agrigentonotizie
ondazione Capitale della cultura, tutto risolto? Macché: tanti i nodi ancora da sciogliere
L'apertura di Franco Micciché agli emendamenti dei consiglieri riaprono anche la partita politica su questa vicenda, riaccendendo anche qualche "appetito"
A leggere qui e lì le dichiarazioni rassicuranti del sindaco di Agrigento Franco Micciché sul destino di Capitale della Cultura 2025 e della fondazione che dovrà - quando sarà realtà - gestire fondi e progetti, viene da pensare che, a poco più di 12 mesi dalla data clou, sia effettivamente tutto pronto e definito e che i tanti problemi posti in queste settimane si siano magicamente risolti.In realtà il primo cittadino, dimostrando una propensione altissima al "pompieraggio", cioè il tentativo spesso vano di spegnere ogni polemica, (salvo però trovarsi circondato da fiamme che lui, solo lui, non vede) ha tentato di rassicurare tutti senza che le procedure burocratiche siano effettivamente avanzate di un solo passo.
Ad oggi, infatti, la proposta di statuto votata dalla giunta il 4 agosto non è ancora arrivata in Consiglio comunale: questo perché su di essa pesa un parere negativo dei revisori dei conti che le controdeduzioni dell'ufficio legale del Comune non sono riuscite a "spegnere", anche in considerazione solo domani dovrebbero arrivare alla conferenza dei capigruppo le controdeduzioni (teoricamente pro-Micciché) del settore Bilancio dell'Ente.
Da quel "niet" ad oggi c'è stato un incontro in Prefettura nel quale proprio il primo cittadino si è fatto carico di un impegno a rivedere lo statuto tanto avversato rivedendo il ruolo dell'associazione MeNo che tuttavia, si apprende da altri quotidiani, verrà eliminata dai soci fondatori senza toccare invece il ruolo di direttore generale della fondazione stessa di Roberto Albergoni, che è uno dei punti più "caldi" nonostante il supertecnico - che è rimasto ben lontano dalle polemiche politiche - sia di fatto inserito nel dossier stesso di candidatura proprio nel ruolo di responsabile dell'attuazione del programma.Ad ogni modo, qualunque sia la soluzione pensata dal sindaco o da chi per lui, bisognerà tornare in Giunta e deliberare una nuova bozza di statuto, ottenere parere positivo dei revisori dei conti, passare dalle commissioni, arrivare in Consiglio comunale e ottenere la maggioranza, passaggio non scontato di questi tempi.
La bozza poi dovrà passare ad Ecua e al Comune di Lampedusa per l'approvazione di competenza e solo allora, nei fatti, la fondazione potrà nascere. Poi bisognerà capire con quali risorse far camminare la macchina che dovrà iniziare soprattutto a fare "campagna acquisti" per lo svolgimento di eventi e iniziative che dovranno essere la "spina dorsale" di Capitale della Cultura. Superati tutti i problemi burocratici poi, forse, ci sarà tempo per dedicarsi alle questioni di "bottega", cioè politiche: dalle pagine dei giornali nei giorni scorsi erano volate bordate - indirette - verso gli alleati che poi, in pieno stile Micciché, non avevano preso nessuna strada, nè in positivo né in negativo.
lentepubblica.it
Cosa significa quando un ente locale è in dissesto?
Una recente ricerca di Openpolis ci spiega cosa significa quando un ente locale è in dissesto e cosa comporta questa condizione per la cittadinanza.Anche gli enti locali sono obbligati a seguire particolari regole per la stabilità dei propri conti pubblici e può capitare che l'ente non riesca più a mantenere una situazione sostenibile.Nei casi più gravi si parla di dissesto finanziario.Scopriamo nello specifico di cosa si tratta e cosa comporta.Cosa significa quando un ente locale è in dissesto?Si tratta di una procedura che viene messa in atto quando l'ente locale non è più in grado di svolgere le proprie funzioni ed erogare servizi indispensabili, oltre ad avere difficoltà nell'assolvere ai debiti. Questa procedura è definita dall'articolo 244 del testo unico degli enti locali (Tuel).Dopo la deliberazione dello stato di dissesto, è necessario stabilire la condizione dell'ente. Viene redatta una relazione dettagliata che viene poi presentata al ministero degli interni e alla corte dei conti a cui fa riferimento il territorio (Tuel, articolo 246). In seguito, viene nominato un organo straordinario per la liquidazione che si occupa di rilevare la massa attiva e quella passiva dell'ente (Tuel, articoli 252-256). Questo organo è composto da commissari.In seguito a queste procedure viene redatto un altro documento, il bilancio stabilmente riequilibrato, in cui le singole voci di spesa sono bilanciate e coprono tutti i servizi necessari. Durante i cinque o i tre anni successivi all'approvazione di questo documento, si procede al risanamento dell'ente.Nel frattempo, vengono imposti dei limiti sulla contrazione di nuovi mutui e ai pagamenti in conto competenza, oltre alla possibilità di aumentare imposte e tasse locali per riequilibrare lo stato dell'ente (Tuel, articolo 248).Per quel che riguarda i soggetti coinvolti, se gli amministratori sono considerati responsabili di questa situazione non potranno ricoprire per dieci anni specifici incarichi relativi al controllo e alla gestione, come i sindaci non saranno candidabili per dieci anni all'interno di ruoli di rappresentanza dello stato.Il personale può essere ridimensionato e in questo caso deve essere conferito per cinque anni un contributo pari al trattamento economico del lavoratore.I datiSecondo il ministero dell'Interno, sono 120 le province e i comuni in stato di dissesto finanziario nel 2021. Nello stesso anno, sono state avviate 22 procedure di dissesto.La regione in cui sono presenti più enti in condizione di dissesto finanziario è la Calabria (37) seguita da Sicilia (30) e Campania (9). Non ne risultano alla data di rilevazione in Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Emilia-Romagna.Sempre nel 2021, le ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato esaminate hanno riguardato principalmente l'area del mezzogiorno, in cui sono compresi l'81% degli enti che hanno firmato le proposte. La regione in cui ci sono stati più esami sono Campania (10), Calabria (8) e Sicilia (7).Analisi delle causeSono numerose le cause che possono portare un ente al dissesto, da irregolarità contabili a ridotta capacità di riscossione passando per perdite di società partecipate, mancati accantonamenti per rischi e spese elevate.Secondo gli studi, i comuni che hanno delle difficoltà finanziarie registrano una spesa per i servizi che spesso è in linea con il fabbisogno standard del territorio ma spesso i servizi sono carenti, inefficienti e non capillari.L'effetto regionale spiega solo in parte questa dinamica: se è vero che la maggior parte degli enti in dissesto si trova nelle aree del centro-sud che riportano servizi mediamente peggiori rispetto a quelli delle zone del nord, questa carenza viene vista anche negli enti stessi nei confronti dei comuni limitrofi. L'analisi lascia dunque immaginare che la questione non sia tanto legata a quanto un ente spenda quanto piuttosto a come spenda le proprie risorse. Non di rado, è determinata anche all'adeguatezza del bilancio comunale nel fare fronte alle necessità di territori deprivati.
teleacras.it
Per le Province e per i termovalorizzatori
Cuffaro, ribadisce: "Non negoziabile il ripristino delle Province. Avanti tutta sui termovalorizzatori".
Secondo il disegno di legge già approvato dalla Commissione Affari istituzionali all'Assemblea Regionale, alle urne per l'elezione diretta delle Province in Sicilia si sarebbe stati tra il 15 ottobre e il 30 novembre. E invece il tutto si è arenato. Infatti, bisogna prima attendere l'approvazione in Parlamento della legge nazionale di riforma delle Province, che è sotto esame in Commissione Affari istituzionali al Senato, per evitare che la riforma approvata in anticipo in Sicilia sia impugnata dal governo nazionale. Dunque è molto probabile che si voterà tra il 15 aprile e il 30 giugno 2024 in concomitanza con le Europee. Anche perché in Parlamento il disegno di legge si è altrettanto arenato a fronte di altri punti all'ordine del giorno di rilievo, come la Finanziaria. E la discussione è stata rinviata a dopo l'approvazione della Legge di stabilità targata Meloni, e quindi a novembre. In Sicilia dunque il governo ha rinnovato le nomine dei commissari nelle ex Province. A fronte di ciò, l'ex presidente della Regione e segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Totò Cuffaro, ribadisce come irrinunciabile ed essenziale il ripristino delle ex Province. E prospetta: "Approveremo la legge, sulla data del voto troveremo un'intesa. Le Province sono rimaste in piedi, seppur con un nome diverso, e con esse anche i costi. Sarebbe ridicolo non farle con la scusa delle spese per indennità e gettoni di presenza. La democrazia ha un costo. Le Province erano nel programma con il quale Schifani ha chiesto e ottenuto il voto dei siciliani. La gente ora aspetta il ritorno di questi importanti enti di collegamento tra Regione e Comuni" - conclude. Secondo il democristiano Ignazio Abate, presidente della Commissione regionale Affari istituzionali che ha già approvato la proposta di legge, il governo nazionale non impugnerebbe la riforma se approvata prima in Sicilia. E spiega: "Il governo nazionale non ha impugnato la legge che autorizzava la proroga dei commissariamenti nelle Province. In quella norma è contenuto un chiaro riferimento alla volontà di tornare al voto diretto in primavera per quanto riguarda gli enti". E ancora Cuffaro rilancia un altro tema cruciale altrettanto a fondamento del programma politico e amministrativo del governo Schifani, ovvero la costruzione dei termovalorizzatori, avviata peraltro da lui stesso all'epoca della sua presidenza della Regione. E afferma: "Qualcuno forse intende bloccare la costruzione di impianti che servono alla Sicilia perché metterebbero fine all'emergenza rifiuti e salverebbero i Comuni dal rischio default. Si riscontrano manovre attorno alla legge che regola l'impiantistica relativa ai rifiuti. Forse qualcuno ha cambiato idea, noi no di certo, e chiediamo che sia mantenuto un impegno preso con gli elettori"
ilsole24ore.it
Per le Province rilancio senza fondi - Il 2024 al via in rosso per 746,5 milioniAssemblea dell'Upi all'Aquila. Chiesto l'anticipo del fondo da 438 milioni
Ridotta ai suoi termini essenziali, la questione è semplice. Le Province vedono all'orizzonte un 2024 già gravato da uno sbilancio di 746,5 milioni, cifra che vale il 31% abbondante delle loro entrate tributarie, mentre prudenza chiede e nuovo regole contabili impongono di costruire in questi giorni un bilancio tecnico in pareggio. E, soprattutto, mentre la politica porta avanti progetti di "rilancio" che puntano dritti al ritorno dell'elezione diretta per presidenti e consiglieri, provano (con qualche incertezza in più) a ricostruire un portafoglio di funzioni fondamentali tale da giustificare la chiamata alle urne. Ma, prudentemente, tacciono sui soldi.Lo squilibrio, gli addetti ai lavori lo sanno, non è lamentato dagli amministratori ma certificato dalle istituzioni, e in particolare dalla commissione tecnica sui fabbisogni standard che lo ha calcolato.Ed è riconosciuto anche dal ministero dell'Economia, che infatti nelle manovra per il 2021 (Governo Conte-2) e 2022 (Governo Draghi) ha istituito il fondo per «il finanziamento e lo sviluppo delle funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane». Iniziativa nobile ma limitata, perché il fondo copre solo metà del rosso iniziale certificato (438 milioni su 841,9) e per farlo ci mette un'eternità, arrivando a regime solo nel 2031. Per il prossimo anno, la quota aggiuntiva vale 22 milioni, portando il rifinanziamento consolidato in tre anni a 95,4 milioni. Briciole.Il tema promette di occupare (non da solo) la scena dell'Assemblea nazionale dell'Unione delle Province che si terrà domani e mercoledì all'Aquila e che per la prima volta vedrà la presenza del Presidente della Repubblica.L'occasione sarà colta dagli amministratori locali anche per rilanciare la loro proposta, già formalizzata al ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, con cui non pretendono una copertura integrale del "buco" ma chiedono di chiudere l'anno prossimo la fase di gestazione del fondo stanziando subito tutti i 438 milioni: cifra non impossibile se paragonata ai 984 miliardi di spesa pubblica corrente messi a preventivo dalla NaDef, ma impegnativa nel quadro di una manovra affollata di richieste quanto povera di margini nonostante i 15,7 miliardi di extradeficit chiesti al Parlamento.In Provincia si affronta però in questa fase uno snodo più strutturale, che non si concilia con la visione corta di una finanza pubblica in perenne emergenza. Perché mentre la parte corrente arranca, anche per la zoppìa di entrate tributarie calate del 14,1% fra 2019 e 2022 con la crisi dell'auto, quella in conto capitale dovrebbe volare. Anche le Province sono infatti investite in pieno dal Pnrr (1.500 progetti di edilizia scolastica per oltre 2,7 miliardi) e dal Piano nazionale complementare (267 milioni per la rete stradale delle aree interne), che si aggiungono ai programmi straordinari su ponti e viadotti. Una manna, che fa volare le entrate in conto capitale (dai 965 milioni del 2019 ai 2,03 miliardi del 2022; +110%). Ma che non può essere gestita da enti che dopo aver perso il 68% del personale fra 2014 e 2020 ballano spesso tra predissesto e default e non hanno i fondi per dotarsi di una minima struttura tecnica.
tg24.info
Dall'Assemblea nazionale UPI la verità sulla riforma delle Province
Si apre oggi a L'Aquila l'Assemblea nazionale dell'Unione delle Province d'Italia. Prevista la presenza del Presidente della Repubblica oltre a quella della Premier e del ministro Salvini. È l'appuntamento dal quale verrà fuori la verità sulla legge di ritrasformazione delle Province italiane, con il ritorno al voto popolare, legge alla quale è stato impresso un tabellone di marcia serrato in un primo momento per subire un brusco stop al rientro al lavoro parlamentare dopo la pausa estiva.Due infatti i punti che saranno affrontati dall'assemblea tra i quali, il primo, è proprio quello relativo alla legge di riforma delle Province. Nessuno ha messo in dubbio che la riforma il cui iter parlamentare è già a buon punto verrà portata a compimento, come ha ribadito anche recentemente il ministro Calderoli, è stata invece fermata la corsa verso il voto insieme alle Europee nella prossima primavera.
La scusa, che non si regge in piedi, è che mancherebbero 300milioni che comporterebbe il ritorno delle Province al loro status di ente primo grado. Si pensi che solo il voto disgiunto dall'election Day, cioè se il rinnovo non si votasse insieme alla consultazione continentale, comporterebbe un aggravio di spesa più o meno della stessa cifra: 280milioni di euro. Sono altri, evidentemente, i motivi che hanno indotto la maggioranza a cambiare idea sui tempi della riforma. Pare che siano proprio di strategia elettorale. Al secondo punto le risorse PNRR per gli Enti Locali.