QDS.
Riforma delle Province bloccata in Parlamento continuano sprechi, immobilismo e inefficienze.
Auguro alle Province italiane di servire con onore e con successo le loro comunità. È tempo di ripresa dopo la transizione che le ha riguardate. È tempo di ripartire al più presto". Queste le parole con cui il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto la scorsa settimana a L'Aquila in occasione della 36^ Assemblea annuale delle Province d'Italia.
Un evento in cui Mattarella ha espresso una posizione chiara sul tema Province, ancora molto dibattuto a livello nazionale vista la chiara intenzione del Governo nazionale per il ripristino degli Enti intermedi e il superamento della Legge Delrio, rimasta monca dopo la bocciatura della riforma costituzionale proposta del Governo Renzi.
"Le norme attualmente in vigore - ha affermato Mattarella - che disegnano strutture e ambiti delle Province, sono legate a una transizione interrotta. E anche per questo, indipendentemente dai giudizi sul merito del percorso allora ipotizzato, giudizi che io non posso esprimere, creano vuoti e incertezze che non possono prolungarsi, rischiando che cittadini e comunità paghino il prezzo di servizi inadeguati, di competenze incerte, di lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento. La Costituzione richiede di essere attuata".
La prospettiva di una "Nuova Provincia"
L'Assemblea annuale de L'Aquila ha posto al centro del confronto la prospettiva di una "Nuova Provincia", con identità e competenze chiare, un ruolo propulsivo su alcuni temi e conseguenti risorse per garantire ai cittadini i servizi assegnati. Mattarella ha pertanto sottolineato come questo percorso si attualmente affidato "al confronto avviato in Senato, dove vi sono state proposte di legge di diversi gruppi parlamentari. E vi è adesso un testo unificato all'esame della Commissione Affari costituzionali. La composizione politica plurale, e la comune responsabilità, dell'Unione delle Province d'Italia può fornire al Parlamento elementi preziosi di esperienza e di conoscenza. Le istituzioni, la loro architettura, la loro qualità sono cruciali per assicurare rispetto dei principi costituzionali e per adempiere al dovere di 'rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale' che 'impediscono il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione' alla vita del Paese, come dispone l'articolo 3 della Costituzione. La Provincia, le Province nel loro insieme, possono e devono partecipare a questo essenziale compito di coesione sociale".
Adesso, dunque, spetta alla politica imprimere un significativo sprint a questa riorganizzazione degli Enti intermedi, che è bene ricordare negli ultimi anni non sono stati soppressi, quindi hanno mantenuto comunque la loro operatività (e i loro costi per mantenere gli apparati) pur essendo state svuotate di numerose funzioni.
La Sicilia ha anticipato tutti nel tentativo di riorganizzazione
Per avere un'idea più chiara rispetto a quanto appena scritto è sufficiente pensare alla situazione siciliana, dove da circa dieci anni le ex Province regionali continuano a costare circa mezzo miliardo l'anno. L'Isola ha anticipato tutti nel tentativo di riorganizzazione - poi rivelatosi fallimentare - di questi Enti. E adesso, dopo più di dieci anni dalla prima Legge per il riordino, la Regione è pronta a innestarsi nel progetto nazionale di ripristinare gli Enti intermedi e in particolare l'elezione diretta degli organi politici.
Il Governo Schifani ha elaborato un apposito Disegno di legge
Il Governo presieduto da Renato Schifani ha elaborato un apposito Disegno di legge secondo cui le Province saranno sei più le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Il progetto di riforma individua gli organi di Governo e la loro composizione, introducendo la figura del consigliere supplente; stabilisce le quote rosa nelle liste, con almeno un quarto delle candidature riservato a donne; prevede la doppia preferenza di genere, come nei Comuni; introduce il collegio unico per l'elezione del presidente della Città metropolitana e della Provincia, la divisione della circoscrizione elettorale in collegi per l'elezione dei consiglieri provinciali, in modo da dare adeguata rappresentanza a tutti i territori. Per le province con popolazione superiore al milione di abitanti sono previsti 36 consiglieri e massimo 9 assessori; per quelle tra cinquecentomila e un milione di abitanti, 30 consiglieri e fino a 7 assessori, mentre quelle con meno di 500.000 abitanti potranno eleggere 24 consiglieri e le Giunte avranno massimo sei assessori. Il Ddl stabilisce inoltre le competenze dei nuovi organismi nel tentativo di spazzare via le incertezze del recente passato.
L'entrata in vigore della legge di riforma, dopo l'approvazione da parte dell'Assemblea regionale, è comunque condizionata all'abrogazione della Legge Delrio da parte del Parlamento nazionale. Occorre quindi che le cose si smuovano a livello nazionale per definire una volta per tutte una questione rimasta nel limbo per troppo tempo, con conseguenti disagi nei servizi per i cittadini.
QDS.
L'analisi delle posizioni politiche all'interno dell'Assemblea regionale siciliana: parlano Mancuso (Forza Italia), Dipasquale (Pd) e Ardizzone (M5s)
PALERMO - Sul tema Province, tanto a livello nazionale che siciliano, il Quotidiano di Sicilia ha intervistato alcuni esponenti di maggioranza e opposizione all'interno dell'Assemblea regionale siciliana per capire gli orientamenti circa un percorso di riorganizzazione che sembra sempre più urgente.Michele Mancuso, deputato regionale di Forza Italia e componente della Commissione legislativa Bilancio ha spiegato come proprio in questi giorni all'Ars vi sia stata l'audizione dei segretari generali dei Liberi Consorzi per arrivare a una sintesi dei costi e definire l'impegno di spesa. Si aggirerebbe, secondo un calcolo sommario, intorno ai 15-20 milioni di euro".
"C'è assolutamente l'intenzione - ha aggiunto - di portare avanti il Ddl Province, con un intento unanime di tutta la maggioranza. Le Province un tempo sembravano insignificanti ma oggi più che mai andrebbero riempite di contenuti: non un ente baraccone, ma una struttura che si occupi del territorio, a cominciare dalle scuole secondarie, dalla tutela dell'ambiente e dalla viabilità. Soprattutto nelle province non metropolitane l'Ente intermedio è un fondamentale raccordo tra i piccoli Comuni e la Regione, per rispondere alle esigenze del territorio".
Sappiamo bene - ha concluso Mancuso - che tutto questo dipende anche dall'abrogazione della Legge Delrio, che è un passaggio nazionale su cui il presidente Schifani ha avuto diverse interlocuzioni, però non c'è stata alcuna risposta negativa fino a oggi. Io credo sia opportuno per la Sicilia mettersi con le carte in regola, il resto sarà consequenziale ed entro fine anno si potrebbe arrivare a un'ipotesi definitiva, anche perché se si deve votare nella prossima primavera e i partiti devono potersi organizzare".
Favorevole alla riorganizzazione anche il PD
Favorevoli alla riorganizzazione delle Province anche all'interno del Partito democratico, come dimostrano le parole del deputato Ars Nello Dipasquale. "Come Pd - ha confermato il rappresentante dem - non siamo assolutamente contrari al ripristino delle Province, anzi avevamo presentato un apposito disegno di legge. Se le Province non si sono istituite in questi anni, sicuramente non è colpa del centrosinistra. Abbiamo avuto cinque anni di Governo Musumeci e un anno di Governo Schifani e a oggi non sono state attuate. Io sono convinto che i problemi delle Province non si risolvano mettendo la quota politica, ma che invece occorra investire risorse. Chi si aspetta che con la nomina di presidente e Giunta si risolvano i problemi di strade, scuole e disabili, potrebbe rimanere deluso. Io queste riflessioni le ho sempre fatte e dette in Aula durante i miei interventi. Se il provvedimento arriverà all'Ars, non avrò difficoltà a votarlo, ma non credo che sia una cosa così imminente".
Anche da Roma - ha aggiunto - non vedo segnali positivi che possano far pensare a un veloce ripristino degli Enti intermedi. Questa legge prevede dei costi per avviare la macchina burocratica. Ecco perché penso che stiamo parlando di aria fritta e quindi il problema oggi di votare o meno il Ddl non si pone. Il passaggio in Commissione non vuole dire nulla, perché poi il documento deve poi comunque passare in Aula".
Critica Martina Ardizzone del Movimento 5 stelle
Più critica la posizione di Martina Ardizzone del Movimento 5 stelle, la quale ha ricordato come "gli Enti intermedi non sono mai stati cancellati, ma letteralmente svuotati di personale senza poter garantire i servizi, come la pianificazione territoriale. Inoltre, i trasferimenti da Stato e Regione sono negli anni diminuiti, mentre si è confermato nel tempo il prelievo forzoso previsto dalla Delrio"
"Il Disegno di legge regionale - ha evidenziato - prevede soltanto la reintroduzione dell'organo politico, che chiaramente avrebbe un costo. Per noi però la priorità è garantire i servizi delle Province e solo dopo impegnare denaro per l'organo politico".
In ogni caso, come rimarcato dall'esponente pentastellata, "se a Roma non viene abrogata la Delrio noi possiamo fare ben poco, perché la legge approvata in Sicilia rischierebbe l'impugnativa. È già successo con Musumeci. A oggi sembra che a Roma Fratelli d'Italia abbia frenato su questo argomento, perché non ci sarebbero i soldi in bilancio, mentre la Lega vorrebbe reintrodurre le Province subito. La stessa situazione si verifica anche a livello regionale. In Commissione infatti abbiamo visto una maggioranza divisa, con la Lega insieme a Dc e Mpa e da un'altra parte Fratelli d'Italia".
ITALIAOGGI.
Pnrr, Urso: Mimit pienamente in linea con cronoprogramma
"Il ministero delle Imprese ha impiegato oltre un terzo delle risorse assegnate, Sono stati centrati tutti gli obiettivi secondo il cronoprogramma definito", ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy nel corso di una conferenza stampa per fare un bilancio sul primo anno di attività del suo dicastero.
Il ministero delle Imprese e del Made in Italy "è pienamente in linea con il cronoprogramma europeo". Lo ha detto il ministro Adolfo Urso, nel corso di una conferenza stampa per un bilancio sul primo anno di attività del suo dicastero. A oggi, ha spiegato Urso, il ministero ha conseguito "10 milestone e un target" su un totale di 11 milestone e 18 target previsti dal Pnrr. "Abbiamo impiegato, così come previsto, piú di un terzo delle risorse del Pnrr destinate al nostro dicastero", ha aggiunto Urso. Le risorse Pnrr assegnate al Mimit ammontano a 19,6 miliardi, a cui si aggiungono 7,68 miliardi previsti dal Fondo complementare.
In occasione della conferenza, Urso ha distribuito una ventina di slide per illustrare i principali obiettivi raggiunti. Grande risalto è stato dato dal Mimit alla valorizzazione del made in Italy, in tutte le sue forme, come per esempio attraverso l'istituzione del Fondo sovrano (dotazione iniziale di 1 miliardo), del liceo del made in Italy, per indirizzare le competenze e le professionalità nei settori produttivi nazionali, il supporto alle filiere strategiche nazionali (legno-arredo, fibre tessili, ceramica, nautica), la protezione delle indicazioni geografiche artigianali e industriali e l'istituzione dell'Esposizione nazionale permanente del made in Italy. Tutto, o quasi, incastonato nel ddl made in Italy approvato dallo stesso governo lo scorso agosto e ora all'esame del parlamento.
Sul fronte degli investimenti, il Mimit ha attivato nel complesso 1,3 miliardi spalmati su 86 contratti di sviluppo per le imprese e poi 268 milioni su 13 accordi di sviluppo per progetti industriali di grande rilevanza a fronte degli 845 milioni destinati a incrementare la riserva del Fondo di garanzia per le pmi. Investimenti che fanno il paio con l'innovazione.
Sono stati, per esempio, rifinanziati fino a un miliardo di euro per 431 progetti di ricerca e sviluppo e stanziati 700 milioni di euro di crediti d'imposta, oltre a consolidare i rapporti con i Paesi leader nella produzione dei chips (Usa, Corea, Giappone, Taiwan, Singapore, Olanda) e finanziare 50 centri di competenza e innovazione digitale su tutto il territorio italiano, che forniranno servizi digitali alle imprese. Ultima, ma non meno importante, la sostenibilità. Qui il governo, per mezzo del Mimit, ha stanziato 300 milioni di euro per il Fondo di transizione industriale a sostegno degli investimenti green.
Sul fronte carburanti, Urso ha detto: «L'esposizione del prezzo medio dei carburanti ha avuto successo, oggi il prezzo della benzina è sceso a 1,90 euro, ben sotto i due euro». «È avvenuto esattamente il contrario di quello che ci avevano detto che sarebbe successo: la curva del prezzo è scesa verso il basso. La misura quindi ha funzionato riducendo il prezzo dei carburanti di un terzo», ha sottolineato Urso. «Il margine tra prezzo più alto e più basso è rimasto sufficientemente alto, garantendo la concorrenza. Ora il cittadino può scegliere con piena consapevolezza», ha sottolineato.
L'esponente di FdI ha anche parlato della campagna sulla vendita di prodotti del carrello della spesa compresi nel patto anti-inflazione. «Raggiungeremo e supereremo i 40mila punti vendita per un carrello tricolore che è di alta qualità: i più grandi marchi del made in Italy e le più significative aziende internazionali hanno aderito». Urso ha infatti ricordato come al patto anti inflazione hanno aderito 35 associazioni: «Mai visto uno sforzo cosi corale e coeso del sistema Italia , dalla coltivazione della terra alla filiera della distribuzione» ha osservato.
Sul fronte Tim "noi abbiamo il piano A e lavoriamo sul piano A. Siamo convinti che il piano A che il ministero dell'Economia ha messo in campo abbia successo", ha detto Urso, a chi gli chiedeva se il governo ha un eventuale piano B per Tim rispetto all'offerta di Kkr.
ITALIAOGGI.
Pensione rivalutata a dicembre (e non a novembre).
Ci sarà a dicembre l'anticipo del conguaglio della rivalutazione dell'anno 2022. A stabilirlo è il decreto legge collegato alla manovra 2024, allontanando di un mese ai pensionati il recupero dell'inflazione (era indicato novembre nelle bozze).
Ci sarà a dicembre l'anticipo del conguaglio della rivalutazione dell'anno 2022. A stabilirlo è il decreto legge collegato alla manovra 2024 (n. 145 in G.U. n. 244 del 18/10/2023, si veda altro articolo in pagina) allontanando di un mese ai pensionati il recupero dell'inflazione (era indicato novembre nelle bozze, su ItaliaOggi di ieri). Il dl concede un mese di tempo in più ai servizi sociali, cioè fino al 30 novembre, per comunicare all'Inps la presa in carico di ex percettori del reddito di cittadinanza, prorogando di un mese l'erogazione del sussidio.
Anticipo rivalutazione. L'Inps dunque anticiperà a dicembre, non più a novembre, il conguaglio della rivalutazione per l'anno 2022, che in via ordinaria avrebbe effettuato a gennaio del prossimo anno. A dicembre, pertanto, i pensionati riceveranno sia gli assegni di pensione aggiornati sia gli arretrati per 11 mesi (non 10), cioè da gennaio a novembre 2023. In mancanza del dl, a gennaio 2024 i pensionati avrebbero ricevuto un doppio aumento di pensione: per l'anticipo della rivalutazione 2024 sulla base dell'indice Istat provvisorio d'inflazione dell'anno 2023 (si ipotizza al 6% e verrà ufficializzato entro il 20 novembre); per il conguaglio della rivalutazione 2023 in base all'indice Istat definitivo d'inflazione dell'anno 2022. Vale a dire la differenza tra l'indice Istat provvisorio del 7,3% riconosciuto a gennaio 2023 e il definitivo che è risultato pari all'8,1%. Quindi un aumento dello 0,8%, più arretrati per il 2023. Il dl anticipa a dicembre l'erogazione del secondo aumento, compresi gli arretrati da gennaio a novembre 2023. La rivalutazione a conguaglio del 2022 non verrà applicata in misura uguale a tutti i pensionati, ma a seconda della fascia d'importo della pensione. Hanno diritto alla perequazione per intero soltanto le pensioni non superiore a 4 volte il trattamento minimo dell'Inps; quindi la rivalutazione dello 0,8% sarà applicata per interno solo a pensioni d'importo fino a 2.101,54 euro. Le altre pensioni, oltre 2.101,54 , avranno la rivalutazione in misura ridotta, a seconda delle previste fasce d'importo (si veda ItaliaOggi di ieri).
Un mese in più di Rdc. La legge di bilancio 2023 ha stabilito che, nell'anno 2023, il Rdc può spettare al massimo per 7 mesi. Dalla stretta sono esclusi i nuclei familiari che hanno all'interno persone: con disabilità, come definita dal regolamento su Isee (dpcm 159/2013); minorenni; di 60 o più anni d'età. Successivamente, il dl 48/2023 ha ammorbidito la stretta, disponendo che i percettori di Rdc non attivabili al lavoro, per i quali sia comunicata la presa in carico da parte dei servizi sociali entro i 7 mesi di fruizione del Rdc o, al più, entro il 31 ottobre 2023, continuano a fruire del Rdc fino a tutto il 31 dicembre 2023. Il dl proroga il termine dal 31 ottobre al 30 novembre, decorso il quale, in assenza della comunicazione, l'erogazione del Rdc è sospesa.
LENTEPUBBLICA.
Negli enti locali la metà del personale non ha la laurea.
I dati emergono da una recente ricerca della Fondazione Openpolis: circa la metà dei lavoratori degli enti locali non ha la laurea, ma solo il diploma.
I titoli di studio aiutano a comprendere il livello di competenze del personale, importanti per lo svolgimento delle mansioni nei comuni. Negli enti locali risultano occupati meno laureati rispetto al resto della pubblica amministrazioni.
Ecco uno spaccato con tutti i dati analizzati in questo studio.
Negli enti locali la metà del personale non ha la laurea
Nel 2020, circa 1 lavoratore su 2 degli enti locali aveva almeno il diploma di scuola superiore mentre il 17% dei comuni non riportava laureati tra i suoi lavoratori dipendenti. Il titolo di studio è uno degli elementi che permette di mettere a fuoco le competenze dei lavoratori, un aspetto importante per il funzionamento efficace della pubblica amministrazione.
Ad esempio, è una questione cruciale se si pensa al ruolo che le amministrazioni hanno all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): spesso questi enti sono chiamati a svolgere il ruolo di soggetti attuatori, ovvero partecipare ai bandi ministeriali per assicurarsi le risorse previste dal piano. Inoltre, dopo essere stati ammessi ai finanziamenti, devono assegnare i lavori attraverso le gare d'appalto e assicurarsi che il processo rispetti tempi e vincoli previsti. Infine, contribuiscono alla rendicontazione finale fornendo i dettagli dei progetti di cui hanno responsabilità.
Si tratta di un processo particolarmente difficile per i comuni, tanto che non sono mancate persino rinunce alle candidature. Questo per le più svariate ragioni, tra cui la quantità importante di passaggi burocratici e la documentazione dettagliata da fornire: aspetti per cui vengono richieste conoscenze tecniche definite.
I titoli di studio dei lavoratori negli enti locali
Ovviamente è importante la formazione continua del lavoratore all'interno della pubblica amministrazione, sia per il proprio avanzamento professionale che per il funzionamento dell'ente.
Ma i titoli talvolta sono cruciali per poter accedere a determinate opportunità, oltre a permettere al lavoratore di avere una specializzazione in particolari aree necessarie per l'efficienza della macchina amministrativa.
Nel 2020, la maggior parte degli occupati negli enti locali italiani aveva la licenza di scuola media superiore. Parliamo di 193mila persone, che rappresentavano il 53% dei lavoratori e lavoratrici nel comparto. Seguivano coloro che avevano la laurea (circa 97mila, il 27%) e quelli che avevano finito la scuola dell'obbligo (66mila, il 18%). Erano poco più di 5.400 invece i lavoratori che avevano portato a termine un percorso post laurea, pesando per il 2%.
Sono dati che in parte si discostavano rispetto a quelli della pubblica amministrazione nel suo complesso: per quanto la quota di persone con la licenza media superiore fosse quella più consistente, si fermava al 42% (10 punti percentuali in meno rispetto a quanto registrato negli enti locali). Chi aveva la laurea invece era pari al 38%, 11 punti percentuali in più.
Le percentuali territoriali
È possibile scendere più nel dettaglio andando ad analizzare il dato dei singoli comuni, registrato da Istat nel censimento permanente delle istituzioni pubbliche. Nel 2020, 1.287 amministrazioni non avevano personale laureato tra i lavoratori dipendenti.
La maggior parte di questi si concentrava in Piemonte (446) e in Lombardia (274). Erano invece 65 le amministrazioni in cui non c'è nessun lavoratore con almeno la laurea, anche in questo caso si trovano principalmente in Piemonte (25). Una parziale spiegazione può essere data dalla numerosità degli enti nelle due regioni: Lombardia e Piemonte sono le due aree del paese in cui ci sono più comuni, rispettivamente 1.506 e 1.181.
Inoltre, sono regioni che comprendono grosse porzioni dell'arco alpino, ci sono molti enti di piccole dimensioni.
Erano invece 73 i comuni in cui tutto il personale è in possesso della laurea. Pure in questa circostanza, la maggior parte si trovava in Piemonte (23) e in Lombardia (21). Diciotto erano situati nelle regioni del mezzogiorno.
Limitandoci ai capoluoghi, quello che riportava la quota di laureati maggiore è Livorno (55%), a cui seguivano Pescara (49%), Carbonia (48%) e Bari (47%). Le percentuali minori invece a Trapani (13%), Siracusa (12%), Caltanissetta e Agrigento (10%). Per quanto riguarda invece i lavoratori con almeno il diploma di scuola secondaria superiore, tutti gli occupati del comune di Lecco ne erano in possesso. Alte quote anche a Roma (96%), Livorno e Pescara (95%). Solo in un capoluogo l'incidenza scendeva sotto il 47% (Ascoli Piceno).
AGRGENTONOTIZIE.
Aica, i sindaci fanno "orecchie da mercante": mai versati oltre 5 milioni di euro per il capitale sociale
Sono passati due anni, e ad oggi molti continuano a non trasferire le risorse alla società pubblica, che è nata "azzoppata".
Quando vennero "inventati" dall'allora assessore regionale agli Enti Locali Marco Zambuto i 10 milioni di euro previsti dalla legge regionale 22 dell'agosto del 2021 avevano uno scopo chiarissimo: consentire il passaggio ad una gestione pubblica dell'acqua, dopo il naufragio di Girgenti Acque.
Un'opportunità cui ad oggi solo una manciata di comuni tra i soci di Aica ha aderito, un po' perché guardinghi rispetto all'effettiva "tenuta" della compagine sociale, un po' per questioni politiche. Fatto sta che ad oggi, si legge nel bilancio della società, sono stati incassati solo 4 milioni e seicentomila euro a fronte dei 10 milioni incassati. Ad aver versato sono oggi oltre i Comuni di Agrigento, Favara e Sciacca, anche i centri di minori dimensioni come Castrofilippo, Grotte, Joppolo Giancaxio, Lucca Sicula, Montevago, Raffadali, Sant'Angelo Muxaro, San Biagio Platani, Caltabellotta, Siculiana.
Pochi, pochissimi rispetto al totale dei soci. Di questo si è parlato martedì pomeriggio nel corso dell'assemblea dei sindaci dedicata all'approvazione del bilancio, con Aica che è costretta ad agire in regime di salvaguardia nonostante avrebbe potuto affidarsi ad un capitale sociale cospicuo o quantomeno bastevole per avviare le attività gestionali. Proprio per capire quali siano le prospettive di recupero dei circa 5 milioni mai usati, il presidente di Aica Alfonso Provvidenza ha annunciato una nota alla Prefettura e alla Regione Siciliana.
"Servirà a capire se quel capitolo c'è ancora e se può essere ancora utilizzato - spiega - anche se è necessario innanzitutto capire cosa intendano fare i sindaci. Perché se vi è un problema chiaro di volontà credo possa cambiare molto poco. Certo è che quelle somme rappresentavano una opportunità per consentire alla nostra azienda di gestire con maggior serenità. la fase di start up, quindi è anche condivisibile che in fase di approvazione del bilancio ci sia chi chieda a tutti di assumersi gli stessi impegni per il futuro di Aica".