lentepubblica.it
pubblica amministrazione
Piccoli Comuni, nuovi stanziamenti per incarichi dei segretari comunali
Nuova fase di stanziamenti per gli incarichi dei segretari comunali nei Piccoli Comuni: ecco le novità.È pronta infatti a prendere il via una nuova fase di stanziamenti in favore dei piccoli Comuni, per sostenere il superamento delle criticità, in termini di carenza di organico, rispetto al ruolo del segretario comunale.Si ricorda che soltanto 2.168 amministrazioni su un totale di 7.904 risultano coperte da un segretario titolare.Le maggiori criticità, in termini di carenza di organico, si rilevano oltretutto nelle sedi comunali di fascia C, ovvero fino a 3mila abitanti: su 2.422 sedi di segreteria ne risultano coperte con un titolare soltanto 207. Si tratta di una scopertura pari al 91,4% del totale.
Piccoli Comuni, nuovi stanziamenti per incarichi dei segretari comunaliSul portale del Dipartimento della funzione pubblica Lavoropubblico.gov.it, infatti è già attivo da ieri, 16 giugno, lo specifico applicativo "Contributo per i segretari comunali", progettato in collaborazione con Formez PA, dove i piccoli Comuni interessati potranno presentare istanza in modalità digitale.La novità arriva a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm che definisce i criteri di riparto, tra i Comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti, delle risorse del Fondo Assunzioni PNRR da 30 milioni di euro annui fino al 2026 (che era stato istituito con il decreto-legge n. 152/2021) anche per sostenere gli oneri relativi al trattamento economico degli incarichi conferiti ai segretari comunali.Il Dpcm rende operativa la previsione contenuta nella Legge di Bilancio 2023 (art. 1, c. 828) che a partire da quest'anno ha esteso a tale scopo l'impiego del Fondo, già destinato ai piccoli Comuni attuatori di progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per assunzioni di professionisti a tempo determinato con qualifica non dirigenziale.Elaborazione della graduatoriaAl Dipartimento della funzione pubblica è demandata l'elaborazione della graduatoria che permetterà di attribuire alle amministrazioni il sostegno per i segretari comunali, quantificato in un ammontare pari a 40mila euro per ogni annualità dal 2023 e per la durata del PNRR fino al 2026.Le candidature sull'apposito applicativo da parte dei piccoli Comuni saranno possibili fino al termine indicato con nota del Dipartimento della funzione pubblica, resa disponibile online. Sul portale Lavoro pubblico saranno pubblicate le indicazioni di dettaglio e la guida alla compilazione del modulo. Per le amministrazioni è prevista anche la possibilità di essere supportate da un servizio di help desk dedicato.
ITALIAOGGI.
Aiuti europei, il Sud d'Italia resta intrappolatoIn oltre vent'anni, la politica di coesione europea non ha prodotto alcun risultato: il Sud è sempre più indietro. E le prospettive per il futuro sono senza speranza. Ma è l'intero sistema Italia che si è allontanato dal dato medio europeo. A rilevarlo è il focus curato da Istat ed elaborato su dati Eurostat.
C'era una volta la questione meridionale. E, purtroppo, c'è ancora oggi. Negli ultimi vent'anni non si è verificato, infatti, il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come "meno sviluppate", ossia il Mezzogiorno d'Italia, a eccezione dell'Abruzzo, che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei 27 paesi dell'Ue. Ma è l'intero sistema Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo nell'ambito della politica di coesione, la principale politica di investimento dell'Ue che si pone proprio l'obiettivo di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle regioni. A rilevarlo è il focus "La politica di coesione e il Mezzogiorno. Vent'anni di mancata convergenza", curato da Istat ed elaborato su dati Eurostat, secondo cui nel 2000 erano 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in Ppa (Parità di potere d'acquisto, indice che consente di confrontare i livelli dei prezzi tra località diverse, appartenenti a una stessa area valutaria o ad aree valutarie diverse) e nessuna fra le ultime 50. Invece, nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, provincia autonoma di Trento e Valle d'Aosta) mentre fra le ultime 50 se ne trovano altrettante (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria). Peraltro, la dinamica di crescita delle regioni italiane economicamente più avanzate si è contraddistinta per un processo di lento ma progressivo allontanamento dalle altre regioni simili dell'Ue, così da perdere non solo il loro effetto traino verso il resto dell'Italia, ma anche non mostrandosi capaci di agganciare il traino delle locomotive europee. Anche se nel corso degli ultimi quattro anni, favoriti dalla fase di investimenti post-Covid, alcune regioni, come Lombardia (+1,9% annuo), Puglia (+1,8%) e Basilicata (+2,5%) hanno fatto registrare crescite superiori alla media Ue. Secondo le simulazioni effettuate dagli analisti, in assenza di interventi sull'occupazione e sulla produttività, la forbice con l'Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi quasi ovunque in Italia e in particolare proprio nelle regioni del Mezzogiorno, oggi considerate come l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale.
Come funziona la politica di coesione. L'allocazione delle risorse segue una logica principalmente attribuibile al peso quasi esclusivo di un solo indicatore rappresentato dal Pil pro capite. Le regioni europee, in base alla distanza rispetto alla media del Pil pro capite Ue a parità di potere di acquisto, sono state suddivise in "Obiettivo1/Obiettivo2" (fino al 2000-2006), "Convergenza/Competitività" (nel periodo 2007-2013), "Regioni meno sviluppate/Regioni in transizione/Regioni più sviluppate" (nei cicli 2014-2020 e 2021-2027). In un'ottica di lungo periodo, le disparità tra i sistemi economici regionali europei, ben maggiori rispetto a quelle esistenti tra le nazioni, avrebbero dovuto seguire un processo di convergenza economica nel quale le regioni più povere sarebbero dovute crescere a tassi maggiori di quelle inizialmente più ricche. Ma così non è stato, soprattutto in Italia.
L'Italia e gli altri. La geografia dell'Ue è mutata con l'adesione di nuovi paesi e l'uscita della Gran Bretagna. La Polonia, la Spagna, l'Italia e la Romania sono gli stati membri maggiormente coinvolti nelle politiche di coesione. Nel corso degli ultimi cicli di programmazione, tuttavia, mentre per la Spagna, la Polonia e la Romania è cambiata la percentuale di popolazione interessata, l'Italia ha mantenuto sostanzialmente stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di abitanti) e ha ampliato il numero di regioni coinvolte. L'Istat ha verificato che tra il 2000 e il 2021 si è realizzato solo parzialmente un processo di avvicinamento che ha interessato, in particolare, le regioni che partivano da livelli più bassi di reddito, quasi tutte appartenenti agli stati membri dell'Europa orientale. La mancata convergenza ha penalizzato le economie regionali, oltre a quella della Grecia, anche della Francia, della Spagna e, soprattutto, dell'Italia. In termini di popolazione, considerando i residenti nel territorio Ue 27 al 2021, gli analisti evidenziano come nel 2000 nelle regioni con un Pil pro capite inferiore al 50% della media Ue 27 vi erano 22 milioni di abitanti, mentre oggi tale numero è superiore ai 75 milioni di abitanti. Analogamente, nelle regioni più "avanzate", ossia quelle con un Pil pro capite superiore al 120% della media Ue 27, si è passati da 109 milioni a 152 milioni di abitanti.
La trappola del declino demografico. In base a quanto emerge dalla lettura del report, nel Vecchio Continente vi sono, tra gli altri, i territori definibili in "trappola dello sviluppo", ossia quelli che nel 2000 non rientravano né fra le aree a minor reddito di quella che sarebbe stata nel 2021 l'Ue27, né che potevano essere considerate economicamente avanzate. Tali regioni hanno visto il loro Pil pro capite a parità di potere di acquisto crescere molto meno rispetto al dato medio europeo. In tali territori ricadono il 72% della popolazione portoghese, il 61% della popolazione greca, il 49% della popolazione spagnola e, soprattutto, poco meno di un terzo della popolazione italiana. Relativamente allo scenario del Belpaese, il divario crescente in termini di reddito tra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l'Ue 27 deriva dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Soltanto nel corso dell'ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 è divenuta determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue 27 di 9 punti percentuali. Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, presuppongono che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d'Europa. E proprio in riferimento al paventato declino demografico, Istat ha delineato i possibili scenari alla fine del prossimo ciclo di programmazione (2021-'27), fermo restando gli altri parametri, come tasso di occupazione e produttività. In dettaglio, secondo le previsioni demografiche il numero dei 15-64enni nel Centro-Nord si ridurrebbe leggermente fino al 2030 per poi contrarsi in misura maggiore fino a oltre 1,7 milioni di unità tra il 2030 e il 2040, nel complesso si ridurrebbe del 7,2% tra il 2019 e il 2040. Nelle regioni meno sviluppate italiane, la contrazione sarà di maggiore intensità già a partire dal 2020, quando il numero di abitanti in età lavorativa si ridurrà del 9%, con oltre un milione di persone in meno tra il 2021 e il 2030. Rispetto a tali scenari, il processo di convergenza territoriale tenderà ad allentarsi ulteriormente con una crescente disparità territoriale che colpirà, in particolare, le regioni meno sviluppate le quali si allontaneranno ancor più dal reddito medio dell'Ue. Se l'Italia riuscisse ad avere un tasso di occupazione simile a quello europeo, il livello di Pil pro capite si innalzerebbe in quasi tutte le regioni, tanto che nel 2030 nessuna regione rientrerebbe più tra le "meno sviluppate", conseguentemente si amplierebbe la platea di quelle "in transizione", con il Pil pro capite fra il 75% e il 100%. Riuscendo, invece, a raggiungere una produttività del lavoro simile a quella europea, il beneficio che ne deriverebbe risulta essere più modesto in quanto l'unica regione che sembrerebbe avvantaggiarsi significativamente dell'incremento di produttività, passando dallo status di regione "meno sviluppata" a quello di regione "in transizione", è la Sardegna mentre si registrerebbe un avvicinamento al Pil pro capite Ue anche per le altre regioni sebbene non sufficiente a consentire il passaggio da una categoria all'altra. Nello scenario più ottimistico, in cui l'attuazione delle politiche di coesione favorisse il raggiungimento del livello medio Ue sia in termini di tasso di occupazione che di produttività del lavoro e data la dinamica demografica stimata al 2030, la piena convergenza sarebbe possibile.
ITALIAOGGI.
La politica di coesione, il male oscuro del Mezzogiorno. La politica di coesione europea ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi. Soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, che, nonostante i tanti miliardi di aiuti ricevuti, non riesce a tenere il passo e anzi si allontana sempre più dal livello di benessere economico medio delle altre regioni europee. In realtà è l'intero sistema paese italiano che ha fatto segnare un progressivo allontanamento dalle regioni più sviluppate a livello europeo. E le previsioni non sono per nulla ottimistiche.
La politica di coesione europea ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi. Soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, che, nonostante i tanti miliardi di aiuti ricevuti, non riesce a tenere il passo e anzi si allontana sempre più dal livello di benessere economico medio delle altre regioni europee. È quanto emerge da un importante focus realizzato dall'Istat sugli oltre due decenni di politica di coesione, cioè la principale politica di investimento dell'Unione europea, che dovrebbe sostenere la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, la competitività delle imprese, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell'ambiente. Soprattutto nelle regioni meno sviluppate. Nonostante l'ingente quantità di risorse impiegate, pari a quasi mille miliardi dal 2000 e oltre 300 miliardi solo per il periodo 2021-2027, infatti, il processo di convergenza delle regioni italiane meno sviluppate (tutto il Mezzogiorno, a eccezione dell'Abruzzo) non si è realizzato: queste regioni hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei paesi dell'Europa a 27.
In realtà è l'intero sistema paese italiano che ha fatto segnare un progressivo allontanamento dalle regioni più sviluppate a livello europeo, se è vero che nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite e nessuna tra le ultime 50, mentre nel 2021 solo 4 sono rimaste tra le prime 50 e quattro sono scivolate tra le ultime 50. Al contrario, Spagna, Polonia e Romania hanno visto ridursi il numero della popolazione residente nelle zone meno sviluppate. Da questo punto di vista il passaggio all'euro, pur con tutti i vantaggi portati in dote all'Italia (in particolare bassi tassi di interesse e stabilizzazione finanziaria), non è stato risolutivo (il focus dell'Istat prende in esame proprio il periodo che va dall'adozione della moneta unica in poi). Tanto che oggi il Sud Italia (a eccezione dell'Abruzzo) può essere considerata "l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale".
La causa principale che spiega la pessima performance delle regioni del Sud è certamente il tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti, a cui si è aggiunto, nell'ultimo ciclo di programmazione (2014-2020) anche la produttività del lavoro, inferiore alla media Ue di ben 9 punti. E per il futuro le previsioni non sono per nulla ottimistiche, a causa soprattutto del calo demografico che si sta registrando in Italia e in particolare nel Mezzogiorno. La previsione esplicita dei ricercatori dell'Istat è che "invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d'Europa".
Ci rimane sempre il sole, e il mare. Speriamo che basti...
LENTEPUBBLICA.
Abrogato l'abuso d'ufficio, ecco cosa cambia.
All'interno dell'ultimo decreto in materia di giustizia, approvato dal Consiglio dei Ministri, viene abrogato il reato di abuso d'ufficio: ecco cosa cambia adesso.
La riunione del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2023, ha dato infatti il via libera al disegno di legge sulla riforma della giustizia e al Decreto PA Bis.
Il nuovo disegno di legge apporta modifiche al Codice Penale, al Codice di Procedura Penale e all'Ordinamento giudiziario. Maggiori informazioni qui.
Tra le varie misure c'è anche l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio. Naturalmente la decisione del Governo non è definitiva. Ora il testo passerà al Parlamento per l'approvazione.
Abrogato l'abuso d'ufficio, ecco cosa cambia
L'abuso d'ufficio rappresenta un reato previsto dall'art. 323 del codice penale italiano. Si ha quando un pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, nell'esercizio delle sue funzioni produce un danno o un vantaggio patrimoniale che è in contrasto con le norme di legge.
In estrema sintesi bozza del ddl appena approvata prevede infatti l'abrogazione totale di questo articolo. La motivazione di questa decisione sta nel fatto che si tratterebbe di un reato non facile da provare e che spesso blocca l'attività dei sindaci che non di rado vengono indagati senza che poi si arrivi a una sentenza di condanna. Come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge solo nel 2021 sono state 4.745 le iscrizioni nel registro degli indagati e solo 18 le condanne in primo grado.
Si tratterebbe secondo quanto definito dall'Anac, Autorità Nazionale Anticorruzione, di una riforma finalizzata a limitare l'effetto della c.d. "paura della firma" o della c.d. burocrazia difensiva.
Cosa cambia adesso?
In sintesi ai sindaci e agli altri appartenenti alle nostre PA non sarà più il reato, commesso finora da chi compie illeciti esercitando le proprie funzioni di pubblico ufficiale.
Il reato di abuso d'ufficio viene abrogato dunque per eliminare i vincoli stringenti alle attività degli amministratori, causati dalla sopra citata «anomalia» dovuta allo "squilibrio" tra le iscrizioni nel registro degli indagati e le effettive condanne.
Cambia anche il reato di "traffico di influenze illecite"
Il traffico di influenze illecite, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto e punito dall'art. 346-bis del codice penale.
Nel sistema giuridico italiano il traffico di influenze illecite aveva assunto rilevanza penale per il tramite di un'interpretazione giurisprudenziale estensiva delle norme in tema di millantato credito: Si comprendono così nel perimetro della tipicità anche le condotte consistenti nel vantare un "credito" reale ed effettivo presso un pubblico ufficiale/impiegato.
Rispetto alla norma precedente, si prevede, tra l'altro, in materia di traffico di influenze illecite, che:
le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere sfruttate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite);
le relazioni devono essere sfruttate "intenzionalmente";
l'utilità data o promessa al mediatore deve essere economica; il denaro o altra utilità deve essere dato/promesso per remunerare il soggetto pubblico o per far realizzare al mediatore una mediazione illecita (della quale viene data una definizione normativa);
il trattamento sanzionatorio del minimo edittale sale da 1 anno a 1 anno e 6 mesi.
Il commento del vice presindente ANCI, Roberto Pella
In un'intervista rilasciata al quotidiano ItaliaOggi, Roberto Pella, vicepresidente vicario dell'Anci e deputato di Forza Italia, esprime la soddisfazione da parte dei Sindaci "non per aver raggiunto un'impunità che non volevamo, ma semplicemente per essere stati messi nelle condizioni di poter lavorare in serenità, visto che in questi anno molti sindaci hanno lasciato la politica in quanto indagati per abuso d'ufficio. [...] In questi anni molti sindaci hanno lasciato la politica, raggiunti da un avviso di garanzia per abuso d'ufficio. Molti amministratori hanno rinunciato a ricoprire la carica di primo cittadino proprio per paura di finire indagati."
Approvato il Decreto PA bis, ecco tutte le novità
Ecco quali sono tutte le novità introdotte dal Consiglio dei Ministri: approvato il cosiddetto Decreto PA bis, che contiene diverse novità in materia di organizzazione amministrativa.Il Consiglio dei Ministri, ha pertanto approvato un nuovo decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia di organizzazione della pubblica amministrazione, di sport e per l'organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica 2025.Il Decreto prosegue sul solco di quello dedicato alla capacità amministrativa delle nostre PA, che di recente ha incassato la fiducia della Camera.
Erano presenti all'approvazione il Presidente Giorgia Meloni e i Ministri per la pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, per lo sport e i giovani Andrea Abodi, dell'interno Matteo Piantedosi, della giustizia Carlo Nordio, della difesa Guido Crosetto, dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, del lavoro e delle politiche sociali Marina Calderone, dell'istruzione e del merito Giuseppe Valditara, dell'università e della ricerca Anna Maria Bernini, della cultura Gennaro Sangiuliano, della salute Orazio Schillaci e del turismo Daniela Santanchè.Al termine del Consiglio dei Ministri sono stati illustrati in conferenza stampa i provvedimenti adottati.Approvato il Decreto PA bis, ecco tutte le novitàQueste qui di seguito sono le principali misure approvate dal Consiglio dei Ministri:disposizioni in materia di organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri la riorganizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la modifica dell'assetto organizzativo dell'Ispettorato nazionale del lavoro, per l'assorbimento delle competenze fin qui attribuite all'Agenzia nazionale politiche attive lavoro (ANPAL);risorse per la valorizzazione del personale tecnico-amministrativo delle università statali;l'incremento del Fondo risorse decentrate del Ministero della salute;disposizioni sull'Agenzia italiana del farmaco (AIFA);l'estinzione delle società partecipate dall'Ente strumentale alla Croce Rossa Italiana (ESACRI);norme in materia di Piano oncologico nazionale e per l'attuazione del Registro tumori;risorse per la digitalizzazione dei cammini giubilari;indennità aggiuntive e l'aumento dell'organico per la dirigenza penitenziaria;il rinvio del termine, attualmente previsto nel 30 giugno 2023, a partire dal quale si applica alle impugnazioni il nuovo "rito cartolare" introdotto dalla riforma "Cartabia";la velocizzazione delle procedure concorsuali per il personale docente, in attuazione di quanto previsto dal PNRR; assunzioni a tempo determinato (anche attraverso agenzie di somministrazione), per la durata di un anno, di 30 unità da inquadrare nel profilo di funzionario, per supportare le Prefetture delle province interessate dagli eventi alluvionali;la previsione che, per le società sportive professionistiche, solo le plusvalenze biennali (e non più annuali) contribuiscono a formare reddito;norme sui giudizi sportivi comportanti penalizzazioni di punti, che dovranno iniziare non prima della fine del campionato e concludersi non oltre l'inizio di quello successivo;l'eliminazione dell'applicabilità alle società dilettantistiche delle (future) norme di giustizia sportiva relative ai provvedimenti per l'ammissione ai campionati;la previsione per le società sportive professionistiche a controlli di natura economico-finanziaria per garantire il regolare svolgimento del campionato;un credito d'imposta, per l'anno 2023, alle imprese, ai lavoratori autonomi e agli enti non commerciali che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie;un'esenzione dall'IVA (anche) per le attività didattiche e formative svolte dagli organismi riconosciuti dal CONI e dagli enti sportivi senza fini di lucro iscritti al Registro Nazionale delle attività sportive;la reintroduzione del vincolo sportivo per gli atleti praticanti discipline sportive dilettantistiche.
AGRIGENTONOTIZIE
Il premio / Sambuca di Sicilia.La Regione premia i borghi più belli della Sicilia: c'è anche Sambuca di Sicilia.
"Riconoscere una premialità a questi borghi - dice l'assessore Messina - è una precisa scelta del governo regionale"
Dalla Regione in arrivo 750mila euro per i Comuni che hanno ricevuto il riconoscimento di "Borgo più bello d'Italia" o di "Borgo dei Borghi". A firmare il decreto di finanziamento gli assessori regionali delle Autonomie locali, Andrea Messina, e dell'Economia, Marco Falcone.
Le somme - previste dall'ultima legge di Stabilità regionale - saranno distribuite, per 500mila euro, al 50% equamente tra i 23 comuni che, secondo le indicazioni fornite dall'assessorato regionale del Turismo, hanno ottenuto il riconoscimento a livello nazionale di "Borgo più bello d'Italia" e per il restante 50% in proporzione alla densità demografica.
I restanti 250 mila euro, invece, saranno destinati ai Comuni premiati, nel tempo, come "Borgo dei Borghi", tra questi Sambuca di Sicilia.
Il Leasing con TAN 2,99% che fa crescere il tuo business.
Vedi Offerta Contenuto Sponsor
"Occorre valorizzare i nostri punti di eccellenza - dice l'assessore Messina - e sostenere la sempre maggiore qualificazione dei piccoli borghi e delle comunità che, avendo mantenuto intatta la propria identità storico-architettonica, hanno la capacità di agire come attrattori turistico-culturali portando in Sicilia visitatori sempre più orientati alla scoperta dei luoghi con una forte caratterizzazione. Riconoscere una premialità a questi borghi è una precisa scelta del governo regionale e un segnale di attenzione e sensibilità verso le realtà locali che hanno saputo mantenere intatto il proprio valore; un modo di premiare le eccellenze e sostenere le piccole realtà locali nel processo di valorizzazione e di sviluppo economico".
CANICATTIWEB
Disavanzo finanziario, dal governo Schifani via libera a proposta per uniformare procedura di ripiano a normativa statale.
Uniformare la procedura per il ripiano del disavanzo finanziario della Regione Siciliana alla normativa statale. È questo l'obiettivo del governo Schifani che, nel corso dell'ultima seduta di giunta, ha approvato la proposta di modifica di una delle norme di attuazione dello Statuto siciliano. In particolare, si chiede alla Commissione paritetica Stato-Regione di procedere con l'abrogazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 158 del 2019, in "materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli", visto che sullo stesso tema è intervenuto, nello scorso dicembre, il legislatore statale con un'identica norma. Risultano, quindi, esauriti gli effetti della precedente disposizione legislativa.
Al centro della decisione del governo c'è l'annosa questione del disavanzo finanziario regionale ereditato dall'esecutivo Schifani e sul quale le Sezioni riunite della Corte dei Conti, nello scorso dicembre, nel corso del giudizio di parificazione del rendiconto generale 2020, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui prevedeva di poter spalmare il disavanzo di circa 2,2 miliardi di euro in dieci anni.
Le ripercussioni finanziarie sui conti della Regione sono state evitate grazie a un'apposita norma statale - richiesta dal governatore Renato Schifani - inserita appunto nella legge di Bilancio dello Stato per il 2023. Una disposizione che ha approvato il ripianamento decennale del disavanzo regionale sulla base di un impegno, da parte della Regione, a garantire una sana gestione finanziaria del bilancio e a programmare una riduzione strutturale della spesa corrente in attuazione dei principi dell'equilibrio e della responsabilità. La "nuova" norma ha di fatto esaurito gli effetti della precedente disposizione del 2019, da qui la decisione di avviare l'iter per l'abrogazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 158 (frutto di un accordo tra Stato e Regione). La decisione del governo regionale, prima di approdare al vaglio della Commissione paritetica che la sottoporrà al Consiglio dei ministri, dovrà passare all'esame dell'Assemblea regionale siciliana, trattandosi di materie statutarie.
TELEACRAS
"Precari Sicilia", ok dal CdM.
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto Pubblica amministrazione bis, compresa una norma che consente alla Regione Siciliana di stabilizzare i precari Asu. Gli interventi dei sindacati.
Novità positive, anche se non più di tanto, sul futuro dei precari Asu (Attività socialmente utili) siciliani. Infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto 'decreto Pubblica amministrazione bis', all'interno del quale vi è una norma che permetterà alla Regione Siciliana di stabilizzare i lavoratori socialmente utili. Si tratta di più di 4.600 lavoratori, precari da oltre 20 anni negli enti locali e nelle aziende sanitarie della Sicilia. A raffreddare l'entusiasmo è però il rinvio della norma nazionale alle condizioni finanziarie degli Enti locali, che potranno stabilizzare ma entro i propri limiti assunzionali. Luisella Lionti, segretaria regionale della Uil Funzione pubblica Sicilia, commenta ottimista: "Accogliamo questo provvedimento che riconosce il contratto a chi, pur senza le adeguate tutele, in questi anni ha operativamente portato avanti i servizi e gli uffici. Adesso è necessario entrare nel merito e capire le procedure. Ci auguriamo che tutto questo si concretizzi in tempi brevi e che non ci siano blocchi inaspettati. Questi lavoratori attendono da troppo tempo la stabilizzazione". E Paolo Montera, segretario regionale della Cisl Fp Sicilia, si sintonizza sulla stessa lunghezza d'onda, e afferma: "Apprezziamo la norma approvata dal Consiglio dei ministri nel 'decreto Pubblica amministrazione' che consentirà agli appartenenti alla platea degli oltre 4mila Asu di essere assunti nel rispetto dei limiti assunzionali degli Enti presso cui sono impiegati. Si tratta - prosegue il sindacalista - della chiara dimostrazione di quanto sia importante il dialogo tra la Regione e lo Stato, sempre sostenuto dal nostro sindacato. E' un piccolo, sebbene storico, passo in avanti. Se è positivo che si sancisca con una norma nazionale il diritto alla stabilizzazione di questi lavoratori dopo quasi 25 anni di precariato, è altrettanto vero che il rispetto dei limiti assunzionali non comporterà la stabilizzazione immediata di tutto il personale. Per questo occorre rivedere la normativa sui limiti assunzionali e stanziare maggiori risorse. L'ok alla norma sugli Asu - prosegue Montera - non deve fare distogliere lo sguardo dalle altre situazioni di lavoratori 'deboli' nel pubblico impiego. Analogo percorso va sostenuto per i precari degli Enti in dissesto, nonché per il riconoscimento dell'integrazione oraria degli ex contrattisti che rischiano di andare in pensione con un trattamento economico inferiore a quello minimo. Va ricordato da ultimo come il personale Asu in questi anni ha lavorato senza maturare alcun diritto alla pensione. E si tratta di un'altra emergenza che occorrerà risolvere all'interno della vertenza Asu".
LIVESICILIA.
Sicilia, rimpasto congelato? Il borsino degli assessori.
Il ritocco alla squadra di governo potrebbe slittare ancora. Oggi la giunta regionale tornerà a riunirsi ma l'argomento sembra al momento accantonato, complice l'appuntamento con le europee del prossimo anno l'orientamento prevalente sarebbe quello di evitare scossoni. Nel frattempo, qualche malumore è tornato a fare capolino dalle parti di Palazzo D'Orleans.
L'ultimo rimbrotto, solo in ordine di tempo, all'indirizzo dell'assessore ai beni culturali Francesco Scarpinato da parte del presidente Schifani riguarda l'affaire Taormina. L'accordo raggiunto tra l'assessore e Cateno De Luca, ma senza l'autorizzazione di Schifani, è stato nei fatti sconfessato dal presidente. Persone informate dei fatti narrano di una grande irritazione per l'iniziativa d'intesa con quello che a Palazzo considerano il capo dell'opposizione prima che il sindaco di Taormina.
Il casus belli (che pare sia costato una lavata di capo all'assessore Elvira Amata vista l'assenza di Scarpinato in occasione dell'ultima giunta) fa traballare la poltrona del meloniano anche se solo in linea teorica, dai vertici del partito fanno sapere che la linea non cambia e che i "loro" assessori non si toccano. Come cambia il borsino degli assessori in bilico? L'ultima settimana, Scarpinatogate a parte, sembra avere fatto rientrare in partita Marco Falcone e Mimmo Turano. L'assessore all'economia, dopo momenti di gelo, avrebbe riattivato i contatti con il presidente Schifani.
E non solo. L'appoggio della sua lista al candidato a sindaco di Acireale Roberto Barbagallo, come da ordini di scuderia, e la nomina di Salvo Tomarchio (fortemente voluta da Schifani) come assessore al Comune di Catania hanno per il momento riappianato i rapporti. A prevalere, nella settimana più nera per Forza Italia, è stata la lealtà e lo spirito di partito.
Turano blindato dalla Lega
C'è poi il capitolo Turano. L'ultimo atto si era chiuso in occasione dell'ultima seduta d'aula quando il gruppo parlamentare con una nota unitaria aveva di fatto blindato l'assessore finito nel mirino di FdI e nel corso dell'ultima giunta, Turano (all'interno di una cornice di rapporti cordiali nonostante i veleni della campagna elettorale) aveva anche portato due delibere molto importanti relative alla formazione professionale accantonate soltanto per motivi legati alla necessità di ulteriori approfondimenti. Nei prossimi giorni capiremo meglio i contorni del restyling annunciato e poi congelato, con molta probabilità non prima di un confronto tra i partiti della maggioranza. "Non si può fare un rimpasto ad personam, serve un ragionamento complessivo", sussurra a microfoni spenti un big della coalizione. Come dargli torto.
teleacras.it
Abuso d'Ufficio", l'intervento di Patronaggio
L'ex Procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha diffuso un intervento contro l'abolizione del reato di abuso d'ufficio: disagio, rammarico e frustrazione.
Luigi Patronaggio adesso è Procuratore Generale a Cagliari, e tra l'altro è stato Procuratore della Repubblica di Agrigento e presidente della Corte d'Assise di Agrigento, con a latere Luisa Turco, impegnato nell' "Akragas", il primo maxi processo a Cosa Nostra agrigentina, frutto delle prime due collaborazioni storiche con la Giustizia degli empedoclini Pasquale Salemi e Alfonso Falsone, e che si concluse nell'aula bunker carcere "Petrusa" di Agrigento il pomeriggio del 18 luglio del 2001 quando Patronaggio e Turco inflissero 21 ergastoli e 20 condanne a complessivi 150 anni di carcere. Patronaggio, poi a lavoro ai vertici della Procura di Palermo in altrettante inchieste di rilievo come magistrato inquirente e non più giudicante, ha appena diffuso un intervento contro l'abolizione del reato di abuso d'ufficio, ovvero l'articolo 323 del Codice penale: "Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione fino a due anni". Luigi Patronaggio avverte disagio, frustrazione e rammarico, e scrive: "E' fin troppo chiaro e indiscutibile che le Leggi vanno osservate ed applicate. Fatta questa premessa, a seguito della proposta abolizione del reato di abuso di ufficio con un troncante disegno di legge governativo, mi domando da magistrato ed uomo che amministra giustizia cosa dirò a quell'onesto candidato ad un posto di lavoro pubblico che si è visto scavalcare da altro candidato cui un compiacente pubblico funzionario ha valutato in modo illegittimo i titoli, in modo da favorire il concorrente nella nomina, con contestuale fregatura per l'onesto candidato. E cosa dirò a quel cittadino che si è visto negare una licenza perché il sindaco del suo paese ha voluto privilegiare il suo compagno di partito assegnando a questi ciò che spettava al primo. E ancora come resterà quell'imprenditore che vedrà votare l' amministratore di una società pubblica una delibera a favore di una impresa da lui controllata senza astenersi come doverosamente previsto per legge per le ipotesi di incompatibilità. E quella azienda che si è vista sfuggire una lucrosa commessa perché il direttore di una ASL ha preferito illegittimamente favorire altra azienda legata ad un potente politico che proprio quel direttore aveva nominato a capo dell'ASL. E che dire alla professoressa, mamma di quel bambino portatore di handicap che sperava nel trasferimento nella sua città in forza di una legge che proprio quei soggetti svantaggiati vuole proteggere, quando il Provveditore con una lettura illegittima di quel caso umano ha preferito attribuire punteggi maggiori ad una amica, con cui aveva una relazione clandestina, che con attestazioni compiacenti, relative ad una vecchia nonna ottantenne mai vista, ha voluto favorire.
Certo oggi sono molto sollevato dal sapere che il Sindaco del mio paese farà decollare velocemente appalti e commesse pubbliche senza avere paura di firmare, ma sarò molto triste per quei cittadini che reclamano giustizia e che non verranno mai più tutelati. Un tratto di penna e "liberi tutti", sentenze cancellate ed aspettative tradite. Essere garantisti significa garantire un giusto processo agli indagati ma significa altresì garantire i diritti a tutti quei cittadini che hanno subito una offesa e un danno da un comportamento illecito". Firmato Luigi Patronaggio.
siciliaonpress.it
Stabilizzazione, il Governo apre alle assunzioni negli enti locali. Pace: "Continueremo ad impegnarci"
La formulazione del testo desta alcuni dubbi sulla possibilità che il posto fisso possa essere concesso a tutti. La norma approvata a Roma è stata elaborata dalla parlamentare messinese di Forza Italia Matilde Siracusano, che è sottosegretario ai Rapporti col Parlamento: "Permetterà di stabilizzare i 4.600 Asu, precari da 20 anni. Ringrazio l'esecutivo e il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo".
Gli Asu sono entrati alla Regione e nei Comuni fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila. E più volte la Regione ha cercato di stabilizzare questo personale. L'ultima volta nel 2021 con una norma che fu impugnata dal governo nazionale. E proprio un mese fa la Consulta ha dato ragione allo Stato bocciando definitivamente il piano della Regione.Giovedì sera è stato il Consiglio dei ministri a varare una norma che parla di stabilizzazione. Si tratta dell'articolo 2 del decreto Pubblica amministrazione bis. Un testo di poche righe in cui la premessa è che "le amministrazioni pubbliche hanno facoltà di assumere a tempo indeterminato" gli Asu e varie altre categorie impegnate anche in altre Regioni in lavori di pubblica utilità.Il provvedimento del Consiglio dei ministri precisa che per il posto fisso serviranno "procedure di reclutamento conformi all'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adeguate alla tipologia della professionalità da reclutare e della valutazione dei titoli che tengano conto della anzianità di servizio".
Fin qui il decreto apre le porte delle pubbliche amministrazioni ai precari, pur parlando di "facoltà" e non obbligo. Ma c'è un secondo comma che ieri ha messo in allarme i sindacati. Fissa dei paletti e il primo è che dai contratti a tempo indeterminato "non devono derivare nuovi o maggiori oneri".La spesa, in buona sostanza, non deve aumentare rispetto a quella con cui la Regione garantisce l'attuale sussidio. Ma il paletto più alto è quello che prevede che "le amministrazioni interessate provvedono alle stabilizzazioni nei limiti delle facoltà assunzionali previste dalle leggi vigenti". Significa che all'interno dei Comuni in cui questi precari sono impiegati, e anche all'interno della Regione, devono esserci gli spazi. E si tratta sia di spazi nelle piante organiche che, sopratutto, nei bilanci. I limiti assunzionali sono proprio le quote del bilancio che ogni anno possono essere utilizzate per il turn over: sono frutto di complicati calcoli che tengono conto dei pensionamenti e della capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni. E normalmente fanno sì che non tutti i dipendenti che vanno in quiescenza vengano sostituiti.
Adesso bisogna capire quanti dei 4.600 Asu possono essere stabilizzati e in che tempi."Accogliamo con soddisfazione l'approvazione di una norma da parte del Consiglio dei ministri sulla stabilizzazione degli oltre 4000 lavoratori Asu Siciliani", dichiara il capogruppo della DC all'Ars, Carmelo Pace. "Dall'inizio della legislatura, fin dal giorno dell' insediamento e delle dichiarazioni programmatiche ci siamo sempre battuti in favore di questa categoria di lavoratori che rappresentano una risorsa.
Con una nostra proposta nella recente finanziaria regionale abbiamo raggiunto un risultato straordinario aumentando le ore lavorative settimanali portandole a 36. Adesso, continueremo ad impegnarci, seguendo da vicino la vicenda di concerto con il governo della regione affinché la norma nazionale possa essere applicata nell'impianto della nostra regione, evitando nuove impugnative, dando così dignità a chi in questi anni ha svolto importanti compiti negli uffici degli enti utilizzatori".