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rassegna stampa del 30 maggio 2024

AGRIGENTONOTIZIE
Circuito museale. Racconta la storia della sagra del Mandorlo e del Val d'Akragas: riaperta l'Officina delle tradizioni popolari siciliane.  Lo spazio espositivo, nato a costo zero, rappresenta una sezione dell'Ecomuseo del Libero consorzio comunale e dell'amministrazione di Agrigento.

Restituita alla città l'Officina delle tradizioni popolari siciliane, luogo del cuore del Fai, spazio espositivo culturale che il "Val d'Akragas", compagnia di folklore iscritta al registro delle Eredità Immateriali della Sicilia, ha donato ad Agrigento. Sono intervenuti: il sindaco Franco Micciché; Antonietta Testone in rappresentanza del Libero consorzio comunale; Mimmo Catuara per l'ufficio scolastico; Costantino Ciulla, assessore alla Cultura e Turismo e Giuseppe Taibi, delegato del Fai.
Lo spazio espositivo, nato a costo zero, rappresenta una sezione dell'Ecomuseo del Libero consorzio comunale e dell'amministrazione di Agrigento: un piccolo gioiello dell'arte popolare che, in sezioni diverse, custodisce attrezzi di lavoro dei contadini, dei pescatori, degli artigiani ed alcuni costumi della tradizione folkloristica agrigentina. Un'altra sezione è dedicata agli strumenti musicali etnici siciliani e della cultura popolare internazionale.
Lo spazio, inoltre, è impreziosito da un teatrino dell'opera dei pupi, patrimonio immateriale dell'Unesco che, durante le visite di studenti e visitatori, sarà rappresentato.
L'Officina delle tradizioni popolari, dedicata a Gigi Casesa, ambasciatore del folklore nel mondo, intende raccontare un pezzo della storia dell'identità della Sagra del Mandorlo e del Val d'Akragas, tra foto, ricordi passati e presenti.
Il piccolo spazio espositivo sarà inserito nel circuito museale e culturale, in previsione di Agrigento, Capitale italiana della cultura 2025, come attività di laboratorio didattico per le scuole e una valida attrazione turistica per i visitatori.


QDS
Tassa sui rifiuti, in Sicilia è tra le più care d'Italia: ecco i costi della Tari per provincia.
Catania è anche una delle città italiane che negli ultimi anni ha fatto segnare una crescita maggiore in termini percentuali sul costo dei rifiuti
Catania, Trapani e Messina sono nella classifica poco lusinghiera delle dieci città in cui il costo della tassa sui rifiuti è più alto in valore assoluto rispetto al resto d'Italia. I dati sono stati presentati in uno studio pubblicato dalla UIL nell'ambito del Servizio Politiche Economiche, Fiscali e Previdenziali e basato sulle delibere comunali rilasciate dalle 109 città capoluogo di provincia del Paese.
Non solo, Catania è anche una delle città italiane che negli ultimi anni ha fatto segnare una crescita maggiore in termini percentuali sul costo dei rifiuti: +39,07% rispetto al 2018. Nonostante i costi restino elevatissimi, Trapani risulta essere la più virtuosa dell'Isola: - 28,52% nello stesso arco temporale. Ma procediamo con ordine e proviamo a comprendere il perché il costo per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti al Sud sia così alto. Provincia per provincia.
Tari, gli aumenti
Un aumento medio del 9,69% del carico fiscale sulle famiglie italiane nel solo ultimo quinquennio. Stiamo parlando della Tari, la tassa che i contribuenti versano ai comuni di residenza per quanto concerne la gestione e lo smaltimento dei rifiuti. "È evidente - spiega Vera Buonomo, Segretaria confederale UIL - che il sistema attuale non solo fallisce nel garantire equità e giustizia sociale, ma acuisce le diseguaglianze, creando disparità tra le diverse aree geografiche del Paese".
Solo per il 2023, l'aumento è stato dell'1,66% rispetto all'anno precedente. In particolare, tra il 2022 e il 2023, ben 51 città capoluogo di provincia su 109 hanno registrato una crescita della tassa sui rifiuti. Questo dato evidenzia una tendenza al rialzo che impatta significativamente sui bilanci familiari. In termini assoluti, una famiglia di quattro persone, residente in un'abitazione di 80 mq e con reddito ISEE pari a 25 mila euro, ha pagato, in media, 331 euro per la tassa sui rifiuti nel 2023, rispetto ai 302 euro versati nel 2018. Questo aumento è stato più evidente nelle regioni meridionali, dove la spesa media è salita a 395 euro, rispetto ai 363 euro del 2018. Nel Nord Est, invece, l'importo medio è passato da 248 euro nel 2018 a 272 euro nel 2023.
Nell'Italia vista da Sud è ancora una volta il Meridione a dover pagare le spese maggiori per quanto concerne la Tari. Stando alle statistiche fornite dalla UIL, l'impatto della Tari sul bilancio familiare, nel 2022, è stato dello 0,64% nelle Regioni del Nord Est, ed è salito all'1,34% in quelle del Mezzogiorno. "Un aumento non giustificato soprattutto per la carenza dei servizi resi, che in alcune grandi città risultano spesso inefficienti a causa delle limitate risorse disponibili", spiega il sindacato.
Il costo della Tari in Sicilia
I costi della Tari variano significativamente a livello geografico. Analizzando le diverse aree geografiche, si osserva che, nel 2023, i costi sono più bassi nel Nord Est, dove la tariffa media è di 272 euro, con un incremento del 3,62% rispetto al 2022. Segue il Nord Ovest, con una media di 287 euro, in calo dell'1,23%. Al Centro, la media è di 347 euro, con un aumento del 3,22%. Infine, il Sud e Isole risulta essere la zona più costosa, con una media di 395 euro, in crescita dell'1,11%, sempre rispetto al 2022. In generale, rispetto a cinque anni fa, ogni famiglia siciliana paga in media 24 euro in più all'anno per la Tari.
Il costo è poi destinato a crescere nei singoli comuni che, nel 2023, non hanno operato una revisione del piano tariffario. Questi enti sconteranno la crescita dell'inflazione e l'aumento del costo dell'energia, a causa dei ritardi nell'approvazione e pubblicazione delle delibere. Se Pisa detiene il primato del costo maggiore, con una media annuale di 545 euro per famiglia, non se la passano troppo meglio Catania con 475 euro, Trapani con 472 euro e Messina con 470 euro, città nella top ten delle più care d'Italia, classifica dalla quale escono rispetto allo scorso anno Siracusa e Agrigento.
Sicilia, differenze tra le nove province
Per quanto riguarda il capitolo Sicilia, lo studio sottolinea come l'incremento medio presenti notevoli discrepanze tra le 9 province della regione, con alcune aree che registrano aumenti superiori alla media nazionale. Si parte da un dato: nessuna città della Sicilia risulta essere virtuosa in termini di gestione e smaltimento. Prendendo in considerazione le città metropolitane, Catania e Messina si attestano solo dietro Genova e Napoli per costo della Tari. Poco più indietro Palermo (323,50 euro), all'undicesimo posto.
Nel resto dell'Isola, come detto, Trapani risulta essere il capoluogo più virtuoso e Catania e Messina quelli in cui il costo grava maggiormente sulle tasche delle famiglie. Poi troviamo Agrigento (467,86 euro), che riduce del 2,10% la spesa rispetto al 2018 e dello 0,77% rispetto allo scorso anno. Riduzione consistente anche a Caltanissetta (250 euro), stesso valore del 2022 ma con una riduzione del 15% rispetto a cinque anni fa.
In controtendenza Enna (314,15 euro), con una diminuzione dell'1,61% dal 2022 ma con un aumento complessivo dell'11% rispetto al 2018. Aumento che arriva al 16,65% nel caso di Palermo, ma anche qui con una gestione virtuosa rispetto al 2022 e un risparmio effettivo nelle tasche dei residenti del 2,43% dallo scorso anno. A Ragusa situazione identica rispetto allo scorso anno (433,98 euro), ma con una riduzione del 2,28% nel quinquennio.  Aumento del 9,24% rispetto al 2018 per Siracusa (464,90 euro), ma anche qui processo virtuoso innestato nel breve periodo: riduzione dell'1,59% dal 2022.
L'impatto sulle famiglie
Da quello che emerge rispetto allo studio UIL, le famiglie con redditi più bassi destinano una quota maggiore del loro reddito al pagamento della Tari rispetto alle famiglie più abbienti. Questo squilibrio è dovuto principalmente alla struttura stessa della tassa, che non sempre tiene conto delle capacità contributive dei cittadini. Nei Comuni dove la tassa è più elevata, l'impatto sui bilanci familiari può diventare particolarmente pesante per chi ha un reddito limitato, aggravando ulteriormente le disuguaglianze economiche.
Le cause principali di questi aumenti sono legate alla gestione inefficiente del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, all'incremento dei costi di smaltimento e alla carenza di impianti adeguati. Inoltre, la morosità e l'evasione della tassa hanno costretto i comuni ad aumentare le tariffe per compensare le perdite. Per una famiglia media siciliana, l'aumento della Tari rappresenta una spesa significativa nel bilancio familiare.
In Sicilia il 20% in più
Secondo il report UIL, le famiglie siciliane pagano in media il 20% in più rispetto alla media nazionale, con alcune province che raggiungono differenze ancora maggiori. Anche le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, risentono fortemente di questi aumenti. I costi aggiuntivi per la gestione dei rifiuti si riflettono sulla competitività e sulla capacità di investimento delle aziende, con effetti negativi sull'economia locale.
Per il sindacato sarebbe necessario attivare una promozione capillare nei singoli comuni per la raccolta differenziata, promuovere l'efficienza nella gestione dei rifiuti e l'incentivazione di comportamenti virtuosi attraverso sconti e agevolazioni. Altro neo secondo il report, la mancata trasparenza in merito alla gestione finanziaria del servizio per ridurre le inefficienze.


ILSICILIA.IT
Fondi Fsc per il miglioramento degli ambienti scolastici, Anci Sicilia: "Opportunità per combattere la dispersione"
Del potenziamento e miglioramento degli ambienti scolastici e del sostegno all'innovazione didattica e formativa si è parlato nel corso del seminario organizzato dall'Anci Sicilia, in collaborazione con l'Ufficio Speciale per l'Edilizia Scolastica e Universitaria della Regione Siciliana.
L'incontro è stato incentrato sui contenuti dell'Avviso a valere sulle risorse Pr-Fesr Sicilia 2021-2027 azione 4.2.1 e  finalizzato a migliorare e a rendere più inclusivi i servizi nel campo dell'istruzione, della formazione e dell'apprendimento permanente, mediante lo sviluppo di infrastrutture accessibili.
La misura favorirà la realizzazione di interventi di adattamento e di adeguamento degli spazi comuni quali mense, palestre, auditorium, sale per attività comuni, laboratori e biblioteche, spazi esterni anche sportivi, negli edifici adibiti ad uso scolastico, al fine di incrementare la propensione dei giovani a permanere nei contesti formativi, di ridurre il fenomeno dell'abbandono scolastico, di consentire una più ampia accessibilità agli ambienti e di favorire il tempo pieno.
Hanno preso parte all'evento, fra gli altri, Mario Emanuele Alvano, segretario generale dell'Anci Sicilia che ha introdotto e moderato i lavori, Andrea Rapisarda, esperto Anci Sicilia, che ha descritto i contenuti dell'Avviso e Michele Lacagnina, dirigente dell'Ufficio Speciale per l'edilizia scolastica e Universitaria  che è intervenuto sui pregressi interventi a valere su PROF e OIF.



scrivolibero.it

Il 5 giugno la prima sessione di esami per l'attività di trasportatore di merci per conto terzi su strada

Si svolgerà il prossimo 5 giugno, nell'aula "Pellegrino" (via Acrone, 27 - Agrigento), la prima sessione di esami 2024 per l'abilitazione alla professione di trasportatore nazionale e internazionale di merci per conto terzi, organizzati dal Settore "Politiche Attive del Lavoro e dell'Istruzione, Solidarietà Sociale, Trasporti" del Libero Consorzio Comunale di Agrigento, Questa prima sessione sarà divisa in due parti. La prima, in programma, appunto, il prossimo 5 giugno, è riservata ai candidati con il cognome compreso fra le lettere A e L, che dovranno presentarsi entro le ore 8,30 nella sala "Pellegrino" muniti di documento di riconoscimento. 
Si ricorda altresì che l'assenza è considerata rinuncia alla prova d'esame e, in tal caso, il versamento per i diritti di segreteria non sarà rimborsato. E' inoltre vietato introdurre nella sala appunti di qualsiasi genere, oggetti, borse o strumenti elettronici vari (cellulari compresi). 
La seconda prova della sessione, riservata ai candidati con il cognome compreso fra le lettere M e Z, sarà effettuata entro la fine del mese di giugno. I candidati ammessi saranno avvisati quindici giorni prima della data di svolgimento tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.
Per informazioni è possibile rivolgersi al Settore Trasporti in via Esseneto 66 (tel. 0922/593645/680) ed alle sedi URP del Libero Consorzio nei vari comuni della provincia.
I candidati che supereranno gli esami potranno svolgere la professione di autotrasportatore di merci su strada in Italia e su tutto il territorio dell'Unione Europea. 



lentepubblica.it
pubblica amministrazione
 
Diritto al risarcimento per il dipendente in caso di demansionamento
Lo sostiene una recente sentenza della Cassazione, la numero 11870/2024: il dipendente che subisce un demansionamento ha il diritto di richiedere un risarcimento.La sentenza della Corte di Cassazione, riguarda un caso di demansionamento di un dipendente trasferito da mansioni direttive presso una sede centrale a mansioni operative in una sede periferica. Il ricorrente ha impugnato tale trasferimento, chiedendo il riconoscimento del demansionamento, la reintegrazione nelle mansioni precedenti e il risarcimento del danno.Si tratta di una decisione che, apriosticamente dal quadro specifico di riferimento, può avere un effetto globale sui diritti sindacali del lavoratore a prescindere dal suo impiego (se pubblico o privato) e a prescindere dalla sua posizione lavorativa di partenza.
Il demansionamento si verifica quando un lavoratore viene spostato da mansioni o posizioni lavorative per le quali è stato originariamente assunto, ad altre mansioni o posizioni considerate inferiori o meno qualificate. Questo può avvenire per varie ragioni, come una riorganizzazione lavorativa, una riduzione delle attività o una decisione unilaterale del datore di lavoro.Il demansionamento può essere considerato un illecito quando non è giustificato da motivi validi o quando viola le normative del contratto collettivo di lavoro, le leggi sul lavoro o i diritti del lavoratore. Ad esempio, se il demansionamento è basato su discriminazioni illegali (come quelle legate al genere, all'età o all'orientamento sessuale) o se è una forma di rappresaglia per l'esercizio di diritti sindacali o per segnalazioni di violazioni delle norme aziendali, è illegittimo.Inoltre, il demansionamento può rappresentare una fattispecie illegale se comporta una diminuzione significativa del salario, delle condizioni di lavoro o delle prospettive di carriera del lavoratore senza un giusto motivo. Questo può violare il principio del "patto fiduciario" tra datore di lavoro e dipendente, secondo il quale il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire al dipendente mansioni adeguate alle sue competenze e al suo livello di preparazione professionale.
Diritto al risarcimento per il dipendente in caso di demansionamentoLa Corte di Cassazione ha esaminato pertanto attentamente il caso riguardante il demansionamento e il risarcimento del danno, mettendo sotto la lente diversi aspetti cruciali della questione.Riguardo al primo motivo del ricorso principale, relativo alla persistenza del demansionamento, la Corte ha confermato questa valutazione, evidenziando la continuità nel tempo del'azione colposa del datore di lavoro nel mantenere la situazione di demansionamento. Ciò suggerisce che il datore di lavoro ha continuato ad assegnare al dipendente mansioni inferiori nonostante ci fossero elementi per stabilire l'illegittimità di tale azione. Ci troviamo di fronte dunque a un cosiddetto illecito permanente: la situazione viene instaurata dalla
condotta iniziale e mantenuta successivamente, violando il diritto alla professionalità del dipendente.Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha stabilito che l'articolo 2103 del codice civile può essere applicato anche in assenza di una suddivisione specifica dei livelli professionali, purché le mansioni siano riconducibili alla stessa categoria legale. Questo significa che anche se non vi è una netta divisione dei ruoli, le mansioni devono comunque essere coerenti con la categoria contrattuale del lavoratore. Pertanto la Corte ha ritenuto che le mansioni assegnate fossero illegittime e ha sostenuto  il diritto del lavoratore a una posizione lavorativa conforme.Pertanto, in tal caso, il demansionamento costituisce lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro: di conseguenza va riconosciuta una dimensione patrimoniale al danno, che lo rende in conclusione suscettibile di risarcimento.  


Lavoro anche ai pensionati nelle Pa: le regole della Corte dei Conti

Con la delibera 80/2024 della Corte dei Conti della Regione Lazio si delineano i criteri per stabilire quali sono gli incarichi legittimi e quelli vietati per il lavoro per i soggetti pensionati nelle nostre Pa.La Sezione della regione laziale ha così nuovamente affrontato il tema del conferimento di incarichi retribuiti a persone già collocate in pensione. Questo intervento si concentra sull'analisi di un caso specifico che coinvolge il Comune di Cassino, in provincia di Frosinone.
Il Sindaco ha infatti chiesto un parere alla Corte riguardo alla possibilità di conferire un incarico retribuito al Responsabile finanziario del servizio tributi, che è andato in pensione il 1° novembre 2023. Il problema è sorto a seguito del pensionamento di altre due unità, che ha ridotto significativamente le risorse professionali disponibili nel Comune.Ha inoltre specificato che l'incarico proposto avrebbe finalità di affiancamento, supporto e formazione del personale in servizio, escludendo attività di studio, consulenza o direzione. In pratica, l'ex funzionario dovrebbe condividere la propria esperienza operativa con il personale dell'ufficio tributi, senza assumere ruoli direttivi.
Infine ha richiamato le deliberazioni delle Sezioni Liguria n. 66/2023 e Lazio n. 88 del 2023 per supportare la sua richiesta, specificando che l'incarico rispetterebbe l'articolo 7, comma 6, del Decreto Legislativo n. 165/2001. Scopriamo dunque cosa hanno espresso i giudici contabili in tal caso.Lavoro anche ai pensionati nelle Pa: le regole della Corte dei ContiIl parere della Corte dei conti del Lazio offre una guida chiara agli enti locali sulla corretta applicazione delle norme relative agli incarichi conferibili ai pensionati, promuovendo un equilibrio tra il rispetto delle leggi e la necessità operativa delle amministrazioni pubbliche.In sintesi questi sono i punti su cui si sono concentrati i giudici contabili:Ammissibilità della richiesta: la Corte ha considerato l'istanza ammissibile sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. La richiesta è stata avanzata dal Sindaco, in qualità di rappresentante legale dell'ente, ed è conforme alle disposizioni che disciplinano la contabilità pubblica e il contenimento della spesa.Analisi normativa: i giudici hanno sottolineato il divieto generale di conferire incarichi di studio, consulenza, dirigenziali o direttivi a soggetti in quiescenza, come previsto dall'art. 5, co. 9, del D.L. n. 95/2012. Tuttavia, le attività di mera assistenza e formazione operativa, che non richiedono competenze specialistiche o non rientrano nei contratti d'opera intellettuale, sono escluse da questo divieto.Orientamenti giurisprudenziali: diverse pronunce, tra cui quelle delle Sezioni Liguria e Lazio, hanno stabilito che incarichi di supporto operativo e formazione, che non comportano funzioni direttive o consulenziali, possono essere conferiti a titolo oneroso a pensionati. La giurisprudenza ha evidenziato la necessità di un'applicazione restrittiva del divieto, limitandolo alle fattispecie espressamente previste dalla legge.La Corte dei conti del Lazio ha pertanto confermato che l'incarico proposto dal Sindaco di Cassino non rientra tra quelli vietati, purché si limiti all'assistenza e alla formazione operativa del personale. Tale incarico deve escludere qualsiasi funzione direttiva, dirigenziale o consulenziale per essere considerato legittimo e in linea con il principio di contenimento della spesa pubblica.

























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