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rassegna stampa del 9 aprile 2024

LENTEPUBBLICA

verso il full-time per i tutti i dipendenti a part-time
Nel Passaggio da part time a full time negli enti locali: chiarimenti

 Il passaggio da un contratto part-time a uno full-time negli enti locali è un processo che richiede un'attenzione particolare sia da parte dei dipendenti che da parte delle amministrazioni coinvolte. Il passaggio da un contratto part-time a uno full-time negli enti locali è un tema di crescente rilevanza, suscitando diverse questioni sia a livello normativo che pratico. Dalla normativa alle recenti pronunce giuridiche qui di seguito si procederà ad un'analisi dei diversi aspetti di questa delicata questione lavorativa. Passaggio da part time a full time negli enti locali Il passaggio da un contratto part-time a uno full-time negli enti locali è un processo che coinvolge la trasformazione dell'orario di lavoro di un dipendente da un regime di lavoro a tempo ridotto a uno a tempo pieno. Questo cambiamento può essere richiesto dal dipendente stesso o può essere iniziativa dell'amministrazione, spesso in risposta a esigenze organizzative o di personale dell'ente locale. A livello descrittivo, il passaggio da part-time a full-time comporta un aumento delle ore lavorative settimanali o mensili del dipendente coinvolto. Ad esempio, un dipendente che lavora part-time potrebbe essere impiegato per un numero inferiore di ore rispetto a un dipendente a tempo pieno, che di solito lavora per l'intera durata dell'orario standard di lavoro, che di solito è di 40 ore settimanali. Il passaggio da part-time a full-time può comportare una serie di cambiamenti sia per il dipendente che per l'ente locale. Per il dipendente, ciò potrebbe significare un aumento del carico di lavoro e delle responsabilità, nonché un aumento del reddito derivante da un salario più alto associato a un contratto a tempo pieno. D'altra parte, per l'ente locale, l'assunzione di un dipendente a tempo pieno può soddisfare maggiormente le esigenze operative e di servizio, garantendo una maggiore copertura oraria e una maggiore disponibilità del personale per svolgere compiti e progetti specifici.
 Inoltre, il passaggio da part-time a full-time potrebbe richiedere un adattamento delle risorse umane e delle infrastrutture dell'ente locale, incluso il riorganizzazione degli orari di lavoro e la distribuzione delle mansioni all'interno dell'organizzazione. Scopriamo adesso quali sono le indicazioni fornite dalla normativa contrattuale, dalle agenzie di supporto come l'Aran e dalla giurisprudenza più recente. Cosa dice il CCNL delle Funzioni Locali? Secondo quanto indicato dal CCNL Funzioni Locali, in particolare all'articolo 53, comma 13, del CCNL del 2018 non abrogato dall'ultimo CCNL del 2022, la normativa contrattuale concede ai dipendenti il diritto di richiedere il ritorno a tempo pieno dopo due anni dalla trasformazione del loro rapporto da tempo pieno a parziale. Tuttavia, è cruciale sottolineare che questo diritto è soggetto alla disponibilità di posizioni a tempo pieno nell'organico dell'ente. Ciò significa che, anche se il dipendente ha maturato il diritto di tornare a tempo pieno, l'amministrazione deve essere in grado di offrire una posizione a tempo pieno per soddisfare tale richiesta. Per garantire una gestione corretta del ritorno a tempo pieno, è essenziale seguire le procedure e gli atti stabiliti dalle leggi e dai contratti collettivi. In particolare, il dipendente interessato deve presentare una richiesta formale di ritorno a tempo pieno. Questa richiesta verrà valutata dall'amministrazione sulla base della disponibilità delle posizioni a tempo pieno e delle esigenze organizzative dell'ente. È importante comprendere che la regolamentazione del tempo di lavoro è disciplinata dal diritto civile e che la gestione del rapporto di lavoro avviene attraverso atti negoziali o decisioni del datore di lavoro. Questo significa che il passaggio da part-time a full-time non può avvenire unilateralmente da parte del dipendente, ma richiede un accordo tra le parti o una decisione formale del datore di lavoro. Inoltre, il contratto individuale di lavoro sarà la sede principale per stabilire i dettagli relativi al tempo di lavoro e alle condizioni contrattuali. Il parere dell'Aran Recentemente, le questioni legate alla gestione del part-time negli enti locali hanno richiesto un'attenzione particolare e sono state oggetto di discussione con l'Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (Aran). In questo contesto, l'Aran ha confermato che ogni ente locale gode di un certo grado di autonomia nella gestione degli orari di lavoro e delle richieste di ritorno a tempo pieno dei dipendenti, purché tale autonomia sia esercitata nel rispetto delle disposizioni contrattuali vigenti. Ciò significa che, pur avendo la facoltà di gestire le proprie politiche e procedure relative agli orari di lavoro e alle richieste di cambiamento da part-time a full-time, gli enti locali devono farlo nel quadro normativo fornito dai contratti collettivi e dalle leggi vigenti. Si ricorda che l'Aran funge da organo consultivo e di supporto per le amministrazioni pubbliche in materia di relazioni sindacali e gestione del personale, offrendo orientamento e interpretazione delle disposizioni contrattuali. Questo assicura una certa coerenza e uniformità nelle pratiche gestionali tra gli enti locali e garantisce che i diritti dei dipendenti siano rispettati in conformità con le leggi e i regolamenti del lavoro pubblico.
 Il giudizio della Cassazione Infine, un caso giudiziario recente ha sollevato dubbi sulla possibilità di licenziare un dipendente che rifiuta di trasformare il proprio rapporto da part-time a full-time. La Corte di Cassazione ha affrontato questa problematica stabilendo dei chiarimenti fondamentali. Innanzitutto, la Corte ha precisato che il mero rifiuto del dipendente di accettare la trasformazione del contratto non costituisce di per sé un motivo sufficiente per procedere al licenziamento. Questo significa che, in assenza di altre circostanze o motivazioni valide, il rifiuto del dipendente di passare da part-time a full-time non può essere usato come unico fondamento per l'atto di licenziamento. Tuttavia, la Corte ha anche sottolineato che esistono delle eccezioni a questa regola generale. Se l'ente è in grado di dimostrare che il cambiamento del contratto è necessario per motivi economici o organizzativi, e se ha offerto al dipendente la possibilità di trasformare il suo rapporto in un contratto a tempo pieno, allora il licenziamento potrebbe essere considerato legittimo. In altre parole, l'ente deve essere in grado di dimostrare che la trasformazione del contratto è indispensabile per il suo funzionamento o per rispondere a esigenze specifiche dell'organizzazione. Inoltre, la Corte ha chiarito che il diritto alla precedenza nella trasformazione del rapporto da part-time a full-time non è assoluto. Questo significa che, anche se il dipendente ha fatto richiesta di passare a un contratto a tempo pieno, l'ente ha la facoltà di valutare le esigenze organizzative.


Ci sono poche donne nella Pubblica AmministrazioneDagli ultimi dati stilati, è risultato che ci sono poche donne nella Pubblica Amministrazione: servono norme ad hoc per l'occupazione femminile.
La Pubblica Amministrazione non è un settore per le donne.Almeno è questo quello che emerge dagli ultimi dati, che indicano un deficit di occupazione femminile nell'impiego pubblico.Meno del 20% delle posizioni ai vertici delle università è occupato da donne (18,4%). Stessa situazione negli enti pubblici di ricerca (18,7%), ambasciate (14,4%), enti pubblici economici (18,5%) e organi costituzionali o a rilevanza costituzionale (18,9%).Nei Ministeri, sono solo 19 su 90 le posizioni di dirigenti generali centrali occupati da donne.
Una maggiore presenza viene rilevata nei ministeri senza portafoglio (45,5%).Ecco i prossimi obiettivi della Pubblica Amministrazione in questo ambito.Poche donne nella Pubblica Amministrazione: le ipotesi per il futuroCome proposto da Flepar, associazione avvocati, professionisti e tecnici sanitari, servono norme ad hoc per garantire un accesso paritario alle posizioni apicali, gestionali e operative nella Pubblica Amministrazione, compresi gli enti pubblici.Nel bilancio di genere del 2022, elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato, è stata registrata una crescita della presenza delle donne nei cda, arrivate al 42,9%.Tuttavia, questo non si traduce come un raggiungimento delle posizioni di comando, poiché, in circa tre quarti dei casi, le donne occupano le posizioni di consiglieri indipendenti, ovvero privi di deleghe gestionali e operative.Sulla base di questi dati, Flepar, durante l'incontro a Roma sul tema "Rigeneriamo il sistema pubblico, più donne nelle posizioni apicali", ha richiesto nuovi interventi già a partire dal prossimo Def.Tra questi, il rafforzamento della legge Golfo-Mosca, sull'equilibrio di genere nelle società a partecipazione pubblica e una nuova normativa per estendere"l'obbligo della parità di accesso di genere ai ruoli apicali e direttivi centrali della pubblica amministrazione, ivi compresi quelli degli enti pubblici ove sono previsti consigli di amministrazione e organi di controllo".La parità di genere fa crescere la Pubblica AmministrazioneFlepar ha anche ricordato come la parità di genere influenzi la competitività e la crescita del settore pubblico.
Secondo i dati di diversi istituti pubblici e privati hanno associato la crescita del Pil proprio all'aumento dell'occupazione femminile.Una ricerca del Boston Consulting Group ha evidenziato che, nel 2022, le aziende con almeno il 30% di dirigenti donne hanno registrato un aumento del 15% della redditività.
Sempre la stessa ricerca ha dimostrato che, se le donne e gli uomini partecipassero nella stessa misura all'imprenditoria, il Pil mondiale crescerebbe dal 3% al 6%.

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