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Progressioni di carriera decise anche dai dirigenti: il piano di Zangrillo per la Pa
Il Ministro Zangrillo ha recentemente annunciato un nuovo piano per la Pa: le progressioni di carriera potranno essere decise anche dai dirigenti.Nel mondo della Pubblica amministrazione, le progressioni di carriera potrebbero non essere più limitate ai concorsi pubblici, ma anche a seconda delle decisioni dei dirigenti.È questa la novità principale introdotta dal piano presentato dal Ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, descrivendola come "una piccola rivoluzione".L'obiettivo principale, infatti, è quello di rendere più attrattiva la Pubblica amministrazione per i giovani, visto che, nei prossimi 5/6 anni, andranno in pensione un milione di dipendenti e c'è bisogno di un turnover efficace.
Ecco cosa sappiamo.
Progressioni di carriera decise dai dirigenti: la novità introdotta dal piano di ZangrilloIl Ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, fin dal suo insediamento, aveva annunciato la volontà di rivoluzionare il mondo della Pa, con nuove misure per renderla più accessibile e digitale.Tra le ultime novità annunciate, c'è quella relativa alle promozioni e alle progressioni di carriera.Le promozioni, infatti, potrebbero non essere più decise solamente dai concorsi pubblici, ma anche dai dirigenti. Si tratta di un progetto ancora allo stato embrionale, che deve ricevere l'approvazione a livello politico, ma per il Ministro si tratta di"rendere disponibile un percorso di crescita delle persone, che tenga conto non soltanto delle necessità di vincere i concorsi".In una recente intervista, infatti, ha dichiarato di credere"in un'organizzazione sana, in cui, chi ha la responsabilità del capitale umano si debba prendere anche quella di misurare il valore delle persone e fare la differenza tra chi merita e chi no".Si tratta di un modo per rendere la Pubblica amministrazione più interessante anche per i giovani, che potranno contare su un'organizzazione capace di farli crescere, dal punto di vista professionale. L'obiettivo è quello di responsabilizzare i dirigenti anche sulla valorizzazione del capitale umano.La decisione arriva in un momento cruciale. Pochi giorni fa, infatti, la Corte dei Conti ha "bacchettato" la Pubblica amministrazione, definendo "poco efficace" la valutazione del lavoro dei dipendenti pubblici.Secondo il report, infatti, nel triennio 2020/2022, i premi per gli obiettivi raggiunti dai dipendenti statali sono stati erogati spesso "a pioggia", senza una reale valutazione sul raggiungimento degli obiettivi.
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La maggiore anzianità anagrafica non basta per le progressioni verticali.
La sentenza del TAR della Sicilia, Sezione Seconda, numero 1845/2024, ha evidenziato l'illegittimità del principio della maggiore anzianità anagrafica come criterio di preferenza in caso di ex aequo in graduatoria per le progressioni verticali.
Nella controversia esaminata dai giudici amministrativi siciliani il ricorrente aveva presentato un reclamo riguardante diverse disposizioni, tra cui il regolamento relativo alle progressioni verticali, il bando di selezione e alcune determinazioni relative alla procedura stessa di progressione verticale del personale interno.
La sua contestazione era basata sull'interpretazione dell'articolo 3, comma 7, della legge n. 127/1997, modificata dall'articolo 2, comma 9, della legge n. 191 del 1998. Questa norma stabilirebbe che, in caso di punteggi paritetici, dovrebbe essere preferito il candidato più giovane tra i due.
Tuttavia, nonostante questa disposizione legislativa, l'Amministrazione aveva adottato un criterio di preferenza diverso, basato al contrario proprio sull'anzianità anagrafica. Questo significava che, in caso di parità di punteggio, veniva privilegiato il candidato con l'anzianità anagrafica più elevata anziché quello più giovane.
Il ricorrente sosteneva che questa interpretazione e applicazione della legge da parte dell'Amministrazione fosse errata e violasse i principi stabiliti dalla normativa in vigore.
Pertanto, ha presentato il ricorso al TAR della Sicilia, Sezione Seconda, per ottenere una revisione delle decisioni prese dall'Amministrazione in base a questo criterio di preferenza.
La maggiore anzianità anagrafica non basta per le progressioni verticali
La decisione del TAR della Sicilia, Sezione Seconda, si basa su diverse considerazioni di natura giuridica e pratica, sintetizzate qui di seguito:
Principio di valorizzazione del merito e della competenza: Il TAR ha sottolineato che, nonostante le progressioni verticali abbiano una natura diversa rispetto ai concorsi pubblici, rimane valido il principio fondamentale della valorizzazione del merito e della competenza del personale interno. Questo significa che, al di là del mero criterio dell'anzianità, è essenziale considerare le qualità professionali e il merito dei candidati per garantire una selezione basata sulle reali capacità e competenze.
Inadeguatezza del criterio dell'anzianità anagrafica: Il TAR ha argomentato che il criterio della maggiore anzianità anagrafica non è adeguato ai fini della valorizzazione delle qualità professionali e del merito. L'esperienza lavorativa, sebbene importante, non è l'unico indicatore delle capacità di un individuo. Al contrario, la valutazione delle qualità professionali, delle competenze acquisite e del contributo effettivo alla missione dell'ente dovrebbero essere considerate in modo più completo ed equo.
Applicabilità dell'art. 3, comma 7, della legge n. 127/1997: Il TAR ha confermato che l'articolo 3, comma 7, della legge n. 127/1997, come modificato dall'articolo 2, comma 9, della legge n. 191 del 1998, si applica anche alle progressioni verticali. Questa disposizione stabilisce che in caso di parità di punteggio tra i candidati, dovrebbe essere preferito il candidato più giovane. Questo principio mira a favorire l'ingresso di nuove risorse giovani e dinamiche, contribuendo così al rinnovamento e alla vitalità dell'organizzazione.
Accoglimento del ricorso e annullamento degli atti impugnati: Alla luce di queste considerazioni, il TAR ha accolto il ricorso del candidato e ha annullato la parte degli atti impugnati che prevedeva il criterio della maggiore anzianità anagrafica come principio di preferenza in graduatoria. Ciò significa che l'Amministrazione sarà tenuta a riconsiderare le selezioni e adottare criteri più adeguati e rispettosi dei principi di merito e di valorizzazione delle qualità professionali.
Quindi in conclusione la sentenza evidenzia come siano prioritarie nel meccanismo delle progressioni altre vie rispetto a quella dell'anzianità anagrafica, che come visto non basta ad assicurare al candidato questo "privilegio".
ILSOLE24ORE
I cinque giorni in ufficio sono superati, anche il top manager lavora da remotoTra i capi sullo smart working ci sono opinioni diverse, ma per il chief people officer di Sace, Gianfranco Chimirri, è vitale la contaminazione del mondo esterno per la nuova leadership che deve portare dentro l'organizzazione le migliori esperienze.
Sullo smart working ci sono opinioni diverse, anche tra i top manager. Dette poco ad alta voce, perché basta una frase per scontentare migliaia di persone in una volta e ai lavoratori questa modalità piace: riduce il cosiddetto commuting e il tempo - oltre ai costi - che fa perdere ogni giorno e consente di conciliare meglio vita e lavoro, restituendo ampi spazi privati grazie alla flessibilità. Rispetto alla fase pandemica i numeri si sono ridimensionati, ma oggi, secondo i dati dell'Osservatorio del Politecnico di Milano, gli smart worker sono pur sempre 3,5 milioni, quasi sette volte in più rispetto al pre Covid. E tra questi ci sono anche i manager, come Gianfranco Chimirri che è chief people officer di Sace, il gruppo assicurativo finanziario controllato dal Mef, guidato dall'ad Alessandra Ricci dove lavorano circa mille knowledge workers. Professionalmente il manager è cresciuto in una grande multinazionale del largo consumo dove c'è un approccio secondo cui «il posto di lavoro non è dove sei, ma quello che fai e il valore che crei. Il concetto di leader ibrido è un tema che deve essere chiaro a tutti nel mondo di oggi in cui la presenza fisica in un luogo non è sempre vitale, grazie anche alle nuove tecnologie. Semmai è vitale capire dove lavorare in funzione dell'attività che bisogna fare», dice Chimirri.
Il modello del manager
Chimirri ha già una lunga carriera alle spalle, a dispetto della sua giovane età, 48 anni. Lo sentiamo al telefono mentre sta rientrando a Roma in treno, con una connessione un po' precaria che ci costringe a saltellare da una telefonata all'altra. Ci racconta di avere un suo modello. «Cerco di spendere il tempo in ufficio con i colleghi per attività legate a innovazione e creazione di idee, confronti sui progetti, conversazioni di sviluppo con le persone. Ma anche per tutte le iniziative per creare senso di appartenenza a valle e a monte dei meeting. E' provato che passare il 40% del tempo in ufficio è la misura ideale per tenere in vita il capitale sociale delle organizzazioni». Quando però deve fare quelle che chiama attività di focus e cioè di studio, lettura e scrittura di documenti, allora le fa «dove meglio credo. A casa o in viaggio, dove trovo una dimensione per concentrarmi». Le ore del viaggio in treno di oggi sono state dedicate proprio al focus. Questo modello che ci racconta ha evidentemente una logica che è legata alla società di cui guida le risorse umane e dove è in corso la sperimentazione di un ampio pacchetto di flessibilità che comprende sia lo smart working che la settimana corta. Ma c'è di più.
C'è infatti anche un tema di leadership. «La logica del passo 5 giorni in ufficio è contro uno dei principi della leadership contemporanea: il leader non può stare sempre in ufficio, deve essere connesso col mondo esterno, confrontarsi con i clienti, il mondo accademico, le start up, le nuove tecnologie, viaggiare, conoscere, esporsi alle idee e alle suggestioni che ci sono fuori, per poi contaminare e portare valore aggiunto all'interno dell'organizzazione. Gli estremi non funzionano mai e il modello ibrido va bilanciato. Non è più un valore lavorare 5 giorni in ufficio oggi, allo stesso modo in cui non lo è lavorare sempre, al 100% da casa, anche perché ne risente il benessere delle persone e si genera disingaggio emotivo totale con l'organizzazione, per cui il lavoratore fa quello che fa in maniera asettica. Lo fa per la sua azienda, ma potrebbe farlo allo stesso modo per qualsiasi altra». Le aziende sono anche comunità, nelle quali le persone si identificano per comunanza di valori. La grande difficoltà delle organizzazioni italiane è stata proprio «quella di non aver cresciuto una generazione di leader ibridi, capaci di avere fiducia nelle persone e delegare. Se il leader non è ibrido e passa 5 giorni su 5 in ufficio, non creerà mai una cultura ibrida perché il modello che rappresenta e a cui le persone si ispirano è un altro».
La conciliazione vita lavoro
Il passato è fatto da modelli dove prevaleva l'orario rigido di ingresso e di uscita, la timbratura del cartellino, la presenza in sede. Il presente invece offre molteplici modi di lavorare dove «le persone possono organizzare in autonomia il tempo. Questo è un valore inestimabile», dice Chimirri che è padre di due bambini ed è un ex atleta di triatlon. «Adesso non faccio più competizioni ma continuo ad allenarmi quasi tutti i giorni, al mattino all'alba e riesco a ritagliare lo spazio per la mia famiglia, per accompagnare a scuola i bambini in alcuni giorni, o per mangiare con loro o per essere anche semplicemente presente in casa. I manager lavorano molte ore, ma un modello come il nostro consente loro di evitare le frustrazioni di non poter fare determinate cose importanti per la vita privata. Dipende certamente dalla giornata, ma se me lo consente un pomeriggio posso anche decidere di portare mia figlia in piscina e poi riprendere a lavorare dopo cena. In un modello flessibile questo si può fare, evitando di creare nelle persone la frustrazione di non poter vivere un momento importante».
Il disingaggio emotivo e la via di Sace
«Viviamo un'epoca di forte disingaggio emotivo tra i lavoratori e le aziende con la conseguenza che diventa sempre più difficile trattenere le persone e attrarle. O, peggio ancora, ci si ritrova con persone disingaggiate con forti ripercussioni sulla produttività. E poi non possiamo dimenticarci il peso del fattore demografico che porta ad avere un'offerta sempre più scarsa dal punto di vista quantitativo», dice il manager. «In Sace abbiamo deciso di lavorare innanzitutto sui temi fondamentali - spiega -. Il primo è la ricerca di senso, il purpose perché è necessario che la persona riconosca che il suo contributo è direttamente funzionale alla visione aziendale: questo è sempre più sentito e, soprattutto per le nuove generazioni, non è negoziabile». La costrizione delle organizzazioni in schemi troppo rigidi ha mostrato molti punti deboli, soprattutto nel post pandemia. «Le persone ci chiedono benessere in un framework che dà libertà. I modelli altamente regolamentati e prescrittivi vengono associati alla sfiducia. In altre parole nei modelli tradizionali i manager non si fidano delle persone e quindi dicono quando entrano, quando escono e cosa devono fare. Questo non funziona più. Una volta chiarito il contesto valoriale e strategico dell'azienda alle nostre persone abbiamo chiesto di muoversi liberamente e responsabilmente nel rispetto dei valori, che ovviamente non si possono violare. In un contesto di leadership diffusa. Siamo tutti leader perché tutti abbiamo la capacità di fare accadere le cose: per questo abbiamo decentralizzato il decision making e cambiato il ruolo del senior leader». In che modo? «Il ruolo non è più quello di dire alle persone come fare le cose ma di ispirarle sul purpose, di ingaggiarne non solo la mente ma anche il cuore, di indicare la direzione strategica e poi di essere di supporto come coach. Un modello molto diverso dal controllo e comando», dice il manager.
Siamo tutti talenti
È così che in Sace è stato creato un contesto organizzativo dove tutte le persone hanno «la guida e la responsabilità del proprio sviluppo - continua Chimirri -. Non abbiamo programmi esclusivi, come quelli dedicati a un ristretto numeri di alti potenziali, perché per noi sono tutti talenti. Le opportunità di ciascuno sono chiare e abbiamo spiegato anche la strada per arrivarci attraverso un career gps con cui l'intelligenza artificiale è entrata nei percorsi di carriera. Ognuno indica il ruolo a cui vuole arrivare e il tool spiega il gap di competenze e la strada da seguire per colmarlo. Non solo, prendendo i dati del mercato spiega anche se la direzione verso cui la persona sta andando è a rischio obsolescenza oppure no e se c'è una forte domanda o no».
La flessibilità tra smart working e settimana di 4 giorni
Questo lavoro sui cosiddetti temi fondamentali in Sace è stato calato in un modello organizzativo caratterizzato da «flessibilità, produttività e benessere che nel gruppo vanno di pari passo. Le nostre persone non timbrano il cartellino e possono lavorare in smart working. Non secondo la logica delle giornate che consideriamo superata, ma delle attività: mediamente i lavoratori di Sace passano in ufficio il 40% del loro tempo di lavoro e sono i team che decidono quando venire e perché, per attività di collaborazione e innovazione. E poi possono scegliere la settimana basata su 4 o 5 giorni lavorativi. Per quest'ultima parte del nostro piano l'investimento in tecnologia si è rivelato fondamentale. Le nostre persone hanno a disposizione dei tool di Ai generativa con cui possono realizzare le attività routinarie e a basso valore aggiunto», continua Chimirri. La sfida concettuale che è in corso nel gruppo è quella «di non considerare il tempo come misura del valore - afferma il manager -. La nostra organizzazione dà alle persone il tempo per formarsi e investire sul proprio sviluppo, dedicarsi alle attività a maggiore valore aggiunto, così come al proprio benessere. Il nostro modello è in fase di sperimentazione e verrà misurato per capire se il benessere delle persone è aumentato, così come la produttività. Se il risultato sarà positivo potrà essere un modello da portare in altre aziende».