LENTEPUBBLICA
Elezioni 8 e 9 giugno 2024: la direttiva per gli uffici elettorali di sezione.
Ecco la direttiva numero 56 del DAIT con le nuove istruzioni per gli uffici elettorali di sezione in merito alle prossime elezioni in programma nei giorni 8 e 9 giugno 2024.
È stata pubblicata la Circolare DAIT n. 56 del 24 maggio 2024 che fornisce dettagli sugli adempimenti degli uffici elettorali di sezione in vista delle consultazioni elettorali previste per sabato 8 e domenica 9 giugno 2024.
In queste date si terranno le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, il turno ordinario di elezioni amministrative nelle regioni a statuto ordinario e speciale, e le elezioni regionali in Piemonte.
Elezioni 8 e 9 giugno 2024: la direttiva per gli uffici elettorali di sezione
La circolare sottolinea alcuni dei principali adempimenti necessari per garantire la costituzione e il funzionamento degli uffici elettorali di sezione, nonché per lo svolgimento delle operazioni di voto e di scrutinio. Ecco i punti salienti:
Orari di Votazione: Le votazioni si terranno sabato 8 giugno dalle 15:00 alle 23:00 e domenica 9 giugno dalle 7:00 alle 23:00.
Costituzione dei Seggi: Gli uffici elettorali di sezione devono essere costituiti entro le 7:30 di sabato 8 giugno. L'insediamento del seggio avverrà alle ore 9 dello stesso giorno.
Materiale Elettorale: Sarà fornito il materiale necessario per tutte le consultazioni, tra cui bollo di sezione, matite copiative, pacchi di cancelleria, liste sezionali, liste elettorali aggiunte e registri per l'annotazione delle tessere elettorali. Le Regioni Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna forniranno il materiale specifico per le loro rispettive elezioni.
Scrutinio
A seguito delle operazioni di voto, il presidente del seggio, dopo aver completato il riscontro dei votanti per ciascuna consultazione, inizierà lo scrutinio delle elezioni europee. Le operazioni di scrutinio per le elezioni regionali e amministrative pertanto saranno rinviate alle ore 14:00 di lunedì 10 giugno, iniziando con le elezioni regionali e proseguendo con quelle comunali e circoscrizionali.
Adempimenti
I seggi elettorali devono seguire le seguenti indicazioni:
liste degli elettori: le liste elettorali della sezione e quelle aggiunte devono essere inserite nella busta contrassegnata "Parlamento europeo".
registri dei votanti: i registri per l'annotazione dei numeri delle tessere elettorali devono anch'essi essere inseriti nella busta "Parlamento europeo".
materiale di utilizzo comune: tutto il materiale comune (timbro della sezione, matite copiative, ecc.) deve essere collocato nella busta "Parlamento europeo".
certificati medici: eventuali certificati medici esibiti dagli elettori disabili devono essere allegati al verbale delle operazioni del seggio per l'elezione del Parlamento europeo.
conteggio dei votanti: dopo la chiusura delle urne alle 23:00 della domenica, il presidente del seggio deve verificare il numero degli elettori che hanno votato per ogni elezione, iniziando dal Parlamento europeo.
preparazione dei plichi: prima dello scrutinio, i plichi contenenti le liste degli elettori e i registri dei votanti devono essere consegnati al tribunale.
scrutinio europeo: le operazioni di scrutinio per l'elezione del Parlamento europeo iniziano immediatamente dopo la consegna dei plichi.
sigillatura delle urne: le urne contenenti le schede per altre consultazioni devono essere sigillate, e i relativi documenti chiusi in un plico.
rinvio dello scrutinio: terminato lo scrutinio per il Parlamento europeo, lo scrutinio per le altre elezioni riprenderà alle ore 14:00 di lunedì.
scrutinio regionale e comunale: le operazioni per le elezioni regionali iniziano alle 14:00 di lunedì, seguite da quelle comunali senza interruzioni.
riconsegna del materiale: Al termine di tutte le operazioni di scrutinio, il materiale elettorale deve essere riconsegnato al Comune.
Informazioni aggiuntive
Infine, per ulteriori dettagli, le pubblicazioni predisposte dalla Direzione Centrale con le istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione saranno disponibili in formato cartaceo e consultabili sul sito del Ministero dell'Interno. Le Regioni coinvolte forniranno ulteriore materiale informativo specifico per le rispettive consultazioni regionali e comunali.
Ovviamente queste disposizioni assicurano che tutte le operazioni elettorali si svolgano in maniera ordinata e conforme alla legge, garantendo la corretta espressione del voto da parte dei cittadini.
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È un errore tagliare i fondi ai Comuni che hanno speso per il PNRR.
Nelle ultime ore il panorama politico italiano è stato scosso da un dibattito infuocato riguardante i tagli alla spesa corrente per gli enti locali, in modo particolare la riduzione dei fondi ai Comuni che hanno già speso risorse per i progetti nell'ambito del PNRR.
Come abbiamo riportato in questo nostro approfondimento il Governo avrebbe infatti intenzione di penalizzare proprio quei Comuni impegnati nella realizzazione delle opere pubbliche, attraverso significativi tagli alle risorse di parte corrente.
Questi tagli, mirati soprattutto verso quei Comuni che hanno tratto maggior vantaggio dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), hanno provocato un'ondata di indignazione tra i sindaci delle città colpite.
Una situazione che rischia di trasformarsi in una vera e propria "polveriera", visto che già le associazioni degli enti territoriali e in primo luogo dei sindaci italiani, come l'Anci, sono sul piede di guerra e hanno lanciato l'allarme sull'impatto negativo che questa misura avrebbe sulle comunità locali.
La questione non è solo economica, ma tocca anche nervi scoperti della gestione e della distribuzione dei fondi pubblici, mettendo in evidenza tensioni politiche e amministrative che stanno emergendo con forza nel dibattito nazionale.
Cerchiamo dunque di fare un po' d'ordine e di capire cosa potrebbe accadere e perché scegliere di penalizzare proprio questi Comuni potrebbe essere un'arma che potrebbe rivolgersi contro il Governo.
A far discutere è proprio il parametro di assegnazione dei tagli ai singoli enti locali scritto nella bozza di decreto attuativo preparato dal ministero dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.
Per quest'anno, il taglio previsto è di 250 milioni di euro, ma si prevede che questa cifra aumenterà fino a raggiungere 1 miliardo e 250 milioni di euro entro il 2028.
Come abbiamo anticipato però ad accendere gli animi sono i soggetti che subiranno questo taglio: a subire i tagli alla spesa corrente saranno gli enti locali che hanno beneficiato maggiormente del PNRR. Come riportato infatti in una dichiarazione del ministro Giorgetti, riportata dal Quotidiano Repubblica, "Tutti devono fare sacrifici. È giusto che contribuisca di più chi ha avuto di più. A contribuire di più al contenimento della spesa pubblica deve essere chi ha ricevuto il regalo del Pnrr". Una frase che evidenzia la linea dura del Governo e che lascia, come si suol dire, poco spazio all'immaginazione. Inoltre il Ministro Giorgetti, come riportato ancora da Repubblica, ha ribadito che i Comuni erano stati informati fin da dalla fine di dicembre (data dell'approvazione dell'ultima Legge di Bilancio), della necessità di offrire il loro contributo al contenimento della spesa, che ammonterebbe a 1,2 miliardi di euro in cinque anni.
A cercare di mediare con le parti coinvoltre (vale a dire i sindaci) sarebbe stato il ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, che ha aperto un tavolo di dialogo con le realtà territoriale. Ma la frittata ormai sembrerebbe fatta e, non solo, ha avuto anche la controindicazioni di aprire dei dissapori all'interno della maggioranza.
Le preoccupazioni dei sindaci
Ovviamente l'evoluzione di questo confronto è seguita con grande attenzione, poiché le decisioni prese in questo frangente avranno ripercussioni significative non solo sul breve termine, ma anche sulle prospettive a lungo termine delle amministrazioni locali e del Paese nel suo complesso.
Come evidenziato già dal parere dell'Anci, che abbiamo già riportato nel nostro approfondimento precedente, i sindaci, che si trovano a dover gestire le risorse sul territorio, vedono in questi tagli una minaccia diretta alla realizzazione di progetti vitali per lo sviluppo locale.
Essi sostengono che ridurre i fondi proprio a coloro che stanno cercando di implementare il Pnrr potrebbe vanificare gli sforzi fatti finora e compromettere il futuro delle comunità locali. La protesta è amplificata dal fatto che molti di questi progetti riguardano settori cruciali come l'informatica, le infrastrutture e i servizi pubblici, tutti considerati fondamentali per la ripresa post-pandemia e per la modernizzazione del Paese.
Perché è un errore tagliare i fondi ai Comuni che hanno speso per il PNRR?
Adesso entriamo nel merito di questo discorso, analizzando in modo dettagliato a cosa può portare questo indirizzo politico del Governo Meloni.
La decisione di ridurre i finanziamenti ai Comuni che hanno beneficiato del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza va a toccare nello specifico tre aree critiche che rappresentano la manifestazione più emblematica delle problematiche causate dal nuovo "piano Giorgetti":
l'annullamento degli investimenti già avviati
il mancato sfruttamento del PNRR per la crescita
e la mancanza di comunicazione e programmazione.
Annullamento degli investimenti già avviati
Uno dei principali problemi evidenziati è il rischio di vanificare gli investimenti già realizzati dai Comuni. Molti enti locali hanno già speso considerevoli risorse per avviare progetti legati al Pnrr, con un focus particolare sul settore dell'informatica e delle tecnologie digitali. Questi progetti mirano a migliorare l'efficienza dei servizi pubblici, aumentare la trasparenza e la partecipazione dei cittadini, e potenziare le infrastrutture digitali.
Un taglio improvviso dei finanziamenti comprometterebbe la continuità di tali iniziative. Progetti complessi e a lungo termine, come quelli di digitalizzazione, richiedono un flusso costante di risorse per essere portati a termine con successo. Senza i fondi necessari, i Comuni potrebbero essere costretti a interrompere o ridurre significativamente le attività, causando non solo un ritardo nella realizzazione, ma anche una possibile perdita dei progressi già ottenuti. Questo potrebbe tradursi in un "rollback" tecnologico, riportando i sistemi e i servizi pubblici allo stato precedente all'avvio del PNRR
Mancato sfruttamento del PNRR per la Crescita
Il PNRR sulla carta rappresenta per l'Italia un'opportunità unica di modernizzazione e sviluppo economico. Il piano è stato concepito per stimolare la produttività del Paese attraverso investimenti strategici in vari settori, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, dalle infrastrutture alla ricerca e innovazione.
Tagliare i finanziamenti ai Comuni che stanno già utilizzando questi fondi per progetti di crescita significherebbe dunque in tal caso limitare il potenziale impatto positivo del Piano. I Comuni sono gli attori (e gli attuatori) principali nell'implementazione di molti di questi progetti e la riduzione delle risorse a loro disposizione potrebbe rallentare l'intero processo di modernizzazione. Questo non solo indebolisce gli sforzi locali per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ma rischia anche di compromettere gli obiettivi nazionali di crescita economica e sviluppo sostenibile.
Mancanza di comunicazione e programmazione
Un'altra critica mossa alla decisione di ridurre i fondi è la scarsa comunicazione e programmazione che ha accompagnato l'annuncio dei tagli. Secondo molti amministratori locali, se i tagli fossero stati comunicati con maggiore chiarezza e con un adeguato anticipo, i Comuni avrebbero potuto adattare le loro pianificazioni finanziarie e operative per far fronte alla riduzione dei fondi.
Una comunicazione tempestiva avrebbe permesso ai Comuni di evitare spese non sostenibili e di riorganizzare i progetti in corso per minimizzare l'impatto negativo dei tagli. Siamo costretti a citare per l'ennesima volta quanto accaduto al Comune di Marzabotto e raccontato su questo quotidiano di recente, dove l'ente è finito in default per avere anticipato proprio le spese del PNRR senza ricevere il trasferimento dei fondi da parte del Ministero.
L'assenza di un dialogo chiaro e trasparente tra governo centrale e amministrazioni locali ha invece creato incertezza e disorientamento, complicando ulteriormente la gestione delle risorse e dei progetti.
Una decisione che arriva dopo il rifinanziamento di alcune misure del PNRR
Si fa presente anche il tempismo non proprio perfetto di questa decisione, che arriva in un momento in cui molte misure del Piano risultano appena rifinanziate.
In primo luogo basti pensare alla recente iniezione di nuovi finanziamenti dedicata alla digitalizzazione delle Pa locali, in particolare gli Avvisi di PA digitale 2026 da oltre 2 miliardi di euro, che hanno diversi obiettivi quali:
migrazione verso il cloud delle PA
digitalizzazione dei servizi tramite pagoPA, app IO e SEND
ottimizzazione delle infrastrutture e dei dati con la PDND
rafforzamento dell'identità digitale tramite CIE/SPID
e implementazione di modelli consolidati per siti e servizi web pubblici.
Queste risorse avrebbero l'obiettivo di consolidare ulteriormente e ampliare l'uso di strumenti fondamentali per la digitalizzazione dei servizi pubblici in Italia. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui.
Ma un altro esempio calzante è senz'altro il nuovo piano per gli asili nido italiani, che dedica ben 734,9 milioni di euro, destinati ai Comuni e alle città metropolitane, e che vuole migliorare e ampliare l'accesso ai servizi di assistenza per i bambini di età compresa tra 0 e 2 anni.
Ovviamente i Comuni adesso potrebbero avere timore nell'aderire a queste iniziative, viste le premesse.
Il miraggio del "recupero di produttività"
Infine va sempre tenuto a mente che il Recovery Plan italiano è stato finanziato attraverso un significativo aumento del debito pubblico, giustificato dall'eccezionalità del momento e dalla necessità di interventi strutturali per rilanciare l'economia. L'idea di base era che questi investimenti avrebbero generato un ritorno economico, migliorando la produttività, stimolando la crescita e creando nuove opportunità di sviluppo.
In altre parole, i fondi del Pnrr dovevano essere visti come un investimento nel futuro del Paese, piuttosto che come una semplice spesa.
Quando si contrae un debito per finanziare il Pnrr, l'obiettivo è che i benefici economici a lungo termine superino i costi iniziali. Se si dà una sforbiciata ai fondi del Pnrr e non si riesce a realizzare gli investimenti previsti, si rischia di rimanere con un debito elevato senza ottenere i miglioramenti necessari per ripagare quel debito attraverso la crescita economica.
Ridurre i finanziamenti ai Comuni che utilizzano questi fondi per progetti di sviluppo compromette pertanto non solo la realizzazione dei progetti stessi, ma anche il potenziale di crescita e recupero economico del Paese.
Stiamo buttando al vento quanto fatto finora?
In sintesi, la riduzione dei finanziamenti a questi comuni non solo rischia di compromettere i progressi finora ottenuti e limitare il potenziale di crescita del piano, ma mette anche in evidenza una carenza di comunicazione e programmazione che aggrava ulteriormente la situazione.
Sarebbe stato probabilmente più opportuno esplorare soluzioni alternative per il contenimento della spesa pubblica, in modo da proteggere gli investimenti già avviati e massimizzare il potenziale di sviluppo offerto dal PNRR.
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Tutto quello che c'è da sapere sul pagamento delle pensioni a giugno 2024.
Sul portale dell'Inps, è stato pubblicato il riepilogo con le informazioni inerenti al pagamento delle pensioni a giugno 2024: ecco cosa c'è da sapere.
Tra pochi giorni, inizierà il mese di giugno. Ma sul sito dell'Inps è stato pubblicato già, come ogni mese, il riepilogo delle novità presenti nel cedolino della pensione Inps.
Vediamo allora quando saranno pagate le pensioni di giugno 2024 e tutte le novità del mese.
Pagamento pensioni giugno 2024: il calendario
Le pensioni saranno erogate nel primo giorno bancabile del mese, perciò, le date saranno le seguenti:
Sabato 1° giugno: per i pensionati che ricevono il pagamento presso Poste Italiane;
Lunedì 3 giugno: per i pensionati che ricevono l'accredito presso gli istituti bancari.
L'accredito della pensione in conto corrente slitta al 3 giugno, perché il 1° giugno (a differenza delle somme presso Poste Italiane) non è un giorno bancabile e perché il 2 giugno è un festivo.
Come chiarito dalla Circolare del 2 gennaio 2024 dell'Inps, infatti, i pagamenti sono effettuati, in via ordinaria, il primo giorno bancabile del mese, se le giornate precedenti sono festive o non bancabili.
Se si vuole ritirare la pensione in contanti, è possibile rivolgersi allo sportello di Poste Italiane competente, seguendo l'ordine alfabetico stabilito.
Quali sono le novità del cedolino di giugno?
Alla fine dello scorso anno, è stato fatto un ricalcolo delle ritenute erariali e molti pensionati riceveranno il conguaglio proprio a giugno 2024.
Il conguaglio è il risultato del bilancio delle imposte Irpef e delle addizionali regionali e comunali applicate durante l'anno precedente.
Se le ritenute fiscali, già applicate nel cedolino, sono superiori a quelle dovute, il pensionato ha diritto ad un rimborso, per le imposte pagate in eccesso (quindi, un conguaglio positivo).
Se invece, le ritenute fiscali già applicate sono inferiori a quelle effettivamente dovute, il pensionato subirà un recupero in busta paga, per le imposte non pagate (conguaglio negativo).
Come ricordato dall'Inps, per verificare il dettaglio del conguaglio fiscale di fine anno e delle somme dovute, bisognerà fare riferimento alla Certificazione Unica 2024, che tiene conto della fiscalità del 2023.
Il cedolino della pensione può essere controllato sul sito dell'Inps, sotto la voce "Pensione e Previdenza", nella sezione "Cedolino della pensione", alla quale accedere tramite Spid, CIE o CNS.
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Indagine Demopolis: autonomia differenziata aumenta i divari.
L'Italia è già divisa, ma l'autonomia differenziata aumenterebbe i divari: ecco i risultati dell'indagine Demopolis analizzati da Fabio Ascenzi.
L'autonomia differenziata divide in due il Paese ancor prima della sua approvazione e degli effetti che ne verrebbero prodotti. È la sintesi che emerge da una recentissima indagine condotta dall'Istituto Demopolis per la Fondazione Con il Sud, su un campione di 4.002 intervistati che, come specificato nella nota informativa, si ritiene statisticamente rappresentativo dell'universo della popolazione italiana maggiorenne, stratificato per quote sulla base del genere, dell'età e della macro-area geografica di residenza.
Secondo il 53% l'autonomia differenziata è una misura inopportuna e sbagliata, poiché favorirebbe solo le Regioni più ricche; per il 35% è invece necessaria e urgente, perché aiuterebbe tutti, mentre il 12% non si esprime. Come prevedibile, il dato presenta percentuali sensibilmente diverse se scorporato in base ai macro-territori. Quel 35% di favorevoli a livello nazionale, infatti, è dato dalla media di un consenso relativamente alto al Nord (52%), basso al Centro (29%) e minimo nel Meridione (14%).
La stessa tendenza è stata rilevata quando si sono indagate le aspettative dei cittadini sul cambiamento della qualità dei servizi nella propria Regione qualora l'autonomia venisse effettivamente attuata: la media nazionale risulta essere di un 42% che ritiene possa esserci una variazione in positivo, 45% in negativo, mentre il 13% non si esprime.
Ma anche qui la differenza di giudizio muta in maniera sostanziale a seconda del luogo dove si vive, considerato che queste percentuali si specificano nel 66% - 21% - 13% per il Nord; 38% - 44% - 18% per il Centro; 11% - 81% - 8% per il Meridione.
Una valutazione sui servizi pubblici offerti dalle varie Regioni
È evidente come tali risultati siano condizionati non solo da un giudizio complessivo sulla riforma, che può avere comprensibilmente consensi differenti tra le diverse parti del Paese, ma soprattutto dalla valutazione sui servizi pubblici offerti dalla propria Regione. Pesa, innanzitutto, la preoccupazione che il procedere di un siffatto progetto possa portare a un ulteriore divario nelle risorse economiche necessarie al loro funzionamento e per la riduzione delle disparità già esistenti.
In precedenti riflessioni ho riportato alcuni dati che tratteggiano in maniera inequivocabile tali divari, soffermandomi in particolare sulle diseguaglianze prodotte dallo stesso Stato, a causa del metodo continuamente utilizzato nella ripartizione delle risorse assegnate alle Regioni per i servizi ai cittadini.
Basti qui richiamare la più recente Relazione Annuale dei Conti Pubblici Territoriali 2021, dove si legge che la spesa totale del Settore Pubblico Allargato, con riferimento ai macro-territori, nel 2019 risultava realizzata per 685 miliardi di euro nel Settentrione e per soli 276 miliardi nel Mezzogiorno. Misurata in valori pro capite costanti, la spesa ammontava a 16.092 euro erogati per ogni cittadino italiano; ma nello specifico sono stati destinati 17.363 euro/abitante nel Centro-Nord e 13.607 euro nel Mezzogiorno. A distanza di qualche anno, la situazione fotografata non sembra aver avuto cambiamenti degni di nota.
Non possono, pertanto, sorprendere le risposte all'indagine Demopolis allorché si cerchino le motivazioni di questa diversità di giudizio sulla ulteriore differenziazione proposta nel disegno di legge sull'autonomia.
Il 43% degli intervistati, infatti, ritiene che il welfare pubblico della propria Regione (sanità, servizi sociali, scuola, ecc.) garantisca soltanto le prestazioni fondamentali, il 38% che non riesca a garantire neppure quelle e solo il 19% afferma che assicura tutte le prestazioni di cui c'è bisogno (percentuale che scende ulteriormente al 13% nelle risposte dei cittadini del Mezzogiorno).
La divisione tra le diverse aree appare ancora più palese nel giudizio dato rispetto alla soddisfazione sui servizi pubblici offerti complessivamente dal territorio dove si vive. Il 25% del campione ritiene che siano ottimi o buoni, il 33% sufficienti e il 42% insufficienti. Ma se si vanno a scorporare ancora questi dati per le diverse aree di residenza si scopre che i voti superiori alla sufficienza sono sensibilmente differenti nel Nord (70%) rispetto a quelli del Centro (57%) e del Meridione (39%).
Risulta invece univoca su base nazionale la preoccupazione che a pesare maggiormente sul futuro del nostro Paese saranno la fragilità della sanità pubblica (84%), l'inflazione e la riduzione del potere di acquisto delle famiglie (65%), le carenze nei servizi sociali e scolastici (62%).
La percezione del divario
Un'ulteriore conferma di quanto vi sia una forte coscienza di questa situazione arriva da un'altra sezione dell'indagine Demopolis, dove il 45% ritiene che negli ultimi 5 anni il divario tra Nord e Sud sia aumentato, per il 40% è rimasto uguale, mentre solo per il 6% è diminuito (il 9% non sa). A fare la differenza è ancora la residenza, visto che la percezione negativa raggiunge percentuali molto più alte tra i cittadini del Meridione, dove il 60% vede il divario aumentato, il 28% rimasto uguale e solo il 3% diminuito.
La preoccupazione espressa per la fragilità della sanità pubblica, tra l'altro, non è facilmente derubricabile a mera opinione, considerato che trova autorevoli conferme fattuali. L'ultima Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali, depositata dalla Corte dei conti lo scorso aprile, sottolinea infatti la permanenza di diffuse disuguaglianze territoriali che penalizzano prevalentemente le Regioni del Mezzogiorno, come evidenziano sia i risultati degli indicatori per il monitoraggio dei LEA relativi al 2021, sia le condizioni di salute misurate dagli indicatori di Benessere Equo e Solidale (BES 2023): la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni, pari a 10 anni a livello nazionale, scende a 8.3 nel Mezzogiorno e a 7.8 nelle Isole, mentre nel Nord sale a 11 anni.
La consapevolezza tra gli intervistati sul tema
Questa consapevolezza sull'esistenza dei divari sembrerebbe chiara anche tra gli intervistati che, pur nelle difformità date dal luogo di residenza, consegnano all'indagine dati alquanto inequivocabili: il 51% del campione testato ritiene che l'Italia sia poco unita sul piano sociale ed economico, il 31% per niente, il 17% abbastanza, mentre solo un irrilevante 1% molto. E forse anche per ciò il 65% crede che lo sviluppo dei territori debba essere pianificato dallo Stato, con il coinvolgimento di imprese e cittadini, per assumere scelte condivise; a questi si somma un ulteriore 18% che lo affiderebbe esclusivamente allo Stato per garantire la tutela degli interessi comuni.
E il ddl va avanti
Ma, intanto, il disegno di legge sull'autonomia si appresta a ricevere il voto di approvazione definitiva dalla Camera dei deputati. Evidentemente quanto riportato, che va ad aggiungersi alle numerose criticità di merito avanzate sulla proposta, non sembra incoraggiare urgenti riflessioni in chi considera che la risposta a queste problematiche possa essere affidata a un progetto di un regionalismo differenziato dal chiaro stampo competitivo, nonché molto distante dai princìpi dell'uguaglianza sostanziale e della perequazione dettati dagli articoli 3 e 119 della nostra Costituzione.
Lentepubblica.it
Appalti, gli acquisti "green" delle Pa non decollano.
Gli acquisti pubblici verdi (GPP - Green Public Procurement) e i Criteri Ambientali Minimi (CAM) faticano ancora a decollare in Italia: queste specifiche negli appalti non sono ancora adottate a pieno regime dalla Pa.Nonostante siano trascorsi otto anni dalla loro introduzione si va avanti molto piano: secondo il rapporto "I numeri del Green Public Procurement in Italia" redatto dall'Osservatorio Appalti Verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi, solo il 62% delle amministrazioni pubbliche applica questi strumenti.L'indagine ha coinvolto 126 amministrazioni pubbliche, tra cui centrali di committenza regionali, enti gestori di aree protette, ASL e città metropolitane, evidenziando una performance che varia notevolmente tra i diversi enti.
Il rapporto, presentato al Forum Compraverde Buygreen 2024 a Roma, rivela che i Comuni metropolitani hanno raggiunto un indice di applicazione del 79%, mentre gli enti gestori di aree protette si attestano al 56%. Questi dati rappresentano una valutazione complessiva delle politiche necessarie per il GPP e l'applicazione dei CAM. Tuttavia, il monitoraggio degli acquisti rimane una pratica poco diffusa, effettuata solo dal 17% degli enti.Conoscenza diffusa, applicazione limitataLa conoscenza del Green Public Procurement è ormai ben radicata, con il 98% delle amministrazioni pubbliche a conoscenza di questo strumento. Politiche come il "Plastic free" e la formazione del personale tuttavia sono conosciute e applicate rispettivamente dal 57% e dal 56% delle amministrazioni. E criteri sociali e di genere mostrano percentuali di applicazione più basse, rispettivamente del 47% e del 46%.Il ritardo nell'adozione del GPP e dei CAM è attribuito principalmente alla difficoltà nella stesura dei bandi (53%), alla mancanza di formazione adeguata (41%) e alla carenza di imprese con i requisiti necessari (34%). Questi sono i principali ostacoli che devono essere superati per accelerare l'adozione di pratiche sostenibili.La necessità di formazione e monitoraggioL'Osservatorio Appalti Verdi sottolinea la necessità di formare personale qualificato sui CAM e di migliorare il controllo dei bandi di gara. Solo otto degli enti gestori di aree protette su 64 hanno un referente per il Green Public Procurement, una figura fondamentale per centralizzare e coordinare le pratiche sostenibili.Inoltre, gli enti gestori delle aree protette mostrano lacune nell'applicazione di strategie per la raccolta differenziata (39%) e nelle iniziative per il risparmio energetico e la creazione di Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (44%). Questi enti, che dovrebbero fungere da esempio nella promozione di pratiche sostenibili, mostrano ancora significativi margini di miglioramento.
Ad esempio tra le 41 ASL che hanno risposto al questionario, solo il 5% monitora gli acquisti, un dato preoccupante considerando che la spesa sanitaria nel 2023 ha superato i 131 miliardi di euro. Un monitoraggio accurato è essenziale per garantire che la spesa sanitaria sia sostenibile e razionalizzata.
ILSOLE24ORE
Turismo, l'Italia entra nella top ten mondiale ma dietro Spagna e FranciaLa classifica del Travel & Tourism Development Index 2024 pubblicata dal Forum economico mondiale (Wef).
La fine delle restrizioni legate alla pandemia e la domanda repressa porteranno gli arrivi turistici e il contributo del turismo al Pil mondiale a raggiungere nel 2024 livelli pre-Covid. Nel frattempo, però, a frenare la voglia di viaggiare ci sono "fattori esterni" come inflazione, tassi di interesse, i conflitti in Europa e nel Medio Oriente. Inoltre le infrastrutture aeree e quelle turistiche, assieme ai servizi, restano al di sotto dei livelli pre-Covid. Un contesto nel quale l'Italia migliora ed entra nella top ten delle destinazioni, anche se resta alle spalle di Spagna , sua principale concorrente nell'Europa mediterranea (seconda), e Francia (quarta).
È quanto emerge dalla classifica del Travel & Tourism Development Index 2024 pubblicata dal Forum economico mondiale (Wef), un indice globale che «misura l'insieme di fattori e politiche volti allo sviluppo sostenibile e resiliente del settore viaggi e turismo che a sua volta contribuisce allo sviluppo di un Paese». In particolare l'indice è la combinazione di cinque fattori (ambiente favorevole, politiche per il settore, infrastrutture e servizi, risorse e sostenibilità) per un totale di 102 indicatori. «Dato che il settore viaggi e turismo storicamente vale un decimo del Pil e dell'occupazione globale - sottolinea il rapporto - i decisori politici devono riconoscere la necessità di approcci strategici e olistici» per sbloccare il suo potenziale.
In cima alla classifica, stilata dall'organizzazione ginevrina in collaborazione con l'università britannica del Surrey, ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Spagna , Giappone , Francia, Australia, Germania, Gran Bretagna, Cina e, in nona posizione, l' Italia che guadagna tre posizioni rispetto al rapporto precedente. Tra i primi 30 paesi, 19 sono europei, sette asiatici, tre dalle Americhe e uno dal Medio Oriente e dal Nord Africa (sono gli Emirati Arabi Uniti che scalano quattro posizioni). L'Uzbekistan ha fatto registrare la più forte crescita nel punteggio: tra il 2019 e il 2024 ha scalato 16 gradini (dal 94° al 78° posto). Bene anche Indonesia (+14 posizioni in quattro anni) e Albania (+12).
Nella graduatoria che prende in considerazione 119 economie il nostro Paese è imbattibile per le risorse culturali (un "pilastro" che misura non solo la disponibilità di siti archeologici e strutture storiche ma il modo in cui queste risorse vengono promosse e sviluppate): 6,74 è il più alto valore al mondo, seguito da vicino solo da Giappone (6,71) e Spagna (6,64). Buoni anche i risultati italiani su "servizi sanitari e igiene" (5,88) e "preparazione su Information & tecnology" (5,85). Male, invece, su competitività di prezzo (3,15), impatto socio-economico del turismo - ossia il contributo del settore all'economia, ai salari e alla parità salariale di genere - con 3,46, e sostenibilità della domanda (che include anche il rischio sovraffollamento) con 3,53. Valore comunque sopra la media dell'Europa del Sud che è 3,26.
GIORNALE DI SICILIA
Acqua, rifiuti, energia, ambiente: ecco le direttrici del patto da quasi 7 miliardi per la SiciliaDai fondi di coesione i soldi per le infrastrutture, nell'accordo c'è anche il Ponte. La premier Meloni a Palermo firma il piano per progetti strategici. Schifani ringrazia.
Un piano da 6,8 miliardi per la Sicilia. È' il nuovo patto di coesione firmato dalla premier Giorgia Meloni a Palermo assieme al presidente della Regione Renato Schifani. «È finanziariamente il più significativo che abbiamo sottoscritto», il 18° in Italia, e «anche per questo la gestazione ha richiesto più tempo».
Un lavoro molto lungo e complesso, fatto in silenzio, con serietà e concretezza», ha spiegato il presidente del Consiglio , perché «finanziamo altri 580 progetti strategici per l'Isola». «Non lo facciamo random, come qualcuno va in giro dicendo, o chiamando gli amici» ha replicato a Pd, M5s e ScN che hanno parlato di «vergogna», bollando la cerimonia della firma «come propaganda in piena campagna elettorale per le europee per un documento dovuto e non concesso». Ma la premier ha chiarito che nel Fsc si stabiliscono «le priorità e le direttrici di intervento». «Nel budget, che comprende 1,3 miliardi destinati per legge al Ponte sullo Stretto di Messina e 237 milioni dati come anticipo nel 2021. Se aggiungiamo ulteriori finanziamenti da Comuni, Regione e altri fondi dello Stato che insistono su progetti inseriti in questo accordo, più o meno sono altri 2,9 miliardi: la mole complessiva di investimenti che liberiamo su questa regione è quasi 10 miliardi di euro. Un segnale molto importante su cosa pensiamo dello sviluppo in Sicilia e nel Mezzogiorno», ha incalzato.
Al Sud c'è lo spopolamento, figlio anche e soprattutto dell'assenza di infrastrutture», ha proseguito, «se continuassimo a legare la spesa infrastrutturale alla popolazione, avremmo oggettivamente un problema: per questo abbiamo deciso di portare quella percentuale al 40%». E ha citato le direttrici di intervento prioritarie per circa 2,6 miliardi di euro: il contrasto al dissesto idrogeologico, la gestione dei rifiuti, il risparmio energetico e soprattutto la grande emergenza dell'acqua.
«Abbiamo due grandi obiettivi - ha assicurato la premier - fare in modo che neanche un euro venga disperso, torni indietro, finisca impantanato nella democrazia o finisca nello scontro politico; e immaginare una nuova idea di sviluppo nel Mezzogiorno d'Italia. Io guardo le persone che ho davanti, conosco molto bene questa terra, in parte è anche la mia terra. Questa gente orgogliosa non chiede la carità ma di potersi misurare ad armi pari. Ed è quello che vogliamo garantire».
Per il governatore Schifani si tratta di «una storica intesa». «E per questo - aggiunge - ringrazio i dirigenti del ministero guidato dall'amico Raffaele Fitto, di cui ho stima politica che si è consolidata in un confronto leale e collaborazione trasparente». «Ci sono stati momenti di difficoltà ma abbiamo trovato in Fitto una persona pronta al dialogo - ha affermato il governatore della Sicilia -. Ho assistito ad altri tipi di confronti con altre Regioni ma non voglio fare paragoni e confronti: noi abbiamo lavorato e abbiamo trovato una intesa. È giusto che il governo abbia una visione di tutto il territorio nazionale, non ci sposso essere interventi a macchia di leopardo».
Schifani ha poi sottolineato: «C'è l'attenzione che il governo Meloni mostra sistematicamente non per me o il governo di centrodestra ma nei confronti della Sicilia; lo registro quotidianamente». E ha citato alcune delle misure previste nel Fsc, come gli 800 milioni per i due termovalorizzatori, i 480 milioni per la competitività delle imprese, i 354 milioni per gli interventi di depurazione.
GRANDANGOLO
Siccità, manifestazione dei sindaci dell'agrigentino alla Diga CastelloSono 12 gli amministratori locali dell'area interna della Provincia di Agrigento a manifestare mercoledi alla ore 10
E' emergenza siccità in Sicilia. I sindaci del comprensorio agricolo di Ribera, che comprende anche i comuni di Alessandria della Rocca, Bivona, Burgio, Caltabellotta, Calamonaci, Cattolica Eraclea, Cianciana, Montallegro, Lucca Sicula, Santo Stefano Quisquina e Villafranca Sicula, dopo aver lanciato l'ennesimo Sos al governo della Regione per provare a salvare non tanto la produzione agricola di quest'anno, quanto le piante, mercoledì 29 maggio alle ore 10 saranno alla Diga Castello per un sit-in di protesta. "Se non si interviene subito rischiamo danni irreparabili", dicono gli amministratori. Al momento l'acqua della diga Castello è utilizzabile esclusivamente per usi civici. I primi cittadini recentemente avevano ottenuto l'impegno a garantire almeno un'irrigazione di soccorso per le campagne del comprensorio. "Siamo di fronte ad una crisi senza precedenti", scrivono i sindaci. "Una crisi generata da una drammatica situazione climatica, derivante dall'assenza di precipitazioni autunnali ed invernali, e aggravata dalle temperature elevate di marzo e aprile". Gli amministratori comunali evidenziano che con gli invasi letteralmente a secco è quasi inevitabile il rischio che salti il sistema di irrigazione delle coltivazioni per l'imminente stagione estiva.
AGRIGENTONOTIZIE
Fondo di sviluppo e coesione, arrivano 6,8 miliardi per la Sicilia: 3,2 milioni per la strada GiallonardoL'accordo garantisce con 5,5 miliardi la copertura finanziaria a 580 interventi in nove diversi ambiti e con ulteriori 1,3 miliardi il cofinanziamento regionale.
Fondo di sviluppo e coesione: arrivano 6,8 miliardi per la Sicilia. L'accordo è stato firmato al teatro Massimo di Palermo fra il presidente del consiglio Giorgia Meloni e il governatore Renato Schifani.
L'intesa è stata siglata alla presenza dei sindaci di tutta l'Isola e di autorità civili, religiose e militari.
L'intesa, fa sapere la Regione con una nota, garantisce con 5,5 miliardi la copertura finanziaria a 580 interventi in nove diversi ambiti e con ulteriori 1,3 miliardi il cofinanziamento regionale al progetto della costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ponendo la Sicilia al primo posto tra le regioni per risorse assegnate.
Nel dettaglio, la parte più consistente delle somme, 2,5 miliardi è destinato ad "Ambiente e risorse naturali": agli 800 milioni previsti per la realizzazione dei termovalorizzatori si aggiungono, tra gli altri, finanziamenti per risorse idriche (527 milioni), rifiuti (164 milioni) depurazione (354 milioni), interventi per il contrasto al dissesto idrogeologico e all'erosione costiera (circa 700 milioni).
All'ambito "Trasporti e mobilità" è assegnato 1 miliardo di euro, di cui 710 milioni serviranno a interventi di manutenzione stradale e per nuove infrastrutture viarie. A "Competitività imprese" vanno 548 milioni; a "Sociale e salute" 392 milioni, di cui 271 milioni includono investimenti in strutture e attrezzature sanitarie; a "Riqualificazione urbana" 100 milioni; alla "Cultura" 182 milioni.
Per "Istruzione e formazione" sono previsti 80 milioni; per il settore "Energia" 67,5 milioni; infine alla linea di azione "Capacità amministrativa-assistenza tecnica" andranno 89 milioni.
Inoltre, 331,9 milioni di risorse Fsc 2021-2027 sono destinati al cofinanziamento dei Programmi europei della Regione Siciliana.
Nell'Agrigentino, secondo quanto fa sapere il sindaco di Realmonte, Sabrina Lattuca, sono stati finanziati 3.222.151 euro per il completamento e la messa in sicurezza della strada Giallonardo che collega diverse aree del Comune.
A questi fondi si aggiungono 234 milioni di euro di anticipazione Fsc.
FOCUSICILIA
Curcio: "Per la Sicilia sul fronte degli incendi sarà un'estate impegnativa".
Sugli incendi "la stagione si prospetta complicata per il fatto che le temperature medie sono aumentate. Abbiamo parte d'Italia in area siccitosa e c'è anche già una dichiarazione di stato d'emergenza per la parte sud dell'Italia e della Sicilia. Sarà sicuramente una stagione impegnativa". Lo ha detto Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile.
"Quest'anno - dice - c'è un elemento di complicazione in alcune regioni perché le flotte regionali si sono costituite ma non tutte le Regioni sono riuscite a avere gli stessi elicotteri del 2023".
"Come livello nazionale - ha spiegato il capo della protezione civile Fabrizio Curcio - abbiamo aumentato la capacità di risposta anche tramite la disponibilità dell'Europa che ci dà a disposizione due Fire Boss ed anche l'anno scorso li avevamo nella zona nord est del Paese, inoltre "quest'anno stiamo cercando di avere una dislocazione che sia più centrale rispetto a quelli che sono i baricentri degli interventi che normalmente osserviamo durante la campagna estiva". "Abbiamo iniziato anche quest'anno quelle opere di gemellaggio con i volontari e con questi che si sposteranno da nord a sud e - ha proseguito - ci sarà soprattutto da monitorare con grandissima attenzione perché poi sappiamo che la stagione può essere anche di un certo tipo e poi incappi in quelle 2, 3, 4, 5 giornate l'una dopo l'altra e la situazione può diventare cruciale". Curcio ha concluso che "sugli incendi boschivi dobbiamo mantenere altissima l'attenzione, stiamo facendo il giro con i colleghi del Dipartimento di Protezione civile e i
Vigili del Fuoco, delle sale operative regionali perché l'elemento della comunicazione è un elemento cruciale, e poi occorre monitorare".