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rassegna stampa dal 13 al 15 aprile 2024


AGRIGENTOOGGI
Musumeci: "In Sicilia mancano 180 milioni metri cubi d'acqua". Verso concessione stato calamità.
"Per potere arrivare a fine anno la Sicilia, deve recuperare 180 milioni di metri cubo d'acqua, la metà delle risorse idriche necessarie per una gestione ordinaria annuale. Già in un centinaio di Comuni l'erogazione idrica è razionata per contrastare la siccità". A parlare è il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci. Lo stesso Musumeci ha spiegato che la Regione siciliana ha trasmesso alla Protezione civile un elenco di 52 opere da realizzare. "Spero che ci siano i progetti esecutivi - ha detto -. Vedremo di trovare le coperture finanziarie almeno per i primi dieci interventi".
Il governo di Renato Schifani ha inoltrato a Roma la richiesta dello stato di calamità per la siccità. "Gli uffici ci stanno lavorando, sono convinto che sarà accolta - ha anticipato il ministro - Questo consentirà di dare una cornice, la Protezione civile inoltre procederà alla fornitura delle autobotti. La legge da' la possibilità anche di requisire i pozzi privati per fronteggiare le criticità". "Lo Stato - ha concluso Musumeci - ha il compito di intervenire dal punto di vista strutturale, spetta alla Regione provvedere alla gestione della situazione contingente e decidere se procedere con il razionamento".


QDS
Regione Sicilia, con i termovalorizzatori non spariranno le discariche.  
A dirlo è la nuova versione del piano regionale dei rifiuti, confermando come il passaggio alla valorizzazione energetica non coinciderà con l'uscita di scena della modalità di smaltimento di cui storicamente l'isola si è avvalsa
Quasi nove milioni e mezzo di metri cubi da aggiungere ai circa due attualmente presenti. È la misura che descrive lo spazio avranno le discariche in Sicilia per affrontare il prossimo decennio e oltre, a prescindere dalla costruzione - ormai data per certa dalla politica, meno dagli ambientalisti pronti a fare le barricate - dei due termovalorizzatori, previsti a Palermo e Catania e capaci di ricevere 600mila tonnellate di spazzatura all'anno.
A dirlo è la nuova versione del piano regionale dei rifiuti, confermando come il passaggio alla valorizzazione energetica non coinciderà con l'uscita di scena della modalità di smaltimento di cui storicamente l'isola si è avvalsa. In sintesi: nel futuro i siciliani ne avranno meno bisogno, ma le discariche continueranno a far parte del sistema di gestione dei rifiuti.
Regione Sicilia, nessun nuovo sito, tanti ampliamenti
La disputa sull'utilità o meno dei termovalorizzatori, sui rischi per la salute e l'ambiente, sulla compatibilità della tecnologia con le indicazioni che arrivano dall'Unione Europea ha assorbito buona parte del dibattito pubblico degli ultimi mesi. Tutto fa pensare che da qui in avanti le cose non cambieranno: giovedì scorso, per esempio, è scattato il conto alla rovescia per presentare i rilievi al nuovo piano che, dopo essere stato approvato dalla giunta Schifani, dovrà affrontare la valutazione ambientale strategica.
In un campo particolarmente tecnico come quello del ciclo dei rifiuti, il rischio di ricorrere a eccessive semplificazioni è dietro l'angolo. Specialmente per chi - come la maggior parte dei cittadini - non ha competenze specifiche. Per questo, se agli addetti ai lavori la notizia non susciterà stupore, alla gente comune potrà sembrare strano scoprire che quella delle discariche in Sicilia è una storia tutt'altro in procinto di arrivare alla fine.
"Il piano non prevede la realizzazione di nuove discariche, in quanto l'ampliamento di quelle esistenti (in corso di autorizzazione) garantisce il conferimento dei rifiuti che non possono essere valorizzati (neanche dal punto di vista energetico)", si legge nello studio d'incidenza ambientale che sarà sottoposto alla valutazione della Cts della Regione. Il documento, a firma dell'agronomo Carlo Nicosia, ha escluso ricadute negative delle azioni previste nel piano su riserve naturali e siti protetti.
Regione Siciliana, perché continueranno a servire le discariche
All'interno delle parentesi - "in corso di autorizzazione" e "neanche dal punto di vista energetico" - ci sono due passaggi importanti per capire un po' meglio le scelte che la Regione si accinge a fare sul fronte dei rifiuti: il primo riguarda il fatto che l'annuncio dei termovalorizzatori, che risale agli anni in cui Nello Musumeci era governatore, è arrivato parallelamente alla presentazione di diversi progetti che puntavano ad aumentare la capacità di alcune delle discariche esistenti; il secondo, invece, sottolinea come non tutti i rifiuti indifferenziati potranno essere utilizzati all'interno dei termovalorizzatori e dunque andranno smaltiti alla vecchia maniera.
A ciò, infine, si aggiunge l'esigenza di abbancare le ceneri prodotte dalla termovalorizzazione, uno degli aspetti che più preoccupano gli ambientalisti e che invece per i sostenitori degli impianti non rappresentano un pericolo: "Gli scarti dei termovalorizzatori saranno circa il dieci per cento del materiale in ingresso", si legge nello studio. Conti alla mano, 60mila tonnellate all'anno. "Verranno conferiti nelle esistenti discariche anche gli scarti solidi del processo di termovalorizzazione", viene specificato nel documento, anche se non viene fatta menzione di quale particolare sito sarà destinato ad accogliere le ceneri.
Regione Sicilia, i numeri attuali e quelli futuri
L'ultima fotografia dello stato dell'arte delle discariche, sia pubbliche che private, risale allo scorso 13 novembre. "Erano operative nove discariche, aventi una capacità residua parti a due milioni 124mila 723 metri cubi, non uniformemente distribuite nel territorio regionale", certifica l'agronomo Nicosia. Il dato si ricava sommando i 535mila metri cubi della discarica di Siculiana di proprietà della famiglia Catanzaro, ai poco più di 36mila dell'impianto di Soambiente ad Agrigento e dei quasi 14mila metri del sito di proprietà di A&G a Camastra.
In provincia di Caltanissetta, la discarica pubblica di Gela a metà novembre aveva una capacità di 91mila metri cubi, mentre nel Catanese erano più di 226mila quelli a disposizione di Oikos, la società che possiede la discarica tra Motta Sant'Anastasia e Misterbianco riaperta in attesa di capire come si concluderà la querelle giudiziaria sulle autorizzazioni ambientali in mano alla famiglia Proto.
Sul fronte dei privati, a novembre sono stati conteggiati quasi 18mila metri cubi nella discarica di Ama srl, a Castellana Sicula, e quasi 75mila a Priolo Gargallo nel sito della F.M.G. Srl, mentre quelle pubbliche di Bellolampo (Palermo) ed Enna avevano ancora a disposizione rispettivamente 960mila e 170mila metri cubi.
"Gli ampliamenti delle discariche esistenti, in corso di valutazione presso il dipartimento regionale, ammontano a complessivi nove milioni 466mila 132 metri cubi", si legge nello studio. Anche in questo caso vengono riportati i progetti in dettaglio. L'aumento delle capacità che dovranno servire alla Sicilia da qui al 2035 e oltre è così articolato: 1.818.369 metri cubi per Siculiana (Catanzaro Costruzioni), 291.763 a Camastra (A&G), 500mila a Sciacca (Sogeir Gis), due milioni a Gela (pubblica), 450mila a Serradifalco (Caltanissetta Tmb Srl), 825mila a Enna (pubblica), un milione e mezzo a Palermo (pubblica), 120mila a Castellana Sicula (Ama Srl), oltre 960mila nelle due discariche pubbliche di Trapani (pubblica) e un milione di metri cubi a Pachino (pubblica). 
Regione Sicilia, proiezioni e ottimismo
Nello studio di incidenza ambientale viene più volte ricordato che la normativa europea prevede che a partire dal 2035 in discarica non dovrà finire più del dieci per cento dei rifiuti raccolti. Stando ai dati attuali e alle previsioni riguardanti i miglioramenti della raccolta differenziata e della capacità di recuperare materie da mandare a riciclaggio sfruttando nuove piattaforme di selezione, più attrezzate degli attuali Tmb, in Sicilia si tratterebbe di abbancare circa 220mila tonnellate di rifiuti all'anno.
"Successivamente all'entrata in esercizio di tutti gli impianti pianificati, si prevede di raggiungere l'obiettivo previsto dalla nuova normativa alla data prevista, sempre in maniera lineare", viene riportato nel documento, accompagnando il tutto con una tabella delle riduzioni annuali. Ciò dovrebbe determinare anche una riduzione dei costi, tenendo conto che non sarà più necessario ricorrere alla spedizione dei rifiuti indifferenziati all'estero come invece si sta facendo da un po' di anni a questa parte.
Tuttavia, è difficile sbilanciarsi sul momento in cui l'isola sarà autosufficiente. Nello studio d'incidenza ambientale, infatti, si ipotizza che già a partire dall'anno in corso la quantità di rifiuti abbancabili in discarica possa essere di 9,2 milioni tonnellate. Praticamente la capacità massima delle discariche una volta completati gli ampliamenti. Prima però bisognerà completare gli iter autorizzativi e poi procedere alla costruzione dei nuovi spazi.


LENTEPUBBLICA
Ecco quando si verifica il mobbing nel pubblico impiego.

A fare luce su questo argomento delicato è una recente sentenza del TAR Toscana, la numero 303/2024, che delinea le fattispecie in cui si verfica la condotta di mobbing nel pubblico impiego.
La sentenza l'importanza di individuare e dimostrare la presenza di un intento persecutorio dietro i comportamenti vessatori, affinché si possa configurare il mobbing nel contesto lavorativo pubblico.
Si rammenta che per mobbing si intende una serie di comportamenti ostili e sistematici da parte del datore di lavoro o del superiore gerarchico, che mirano a perseguitare o vessare il dipendente, causandogli danni sia fisici che psicologici.
Ecco quando si verifica il mobbing nel pubblico impiego
Secondo il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana (Tar Toscana), il concetto di mobbing nel contesto del pubblico impiego richiede una serie di caratteristiche specifiche affinché possa essere riconosciuto come tale. In particolare, il Tar Toscana sottolinea che i comportamenti riconducibili al mobbing devono presentare diverse peculiarità:
Complessità: I comportamenti vessatori devono essere complessi, ovvero non si tratta semplicemente di singoli episodi isolati, ma di una serie di azioni interconnesse e ripetute nel tempo. Questa complessità può manifestarsi attraverso una varietà di mezzi e modalità utilizzati per vessare il dipendente.
Protrazione nel tempo: Il mobbing non si configura come un episodio isolato, bensì come un fenomeno protratto nel tempo. È caratterizzato da una continuità e una ripetitività nel tempo dei comportamenti vessatori, che possono protrarsi per settimane, mesi o addirittura anni.
Chiara intenzione persecutoria: È essenziale che i comportamenti vessatori siano manifestati con una chiara intenzione persecutoria da parte del datore di lavoro o del superiore gerarchico. Ciò implica che tali comportamenti non siano accidentali o casuali, ma siano volutamente diretti a danneggiare o emarginare il dipendente.
Differenza rispetto al normale svolgimento del lavoro: I comportamenti vessatori devono essere significativamente diversi dal normale svolgimento del rapporto di lavoro. Questo significa che non si tratta di azioni legittime o connesse con le normali dinamiche lavorative, ma di comportamenti che esorbitano dagli standard accettabili e mirano a danneggiare la persona o la reputazione del dipendente.
Mirare alla degradazione ed emarginazione: Uno degli obiettivi principali del mobbing è la degradazione e l'emarginazione del dipendente all'interno dell'ambiente lavorativo. Questo può manifestarsi attraverso l'isolamento sociale, la delegittimazione delle capacità professionali o altri mezzi volti a minare la fiducia e l'autostima del dipendente.
La prova del mobbing
La sentenza sottolinea che la prova del mobbing richiede la presenza di diversi elementi:
la presenza di una serie di comportamenti persecutori o vessatori, sia leciti che illeciti, ripetuti nel tempo e diretti contro il dipendente.
il verificarsi di danni alla salute fisica o psicologica del dipendente.
un collegamento causale tra i comportamenti del datore di lavoro o del superiore gerarchico e i danni subiti dal dipendente.
la dimostrazione dell'intento persecutorio dietro tali comportamenti.
È importante notare che singoli atti illegittimi o gestioni del rapporto di lavoro non sono di per sé indicativi di mobbing, ma devono essere parte di un disegno più ampio e mirato a danneggiare il dipendente.
Dal punto di vista processuale, il dipendente deve allegare e dimostrare gli elementi essenziali del mobbing, non limitandosi a lamentarsi genericamente, ma fornendo prove concrete al giudice per stabilire l'esistenza di un disegno vessatorio.


ITALIAOGGI
La stagione dei pensionamenti anticipati giunge al termine
Spesa pensionistica sempre più elevata (+5,8% nel 2024) e transizione demografica indirizzano le scelte del governo: la conferma arriva dal Def 2024 approvato il 9 aprile .

Fine della corsa per le pensioni anticipate. Una spesa sempre più elevata, in crescita del 5,8% nel 2024, accompagnata da una transizione demografica che, come si legge nel Def, potrà essere "solo parzialmente compensata dall'innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento", porteranno questo governo (e i prossimi) a dover fare i conti (spesso molto salati elettoralmente) con la necessità di arginare la spesa pensionistica.
Ciò vuol dire abbandonare il sistema di quote varie emerso negli ultimi anni per tornare all'impostazione della legge Fornero, vista come un incubo da gran parte della politica italiana. Un indizio molto forte arriva dal già citato Def, ovvero il Documento di economia e finanza, approvato in Consiglio dei ministri il 9 aprile. Ma non solo; a spesa e transizione demografica si aggiunge anche la stagnazione dei salari in Italia, ormai cronica, che non potrà che incidere sull'equilibrio del sistema. Inoltre, segnali sono già arrivati dal governo in carica; non solo le strette operate nell'ultima legge di bilancio, ma anche le parole espresse dal ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti a fine 2023: "il problema dell'Italia è il debito, che deve essere tenuto sotto controllo altrimenti il paese non ce la fa". Il tutto, con l'arrivo della revisione del patto di stabilità e crescita, dopo quattro anni di sospensione. "Una Lsd a cui siamo assuefatti", il Giorgetti-pensiero.
Il primo indizio che porta a pensare che sia finita la stagione dei pensionamenti anticipati arriva, come detto, dai numeri del Def.
Nel 2024 la spesa pensionistica sarà di 337,4 miliardi di euro, in crescita del 5,8% rispetto al 2023 (anno in cui la crescita rispetto al precedente è stata del 7,4%). Allungando l'orizzonte temporale (si veda grafico in pagina), il Def stima la percentuale di spesa pensionistica sul Pil da qui al 2070. Il picco sarà raggiunto nel 2040, quando si arriverà al 17% del Pil. Uno scenario, questo, tracciato "a legislazione vigente", come si legge nel documento, altro elemento importante nell'analisi. Ad oggi, infatti, la disapplicazione della legge Fornero è garantita solo per il 2024; senza nuovi interventi in legge di bilancio, da gennaio 2025 torneranno le nuove regole (stop alle deroghe, pensione a 67 anni con collegamento all'aspettativa di vita, che è già in vigore). Quindi, la crescita continua della spesa fino al 2040 ci sarà nonostante il ritorno alla legge Fornero. Un aspetto confermato testualmente dallo stesso Def; nel documento si legge, infatti, che la transizione demografica che attraverserà il paese potrà "solo parzialmente essere compensata dall'innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento". Tradotto: non si ipotizza che ulteriori pensionamenti anticipati possano incidere sul bilancio dello stato, ma anzi che l'innalzamento dell'età pensionabile non sarà sufficiente a sostenere gli squilibri.
Un ulteriore indizio arriva dalle attuali mosse del governo, un antipasto di quello che potrebbe rappresentare il prossimo futuro della previdenza in Italia. Già dai primi mesi della legislatura il ministro del lavoro, Marina Calderone, aveva parlato della necessità di un intervento di riforma organico, che mettesse definitivamente in soffitta il recente modus operandi, che vede esecutivi di ogni colore politico intervenire praticamente in ogni legge di bilancio con provvedimenti non strutturali sull'età pensionabile. La riforma, ad oggi, non è ancora arrivata, ma sono passate già due manovre, in entrambe le quali è stato trattato il tema pensioni.
La stretta più consistente si è avuta con l'ultima legge di bilancio, in particolare su tre misure: Opzione donna, Ape sociale e Quota 103.
La prima sarà riservata alle donne con 61 anni di età al 31 dicembre 2023, un anno in più rispetto al 2022. L'età per poter richiedere l'Ape sociale è stata elevata a 63 anni e 5 mesi. Tre, invece, le penalizzazioni che colpiranno quota 103: una finestra più ampia, pensione calcolata con il contributivo e diminuzione dell'importo erogato fino a 67 anni di età (pari a 4 volte il minimale Inps invece che a 5). Una stretta che non ha risparmiato i giovani: quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 dovranno attendere una finestra di 3 mesi prima d'intascare la pensione e l'importo massimo ottenibile, fino a 67 anni d'età, è pari a 5 volte il minimo dell'Inps, cioè a 2.993 euro. Oltre a questi interventi, in vigore dal 1° gennaio 2024, la linea del governo è desumibile dalle parole del ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, espresse durante il passaggio in commissione parlamentare della legge di bilancio a fine dicembre. «Non c'è un ritorno all'austerità, ma alla disciplina con il nuovo patto di stabilità e crescita", le parole del ministro. "Una disciplina necessaria dopo quattro anni di sospensione delle regole europee sui conti pubblici, un Lsd a cui siamo assuefatti. Il problema dell'Italia è il debito che deve essere tenuto sotto controllo altrimenti il Paese non ce la fa".
I numeri sopra elencati portano a pensare che non ci sarà spazio per ulteriori interventi legati a pensionamenti anticipati nei prossimi anni. Questo almeno fino al 2044; dopo, infatti, si assisterà a una diminuzione graduale che porterà il rapporto tra spesa e Pil al 16% nel 2050 e al 13,9% nel 2070. Una rapida riduzione "determinata dall'applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna all'inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati". Per vent'anni il margine sarà molto stretto, poi chissà.


ITALIAOGGI

Pagamenti a passo di lumaca. E le casse ne risentono
Sale a 59 giorni il periodo medio di incasso di un credito secondo i dati di Allianz Trade. Mentre Assifact sottolinea che gli enti pubblici accorciano (di poco) i tempi.

I pagamenti tra imprese tornano a passo di lumaca, come mai si era visto dal 2008. E le casse ne risentono, con un aumento della richiesta di capitale circolante. In dettaglio: il Dso (Days sales outstanding), ossia il tempo medio necessario per saldare i crediti commerciali, ha toccato, nel 2023, a livello globale, i 59 giorni, incrementando di tre giorni il dato dell'anno precedente. Mentre il Wcr (Working capital requirement), cioè il fabbisogno di capitale circolante, è cresciuto per il terzo anno consecutivo, toccando i 76 giorni di fatturato, (+2 rispetto al 2022), spinto da una crescita economica debole e da maggiori costi operativi e di finanziamento. A lanciare l'allarme è Allianz Trade, società specializzata nell'assicurazione dei crediti commerciali, che ha diffuso l'ultimo rapporto sui tempi medi di incasso di un credito e sul fabbisogno di capitale circolante. «La forte crescita dei tempi medi di incasso dei crediti commerciali sta aumentando il fabbisogno di capitare circolante», ha detto a ItaliaOggi Sette Andrea Resteghini, Head of credit underwriting di Allianz Trade Paesi Mediterranei, Medio Oriente e Africa, spiegando come il Wcr sia frutto della somma di crediti e magazzino, a cui sottrarre i debiti. «In un contesto internazionale sempre più competitivo, la conseguente minore disponibilità di risorse per investimenti non aiuterà la propensione all'export delle nostre aziende», aggiunge, «più a medio termine, in assenza di fattori correttivi, è possibile un deterioramento dell'attitudine a rimborsare i debiti a breve andando così ulteriormente a impattare le dinamiche di liquidità aziendale».
 «La metà dei Paesi presi in considerazione del nostro studio ha registrato nel 2023 un aumento del Wcr e due Paesi su cinque hanno superato la media globale, in particolare, per quanto riguarda l'Europa occidentale, la Francia (+5) e la Germania (+5), mentre, per l'Apac (Asia Pacifico, ndr), la Cina (+3) e il Giappone (+3)», ha commentato Maxime Lemerle, capo analista Insolvency research di Allianz Trade, che ha aggiunto: «Alla fine dello 2023, il Wcr era di 81 giorni nell'Apac (+2), 69 giorni in Europa occidentale (+1) e 70 giorni nel Nord America (+1). Inoltre, nel quarto trimestre, il 34% delle imprese ha registrato un Wcr superiore a 90 giorni di fatturato, rispetto al 32% e al 36% rispettivamente del quarto trimestre 2021 e del quarto trimestre 2022». Per quanto riguarda i tempi di pagamento globali, è stato registrato il balzo più forte dal 2008. E il Dso è fattore chiave della crescita del Wcr. C'è stato quasi un raddoppio rispetto al 2022. Ciò significa che un numero maggiore di imprese attende più lungamente un pagamento, con conseguenti rischi di liquidità. A livello globale, alla fine del 2023 il 42% delle imprese ha registrato tempi di pagamento superiori a 60 giorni di fatturato. «In Europa questo valore è in linea con la media globale, mentre, è superiore in Asia e inferiore in Nord America», ha spiegato ancora Lemerle, «tuttavia, nel 2023 quasi tutti i 22 settori da noi monitorati hanno registrato un aumento del Dso». Ma quale fattore influisce sui tempi di pagamento? Secondo gli esperti di Allianz Trade è la redditività, più influente dei finanziamenti o del ciclo economico. In questo contesto, i ritardi, in particolare in Europa, sono destinati ad aumentare per il rallentamento della domanda globale del 2024, unito ai costi operativi ancora elevati. «Riteniamo che un calo di redditività di un punto percentuale possa far crescere i tempi di pagamento di oltre 7 giorni. Tenendo conto della stretta sulla redditività che si profila nel 2024, le imprese europee devono prepararsi ad aspettare di più per ricevere i pagamenti, con maggiore pressione sui flussi di cassa e un potenziale aumento di rischio delle insolvenze», ha affermato Ano Kuhanathan, responsabile di Corporate research. Entra in gioco qui la regolamentazione europea: si ipotizza un potenziale regolamento dell'Ue che disciplini i ritardi di pagamento indicano che le condizioni potrebbero scendere dagli attuali 60 giorni consigliati a 30 giorni vincolanti, con una proroga fino a 60 giorni, se previsto contrattualmente, o a 120 giorni per beni specifici. Soluzione che rischia di portare una minore flessibilità aziendale rispetto alle condizioni attuali e di aumentare il deficit di finanziamento per oltre il 40% delle imprese europee, che al quarto trimestre 2023 hanno tempi di pagamento superiori a 60 giorni, con conseguente significativo impatto macroeconomico. «Per ridurre a 30 giorni i tempi di pagamento, le imprese europee avrebbero bisogno di 2 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi ma, ai tassi attuali, questo determinerebbe l'aumento degli interessi a carico delle aziende di 100 miliardi di euro, l'equivalente di una perdita di margini di -2 pp», ha spiegato Ana Boata, responsabile di Macroeconomic research di Allianz Trade.
Gli enti pubblici italiani sono un po' più virtuosi nei pagamenti. In media, infatti, per saldare le fatture commerciali tra imprese, nel 2023, sono stati necessari 79,26 giorni. Si tratta del valore più alto registrato nel post-Covid. In area pubblica invece, il dato è di 143,44 giorni, sempre superiori a quattro mesi, ma quasi 12 giorni in meno rispetto all'anno precedente. Così, il tempo medio per saldare un credito commerciale, il cosiddetto Dso (Days sales outstanding), è stato di 84,27 giorni, nel 2023: il valore più alto da dicembre 2021 e in aumento rispetto al passato. A rilevarlo è Assifact, l'associazione che riunisce le società di factoring, che ha condotto un'indagine su un campione dei propri associati (una quota che ha generato nel 2023 un turnover, cioè il volume totale dei crediti ceduti, pari a 239,6 miliardi di euro). I pagamenti delle imprese richiedono in media quasi un giorno in più rispetto al 2022 (+0,86 giorni, +1,10%), a conferma del rallentamento nei pagamenti da parte dei soggetti privati in corso da oltre un anno. Ma non ci sono solo i ritardi a complicare il quadro dei pagamenti, che sono effetto di processi, comportamenti e relazioni con i fornitori. Per esempio, lo scorso anno, la crescita dei ritardi è stata controbilanciata da un miglioramento degli indicatori di qualità dei comportamenti dei debitori nelle transazioni commerciali. Nelle transazioni B2B migliorano infatti, stando all'indagine Assifact, la disponibilità da parte dei debitori a includere nei contratti di fornitura gli interessi di mora e il risarcimento per i costi di recupero in caso di ritardato pagamento.
Tutti fattori che sollevano perplessità in merito alla revisione della Direttiva europea contro i ritardi di pagamento. «Vincolare l'autonomia contrattuale delle imprese nella definizione dei termini di credito commerciale attraverso l'imposizione di limiti stringenti (30 giorni) non sembra una via efficace per eliminare i ritardi di pagamento ma anzi potrebbe avere conseguenze inattese sulla competitività e sull'accesso al credito delle piccole e medie imprese», commenta Alessandro Carretta, segretario generale Assifact e ordinario di Economia degli intermediari finanziari all'università di Roma Tor Vergata.


LENTEPUBBLICA

Sempre più città italiane istituiscono le tasse anti-turismo d'assalto.

Le città italiane sono meta, ogni anno, di migliaia di turisti, rendendole spesso invivibili nei mesi delle ferie: ecco, quindi, arrivare le tasse anti-turismo d'assalto.
Si avvicina l'estate, il periodo in cui si viaggia di più e in Italia già fioccano migliaia di prenotazioni, soprattutto per le città d'arte.
La grande ondata di turismo, ripresa dopo il periodo della pandemia di Covid-19, spesso crea non pochi problemi agli abitanti, a causa del sovraffollamento delle città.
Per questo, molte amministrazioni comunali hanno deciso di istituire delle tasse anti-turismo d'assalto, come Venezia e Firenze.
Ecco di cosa si tratta.
Tasse anti-turismo d'assalto: l'arma delle città italiane per arginare i disagi
In vista della stagione estiva, molte amministrazioni comunali hanno deciso di includere nuovi rincari, contro il turismo d'assalto.
Secondo l'Osservatorio nazionale di Jfc sulla tassa di soggiorno, l'imposta, nel 2023, ha portato nelle casse dei Comuni italiani circa 702 milioni di euro, il 13,4% in più rispetto all'anno precedente.
Ma sono previsti ulteriori rincari e altre misure da parte di diverse amministrazioni comunali.
A Venezia, ad esempio, il prossimo 25 aprile debutterà il tanto discusso biglietto d'ingresso. Si tratta di una tassa d'entrata, dal costo di 5 euro, per i "turisti mordi e fuggi", ovvero i visitatori giornalieri.
Nell'isola di Capri, chi scende dal traghetto, dal 1° aprile al 31 ottobre, pagherà, per la prima volta, 5 euro di tassa di sbarco (prima era fissata a 2,50 euro). Un rincaro che segue quello di Ventotene e Ponza, che avevano già deciso di aumentare l'importo lo scorso anno.
Firenze, dal mese di maggio, inizierà a sperimentare lo scudo verde, ovvero una sorta di maxi-Ztl, che copre una superficie di 38 chilometri quadrati, ovvero il 66% del centro abitato. L'obiettivo è quello di ridurre le emissioni ma, secondo le fonti, in futuro potrebbe essere utilizzata anche per tracciare i turisti giornalieri che arrivano in città.
Previsti aumenti della tassa di soggiorno a
Padova (che da luglio, aumenterà di 0,50 euro per gli alberghi dalle tre stelle in su);
Brescia, che nel 2023 ha totalizzato due milioni di turisti in più, rispetto all'anno precedente;
Roma, dove la tassa di soggiorno è stata aumentata a 10 euro negli alberghi extralusso;
Napoli, dove le tariffe sono già state alzate nei mesi scorsi.


entilocalionline.it
Il Mef-RgS ha fornito chiarimenti ed indicazioni in merito ad alcuni profili applicativi della normativa vigente in materia di riduzione dei tempi di pagamento della Pubblica Amministrazione. 

È stata pubblicata la Circolare Mef-RgS 5 aprile 2024, n. 15, rubricata "Disposizioni in materia di riduzione dei tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni - Pagamenti di natura non commerciale e utilizzo della facoltà prevista dall'art. 4, comma 4, del Dlgs. n. 231/2002. Prime indicazioni", che fornisce chiarimenti ed indicazioni in merito ad alcuni profili applicativi della normativa vigente in materia di riduzione dei tempi di pagamento e concernenti in particolare la definizione della natura commerciale o non commerciale delle transazioni, la possibilità di estendere i termini di pagamento, come previsto dall'art. 4, comma 4, del Dlgs. n. 231/2002, l'adozione da parte delle Amministrazioni dei piani relativi ai flussi di cassa, l'audit interno e le funzioni di controllo dei Ministeri.La Circolare premette che, nell'ambito delle revisioni al "Pnrr", approvate con Decisione del Consiglio Ecofin 8 dicembre 2023, sono stati fra l'altro introdotte nuove Milestone per l'attuazione della M1C1-Riforma n. 1.11 - Riduzione dei tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni e delle Autorità sanitarie. In particolare, la Milestone M1C1-72-bis prevede interventi, da adottare entro il primo trimestre del 2024, volti a favorire un'accelerazione nel percorso di miglioramento dei tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni ai fini del conseguimento dei target previsti dalla stessa Riforma, al primo trimestre del 2025 e del 2026.




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