LENTEPUBBLICA
Contestazione dei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego: il parere della Cassazione.
La recente sentenza della Corte di Cassazione 8740/2024 ha fornito alcuni interessanti chiarimenti sulle modalità di contestazione nei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego.
Nello specifico, la sentenza della Corte di Cassazione ribadisce l'importanza della chiarezza e completezza nella contestazione dei procedimenti disciplinari, nonché della valutazione accurata delle prove da parte del giudice di merito.
In modo particolare ha espresso come elementi imprescindibili l'evidenza delle condotte contestate e della loro collocazione temporale e spaziale, richiamando l'articolo 55-bis del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, aggiornato dal Decreto Legislativo n. 75 del 2017, e l'articolo 24 della Costituzione.
Contestazione dei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego: il parere della Cassazione
Nella decisione della Corte, sono stati esaminati vari argomenti riguardanti il procedimento disciplinare. Inizialmente, è stato respinto un argomento che sosteneva che il lavoratore non fosse stato informato adeguatamente sugli atti citati nella contestazione disciplinare. La Corte ha stabilito che la contestazione era conforme alla legge, poiché indicava chiaramente i comportamenti contestati e quando e dove erano avvenuti. Anche se si faceva riferimento a una segnalazione del dirigente, questo dettaglio non era rilevante una volta che i fatti erano stati contestati.
Un altro argomento riguardava la presunta mancanza di prove da parte del datore di lavoro. La Corte ha ribadito che i fatti contestati erano stati provati con documenti specifici, quindi non c'era bisogno di applicare la regola secondo cui se il denunciante non prova, l'accusato va assolto. Contestare le valutazioni del giudice di merito è stato considerato non valido.
Un terzo argomento, che metteva in discussione la validità delle prove presentate, è stato bocciato dalla Corte. È stato chiarito che il giudice può considerare prove non convenzionali, purché siano sufficienti per giungere a una conclusione e non compromettano il contraddittorio.
Inoltre, è stato respinto un argomento che contestava il modo in cui la Corte aveva valutato le prove presentate. La Corte ha affermato che la sua decisione si basava sull'analisi dei comportamenti della dipendente e sulle loro conseguenze, piuttosto che su dettagli specifici. La denuncia di violazione dell'art. 2697 c.c. è stata considerata incoerente con la decisione della Corte.
Le conclusioni dei giudici della Cassazione
In conclusione, secondo i giudici, in casi del genere va tutelato l'equilibrio tra il diritto del datore di lavoro di esercitare il proprio potere disciplinare e i diritti dei dipendenti alla difesa e alla giustizia. È fondamentale garantire che i procedimenti disciplinari siano condotti in modo equo e trasparente, rispettando il principio del contraddittorio e fornendo ai dipendenti la possibilità di difendersi adeguatamente. Inoltre, è importante riflettere sull'uso delle prove nel contesto dei procedimenti disciplinari: è essenziale che le prove siano sufficienti per stabilire la colpa o l'innocenza del dipendente, ma è altrettanto importante evitare che il processo diventi una caccia alle streghe basata su prove deboli o mal interpretate. La valutazione delle prove dovrebbe essere pertanto sempre guidata da principi di equità e imparzialità.
AGRIGENTONOTIZIE
La fotografia della situazione.
Report sulla viabilità in Sicilia, risultati impietosi: ad Agrigento la "maglia nera"
Conf lavoro traccia uno scenario tutt'altro che incoraggiante: 140 opere incompiute, province siciliane in coda per strade e ferrovie. La città dei templi è alla posizione numero 99 della classifica
Il vice presidente nazionale e presidente regionale di Conflavoro Giuseppe Pullara con il ministro del lavoro e delle politiche sociali Marina Elvira Calderone
Quando si parla di viabilità Agrigento, purtroppo, se confrontata ad altre realtà siciliane, o peggio ancora italiane, lo sguardo si rivolge inesorabilmente alla zona più bassa della classifica. L'attività commerciale all'interno dell'isola e l'export sono condizionate da reti stradali, ferroviarie e portuali spesso vecchie e quindi poco funzionali. Se ne è parlato durante alcuni incontri a Roma tra esponenti di governo e Conflavoro. A rappresentare gli imprenditori siciliani è stato il vice presidente nazionale e presidente regionale di Conflavoro Giuseppe Pullara.
E proprio Conflavoro ha analizzato i dati del "Libro bianco" di Uniontrasporti e Unioncamere. I numeri che sono venuti fuori parlano di 14.700 chilometri di rete stradale siciliana dove solo il 5 per cento rientra nella categoria "autostrada" e il 27 per cento nella cosiddetta rete di "rilevanza nazionale" di gestione Anas.
Inoltre la rete ferroviaria è elettrificata al 58 per cento e di 1.396 chilometri solo il 16 per cento procede su doppio binario. Emblematica l'età media tre treni siciliani: il 55 per cento ha 19 anni contro la media nazionale di 15,4 anni. Le reti ferroviarie di Ragusa e Trapani sono tra le peggiori performance in Italia (rispettivamente al 102° e 94° posto). Le infrastrutture stradali costituiscono la categoria più debole insieme alle ferrovie. In Sicilia non esistono autostrade a 3 corsie oppure non esistono affatto, come ad Agrigento e Ragusa.
E sempre in riferimento ad Agrigento, è stato rilevato che la sua provincia ha le peggiori infrastrutture stradali considerando tutto il Sud e le isole ed è al 99esimo posto.
"Con il ponte sullo Stretto - afferma Giuseppe Pullara - si stima un guadagno annuo per la Sicilia di circa 6,5 miliardi di euro e un aumento del 7,4 per cento di prodotto interno lordo regionale. Si stimano inoltre 15 mila posti di lavoro ogni anno.
Al momento siamo impegnati presso le istituzioni nazionali e regionali per sollecitare l'adeguamento dell'intero sistema infrastrutturale siciliano".
LIVESICILIA
Fed: "La Regione riattivi la pubblicità dei bandi e gare sui media".La richiesta degli editori digitali.
"La Regione assuma l'impegno di ripristinare l'obbligo della pubblicità di bandi e gare sui media tradizionali ed innovativi. E' un impegno che chiediamo affinché venga garantita la trasparenza e la corretta informazione ai cittadini. La Regione siciliana ha l'opportunità di essere l'Amministrazione all'avanguardia su questo tema, dopo la mancata proroga a livello nazionale".
Lo sostiene Sebastiano Di Betta, presidente della Federazione Editori Digitali. A nome della federazione, Di Betta nei giorni scorsi ha incontrato - per dialogare proprio su questo tema - Alessandro Aricò, assessore regionale alle Infrastrutture della Regione siciliana.
Incredibile incidente, suv si sperona un'auto e si ribalta
Attualmente la regola prevede che la pubblicità legale dei bandi e delle gare sia delegata esclusivamente alla banca dati dell'ANAC. "Non mettiamo in discussione l'autorevolezza dell'ANAC - commenta Di Betta - ma è abbastanza evidente che non è quello il mestiere dell'Authority che già si sobbarca gigantesche responsabilità in materia di trasparenza e lotta alla corruzione".
"E' abbastanza evidente - prosegue - che l'assenza di informazione, o la sua ridotta diffusione, non è un buon viatico per garantire la trasparenza sugli appalti, riducendo nei fatti anche la possibilità di imprese e cittadini di conoscere come funziona l'amministrazione".
Di Betta spiega le ragioni della richiesta, "rivolta a chi, nel governo regionale o con responsabilità dirette in materia di appalti pubblici, ha compreso come l'attuale situazione generi una astratta e teorica conoscibilità della pubblicità dei contratti pubblici".
"Siamo ben lontani - dice - dalla loro conoscenza effettiva, anche con l'utilizzo della stampa quotidiana: in questo modo si rischia di ledere il diritto dei cittadini ad essere informati sull'agire delle pubbliche amministrazioni".
Per l'assessore Aricò "La pubblicità legale sui giornali tradizionali e online è un'ulteriore garanzia a servizio della trasparenza. E' importante dare massima diffusione alle informazioni sugli appalti in modo da rendere tali notizie accessibili a tutti".
FOCUSICILIA
Bonus 100 euro Meloni. A chi spetta, a chi chiederlo, quando arriva.All'esame preliminare il nuovo sostegno una tantum per i lavoratori dipendenti. In busta paga con il primo stipendio del 2025, non andrà a tutti i gli occupati. Ecco le condizioni reddituali e familiari per richiederlo al datore di lavoro.
Comunicato nei giorni della Festa dei lavoratori il Bonus 100 euro proposto dal Governo Meloni sosterrà i redditi di 1,1 milione di famiglie attraverso il lavoro dipendente. Ma sarà tassato e spetta per intero solo a chi ha lavorato per tutto il 2024. Con un totale di 74 miliardi di euro in dotazione, il Governo Meloni è pronto ad investire con un Decreto Coesione per risorse idriche, infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell'ambiente, rifiuti, trasporti e mobilità sostenibile, energia, sostegno allo sviluppo e all'attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde. Ma ha anche previsto, in un'ottica più ampia di sostegno ai redditi da lavoro dipendente, un contributo di 100 euro lordo in busta paga che arriverà a gennaio 2025.
I requisiti di reddito e lo stato di famiglia
Il provvedimento è oggi all'esame preliminare. Su iniziativa del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, il Governo conta di introdurre un'indennità di 100 euro per i lavoratori dipendenti che, all'interno di quest'anno 2024, hanno un reddito complessivo non superiore a 28.000 euro o abbiano un reddito talmente basso da non permettere di accedere alle deduzioni fiscali. Per ottenere i 100 euro del Governo Meloni in busta paga conta anche la condizione del nucleo familiare. Possono richiedere il bonus i lavoratori coniugati non separati e con almeno un figlio, a carico di entrambi. Oppure con un figlio a carico, anche se separati, genitore solo, vedovo/a con figli a proprio carico, anche adottati.
A chi chiedere il bonus di 100 euro e quando arriva
Il bonus 100 euro per i lavoratori dipendenti, se spetta, verrà accreditato in busta paga con lo stipendio di gennaio 2025. Dovrà essere richiesto attraverso il proprio datore di lavoro. L'importo è da intendersi lordo, quindi verrà tassato, ma oltre la tassazione c'è da tenere in conto un'altra variabile: l'essere stato contrattualizzato per tutto il 2024. Il bonus verrà calcolato infatti sul periodo lavorativo. Chi ha lavorato meno avrà anche un bonus minore. Anche il bonus 100 euro pensato dal Governo Meloni, come altre soluzioni già sperimentate in passato, è un sostegno una tantum. Partendo dagli 80 euro di Matteo Renzi (lavoratori dipendenti), ai 200 euro di Mario Draghi (pensionati e lavoratori dipendenti), la differenza è la riduzione della platea dei lavoratori che lo riceveranno. Oltre 20 milioni nei primi due governi, "1,1 milione di famiglie" nella strategia del governo Meloni di maggio.
LENTEPUBBLICA
Trattenimento in servizio dei dirigenti: il parere della Funzione Pubblica.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha emesso un parere concernente il trattenimento in servizio dei dirigenti, in particolare nei Comuni privi di personale di qualifica adeguata.
Tramite il parere 6401/2024 concernente l'applicazione dell'articolo 11, comma 1, del Decreto Legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 9 ottobre 2023, n. 137, il dipartimento ha dato seguito a una richiesta di chiarimento che riguardava la possibilità di applicare questa disposizione nei Comuni che non dispongono di personale di qualifica dirigenziale. In particolare il quesito aveva come oggetto il trattenimento in servizio, in queste circostanze, dei Responsabili di Servizi che espletano queste funzioni ma senza averne la qualifica.
Cosa rappresentano i Responsabili di Servizi in questo contesto?
I Responsabili di Servizi che espletano funzioni dirigenziali sono figure all'interno delle amministrazioni pubbliche incaricate della gestione e del coordinamento di specifici servizi o settori. Questi responsabili hanno il compito di pianificare, organizzare e supervisionare le attività del servizio che dirigono, assumendo responsabilità di natura decisionale e operativa.
Sebbene non abbiano necessariamente una qualifica dirigenziale formale, possono essere investiti di compiti e responsabilità tipiche di un dirigente, specialmente quando si tratta di implementare interventi strategici o di gestire risorse importanti. Inoltre, possono essere coinvolti nell'attuazione di progetti rilevanti, come quelli previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che richiedono un alto grado di competenza e leadership.
Trattenimento in servizio dei dirigenti: il parere della Funzione Pubblica
Il Dipartimento ha espresso alcune considerazioni preliminari, sottolineando il contesto particolare in cui si colloca l'intervento legislativo, che mira a bilanciare gli interessi di contenimento della spesa, il ricambio generazionale e il perseguimento dell'interesse pubblico nella pubblica amministrazione.
La disposizione in questione consente alle amministrazioni pubbliche di trattenere in servizio fino al 31 dicembre 2026 i dirigenti generali, anche apicali, coinvolti nell'attuazione di interventi previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tuttavia, tale deroga al regime ordinario richiede una stretta interpretazione e il rispetto di determinati presupposti, inclusa la qualifica dirigenziale del soggetto interessato e una valutazione della complessità organizzativa della struttura coinvolta.
Nel caso dei Comuni che non dispongono di personale dirigenziale di qualifica, il parere enfatizza che la normativa in questione non può essere applicata. Questa conclusione è giustificata dal fatto che la disposizione legislativa si riferisce esclusivamente ai dirigenti, inclusi quelli di livello generale e apicale, senza includere i responsabili di servizi che non hanno una qualifica dirigenziale.
Inoltre, il parere si basa su pronunce giurisprudenziali che chiariscono l'importanza di una qualificazione esplicita negli atti organizzativi della Pubblica amministrazione per considerare un'unità organizzativa di livello dirigenziale. Questo significa che affinché un'unità possa essere considerata di livello dirigenziale, deve essere definita come tale negli atti ufficiali dell'amministrazione, secondo quanto stabilito dalla legge.