agrigentonotizie.it
Agrigento Capitale italiana della cultura, il punto arriva in Consiglio comunale: annunciate le barricate
Molti consiglieri, sia tra i componenti della maggioranza che tra quelli dell'opposizione, non sarebbero convinti del documento loro proposto dalla giunta
Mentre si consuma uno strappo politico, l'ennesimo, con l'area che fa capo al deputato Lillo Pisano - e che potrebbe adesso avere conseguenze significative sulla composizione della giunta comunale - il calendario dei lavori del Consiglio comunale vedono per il prossimo 27 agosto la convocazione della conferenza dei capigruppo su un tema spinosissimo quale lo statuto della fondazione che dovrà gestire il progetto di Agrigento Capitale della cultura 2025.Le osservazioni rispetto alla proposta che sarà portata in aula "Sollano" sono, da quanto trapela, le stesse fatte in altri contesti da altri enti: si parte con l'eccessivo potere conferito all'associazione "MeNo", proseguendo con il fatto che il documento prevede l'individuazione esplicita delle figure apicali che dovranno gestire appalti e progetti. Tutti argomenti nell' "arco" di chi lo statuto vuole modificarlo o bocciarlo, e in questo elenco rientrerebbero anche consiglieri di maggioranza preoccupati di presunti/possibili rischi di tipo amministrativo.
"Ci sarebbe anche chi porta avanti una tesi alternativa, che prevede di accantonare il progetto di una nuova fondazione in favore di una già esistente, cioè la "Pirandello", oggi guidata da una maggioranza riconducibile a Fratelli d'Italia (o al deputato Noi moderati Lillo Pisano, questo è da capirsi), che secondo i sostenitori di questa ipotesi sarebbe pienamente nelle condizioni di gestire tutto.
C'è poi un tema che è quello economico: per far partire la macchina serve denaro liquido, e questo è prerogativa dei privati e non certamente degli enti pubblici che affrontano non poche difficoltà di tipo burocratico-gestionale. Quello che in molti anticipano è che, comunque, l'idea di una ferma "resistenza" da manifestarsi in aula quando il punto sarà portato in discussione, verosimilmente entro il mese di settembre. Va precisato che perché lo statuto sia approvato ed operativo, deve essere votato da tutti i soggetti fondatori (Comune di Agrigento, Ecua, Comune di Lampedusa) nella medesima forma. Basterebbe infatti una modifica per far ripartire tutto da capo. E il 2024 è, proceduralmente parlando, ad un tiro di sasso.
politica7.it
Il percorso incerto di una riforma necessaria. La Lega preme per le nuove Province, ma guai a ripristinare i "poltronifici"
"Il punto è che, come detto, la partita va chiusa a stretto giro e a quanto pare, a Palazzo Chigi, va maturando l'intenzione di rallentare, di rinviare l'approvazione della riforma al 2024 per restituire la parola ai cittadini solo nel 2025. In primo luogo perché occorrerebbe recuperare le coperture finanziarie necessarie a sostenere la riforma, e la legge di bilancio alle porte restituisce margini molto stretti, in seconda battuta perché sulla ridefinizione delle funzioni è necessario muoversi con grande cautela, infine perché, fanno sapere da Fratelli d'Italia, a giugno del prossimo anno già si vota per europee e amministrative.
Aggiungere le provinciali sarebbe eccessivo, anche per gli italiani.
Insomma, con ogni probabilità Salvini ha voluto aprire un ulteriore fronte all'interno della maggioranza. Ha voluto ricordare che sulla Riforma delle Province c'è un impegno preciso che va rispettato, che la Lega non è disponibile ad assecondare rinvii. Non tanto perché la riforma delle Province sia argomento sensibile per la pubblica opinione diffusa, ma perché in larga parte del Settentrione d'Italia la Lega è innanzitutto il partito dei territori e degli amministratori, è il partito che sul governo delle comunità e delle Province ha costruito il proprio radicamento e la propria identità, il partito che avrebbe più da guadagnare da una immediata approvazione di questa riforma. In termini di potere e di consenso. Un concetto che vale certamente più al nord, ma sufficiente ad invitare FI e FdI ad un atteggiamento più prudente. La riforma si farà, ma al voto si tornerà con maggiore probabilità nel 2025, evitando un abbinamento alle Europee, troppo favorevole al Carroccio. Il rischio che qualcuno intravede è che i futuri enti provinciali (basti rammentare come proliferarono a dismisura in territori poco popolati e di minore interesse generale) ritornino nella vecchia veste istituzionale per accontentare i cosiddetti "esodati della politica". Per dirla in chiaro, enti utili a garantire un posto a chi l'ha perso a causa dei tagli nel numero dei parlamentari o per il diminuito peso elettorale del partito di riferimento in Regioni e città. Con la conseguenza che l'esercito, piccolo o grande che sia, dei trombati vaghi alla ricerca di un incarico, cioè di una poltrona. Possibile che si arrivi a tanto? Insomma, un posto da presidente, da assessore o da semplice consigliere provinciale non si nega a nessuno. Le Province contribuirebbero in modo concreto a risolvere qualche problemuccio di riposizionamento. Su questo punto ci si attendono 'contromisure' che evitino di ridar fiato all'antipolitica di matrice 'grillina'.Bene ha detto Nicola Calandrini, pronto a ricordare che quando le Province sono state 'chiuse' non si è registrato quel risparmio di spesa previsto dalla sinistra. Al contrario sono aumentati i problemi per i piccoli Comuni, che rappresentano l'ossatura del territorio. A livello burocratico i piccoli centri sono stati caricati di responsabilità difficili da gestire e soprattutto è mancato quel collante necessario a gestire servizi e infrastrutture che naturalmente richiedono una connessione tra enti locali. Tornare a degli enti elettivi riavvicinerebbe i cittadini al governo del territorio, creando quel senso di comunità che, in una provincia estesa e in parte giovane come quella pontina, appare essenziale per uno sviluppo coeso.
orticalab.it
Provinciali, amministrative ed europee: la logica delle contraddizioni
Al voto per le Province il 9 giugno insieme ad europee e alle amministrative. La controriforma della Delrio, oltre al voto diretto, potrebbe prevedere l'elezione al primo turno del candidato che supera il 40 per cento, e attraverso un emendamento lo stesso quorum varrebbe anche per il sindaco. Niente voto disgiunto. Una spinta a formare coalizioni ampie, con tutte le contraddizioni possibili che ne derivano
La controriforma della Delrio si farà. E molto probabilmente, tra un anno, in concomitanza con le europee e con le amministrative del capoluogo del 9 giugno, i cittadini torneranno ad eleggere direttamente presidente e consiglio provinciale.
Wanda Ferro, sottosegretaria meloniana all'Interno, conferma: «L'obiettivo è una buona legge, perché abbiamo visto cosa comporta una norma sbagliata. Ma la scommessa è questa», ribadisce Ferro. La riforma delle Province non finirà su un binario morto. Potrebbe anzi sorpassare l'esame dell'autonomia differenziata, su cui la Lega ha scommesso il tutto per tutto.
Anche autorevoli esponenti del Pd dicono lo stesso. 495 emendamenti esaminati: se l'intesa è bipartisan, l' iter parlamentare sarà veloce e l'approvazione definitiva del testo unificato ci sarà già nei prossimi mesi.
Se così, meglio farsi trovare preparati.Il Pd e il M5s alle provinciali proveranno forse a rimarcare il perimetro del campo largo con Sinistra Italiana e moderati vari. Sarà la prova che il modello Manfredi che governa Napoli è vincente e ha un futuro anche alla Regionali.
Per il governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, le provinciali saranno l'occasione per riaffermare la sua egemonia sul territorio, per prendersi la rivincita contro Elly Schlein, senza attendere il congresso regionale del Pd.De Luca dovrà dimostrare di essere il padrone dei territori, che la sua gestione del potere in Campania è insuperabile, che è lui a comandare da Napoli e non il Nazareno da Roma.Il centrodestra, infine, deve convincere che esiste, che il vento dopo le Politiche soffia verso destra ancora e che la vittoria nazionale è replicabile a livello locale.La controriforma degli enti di secondo livello oltre al voto diretto, prevede altre tre rilevanti novità: l'elezione al primo turno del candidato alla presidenza che superi il 40 per cento dei voti; ci potrebbe essere un emendamento che abbassa al 40 per cento il quorum per l'elezione del sindaco al primo turno anche nei comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti; non sarà consentito il voto disgiunto.Per tali ragioni, in modo analogo alle amministrative cittadine come alle provinciali centrosinistra e centrodestra potrebbe essere incentivati a formare coalizioni ampie stringendosi intorno ad un unico candidato.
Il centrosinistra sarà quasi certamente unito in un fronte progressista con Pd, 5stelle, Sinistra, associazioni varie (Avellino Prende Parte, Controvento e Soma) e potrebbe superare facilmente il 40 per cento, sfiorando addirittura il 50. E allora Festa sarà costretto sin da subito a cercare un' interlocuzione con il centrodestra, sposare il suo civismo populista con la proposta politica di Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia.
In tal caso, il centrodestra non potrà adottare una tattica di desistenza al primo turno per poi magari convergere su Festa al secondo.Se l'alleanza nel centrosinistra è naturale ed organica, politicamente legittima, l'intreccio tra la formazione civica del sindaco e il centrodestra non può non essere una forzatura politica per entrambe le parti.
Il sindaco ha avuto la tessera dem fino allo scorso anno, è stato amministratore cittadino in una maggioranza di centrosinistra, ha nella sua attuale maggioranza e in giunta consiglieri e assessori provenienti dal Pd.Il centrodestra, che governa sul piano nazionale, qui ad Avellino dovrebbe ammettere tutta la sua inconsistenza politica e dissolversi nel civismo del sindaco.
Queste contraddizioni risulteranno più lampanti perché lo stesso giorno in cui si voterà per la provincia e alle amministrative ci saranno le europee dove il voto è squisitamente politico, e cioè ispirato dai simboli di partito, dai candidati in campo e da proposte identitarie.Sarebbe incomprensibile una campagna elettorale per le europee con passerelle di big di partito e nello stesso tempo alle amministrative e alle provinciali vedere i partiti defilati. Imbarazzerebbe politici, segretari di partito, candidati, militanti e disorienterebbe l'elettore che di fronte a tre schede dovrebbe votare senza nessun orientamento politico e convinzione ma solo per assecondare pedissequamente la logica politica della contraddizione.
buttanissimasicilia.it
Il vuoto a perdere di SchifaniPrima estate da presidente, zero riforme. Forestali, burocrazia e fondi europei: quali soluzioni?ALBERTO PATERNÒ
L'Ars è chiusa per ferie. Il governo - così dicono - non si ferma mai. Ma la prima estate di Schifani è povera di successi. A undici mesi dalla schiacciante vittoria elettorale, il centrodestra non ha cavato un ragno dal buco. Le immagini più vivide di questa legislatura sono quelle degli ultimi mesi: Palermo che brucia, i bivacchi di Fontanarossa, le autostrade smantellate. Non c'è stato spazio per analizzare una singola riforma, né per spendere i soldi dell'Europa, tanto meno per ottenere una revisione degli accordi con lo Stato che, a distanza di due anni dall'ultima stipula, rappresentano un cappio al collo per la Sicilia. L'Assemblea regionale s'è riunita per approvare la Finanziaria e alcuni testi stralcio ad essa collegati (per rimediare all'impugnativa romana): è stata una sessione finanziaria permanente, peraltro infarcita di marchette. Altro che visione.
Il vero punto di caduta, una conquista per tutti, è arrivata in zona Cesarini: trattasi della proposta di riforma delle ex province, con la reintroduzione del voto diretto per eleggere il presidente e i consiglieri provinciali. Oltre trecento poltrone in palio, tutto grasso che cola. Su questo punto i partiti della maggioranza, e persino il Pd, hanno trovato la quadra. Bisognerà oliare alcuni meccanismi - a partire dalla grandezza dei collegi elettorali, passando per la data del voto - e poi potranno partire i comunicati della festa. In verità sono già arrivati dopo il passaggio in prima commissione. Schifani ha detto che è una "riforma attesa da anni". Già. Ma da chi? Di certo non dai siciliani, sempre più sfiduciati nell'approccio alla politica.
Forse dai partiti, che non vedono l'ora di redistribuire alcune caselle fondamentali per fare incetta di consenso. E diciamolo pure: il ritorno delle province, cancellate (male) da Crocetta, serve soprattutto a loro. Alla "casta".
L'eredità di questa prima estate non si misura sulle leggi approvate, ma sulle occasioni mancate. Sugli incendi, la Regione avrebbe potuto dimostrare di avere le carte in regola. Prevenendoli o, al massimo, spegnendoli. Ma poi è emerso che l'enorme contingente di droni acquisti durante il governo Musumeci sono delle inutili cineserie, perché privi di rilevatore termico all'avanguardia; e che delle 119 autobotti che la Regione s'è aggiudicata con un bando pubblico lungo tre anni, solo una dozzina di esemplari stanno per giungere a destinazione. L'eterna questione dei Forestali, tantissimi ma non abbastanza per contenere la furia dei piromani e gli "scherzi" della natura, è stata riproposta da Schifani a Tajani: l'obiettivo è assumere 300 agenti in divisa, forse 400, da appioppare al Corpo Forestale. Ma prima bisognerà superare un altro ostacolo: si chiama Giancarlo Giorgetti.Il Ministro dell'Economia, nel corso di un paio di tavoli coi rappresentanti siciliani, aveva garantito la revisione dell'accordo Stato-Regione del 2021, sottoscritto da Conte e Musumeci, che impediva alla Sicilia di rare assunzioni. Una parziale modifica subentrata pochi mesi fa, allo scopo di dilatare i tempi per il rientro del disavanzo, evitando di incorrere in guai peggiori per l'ente, ha solo complicato la questione. Serve una deroga, e serve subito. In una recente lettera indirizzata a Giorgetti, Schifani è tornato alla ribalta: chiede di autorizzare la Regione Siciliana a indire nuovi concorsi per sostituire il cento per cento del personale non dirigenziale andato in pensione dal 2021 in poi. L'obiettivo è "rafforzare la capacità amministrativa anche dell'amministrazione regionale siciliana, in linea con le numerose disposizioni adottate dal governo per il rafforzamento delle amministrazioni centrali". Nella lettera, Schifani ha evidenziato come la mancanza di turnover ha quasi azzerato ruoli, come quello del Corpo forestale, "cui competono delicatissime funzioni, di prevenzione e tutela del territorio, che in altre Regioni sono svolte da amministrazioni statali".
Per Schifani "le numerose vacanze nelle dotazioni organiche dell'amministrazione regionale, pur ridotte di diverse migliaia di unità in pochi anni, non potranno tuttavia essere colmate, neanche in parte, qualora non si possa procedere, oltre che al turnover al cento per cento del personale che cesserà dal servizio successivamente alla revisione dell'accordo, anche al recupero, ove possibile totale, delle facoltà assunzionali escluse nel triennio 2021-2023 dalle clausole dell'accordo del 2021". Giorgetti, per dirla in gergo, ha visualizzato ma non ha ancora risposto.
In questi mesi al governo il presidente della Regione e i suoi assessori - ma qui è determinante anche il contributo degli uffici dei dipartimenti - non sono riusciti a spendere una valanga di fondi europei relativi alla programmazione Fesr 2014-20, che a fine anno l'Europa vorrà indietro. Circa un miliardo è a rischio. Tra i capitoli che rimarranno parzialmente sguarniti, ci sono quelli relativi al dissesto idrogeologico, alla banda larga, alla chiusura del ciclo dei rifiuti (tramite la realizzazione degli impianti di compostaggio). Il piano d'emergenza, nella speranza che vada in porto, servirà solo a riconvertire una parte delle risorse e destinarle a spesa corrente: una sorta di escamotage per non perderli. "Con serietà e grande senso di responsabilità - ha annunciato Schifani -. abbiamo condiviso quest'impegno con l'Assemblea regionale che a luglio ha approvato, nelle competenti Commissioni Bilancio e Ue, la complessa manovra correttiva proposta dal governo regionale e apprezzata dal Comitato di sorveglianza lo scorso 26 luglio".Anziché supportare gli investimenti per ridurre il gap col resto del Paese, i soldi finanzieranno le imprese colpite dal caro energia. "Sono stati previsti 50 milioni per incrementare la dotazione del Fondo di garanzia per il sostegno agli investimenti delle imprese siciliane e altri 70 per finanziare lo scorrimento della graduatoria e consentire a molte più aziende di accedere ai finanziamenti agevolati a tasso zero erogati dall'Irfis". Anche qui, però, siamo nell'ambito dei buoni propositi. Nulla di definitivo, né di circostanziato. Per scoprire tutta la verità, bisognerà attendere il 31 dicembre. Nel frattempo la Sicilia ha avuto accesso a 6,6 miliardi di Fondi Sviluppo e Coesione (FSC) per la programmazione 2021-27 e a una dotazione finanziaria di 5,8 miliardi relativa al PO Fesr, di cui 4,10 miliardi provenienti dai fondi Ue e 1,76 miliardi cofinanziati dall'Italia con risorse nazionali e regionali. Una mole di denaro impressionante, che fa già tremare i polsi. Vista la nostra capacità di spesa, non ci resta che pregare.
publicpolicy.itCome procede al Senato la riforma delle Province
Non c'è soltanto il ddl sull'Autonomia differenziata. La commissione Affari costituzionali al Senato da diversi mesi va avanti su un altro dossier delicato: la riforma delle Province.
Tra metà luglio e inizio agosto la 1a di Palazzo Madama, una delle commissioni che ha più provvedimenti da trattare, è andata avanti con l'esame degli emendamenti presentati al disegno di legge nato del lavoro del comitato ristretto, presieduto dalla relatrice Daisy Pirovano.
ll testo, composto da 15 articoli, prevede tra le altre cose l'elezione diretta sia per gli organi delle Province che per quelli delle Città metropolitane, oltre ad affidare una delega al Governo sui collegi plurinominali e il sistema di finanziamento degli enti locali.
Come anticipato da Public Policy sono stati presentati 172 emendamenti al ddl, 52 firmati dagli stessi partiti di maggioranza. In particolare FdI punta a eliminare i paletti su più candidature nello stesso turno elettorale e a prevedere il "presidente della Città metropolitana" invece del sindaco.