giornale di sicilia
Scuole superiori, aggiudicata la gara per
la manutenzione
Prosegue l'attività del Libero Consorzio comunale di Agrigento per assicurare la manutenzione delle
scuole di propria competenza. Con determinazione del Settore Edilizia scolastica è stata infatti
approvata la proposta di aggiudicazione della gara d'appalto relativa all'accordo quadro annuale con
un solo operatore economico per l'affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria degli immobili
scolastici di proprietà dell'ex Provincia.
La gara, effettuata integralmente in modalità telematica, è stata aggiudicata all'impresa «Salvatore
Agostaro» in partner con la «Omer srl» con sede a San Giuseppe Jato che ha offerto il ribasso del
31,027%, per un importo contrattuale di un milione 161 mila 32 euro più Iva compresi 34 mila 850
euro per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso. Seconda in graduatoria l'impresa «Restivo
Costruzioni srl». Alla procedura di gara, effettuata sulla piattaforma telematica Maggioli, hanno preso
parte 153 imprese. L'appalto, se non ci saranno ricorsi, una volta assegnato consentirà all'ente di
avviare il programma di manutenzione degli edifici scolastici di propria pertinenza che ospitano gli
istituti superiori della provincia. (*PAPI*)
Sciacca, lavori al ponte Bagni: tutto
pronto per la riapertura
Verrà completato oggi il montaggio delle barriere laterali sul ponte Bagni di Sciacca. Domani
collocazione della segnaletica, lavaggio della strada e apertura al transito. È questo l'ultimo
cronoprogramma dei lavori al ponte che potrebbe slittare soltanto di un giorno. In pratica, l'apertura
potrebbe essere rinviata a giovedì e comunque con qualche giorno di anticipo rispetto a giovedì 6
aprile, la data che era stata indicata all'inizio dei lavori. L'attesa, dopo quasi due anni, sta per
terminare. Sul ponte da giugno 2021 al 5 febbraio scorso si è transitato con il senso unico alternato.
Dal 6 febbraio la strada è chiusa al transito per i lavori.
C'è grande attenzione a Sciacca per questi lavori perché la chiusura al transito della strada sta
causando notevoli difficoltà soprattutto ai residenti nelle contrade Isabella, Sovareto e Sant'Antonio,
costretti a raggiungere il centro della città attraverso la statale 115 o ad allungare notevolmente il
percorso dalla località San Calogero. La viabilità ha subito delle modifiche e chi arriva a Sciacca da
est può proseguire per la statale 115 e accedere in città dal lato ovest (via Pompei, ospedale); oppure
transitare per via Moro, via Tacci, via Monte Kronio (strada provinciale 54) e uscire in contrada
Ferraro: da qui si può continuare per il centro urbano o dirigersi in direzione di Palermo e Trapani. Il
percorso si allunga di alcuni chilometri e le preoccupazioni maggiori sono per i tanti giovani che
vivono in quella parte della città e che per raggiungere il centro in motorino spesso opta per la statale
115. I servizi di trasporto urbano continuano ad essere garantiti sia per chi risiede in contrada
Isabella, sia per gli studenti che devono raggiungere l'istituto Amato Vetrano o da contrada Isabella
recarsi nelle scuole del centro città e della Perriera.
Il ponte Bagni è rimasto danneggiato a giugno del 2021 in occasione di un incidente stradale in cui un
uomo ha perso la vita. Dal 6 febbraio la strada è chiusa per i lavori e adesso manca poco alla
riapertura garantendo un altro accesso alla città ed evitando anche un traffico impazzito all'altezza di
via Pompei in particolare durante le ore pomeridiane. Nella zona del cantiere hanno operato anche
altre ditte per lavori riguardanti i telefoni di Stato e il passaggio della fibra. (*GP*)
malgradotutto.it
Libero Consorzio Comunale Agrigento, si è insediato il Comitato Unico di Garanzia
Si occuperà di impedire ogni forma di discriminazione e di valorizzare il benessere di chi lavora. Presidente Maria Antonietta Testone, dirigente dell'EnteMaria Antonietta TestoneSi è insediato questa mattina al Libero Consorzio Comunale di Agrigento il Comitato Unico di Garanzia.Il Comitato, presieduto da Maria Antonietta Testone, dirigente dell'Ente, è composto da Luigi Mula, Natalia Viviano e Paola Cumbo, componenti titolari in rappresentanza dell'Ente, e da Anna Rita Piparo, Anna Capizzi, Biagio Aurelio Bruno e Teresa Gattuso, in rappresentanza dei Sindacati. Vice Presidente del Comitato è stato eletto Luigi Mula, segretaria Paola Cumbo.Il Comitato Unico di Garanzia - nominato con disposizione a firma del Segretario Generale dell'Ente, Pietro Amorosia - "ha lo scopo di valorizzare il benessere di chi lavora, parità e pari opportunità di genere, garantendo l'assenza di qualunque forma di violenza morale o psicologica e di discriminazione".
ilparmense.it
Parma capitale delle Province d'Italia: due giorni di formazione in città.
Prospettive finanziarie e semplificazione: i 76 rappresentanti del territorio a dialogo sul futuro, con gli esperti
Le provincie d'Italia ripartono da Parma. La città ducale è la capitale per la due giorni di lunedì 27 e martedì 28 marzo del seminario di formazione per i responsabili delle Province del Belpaese, con l'obiettivo fondamentale di rimettere al centro del dibattito politico e sociale le funzioni di questo ente, chiamato a dipanare alcuni dei temi economici e fiscali più importanti per le sorti del cittadino. Le 76 Province d'Italia si sono date appuntamento in città a palazzo della Provincia, per delineare profilo e strategie de "La nuova Provincia e il ruolo del servizio economico finanziario". Promosso dall'Unione delle Province d'Italia, nell'ambito del progetto "Province&Comuni", finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica - PON Governance 2014-2020, l'appuntamento ha portato in città dirigenti e funzionari dei servizi economici finanziari di tutte le province del territorio, oltre a docenti universitari e rappresentanti istituzionali del Governo e del Mef, Ministero di Economia e Finanza.Pianificazione degli investimenti, conoscenza del nuovo Codice dei Contratti, programmazione finanziaria legata alle più recenti sfide del PNRR: la Provincia d'Italia studia e cambia pelle, con la missione di semplificare il sistema e rendere più efficienti le amministrazioni, riducendo sprechi di risorse e di tempo. "Parma fa provincia e fa squadra: ne siamo onorati. L'obiettivo del seminario è raffinare le competenze della programmazione dello sviluppo locale, attraverso la formazione di personale altamente specializzato", ha spiegato in apertura lavori, Andrea Massari, Presidente della Provincia di Parma e di UPI Emilia-Romagna."Si tratta di una tappa fondamentale di aggiornamento e crescita professionale in un momento in cui le Province tornano al centro del dibattito pubblico", ha continuato Massari. "È momento fondamentale di aggiornamento e crescita professionale di dirigenti e funzionari che diventa ancora più strategico in questo momento", ha commentato Piero Antonelli, direttore generale dell'Unione delle Province di Italia.Il programma delle giornateTre gli interventi cardine della prima giornata, Tiziano Tessaro, della Corte dei Conti ha dialogato con Luisa Gottardi, responsabile Finanza di UPI, sull'attuazione del PNRR in rapporto agi Enti Locali. Di programmazione finanziaria e politiche del personale hanno, invece, discusso Roberto Gerardi, segretario generale della Provincia di Lucca, Gaetano Palombelli, come responsabile delle Politiche del Personale di UPI, coordinati da Luca Bisio, dell'università degli studi di Milano - Bicocca. La contabilità pubblica nella prospettiva della nuova Provincia è stato, infine, il tema del confronto fraFrancesco Delfino, esperto UPI di finanza locale e Marcello Degni, della Corte dei conti. La seconda giornata, dopo gli interventi di saluto di Andrea Massari e Francesco Nazzaro del Mef, Ministero di Economia e Finanza, aprirà un ampio focus sulla situazione finanziaria e sulle linee guida che ridisegneranno la nuova fisionomia dell'Ente. A discuterne, con un intervento del presidenteUPI, Michele De Pascale, si susseguiranno docenti ed esperti, fra cui Piero Antonelli, direttore Generale UPI, mentre Sonia Caffù, della ragioneria Generale dello Stato traccerà lo stato dell'arte, le scadenze e la gestione della revisione prezzi nell'ambito del PNRR.
agipress.it
Il futuro delle Province italiane a Parma
76 Province d'Italia si ritrovano a Parma per proporre la nuova versione dell'UPI, Unione Province Italiane, con proposte di investimenti e programmazione dello sviluppo locale. L'obiettivo è rendere più efficienti le amministrazioni. La due giorni (27-28 marzo) di incontri dal titolo "La nuova Provincia e il ruolo del servizio economico finanziario" è in programma presso la Provincia di Parma. L'appuntamento porterà in città i dirigenti e i funzionari dei servizi economici finanziari di tutte le province, invitati a discutere di pianificazione degli investimenti, del nuovo Codice dei Contratti, di programmazione finanziaria, di politiche del personale per costruire il modello organizzativo della nuova Provincia. «La Provincia di Parma è onorata di poter ospitare Upi nazionale e di poter quindi contribuire a supportare il percorso di formazione del personale delle Province che si occupa di una funzione fondamentale per gli enti: il bilancio», commenta Andrea Massari, Presidente della Provincia di Parma e di Upi Emilia-Romagna, al quale sarà affidata l'apertura dei lavori nella giornata del 28. «Si tratta di un momento fondamentale di aggiornamento e crescita professionale di dirigenti e funzionari che diventa ancora più strategico in questo momento, che vede le Province tornare al centro del dibattito politico e pubblico: dopo anni si ragiona di nuovo delle funzioni, della forma di governo e dell'importanza delle Province. Era ora. E la formazione deve accompagnare necessariamente questa fase nuova che si profila all'orizzonte».A guidare i partecipanti nei "workshop" saranno esperti di finanza pubblica, magistrati della Corte dei conti e docenti universitari: i risultati della prima sessione saranno poi condivisi in sessione plenaria nella seconda giornata, attraverso le relazioni dei coordinatori dei tavoli e gli interventi degli ospiti. Le conclusioni saranno riservate al Presidente nazionale di UPI, Michele de Pascale, Sindaco di Ravenna e Presidente della relativa Provincia. AGIPRESS
formiche.net
Perché le province sono tornate di moda. Lo spiega il prof. Barone
Secondo l'ordinario di diritto amministrativo all'Università di Catania, le province meritano di essere ripristinate e di esercitare le loro funzioni. E, soprattutto, è impensabile affrontare il tema dell'autonomia differenziata senza prevedere una perequazione dello Stato in favore del Mezzogiorno per uniformare i LEP su tutto il territorio nazionale
Le province sono tornate al centro del dibattito pubblico. La riforma Delrio non aveva abolito l'ente territoriale più vicino ai comuni italiani, ma ha escluso la partecipazione diretta dei cittadini dalle procedure di voto, prediligendo il suffragio ristretto. Ma il discorso è molto più complesso e interessante di quel che appare. La riforma del 2014 puntava a ottenere un considerevole risparmio e una configurazione territoriale più snella ed equilibrata.
Ci è riuscita? Cosa comporterebbe un loro ripristino? Ne parliamo con il Prof. Antonio Barone, ordinario di Diritto Amministrativo presso l'Università di Catania, direttore della rivista Il Processo, edita da Giuffrè Lefebvre, e consulente della I Commissione Affari Istituzionali dell'Assemblea Regionale Siciliana.Partiamo dalla riforma Delrio del 2014.
Quali sono state le ricadute sul piano politico e dell'assetto territoriale?La legge Delrio ha avviato un percorso di sostanziale ridimensionamento delle funzioni dell'ente provincia, ridisegnato come ente di secondo grado privo di rappresentanza diretta delle proprie comunità di riferimento. Proprio per questo la legge risulta legata a filo doppio con la successiva riforma costituzionale dell'aprile 2016, che prevedeva addirittura l'abolizione delle province. Come è noto, con il referendum costituzionale del dicembre 2016 i cittadini italiani hanno bocciato il progetto di riforma costituzionale. Si è quindi verificato una sorta di cortocircuito: la legge Delrio, sopravvissuta ad una riforma costituzionale mai entrata in vigore, si confronta ormai con l'immutata dimensione costituzionale della provincia quale ente territoriale esponenziale degli interessi dei cittadini.Questo cortocircuito è evidente almeno sotto due punti di vista. Anzitutto, la legge ha trasformato gli enti di area vasta in enti di secondo grado, spezzando il meccanismo di rappresentanza democratica diretta (garantendo, semmai, una rappresentanza solo indiretta). Lo stesso deve dirsi per le città metropolitane, i cui meccanismi di rappresentanza sono stati recentemente oggetto di censura, seppur in via indiretta, da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 240/2021).Altro profilo di criticità riguarda la questione della non sempre felice e chiara definizione delle funzioni fondamentali delle province, nonché la correlata tematica della riallocazione delle c.d. funzioni non fondamentali degli enti provinciali, che la legge Delrio ha affidato anche alle regioni. Le leggi regionali attuative di queste previsioni sono tra loro assai disomogenee; in vari casi si è scelto di riallocare le funzioni provinciali addirittura a livello regionale, così avallando inediti modelli di neocentralismo regionale (segnalo al riguardo un interessante studio dell'Issirfa). La riforma del 2014 non è quindi riuscita a rispondere pienamente agli obiettivi di semplificazione amministrativa, di modernizzazione e di flessibilità ordinamentale che si prefiggeva di raggiungere.Quali servizi erogano le province e quali interessi tutelano? Perché è necessario un loro ripristino?Le province, in particolare, sono titolari di funzioni amministrative in diversi settori rilevanti, quali, ad esempio, la difesa del suolo e dell'ambiente, i beni culturali, la viabilità, il trasporto, parchi e protezione della fauna, svolgendo al contempo un importante ruolo di cerniera fra i diversi livelli di governo, in particolare fra regioni ed enti (soprattutto) comunali. La legge Delrio, tuttavia, individua in modo piuttosto generico le funzioni "fondamentali" della provincia quale ente "di area vasta" (art. 1, comma 85). Come segnalato in vari documenti dell'Unione Province Italiane, occorre oggi individuare in dettaglio le specifiche funzioni amministrative provinciali all'interno delle macroaree già individuate dal legislatore statale. Ad esempio, le competenze in materia di tutela e valorizzazione ambientale potrebbero essere meglio declinate attraverso l'attribuzione analitica agli enti provinciali delle competenze in materia di autorizzazioni e controlli ambientali, di programmazione e organizzazione (non gestione) del servizio di smaltimento rifiuti come di altri servizi ambientali.Inoltre, sempre in una prospettiva di futura ed auspicata riforma, gli enti provinciali possono diventare realmente un punto di riferimento e di supporto amministrativo per gli enti comunali, ad esempio in materia di appalti pubblici, diventando per ogni territorio provinciale la stazione unica appaltante territoriale per le commesse pubbliche più rilevanti. Analogamente, le province possono svolgere concretamente un ruolo essenziale di supporto amministrativo per i comuni in materia di transizione digitale. Su questi aspetti è ormai maturato il tempo di una riforma organica della materia, come dimostrano alcuni disegni di legge già varati a livello statale, così come alcune iniziative regionali di interesse (ad esempio, si è mossa per tempo l'Assemblea Regionale Siciliana, con la I commissione).Riavviare gli enti provinciali, sia sul fronte della governance democratica che su quello delle funzioni, significa migliorare la qualità dei servizi per i cittadini. Tutto ciò presuppone anche che la politica affronti il "nodo" delle risorse: al di là della questione delle "poltrone", il potenziamento delle funzioni provinciali richiede anche le risorse organizzative e finanziarie necessarie affinché tali funzioni siano adeguatamente esercitate. Se non si affronta questo "nodo" delle risorse organizzative e finanziarie qualunque riflessione su possibili riforme rischia di essere vana.L'ossessione del "taglio delle poltrone" ha allontanato il dibattito dal tema reale. Dopo il riassetto previsto dalla riforma Delrio, c'è stato un risparmio effettivo per le casse dello Stato?Condivido l'idea di fondo della sua domanda: se poniamo la questione esclusivamente in termini di "taglio delle poltrone" rischiamo di non comprendere fino in fondo il corto circuito politico-amministrativo che si è innescato. Il depotenziamento delle province, infatti, riguarda un ente di rilievo costituzionale, esponenziale degli interessi dei cittadini che risiedono nel territorio provinciale. Se, poi, alcune delle funzioni provinciali vengono addirittura devolute alle regioni, come è talora avvenuto in attuazione della legge Delrio, si mortifica anche il principio costituzionale di sussidiarietà verticale, in base al quale le funzioni amministrative devono essere svolte al livello di governo più vicino ai cittadini. Il tema della governance e della rappresentanza diretta da assicurare anche a livello provinciale e di città metropolitane è consequenziale e, a mio avviso, inevitabile. La democrazia rappresentativa ha i suoi costi, sui quali si può anche ragionare abbandonando inutili prospettive populiste, ma senza mai demonizzare il principio supremo della rappresentanza.Per quanto riguarda le regioni, lei avverte la necessità di una revisione delle rispettive legislazioni? Bisogna mettere mano al titolo V? Perché?La riforma costituzionale del 2001, di modifica del Titolo V della Costituzione, presenta alcune criticità. Basti pensare al fatto che, ad esempio, la materia "trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" risulta attribuita alla competenza legislativa concorrente regionale. Il tema del regionalismo differenziato è figlio della riforma costituzionale del 2001 perché concerne l'attuazione dell'art. 116, comma 3, della Costituzione. In linea di principio io non ritengo che la prospettiva del regionalismo differenziato sia di per sé dannosa per il paese. Ben prima della riforma costituzionale del 2001, che ha introdotto la possibilità di forme differenziate di autonomia regionale, esistevano già (e continuano ad esistere) le regioni "a statuto speciale", dotate di autonomia rafforzata rispetto a quelle ordinarie.La questione dirimente, invece, è quella dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Il "divario di cittadinanza" tra il Mezzogiorno ed il centro-nord si è da tempo acuito e occorre intervenire in modo drastico su questo tema, come si è ricominciato finalmente a fare con il PNRR. In alcuni miei scritti recenti ho parlato di "dovere costituzionale" di perequazione dello Stato in favore del Mezzogiorno, per uniformare i LEP su tutto il territorio nazionale. Questo dovere di perequazione statale concerne anche il tema delle infrastrutture, rispetto al quale il sud rappresenta una vera cenerentola, con alcune aree della Sicilia dotate della rete ferroviaria di fine '800!Insomma, nessuna contrarietà pregiudiziale al regionalismo differenziato se si affronta prioritariamente ed in modo risolutivo il tema dell'uniformità dei LEP su tutto il territorio nazionale. Ciò significa garantire al Mezzogiorno di raggiungere i livelli di eccellenza del centro-nord. Emblematico il caso degli asili nido. Questa uniformità di servizi e prestazioni essenziali deve essere realizzata prendendo a parametro di riferimento (almeno in linea tendenziale) il livello più alto dei servizi e non invece quello più basso: è questa la vera garanzia dell'unità ordinamentale sancita dall'art. 1 e art 114 della carta costituzionale. Anche in questo caso il nodo essenziale sarà quello delle risorse, senza le quali ogni progetto di riforma resterà inutile.Lei ritiene che la sanità debba subire un processo di centralizzazione?La crisi pandemica ha acceso i fari dell'opinione pubblica sull'organizzazione sanitaria. In realtà, il problema della coesistenza di diversi modelli organizzativi sanitari regionali esiste da tempo e trova piena legittimazione nella riforma costituzionale del 2001, del Titolo V, parte II, della nostra Costituzione. Nonostante alcune evidenti criticità di questa riforma costituzionale, pur considerando alcuni eccessi patologici della sanità regionale che vanno puntualmente denunciati e combattuti, io non penso che la via del "centralismo" in materia sanitaria garantisca di per sé un maggiore efficienza del SSN. In realtà, proprio il settore sanitario è pervaso anche da forme di neo-centralismo. Mi riferisco, in particolare, all'esperienza dei "piani di rientro" in materia sanitaria, che hanno vincolato e continuano a vincolare l'autonomia regionale sulla base di appositi accordi tra Ministero della Salute, MEF e singola regione interessata.Questi "piani di rientro" devono contenere sia le misure volte a garantire l'erogazione dei servizi sanitari nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA), sia le misure per garantire l'equilibrio di bilancio sanitario regionale. La forza di compressione dell'autonomia regionale di questi piani di rientro è fortissima; una legge dello Stato stabilisce, addirittura obbliga ciascuna regione interessata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi, che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro.È sufficiente navigare sul sito internet del Ministero della Salute per rendersi conto delle dimensioni del fenomeno; ben 10 regioni italiane, infatti, sono state interessate dai "piani di rientro" in materia sanitaria: Lazio, Abruzzo, Liguria, Campania, Molise, Sicilia, Sardegna, Calabria, Piemonte, Puglia. Gran parte delle richiamate regioni, a circa quindici anni dall'avvio di questa esperienza, continuano ad essere sottoposte ai "piani di rientro" (solo Liguria, Sardegna e Piemonte sono definitivamente fuori). La normativa di settore prevede anche che il Consiglio dei Ministri possa procedere al commissariamento in materia sanitaria della singola regione, qualora in sede di monitoraggio del piano di rientro emergano gravi inadempienze regionali nel rispetto delle previsioni di piano. Ed è così che si è proceduto al commissariamento in materia sanitaria delle regioni Calabria e Molise.Tutto ciò documenta la persistente esistenza del centralismo statale in materia sanitaria. Senza voler cadere in banali generalizzazioni, dobbiamo chiederci se, in linea di massima (e con tutte le eccezioni del caso), sia possibile o meno scorgere un marcato miglioramento nella qualità dei servizi sanitari di queste regioni da anni sottoposte alle descritte forme di neo-centralismo sanitario.