era legata alla legge costituzionale su cui Maria Elena Boschi e Matteo Renzi avevano fatto il loro all-in politico. Se fosse passato il referendum, le province sarebbero state abolite del tutto. Non è andata così. Nel dicembre 2016 i cittadini si sono detti contrari alle modifiche della Costituzione del premier Renzi, compresa l'eliminazione delle province.
Le province sono rimaste ma come le aveva lasciare la manovra di Derio, cioè a pezzi. Quella che sarebbe dovuta essere una legge pro tempore, è diventata strutturale. Così, da quella volta, non ci sono stati più interventi. È statov proprio in questi otto anni che ci si è resi conto del livello di indebolimento a cui sono arrivati gli enti provinciali, che si è tradotto in un ulteriore aggravio di lavoro per altri enti, con altri costi e maggiori problemi per i territori più periferici della ree vaste. 
Le province, come funzionano oggi
Oggi non si vota più per gli organi provinciali. Ogni due anni, sono i consiglieri comunali e i sindaci a eleggere, a loro volta, il consiglio provinciale. Ogni quattro scelgono il presidente della provincia, che deve essere necessariamente un sindaco con almeno 18 mesi di mandato sul suo curriculum. La stessa cosa vale per le città metropolitane, con l'unica differenza che il sindaco metropolitano è di diritto quello del comune capoluogo. 
Anche i servizi sono cambiati. DI fatto alle province sono rimaste tre competenze e anche parziali: scuola, viabilità e parte dell'ambiente. Se ne rende di più conto chi vive lontano dai centri, dove i servizi arrivano con maggiore fatica. Infatti, secondo i numeri dell'Ufficio valutazione impatto del Senato, alle ex province sono rimaste in gestione circa 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In molti casi collocate in aree montane, dove spesso non esistono collegamenti alternativi. C'è poi l'edilizia scolastica ha un impatto sulla vivibilità dei comuni. In particolare di quelli interni, soggetti a un progressivo spopolamento proprio per la carenza di servizi. Perciò anche in questo ambito, alle ex province è stato lasciato un compito di tutto rilievo.
Tutto questo apre a tre problematiche, individuate da Openpolis, in un rapporto basato su dati Istat: 
l'elezione indiretta del presidente e del consiglio provinciale;
L'incertezza del quadro finanziario in cui operano;
la difficoltà di riordinare le funzioni di area vasta nel nuovo sistema.
In particolare, la prima criticità è forse quella più preoccupante perché oggi, chi amministra la provincia, lo fa a tempo perso, senza remunerazione e senza alcun riconoscimento. Se ne occupa dopo aver affrontato le urgenze a livello comunale, dove è stato scelto attraverso il voto dei cittadini. In provincia dunque vi è una classe dirigente deresponsabilizzata in quanto delegittimata. 
Basta guarda alle campagne elettorali. Le formazioni, che devono pur essere scelte dai sindaci e consiglieri comunali, possono rispondere ai più classici blocchi politici destra contro sinistra. Eppure negli anni ci sono stati casi di accordi trasversali fra partiti in antitesi ma uniti dall'interesse di rappresentare precise esigenze territoriali. Nella storia si è visto di tutto. Ci sono stati anche casi di coalizioni anomale, con formazioni di liste trasversali non riconducibili né alla destra né alla sinistra. In provincia di Vicenza, in una occasione, si sono fronteggiati i comuni del nord con quelli del sud, con i partiti uniti trasversalmente per fare gli interessi della propria porzione di provincia. Insomma c'è stata una progressiva spoliticizzazione, fino all'irrilevanza.
Alla fine chi ci ha rimesso sono state le Regioni e i Comuni, ai quali sono passate tutte le competenze delle province esautorate, con il rischio di lasciare indietro quei territori, interessati ai servizi rimasti nella gestione delle province. 
Quattro Ddl per far rivivere le province
L'esperienza ha dunque portato i partiti ad affrontare questo problema, proponendo quattro disegni di legge per il ripristino del sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle province: uno di Forza Italia a prima firma Licia Ronzulli insieme ad altri senatori, tra cui Silvio Berlusconi; uno di Marco Silvestroni di Fratelli d'Italia; uno di Massimiliano Romeo della Lega e uno di Bruno Astorre del Partito democratico.
La proposta della capogruppo di Forza Italia in Senato prevede che il presidente della provincia e i consiglieri provinciali siano eletti a suffragio universale e diretto. In particolare l'articolo 2 "prevede l'elezione diretta del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano. L'articolo 6 provvede alla ridefinizione delle funzioni fondamentali delle province sulla base di principi che riguardano l'autonomia organizzativa, l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale nonché funzioni concernenti la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade e la programmazione, l'organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l'edilizia scolastica, relativi all'istruzione secondaria di secondo grado".
Anche il leghista Romeo vuole reintrodurre l'elezione diretta degli amministratori provinciali con il sistema previsto precedentemente al 2000. In più Romeo prevede anche una modifica per l'elezione del sindaco dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Se la sua proposta dovesse essere approvata dal Parlamento, sarebbe proclamato eletto sindaco "il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l'elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età". 
Infine la proposta del democratico Bruno Astorre, che non solo vuole reintrodurre le provincie ma vuole anche "introdurre il medesimo sistema elettorale anche per il sindaco e per il consiglio metropolitano. Stabilendo al contempo l'indennità di carica per il presidente della provincia e il diritto, per i consiglieri, di percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni".
Tutte proposte depositate e pronte a finire sul tavolo della commissione Affari costituzionali che, a giorni, inizierà le audizioni e l'esame congiunto dei testi. La relatrice è la leghista Daisy Pirovano, che si è detta emozionata di avere in mano anche un testo del Pd, perché "finalmente anche voi avete capito che quella riforma è stata un errore". Al netto della posizione politica della senatrice del Carroccio, i disegni di legge non si discostano molto l'uno dall'altro: partono da premesse condivise per approdare a proposte simili. Non è dunque escluso che si possa arrivare a un testo bipartisan, sostenuto sia a destra che a sinistra.  


Istruzione / RaffadaliLa scuola "Galilei" alla scoperta delle bellezze del Palazzo di provincia

L'attività rientra nel contesto di un progetto voluto dalla dirigente dell'istituto Antonella Argento
Redazione 
Viaggio alla scoperta del patrimonio culturale e monumentale della città di Agrigento questa mattina per gli studenti della scuola media "Galileo Galilei " di Raffadali, nel contesto di un progetto voluto dalla dirigente dell'istituto Antonella Argento.
Cinquanta ragazzi delle classi prime hanno partecipato ad un tour alla scoperta del palazzo del Libero consorzio comunale di Agrigento: la Scala Reale e la Biblioteca Provinciale, sono state le tappe principali insieme alla galleria dei presidenti e l'Aula consiliare "Luigi Giglia ".


AGRIGENTOOGGI

Studenti della scuola Galileo Galilei di Raffadali in visita al Palazzo della Provincia


Visita degli studenti della scuola media "Galileo Galilei " di Raffadali, accompagnati dai rispettivi docenti, alla scoperta del patrimonio culturale della città di Agrigento. Si tratta di un progetto voluto dalla Dirigente dell'Istituto Antonella Argento per far conoscere ed apprezzare i luoghi del territorio e condividere con i ragazzi la bellezza del nostro territorio. 50 ragazzi delle classi prime hanno partecipato ad un tour alla scoperta dei luoghi del Libero Consorzio Comunale di Agrigento, iniziativa che ha trovato l'accoglimento del Commissario straordinario Raffaele Sanzo. Il Palazzo della Provincia, la Scala Reale, la Biblioteca Provinciale, sono state le tappe principali degli studenti accompagnati dai funzionari dell'Ente che hanno illustrato gli spazi culturali, oggetto della visita. I ragazzi hanno visitato, dunque, il Palazzo della Provincia, partendo dalla Biblioteca Provinciale che raccoglie circa 6000 volumi, la Scala Reale con gli straordinari affreschi, la Galleria dei Presidenti ed infine l'Aula Consiliare " Luigi Giglia ". All'interno dell'Aula Consiliare, gli studenti hanno ascoltato le illustrazioni dei funzionari dell'Ente partecipando al dibattito con domande e curiosità. 


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Smart working verso la modifica.  Calderone: «Nuove tutele»La titolare del dicastero di via Flavia vuole mettere mano alla normativa del 2017, considerandola superata, sul fronte della sicurezza e dei diritti
Si profilano modifiche per il lavoro agile: definendo una piattaforma di diritti e tutele comuni a tutti i lavoratori - smart workers e non - sul versante della sicurezza, contro gli infortuni e le malattie professionali. L'attuale quadro normativo, secondo la ministra del Lavoro, Marina Calderone, è superato: «La struttura della legge 81/2017 non è più sufficiente per ricomprendere le esperienze fatte durante la pandemia - ha detto-. Va rivisto quell'assetto. Bisogna intervenire affinché il modello ibrido possa trovare una sua connotazione e diventare uno strumento di lavoro continuo e costante per tutte le aziende pubbliche e private».Occorre anzitutto ricordare che il lavoro agile, o lo smart working, è un ibrido perché la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, con lo stesso trattamento retributivo riconosciuto a chi lavora in presenza.Diritti e tutele comuni a tutti i lavoratori
La ministra Calderone ha in più occasioni ricordato che il modello normativo dello smart working delineato nel 2017 «non è quello che noi abbiamo sperimentato durante il Covid», e questo è l'esempio di «una norma oggi vigente che è già vecchia rispetto ai modelli attuali». Secondo la ministra serve un «approccio nuovo» per superare la prassi di «delineare confini rigidi», bisogna definire una «piattaforma di diritti e tutele comune a tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia di inquadramento, intervenendo poi su ogni singola tipologia con provvedimenti ad hoc e attraverso un investimento sulla contrattazione di secondo livello in modo da cucire le regole sulle esigenze della singola realtà produttiva».Modifiche al Testo unico sulla sicurezza e nuove linee guida
La diffusione dello smart working, sempre secondo Calderone, pone anche l'esigenza di riformare il Testo unico sulla sicurezza, attraverso nuove linee guida per aziende e smart workers: «La spinta digitale ha messo in crisi i modelli tradizionali di lavoro pre-pandemia - è il ragionamento della titolare del dicastero di via Flavia. Lo smart working è entrato nel novero di posizioni attivabili con semplicità, ma proprio per questo serve tener conto di possibili nuove fattispecie di infortuni e malattie professionali. in questo scenario serve una formazione più mirata, una diversa attività di controllo per aziende e smart workers anche attraverso modifiche normative». Da qui, sempre secondo Calderone nasce «l'urgenza di nuove linee guida». Risale al 7 dicembre 2021 il primo "Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile" nel settore privato, con le linee guida concordate dal ministero del Lavoro e le parti sociali.
Prorogato al 31 marzo lo smart working per i fragili
La legge di bilancio 2023 ha prorogato fino al 31 marzo 2023, per i cosiddetti lavoratori fragili - dipendenti pubblici e privati -, lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working, anche adibendoli a una diversa mansione (compresa nella medesima categoria o area di inquadramento definita dai contratti collettivi di lavoro), senza alcuna decurtazione della retribuzione, ferma restando l'applicazione delle disposizioni dei Ccnl se più favorevoli.Priorità per i lavoratori con figli under 12 o disabili
Nessuna proroga dunque per le lavoratrici e i lavoratori con figli under 14 che fino al 31 dicembre 2022 hanno potuto esercitare il diritto al lavoro agile in forza di un provvedimento normativo non più confermato dal governo Meloni. Nelle imprese che hanno siglato un accordo aziendale con le rappresentanze sindacali che disciplina il lavoro agile, questi lavoratori sono dovuti rientrare secondo le modalità previste dalle intese.
Nelle altre imprese sono dovuti rientrare potendo contare sulla protezione assicurata dal Dlgs 105 del 2022 (articolo 4 lettera b): i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l'esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile devono riconoscere «priorità» alle richieste formulate dalle lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a dodici anni di età, o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità (articolo 3, comma 3, della legge 104 del 1992), o alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata (articolo 4, comma 1, della legge 104 del 1992) o caregivers. In questi casi la lavoratrice o il lavoratore che richiede di fruire del lavoro agile non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa che abbia effetti negativi sulle condizioni di lavoro. «Si tratta di una priorità - spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all'Università La Sapienza di Roma -. In sostanza se in un'azienda è prevista una determinata quota percentuale di ricorso al lavoro agile, viene riconosciuta la priorità per queste specifiche categorie di lavoratori. È un diritto di precedenza da esercitare in presenza di limitazioni, ma per queste categorie non c'è più un diritto al lavoro agile».Per il 2023 previsti 3,6 milioni di smart workers
Secondo l'osservatorio sullo smart working del Politenico di Milano gli smart workers nel 2022 sono stati circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella Pubblica amministrazione e nelle Pmi, mentre per le grandi imprese si è registrata una crescita (con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart workers complessivi). Per il 2023 le stime sono di un lieve aumento fino a 3,63 milioni di smart workers, per effetto del consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e per le aspettative di incremento nel settore pubblico.



















































































































































































































































































































































































































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