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Istruzione, dal prossimo anno il Liceo del Made in Italy in 17 istituti siciliani. C'è il M.L. King di Favara
Sono diciassette in Sicilia le scuole superiori che attiveranno il "Liceo del Made in Italy", il nuovo indirizzo di studi previsto dalla legge 206 del 27 dicembre 2023 con l'obiettivo di sviluppare competenze nel campo della tutela e della promozione delle eccellenze italiane in diversi settori produttivi, attraverso lo studio approfondito del sistema industriale del nostro Paese, oltre che delle materie giuridiche, economiche, tecnologiche e delle lingue straniere.
L'assessorato regionale dell'Istruzione e della formazione professionale ha pubblicato l'elenco degli istituti che dal prossimo anno scolastico, 2024-2025, daranno il via a questo percorso didattico innovativo.
«I tempi di attivazione del "Liceo del Made in Italy" - dice l'assessore regionale all'Istruzione, Mimmo Turano - sono stati molto stretti, eppure il dato siciliano mi sembra incoraggiante e indicativo di una grande capacità di progettazione e di voglia di innovazione. Le potenzialità del made in Italy sono notevoli e imparare a comprenderle è una prospettiva importante per il futuro della scuola e dei nostri giovani».In particolare, gli istituti che hanno aderito sono: tre nell'Agrigentino, due nel Nisseno, tre nel Catanese, tre nel Messinese, due nel Siracusano, due nel Trapanese ed, infine, uno in provincia di Palermo ed uno a Ragusa. L'attivazione del nuovo liceo è subordinata alla sussistenza di requisiti quali il numero degli iscritti, la dotazione organica del personale docente e la disponibilità di locali idonei. In caso contrario, la decorrenza del nuovo percorso didattico sarà posticipata di un anno.
gds.it
Assemblea Regionale Siciliana, prima il disegno di legge sulle Province: arriverà in aula mercoledì
Le cause di ineleggibilità e lo screening neonatale gli altri testi che avranno precedenza
Priorità al disegno di legge per la reintroduzione in Sicilia delle Province, con il sistema dell'elezione diretta del presidente. Precedenza anche all'interpretazione autentica che toglie retroattivamente alcune cause di inconferibilità ed ineleggibilità per alcuni deputati regionali e la norma sullo screening neonatale. Lo ha stabilito oggi (22 gennaio) la conferenza dei capigruppo dell'Assemblea Regionale Siciliana, che si è data una road map per i prossimi appuntamenti d'aula.Mercoledì i testi verranno incardinati in Aula. Per il disegno di legge sulle Province verrà dato il termine per la presentazione degli emendamenti che scadrà lunedì della prossima settimana. Da martedì, sempre della prossima settimana, si prevede la discussione generale e, quindi, mercoledì 31 si dovrebbe iniziare a votare il disegno di legge fortemente voluto dal centrodestra, ma anche da altri partiti, ed inserito nel programma del governo regionale.Per la norma che toglie retroattivamente alcune cause di ineleggibilità, che era stata espunta dalla finanziaria, sarà necessario un ulteriore passaggio in Commissione Affari istituzionali per un parere.
pamagazine.it
Pensioni, così 10 anni di sbagli hanno affondato la gestione degli statali
Una medaglia, come si sa, ha sempre due facce e l'impressione che se ne ricava dipende da quale lato la si guarda. È una regola aurea che, fuor di metafora, si può applicare in tanti casi diversi. Anche alle statistiche, che basandosi su numeri dovrebbero fornire valutazioni univoche. Un più è un più e un meno, un meno. La matematica non dovrebbero lasciare dubbi. E invece, anche in questo caso, la realtà è sempre più complessa. Prendiamo l'ultimo rapporto Centro studi Itinerari Previdenziali, che il suo presidente, Alberto Brambilla, ha di recente presentato alla Camera. L'estensore è un'autorità in materia, già sottosegretario al Welfare nel secondo e terzo governo Berlusconi, Brambilla, nella sua lunga carriera di manager e di docente universitario, è stato anche consigliere di amministrazione dell'Inps, e presidente del "Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale" presso il Ministero del Lavoro. Quando parla di pensioni, quindi, è Cassazione e se dice, come è scritto nel suo rapporto, che a portare in rosso il sistema pensionistico italiano è soprattutto il deficit di gestione del comparto dei dipendenti pubblici, c'è poco da obiettare.
È così. A determinare quel disavanzo finale tra entrate contributive e spesa pensionistica di 22,6 miliardi, sono soprattutto i 39 e rotti miliardi di rosso con cui ha chiuso il fondo dei dipendenti pubblici e del resto non potrebbe essere altrimenti, visto che i pensionati di questo settore sono 3,1 milioni, e prendono in media una pensione di 2.062 euro, mentre i lavoratori attivi sono 3,2 milioni. In sostanza il rapporto è di uno a uno, mentre la soglia di sostenibilità del sistema è di 1,5 lavoratori attivi per ogni pensionato. Il risultato è che nel sistema entrano da questo comparto poco meno di 43 miliardi all'anno, ma ne escono 82. Se si guarda, dunque, la medaglia da questo lato sembra giustificata la rappresentazione più trita del lavoratore pubblico come zavorra della società, uno che costa il doppio di quello che produce.Niente di più falso, perché la realtà è che questa situazione, fotografata con precisione da Brambilla e dai suoi ricercatori, è la conseguenza di una sciagurata scelta politica che da oltre un decennio sta uccidendo il lavoro pubblico: blocco del turn over e della contrattazione collettiva, stipendi congelati, scivoli ed incentivi all'esodo. Il taglio della spesa pubblica è stato per lo più concentrato nel contenimento dei costi del personale e nella riduzione dei servizi (e sono peraltro anche questi due aspetti della stessa medaglia). Agli organici attuali già manca oltre un terzo delle risorse, ma ci sono settori in cui a malapena si coprono metà delle posizioni, non ci si può, quindi, stupire ora del deficit delle entrate contributive, come ha poco senso lanciare allarmi perché, con una platea di pubblici indipendenti molto invecchiata (è la conseguenza del blocco delle assunzioni già ricordato), nei prossimi anni la spesa pensionistica del comparto è destinata solo ad aumentare.Il guaio è che Governo e Parlamento non pensano di ovviare al problema ricostituendo gli organici (non mi azzardo neanche a pensare che qualcuno voglia espanderli) ma tagliando le future pensioni, con tanti saluti ai diritti acquisiti. L'ultima manovra, infatti, ha solo corretto in minima parte l'improvvida decisione di ricalcolare le pensioni future di medici, infermieri, personale scolastico, dipendenti comunali e del Ministero della Giustizia che hanno iniziato a lavorare tra il 1981 e il 1995 e che erano iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (Cpdel), la Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps), la Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e infine la Cassa per le pensioni agli ufficiali giudiziari (Cpug), tutte confluite prima nell'Inpdap e poi nell'Inps. Si tratta di 700 mila lavoratori che prenderanno pensioni ben più misere del previsto e si dovranno pure sentir dire che quegli assegni, così magri, sono comunque responsabili del buco dei conti dell'Inps.