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rassegna stampa dal 10 al 12 febbraio 2024

LENTEPUBBLICA
Per la Consulta fino a 34 anni di arretrati per i dipendenti pubblici

Per i dipendenti pubblici potrebbero aprirsi spiragli per la richiesta di ben 34 anni di arretrati: scopriamo quali sono le motivazioni e cosa ha deciso la Consulta in merito.
Una decisione storica della Corte Costituzionale, espressa con la sentenza n. 4/2024, potrebbe stravolgere il sistema retributivo degli impiegati pubblici, aprendo la strada a consistenti arretrati di anzianità maturati in un arco temporale di 34 anni.
Questo passo rivoluzionario deriva dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 51, co.n3 della legge 388/2000 (Legge finanziaria 2001), specificamente nella parte che limitava l'operatività delle maggiorazioni alla Retribuzione Individuale di Anzianità (RIA) dei dipendenti pubblici nel triennio 1991-1993, riservandola solo a coloro con requisiti maturati fino al 1990.
Per la Consulta fino a 34 di anni di arretrati per i dipendenti pubblici
La decisione della Corte potrebbe rivoluzionare il panorama degli arretrati salariali dei dipendenti pubblici, con effetti significativi su tutti i giudizi pendenti. Si prevede il riconoscimento e il ricalcolo dell'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1993, insieme alla rideterminazione delle maggiorazioni RIA, dei TFS e dei trattamenti pensionistici futuri o già in essere.
In pratica, la sentenza ristabilisce l'incremento di retribuzione legato all'anzianità dei dipendenti pubblici, aprendo la possibilità per migliaia di lavoratori di ottenere fino a 34 anni di arretrati già maturati e pensioni più consistenti.
Va sottolineato che nel 1990, il panorama del pubblico impiego ha subito un cambiamento radicale con il blocco dell'incremento salariale basato sull'anzianità per tutti i dipendenti pubblici, secondo il DPR n. 44 del 1990. Tale blocco, retroattivo, ha avuto gravi conseguenze sugli stipendi dei dipendenti pubblici.
La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego nel 1993, secondo le norme del Codice civile, ha aperto la strada a migliaia di ricorsi presentati presso il Tribunale civile da dipendenti che rivendicavano il diritto alla maggiorazione retributiva secondo i vecchi criteri di anzianità, anche per i periodi successivi al 1990.
La risposta del Governo è giunta nel 2001 con la finanziaria, che ha escluso il diritto alla maggiorazione della RIA ai dipendenti pubblici per il triennio 1991-1993, riservandolo solo a chi aveva requisiti maturati entro il 1990. Ed è questa decisione che è stata recentemente contestata e annullata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 4/2024.
I motivi della decisione
La decisione della Consulta risiede nel principio di irretroattività delle leggi, un concetto giuridico che impedisce l'applicazione retroattiva di nuove leggi a fatti pregressi. In questo caso specifico, la Corte ha sostenuto che la legge non può agire retroattivamente, cioè non può influire su situazioni giuridiche già consolidate prima della sua entrata in vigore.
La Corte ha enfatizzato che il legislatore non può utilizzare la legge come strumento per risolvere dispute specifiche, evitando così di creare uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte. In altre parole, la legge non può essere uno strumento per intervenire retroattivamente in controversie giuridiche già in corso, poiché ciò potrebbe compromettere l'equilibrio e la giustizia delle decisioni già prese sulla base della normativa vigente al momento dei fatti.
Ovviamente va sottolineato che, allo stato attuale, non si riceveranno in automatico questi arretrati: la decisione della Consulta non ha purtroppo natura vincolante.
Sarà infatti necessario valutare caso per caso, pertanto al momento l'unica soluzione sembra comunque affidarsi a un ricorso.

siciliaonpress.it
RIFORMA DELLE PROVINCE AFFOSSATA FRA TIRICHITOLLA E INCOSTITUZIONALITA'
Archiviato, col timbro dei franchi tiratori, il tirichitolla sulle province, adesso ci sono le recriminazioni, la ricerca dei giuda della maggioranza, i grandi proclami, la finta crisi di governo (ovviamente non conviene a nessuno della maggioranza andare a nuove elezioni regionali).Ma davvero qualcuno pensava che la riforma delle province, delle nuove poltrone, delle ricche indennità, dell'elezione diretta di presidenti e consiglieri provinciali potesse essere varata?
Abbiamo la memoria corta. Analoga riforma era già stata varata durante il governo di Nello Musumeci. Mi riferisco alla legge regionale n. 17 del 11 08 2017, recante "Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano" e pubblicata nella gazzetta ufficiale della regione siciliana del primo settembre 2017.Ebbene, allora essa è stata dichiarata incostituzionale giusta pronuncia della Consulta in data 4 luglio 2018.Cosa è cambiato da allora? Nulla. La cosiddetta legge Del Rio era vigente allora ed è vigente oggi. La Costituzione della Repubblica Italiana quella era e quella è. Perché dunque stavolta la Corte Costituzionale non avrebbe dovuto dichiarare egualmente ed odiernamente illegittima la nuova riforma delle province?Perché il ministro per gli affari regionali e le autonomie e qualche deputato regionale di Fratelli d'Italia si erano spinti a dire di aver concordato ad alto livello che il governo nazionale non avrebbe impugnato la riforma delle province davanti alla Carta Costituzionale? Intanto, dichiarazioni in tal senso (rilasciate anche in interviste a quotidiani online e cartacei) mi sembrano gravi, oltre che paradossali. Come dire: puoi andare a rubare perché abbiamo concordato che le forze dell'ordine chiuderanno un occhio! Ma per favore...Immaginate i deputati regionali isolani recarsi da Giorgia Meloni per dirle di non impugnare la riforma siciliana delle province? Li avrebbe cacciati via a calci nel sedere. Come avrebbe fatto il capo del governo a spiegare a Repubblica, a Il Fatto Quotidiano, al Corriere della Sera etc... che, per le province, nel resto d'Italia si vota con elezioni di secondo grado, mentre nella sola Sicilia si eleggono direttamente i presidenti ed i consiglieri delle province? E come spiegare ai suoi elettori (in primis quelli siciliani) la spesa di 5 milioni di euro per la prima elezione delle province risorte? E che dire del presidente e dei consiglieri delle province siciliane che avrebbero percepito sostanziose indennità, mentre nel resto d'Italia non c'è indennità alcuna, in quanto i presidenti e i consiglieri provinciali percepiscono già quelle di sindaco e di consigliere comunale?Dilettanti allo sbaraglio o, magari, vacui polveroni per dire agli aspiranti presidenti, assessori e consiglieri provinciali: noi ci abbiamo provato, ma gli altri sono stati cattivi...


teleacras.it
Province: si lavora all'elezione indiretta
Dopo la bocciatura della riforma delle Province, si lavora all'elezione di secondo livello di presidente e consiglieri provinciali. Schifani incassa l'ok di Lombardo.

Dopo la bocciatura in Assemblea Regionale del disegno di legge di riforma delle Province con il ripristino dell'elezione diretta, quindi di primo livello, di presidente e consiglieri provinciali, e dopo la verifica di governo rinviata a dopo le elezioni Europee, l'ipotesi di rimedio a cui si lavora adesso è l'elezione indiretta, ovvero il secondo livello: presidente e consiglieri provinciali sono eletti solo dagli amministratori locali, tra sindaco e consiglieri comunali, di ciascun Comune della provincia interessata dal voto. Su tale fronte è impegnato il presidente della Regione, Renato Schifani, che ha già incassato la fiducia da parte dell'ex presidente della Regione, e leader del Movimento per l'Autonomia, Raffaele Lombardo, che si è manifestato favorevole all'elezione indiretta a giugno in attesa che a Roma si approvi la legge nazionale di riforma. E ciò con l'obiettivo di superare la fase dei commissariamenti delle Province che si protrae da oltre un decennio. Schifani e Lombardo hanno concordato anche sulla istituzione di un apposito tavolo di confronto tra i rappresentanti della maggioranza di centrodestra, che si riunisca periodicamente per discutere e condividere l'azione di governo a supporto del presidente della Regione. Nel frattempo la bocciatura della riforma a Sala d'Ercole ha determinato inevitabilmente una ulteriore proroga, l'ennesima, fino al 31 dicembre, degli attuali commissari in carica: Giovanni Bologna (Agrigento), Vitalba Vaccaro (Caltanissetta), Carmen Madonia (Enna), Patrizia Valenti (Ragusa), Mario La Rocca (Siracusa) e Maria Concetta Antinoro (Trapani). Nelle tre Province metropolitane, quindi Palermo, Catania e Messina, i rispettivi sindaci sono contestualmente anche commissari delle Province. Prima di procedere all'elezione di secondo livello occorre decidere la data delle Amministrative in Sicilia. Al momento il governo non si è ancora pronunciato anche se appare scontato che si opti per l'election day, accorpando il voto per le Amministrative alle Europee dell'8 e 9 giugno. L'opposizione osserva alla finestra quanto accade tramite i deputati del Movimento 5 Stelle, il licatese Angelo Cambiano e Martina Ardizzone, commenta: "Il tema non è elezioni dirette o indirette ma l'assenza di risorse per gli enti. I partiti continuano a preoccuparsi e a decidere, nelle segrete stanze, solo della modalità delle elezioni, ignorando che le Province oggi non hanno trasferimenti sufficienti. Per quanto riguarda la modalità, non ci sono alternative alle elezioni di secondo livello: lo impone la Corte costituzionale" - concludono. In favore delle elezioni di secondo grado si sono già espressi Fratelli d'Italia e Movimento per l'Autonomia, mentre la Democrazia cristiana mira ancora alla reintroduzione dell'elezione diretta.


AGRIGENTONOTIZIE
Una mostra di pittura sulle Foibe al palazzo della Provincia: gli studenti incontrano il prefetto.Le opere sono state realizzate dai ragazzi del liceo artistico "Bonachia" facente parte dell'istituto "Fazello" di Sciacca.
E' stata presentata questa mattina, venerdì 9 febbraio, alla presenza del prefetto Filippo Romano e del commissario straordinario del Libero consorzio comunale, presso l'atrio del palazzo della Provincia regionale, la mostra di pittura realizzata dai ragazzi del liceo artistico "Bonachia" facente parte dell'istituto "Fazello" di Sciacca.
L'iniziativa, organizzata dall'istituto saccense guidato dal dirigente Leonardo Mangiaracina, si inserisce, tra le diverse iniziative nelle scuole, per ricordare la giornata del 10 febbraio, dichiarata dal Governo italiano con la legge n. 92 del 2004 "In memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano - dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati".
Si tratta di diverse opere tra dipinti, pannelli e vasi in ceramica, che rimarranno esposte fino alla settimana prossima negli orari di apertura giornaliera del Palazzo la  mattina ed il pomeriggio.
"Giorno del ricordo in memoria delle vittime della Foibe e dell'esodo giuliano-dalmata" al teatro Pirandello
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Le opere ritraggono artisticamente un pezzo di storia sulle foibe, meglio considerate come voragini rocciose dell'altopiano del Carso, utilizzate alla fine della seconda guerra mondiale per "infoibare" (spingere nella foiba) migliaia di istriani e triestini, italiani ma anche slavi, antifascisti e fascisti, colpevoli di opporsi all'espansionismo comunista.
La mostra, voluta fortemente dal settore della pubblica istruzione, diretto dalla dirigente Antonietta Testone,  intende sensibilizzare il mondo della scuola alla diffusione e alla conoscenza dei tragici eventi in modo da conservare la memoria di quelle drammatiche vicende.   


AGRIGENTONOTIZIE
Province, la Dc di Agrigento: "I cittadini vogliono l'elezione diretta""I protagonisti del voto devono essere i cittadini" chiede il partito di Cuffaro a livello provinciale.
"La Democrazia Cristiana dice fermamente no alle elezioni di secondo livello per le Province, quelle per le quali voterebbero solo i sindaci ed i consiglieri comunali. I protagonisti del voto devono essere i cittadini, così come era scritto nel programma del presidente Schifani pienamente sostenuto dalla Dc". Lo dichiarano Antonietta Vita, segretario provinciale della Dc ad Agrigento, e tutto il direttivo provinciale del partito.
"A volere l'elezione di primo grado sono i cittadini e occorre che la legge venga approvata quanto prima per salvaguardare i territori abbandonati. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle condizioni delle scuole nella provincia, alle strade dissestate e all'emergenza rifiuti con assi viari divenuti discariche. La richiesta di intervento da parte dei cittadini è costante - dichiara la segreteria provinciale - ed è per la comunità che dobbiamo continuare a lavorare affinchè si giunga ad una vera riforma delle Province".


QDS
Il governo inciampa sulle province, si rischia una crisi sfiancante.  
Cancellate in diretta tv dall'allora presidente della Regione, Rosario Crocetta, le province siciliane stavano per tornare in vita ma si sono scontrate con almeno tredici franchi tiratori che le hanno impallinate al momento del voto in Assemblea. Il voto segreto ha fatto la sua parte, certo, e il risultato (40 voti contro 25) è chiaro. Tanto che il presidente dell'Assemblea, Gaetano Galvagno appena visto il risultato sul display di Sala d'Ercole non ha potuto fare a meno di commentare con un chiarissimo "imbarazzante" che non è sfuggito ai microfoni. Per due volte in due settimane il governo è andato sotto in Assemblea: era accaduto con la legge sugli "impresentabili", è accaduto nuovamente con il ddl sulle province. Segno di qualcosa che non va all'interno della maggioranza.
Il governatore Renato Schifani si trova ad affrontare politicamente una crisi parlamentare. Ha incontrato il presidente dell'Ars, Gaetano Galvagno per "un solido rapporto tra le due istituzioni, a differenza di quanto è accaduto, spesso, nel passato più o meno recente". E "a proposito del voto sulle Province si è convenuto sul fatto che la mancanza dei voti necessari per l'approvazione del disegno di legge fosse imputabile a più forze politiche e non a un solo gruppo parlamentare". Esprimendo il proprio rammarico "per il fatto che i deputati che hanno votato contro il ddl non abbiano manifestato il loro intendimento prima del voto d'aula, fornendo invece ampie rassicurazioni al presidente della Regione, poi smentite dai fatti", per Schifani e Galvagno "incidenti di questo tipo non sono più accettabili, a maggior ragione su temi che rappresentano i pilastri del programma di governo". Ma anche avvisando gli alleati: "nel caso in cui fatti del genere dovessero ripetersi, verranno assunte decisioni politicamente importanti".
"Stucchevole sagra delle ipocrisie"
Della questione Schifani ne ha parlato anche con il leader della Dc Totò Cuffaro, salito a Palazzo per analizzare la situazione politica ma anche con il leader dell'Mpa, Raffaele Lombardo. Ancora in programma l'incontro con il nuovo responsabile della Lega in Sicilia, Marco Durigon. Il centrodestra però appare diviso a tale punto che, al momento, si esclude un rimpasto di governo anche se si rischia di trasmettere tutte queste tensioni all'interno dell'Aula dove adesso è attesa la norma che dovrebbe condonare alcune abitazioni costruite a poca distanza dal mare. Lo stesso Cuffaro era stato duro verso i soci del centrodestra: "È in atto una stucchevole sagra delle ipocrisie. Troppe ridicole dichiarazioni verginelle di rappresentanti della maggioranza che lamentano la mancata approvazione della legge sulle Province. 'Excusatio non petita accusatio manifesta'. Chiedendo poi a Schifani di riproporre il disegno di legge per votare, sfumato l'election day di giugno, entro fine anno. Ma questo si potrà fare a partire dalla prossima sessione parlamentare, a marzo. Una cosa però certa è che la Dc (a differenza di Fratelli d'Italia) non vuole saperne di elezioni di secondo livello senza che ci sia la nuova legge.
"FdI ha lealmente sostenuto riforma"
"Fratelli d'Italia ha lealmente sostenuto questa riforma", dicono i due coordinatori meloniani in Sicilia, Salvo Pogliese e Giampiero Cannella, "auspichiamo che il Parlamento possa legiferare nel più breve tempo possibile per immaginare la prima data utile, successiva alle europee, per far tornare i siciliani a scegliere i propri rappresentanti nelle Province ma, nelle more, occorre mettere subito fine all'esperienza commissariale e attuare la legge in vigore che prevede le elezioni di secondo livello negli Enti provinciali". Intanto, sul fronte opposto, è partita la corsa per la leadership dell'ipotetica alleanza che i gruppi parlamentari di Pd, M5s e Sud chiama Nord stanno tentando di portare fuori dal Palazzo in vista delle regionali del 2027. Al leader di ScN Cateno De Luca, sconfitto da Schifani un anno e mezzo fa, si aggiunge Nuccio Di Paola, alla guida del M5s in Sicilia.


LIVESICILIA
Province, dopo il ko all'Ars c'è la strada delle elezioni di secondo grado.Election day per le Amministrative, da lì il countdown dei Liberi Consorzi.
PALERMO - L'elezione diretta dei presidenti delle Province e dei consiglieri provinciali è naufragata all'Ars e ora per gli enti di area vasta si apre lo scenario della consultazione di secondo grado.
Il voto, imposto anche da una sentenza della Corte costituzionale, prevede la partecipazione dei sindaci e dei consiglieri comunali eletti nei Comuni e non dei cittadini. Il percorso, però, non sarà breve. Bisognerà attendere per vedere sindaci e consiglieri comunali scegliere i presidenti dei sei Liberi Consorzi (così si chiamano in Sicilia) e andare a far parte delle relative assemblee, comprese quelle delle tre Città Metropolitane (Palermo, Catania e Messina) sulla scorta di quanto previsto anche dalla legge Delrio che Roma non ha ancora abolito.
Dirigenti-commissari in sella alle ex Province
Riposto nel cassetto, almeno per il momento, il progetto di un ritorno all'antica veste delle Province per via del voto dell'Ars, riemerge il nodo della gestione di enti che, dal 2014, di fatto non hanno mai avuto una vera guida. Quell'anno la maggioranza targata Crocetta varò la legge che diede vita ai sei Liberi Consorzi da sempre affidati a dei commissari, a differenza delle tre Città Metropolitane guidate dai sindaci dei rispettivi capoluoghi. I sei dirigenti regionali nominati a settembre dal governatore Schifani, in attuazione della legge approvata pochi mesi prima, potranno restare in sella fino al 31 dicembre di quest'anno: si tratta di Giovanni Bologna (Agrigento), Vitalba Vaccaro (Caltanissetta), Carmen Madonia (Enna), Patrizia Valenti (Ragusa), Mario La Rocca (Siracusa) e Maria Concetta Antinoro (Trapani).
Ex Province, l'iter per le elezioni di secondo grado
Una lunga storia, quella dei commissariamenti, che avrà una ulteriore coda. Tempi e regole delle elezioni di secondo grado, infatti, vengono dettati dalla legge approvata a giugno dall'Ars. Per far partire l'iter delle elezioni di secondo livello sarà necessario conoscere la data delle elezioni amministrative di quest'anno. La Regione non ha ancora deciso ufficialmente ma è probabile che opti per l'election day con le concomitanti Europee e così la data delle Amministrative, quando andranno al voto una trentina di comuni, dovrebbe essere fissata per l'8 e 9 giugno. A quel punto potrà scattare il countdown e il presidente della Regione, Renato Schifani, avrà 120 giorni di tempo per fissare con un suo decreto la data delle elezioni di secondo grado.
Ancora divisioni nel centrodestra
Per il Movimento cinque stelle il tema non è "elezioni dirette o indirette" ma "l'assenza di risorse" per gli enti. "I partiti continuano a preoccuparsi e a decidere, nelle segrete stanze, solo della modalità delle elezioni, ignorando che le Province oggi non hanno trasferimenti sufficienti", evidenziano i deputati Martina Ardizzone e Angelo Cambiano che poi ricordano: "Per quanto riguarda la modalità, non ci sono alternative alle elezioni di secondo livello, lo impone la Corte costituzionale". In favore delle elezioni di secondo grado si sono già espressi Fratelli d'Italia e Movimento per l'autonomia, mentre la Democrazia cristiana guarda ancora alla reintroduzione dell'elezione diretta. Una posizione, quella dei cuffariani, ribadita anche nel recente incontro tra il segretario nazionale della Dc e Schifani. Il dossier Province rischia così di diventare l'ennesimo pomo della discordia nella maggioranza.


LIVESICILIA
Autonomia differenziata, in arrivo il "colpo di grazia" per tutto il Sud. Verranno creati cittadini di serie A e di serie B.

LEP, un acronimo con cui dovremo imparare a convivere. E a farci i conti. Soprattutto al Sud. LEP, che sta per "livelli essenziali di prestazione", è difatti la parola chiave dell'autonomia differenziata e potrebbe costare anche 100 miliardi al Sud. La riforma così fortemente voluta dalla Lega, che in questo modo sancirebbe la distanza tra Nord e Sud nei livelli di prestazione - soprattutto per sanità e scuola - si fonda su una parola odiosa, anche solo a scriverla: differenziare. Una parola in evidente contrasto con uno dei principi fondamentali della Costituzione, quello che riguarda l'uguaglianza di tutti i cittadini.
Meccanismo iniquo
In virtù del meccanismo iniquo di differenziazione previsto dal ddl Calderoli, infatti, si compromette il principio fondativo della democrazia e si marca - con il bollino di legge - la distanza tra i cittadini che vivono al Nord e quelli che vivono al Sud. Ne viene fuori un'Italia divisa a metà. Eppure la Costituzione su questo punto è chiara: l'Italia è una e indivisibile. Ed il risultato sarà inevitabile: l'incremento della migrazione da sud al nord, di medici, di giovani, di cittadini. Almeno di quelli che se lo possono permettere. Perché anche migrare ha un costo.
I tre assi fondamentali
Si avrà così lo spopolamento delle aree interne lasciate al totale abbandono: esattamente il contrario di quello che la politica di coesione persegue: ricucire i territori partendo proprio da tre assi fondamentali: mobilità, scuola e sanità. I campi in cui sono possibili autonomie differenziate tra le Regioni, ovvero le competenze a legislazione concorrente previste dall'art 117 della Costituzione, sono molteplici, e vanno dalla salute, all'istruzione, al governo del territorio, alle professioni, al governo del territorio, alla tutela dell'ambiente, all'ordinamento sportivo, etc...
Sistema sanitario pubblico a rischio
Considerando il tema della Salute dei cittadini, quello che viene minato dalla riforma proposta è il diritto alla salute di tutti i cittadini, il mantenimento in essere di quel sistema sanitario pubblico equo ed universalistico fortemente voluto e creato da Tina Anselmi grazie al quale 'siamo tutti uguali' davanti alla malattia. E invece uguali rischiamo di non esserlo più dopo l'approvazione del testo ora all'esame della Camera. Avremo 21 servizi sanitari profondamente diseguali, con i cittadini delle regioni del Sud che non avranno garantito nemmeno i LEA, ovvero le prestazioni ed i servizi minimi di assistenza. Minimi, che significa che senza non si sopravvive, se non si hanno mezzi alternativi.
Tra Nord e Sud frattura strutturale
Dal monitoraggio del Ministero della Salute emerge con tutta evidenza la 'frattura strutturale' tra il Nord ed il Sud del Paese, con tutte le regioni meridionali (al netto di Abruzzo, Puglia e Basilicata) ben al di sotto del livello minimale. Saranno invece favorite quelle Regioni che già oggi garantiscono un più performante livello di prestazione, e che hanno maggiori capacità di risposta, come la Lombardia, il Veneto e l'Emilia Romagna. Ed è di tutta evidenza che soprattutto dove il sistema pubblico sanitario è in difficoltà, ad essere favorito sarà il sistema privato che potrà garantire quelle prestazioni che il sistema pubblico non può più garantire. Ma 'a pagamento'. E quindi non accessibili a tutti. O non a tutti negli stessi tempi.
La migrazione del personale sanitario
L'autonomia finirà certamente per incidere anche sul sistema tariffario, mettendo a rischio gli strumenti di governance del Sistema sanitario nazionale ed aumentando le diseguaglianze nell'offerta di servizi. Ed ancora, l'autonomia inciderà sulla contrattazione integrativa regionale per i dipendenti della sanità e sulla regolamentazione dell'attività libero professionale, dando ulteriore spinta alla migrazione del personale sanitario e parasanitario verso le Regioni 'a saldo positivo'. Con la conseguenza del depauperamento delle strutture isolane già in evidente sofferenza per carenza di medici e di personale infermieristico.
Il colpo mortale al Mezzogiorno
Ai Siciliani toccherà sperare di non ammalarsi o armarsi di pazienza anche solo per affrontare l'incubo dei pronto soccorso dove per mancanza di personale le attese infinite sono state - purtroppo - anche letali. Con il rischio che poi magari le regioni del Sud si troveranno costrette ad 'acquistare' i sevizi che non riescono a garantire ai cittadini dalle Regioni del Nord. L'autonomia differenziata è un colpo mortale al Mezzogiorno, perché renderà le regioni del Sud ancora più dipendenti dalle economie del Nord. Non a caso, è la riforma 'bandiera' della Lega, che in questo è pienamente coerente con il proprio nome; ricordiamo che nasce come Lega Nord. 
Insomma, l'autonomia differenziata, oltre ad annullare una delle cose meglio riuscite in Italia, che è il servizio sanitario universalistico e la garanzia del diritto alla Salute per tutti, mina i principi di democrazia e coesione sociale scritti nella nostra Costituzione. Eppure al Senato l'hanno approvata e tra qualche settimana - passato il vaglio della Camera - rischia di diventare legge.


LIVESICILIA
La riforma mancata delle Province e l'esigenza di rilanciare la democrazia. Le Europee sono l'occasione per un dibattito politico più costruttivo.

Con la legge 56 nel 2014 (legge Delrio) il Parlamento è intervenuto sull'ordinamento delle Province, da una parte definendole quali enti di "area vasta", sede di raccordo degli interessi dei comuni della zona, dall'altra prevedendo l'elezione dei suoi rappresentanti non più tramite consultazioni popolari ma dai sindaci dell'area geografica di riferimento e tra gli stessi. La legge, emanata in attesa dell'attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione (avvenuta nel 2001 ed, ancora, dopo 23 anni non del tutto compiuta), non ha contemplato l'abolizione totale delle province; questa fu prevista nel progetto di riforma costituzionale Renzi-Boschi venuto meno a seguito della sua bocciatura popolare.
Province, una lunga storia in Sicilia
La Sicilia, invece, nello stesso anno ha soppresso le nove province sostituendole con Liberi consorzi di comuni e con le Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. A differenza di quanto previsto per le regioni a statuto ordinario, dunque, in Sicilia l'ente intermedio esiste solo come modello consortile i cui vertici avrebbero dovuto essere eletti dagli amministratori dei comuni componenti il consorzio. Il condizionale è d'obbligo, in quanto le nomine non sono mai avvenute e tutt'oggi vi è una gestione di natura commissariale.
La prima riforma delle Province
Obiettivo della riforma era quello di ridurre i costi e sostituire enti considerati poco utili con altri più efficienti. E' opinione comune come il tentativo non sia andato a buon fine. La riforma regionale, in particolare, ha affidato nuove funzioni ai liberi consorzi senza attribuire loro le risorse per finanziarle, rimandando l'individuazione delle entrate necessarie a provvedimenti successivi. La previsione del metodo di elezione di secondo livello ha, inoltre, reso meno comprensibili per il cittadino le dinamiche istituzionali del nuovo ente: individuare con chiarezza a chi attribuire le responsabilità politiche è uno dei cardini del sistema democratico. Con l'elezione diretta, il sistema politico delle Province era assimilabile a quello dei comuni: un presidente eletto dal popolo con una maggioranza a sostegno in consiglio, una giunta formata dai membri della maggioranza, la minoranza all'opposizione. Oggi, invece, il sistema si muove su logiche differenti.
Il voto dell'Ars sulla riforma delle Province
Il quadro descritto restituisce, effettivamente, una sensazione di incompiuto e di qualcosa che non ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Tanto che da più parti, sia a livello nazionale che locale, si auspica una seconda vita per le Province. In Sicilia, l'occasione di una loro reviviscenza si è avuta appena qualche giorno fa, ma l'Ars ha bocciato il ritorno al passato respingendo il disegno di legge sul loro ripristino con 40 voti contrari su 25 favorevoli. 
La ragioni del voto
Non si vogliono contestare in questa sede le ragioni dell'impostazione contraria, né di quella a favore. La dialettica parlamentare è l'essenza della democrazia rappresentativa; è proprio grazie al confronto che la società progredisce. Neppure si vuole sindacare il fenomeno dei franchi tiratori, piuttosto diffuso nella politica italiana, che avrebbe persino una sua nobiltà se ci si discostasse dalla linea del partito esclusivamente per esercitare la propria libertà di coscienza. Riguardo a quest'ultimo punto, ci si augura davvero che coloro che hanno contribuito alla debacle della legge sulle Province non l'abbiano fatto per ragioni che, invece, esulano dal mero convincimento politico sulla questione.
Lo spettacolo della politica regionale
Fatte queste premesse, deve tristemente convenirsi che in Sicilia nelle ultime settimane non sono state scritte belle pagine di politica. Il valzer delle nomine dei direttori generali delle aziende sanitarie, lo scontro politico sulla norma salva-ineleggibili e, da ultimo, la bocciatura della legge sul ripristino delle Province, da taluni interpretata come diretta conseguenza del naufragato tentativo di salvataggio di parlamentari non eleggibili. Uno spettacolo francamente disarmante che contribuisce ad alimentare il senso di disaffezione dei cittadini alla politica (ed ai politici) e ad accrescerne il distacco, alimentando scetticismo o, peggio, rassegnazione.
Urgono comportamenti più virtuosi
Governare deve essere sinonimo di agire in concreto ed in profondità. Non soltanto spendere soldi e fare delle nomine. Non limitarsi a mettere pezze a provvedimenti di facciata. I rappresentanti sono eletti e pagati dai cittadini per occuparsi delle questioni della comunità ma, talvolta, essi mostrano un'evidente tendenza a dimenticare la loro condizione, appunto, di "nostri" rappresentanti. La politica è tradizionalmente mediazione, negoziazione e compromesso tra i differenti interessi. Ma ci sono delle fasi in cui diventa necessario che chi sta al potere indichi la rotta, orienti opinioni pubbliche confuse, stabilisca una possibile direzione di marcia. Si rende necessario, dunque, richiamare i politici a comportamenti più virtuosi.
Il voto come arma di scelta
Da dove cominciare la difficile, necessaria, rivoluzione? Certamente dall'uso consapevole dello strumento democratico per eccellenza: l'esercizio del diritto di voto, per mezzo del quale si ha la possibilità di scegliere, di preferire, di rifiutare, di decidere da chi farsi (o no) rappresentare. È così che si alimenta la democrazia, quella bellissima invenzione dei greci considerata come la migliore forma di governo possibile. Nostro dovere di cittadini è scongiurare il rischio che essa sia sempre meno partecipata, come è, invece, nei timori di Sabino Cassese. È poi indispensabile che i governanti agiscano con senso di responsabilità per andare oltre gli steccati ideologici e per ricomporre la frattura tra le parole che vengono spese e la reale volontà di cambiamento. A giugno si terranno le elezioni europee: è questa un'occasione in cui si può, si deve, sperare che il dibattito politico faccia un passo in avanti per la costruzione del bene comune e per l'affermazione di valori condivisi.


TELEACRAS
"Ko Province": crisi congelata.

ko della maggioranza di centrodestra sul voto al disegno di legge di riforma delle Province: resa dei conti rinviata a dopo le elezioni Europee. Gli interventi.
Dopo i due ko della maggioranza all'Assemblea Regionale, il primo con la bocciatura della norma cosiddetta "Salva ineleggibili" sponsorizzata in primis da Fratelli d'Italia, e il secondo con la clamorosa stroncatura, a voto segreto, del disegno di legge di riforma delle Province con il ripristino dell'elezione diretta del Presidente e dei Consiglieri provinciali, è tempo di resa dei conti o quasi. Infatti, al momento, almeno secondo le intenzioni manifestate, non vi sarebbero rischi concreti di crisi di governo, bensì soltanto un rinvio delle ostilità a dopo le elezioni Europee dell'8 e 9 giugno. In estate, in particolare, si sarebbe preventivato un "rimpasto", ovvero una ricomposizione della giunta regionale in base agli assetti politici ed elettorali emersi dal banco di prova delle urne. Nel frattempo le forze politiche di maggioranza analizzano quanto accaduto. Fratelli d'Italia propone la soppressione del voto segreto, e il capogruppo Giorgio Assenza afferma: "E' ora di riflettere seriamente sull'opportunità di continuare a mantenere nel nostro Regolamento il voto segreto su qualsiasi materia. Non esiste in nessuna Regione d'Italia, e non esiste a livello nazionale. Non è una bella pagina quella che abbiamo scritto, visto che il ritorno all'elezione diretta era patrimonio comune e auspicio da parte di tutti". E poi Assenza propone di votare lo stesso per le Province, ma con il sistema del secondo livello, ovvero votano solo gli amministratori locali di ciascun Comune della provincia interessata. E riflette: "A me non entusiasma, ma rispetto a un commissariamento che perdura da oltre 10 anni, l'elezione di secondo livello è sempre una via di mezza democrazia". Marcello Caruso, coordinatore regionale di Forza Italia, si rammarica: "Lo stop imposto al cammino parlamentare della legge sulle Province rappresenta una sconfitta per i territori e le comunità che da anni subiscono incredibili carenze e disservizi. Questo stop è un duro colpo ai processi di partecipazione democratica che nelle elezioni hanno il loro punto più alto". E il capogruppo azzurro, Stefano Pellegrino, rimarca: "I siciliani hanno perso una grande opportunità per ridare dignità e rappresentanza istituzionale alle ex Province, che ormai da anni, dopo una scelta scellerata del governo Crocetta, versano in stato di gravissima crisi in termini di servizi per i cittadini e i territori. Non può che dispiacere che una norma di alto valore istituzionale sia stata bocciata, trincerandosi dietro scuse false come quella che si sarebbe trattato di una mossa pre - elettorale. Ad essere uscita sconfitta da Sala d'Ercole è la democrazia e la rappresentanza democratica dei siciliani, che dovranno continuare a subire i danni della cancellazione degli Enti di area vasta". E Marianna Caronia, capogruppo della Lega a Sala d'Ercole, chiude il cerchio: "Lo stop sulla riforma per l'elezione diretta nelle Province va superato: è un obiettivo da raggiungere perché inserito nel programma elettorale del governo Schifani. E' una riforma ferma ai box, ma deve ripartire velocemente, perché nel voto diretto per le Province c'è anche un esercizio democratico irrinunciabile che dà più responsabilità ai cittadini ed agli eletti".
































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