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rassegna stampa del 2 luglio 2024

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Concorsi pubblici, la Pa può "sfoltire" il numero dei candidati

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Calabria ha emesso una sentenza importante in merito alla discrezionalità della Pa nel limitare il numero di candidati nelle procedure legate ai concorsi pubblici.Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Calabria ha emesso una sentenza importante riguardante la legittimità delle procedure di selezione nei concorsi pubblici. La decisione, la numero 927/2024, ribadisce che la convocazione di un numero limitato di candidati per la partecipazione ai concorsi pubblici è conforme alla normativa vigente.
La controversia
Il ricorrente aveva contestato la propria esclusione dalla procedura concorsuale, sostenendo che tale esclusione violasse l'articolo 5 del bando di concorso. Questo articolo, a suo dire, non faceva riferimento ai titoli, ma solo ai requisiti necessari per partecipare. Tuttavia, il TAR ha chiarito che l'esclusione del candidato non è avvenuta per mancanza di requisiti, bensì per il mancato superamento della fase di valutazione dei titoli, a causa di un'erronea dichiarazione riguardante il possesso di un diploma di specializzazione.
Le fasi del concorso
Il concorso in questione si è sviluppato in tre fasi principali:Valutazione dei titoli: prima fase dedicata all'esame dei titoli posseduti dai candidati.Prova selettiva scritta: una prova scritta per valutare ulteriormente i candidati.Valutazione finale: per coloro che hanno superato la prova scritta, è stata effettuata una valutazione dei titoli di servizio e dell'esperienza professionale.Concorsi pubblici, la Pa può "sfoltire" il numero dei candidatiContrariamente alle affermazioni del ricorrente, il TAR ha ritenuto che non vi fosse alcuna esclusione arbitraria dal concorso. Il candidato non è riuscito a superare la prima fase della selezione a causa di un errore nella dichiarazione dei suoi titoli. Il TAR ha inoltre sottolineato che la procedura concorsuale è stata condotta in modo coerente con le disposizioni del bando e con le esigenze organizzative delle posizioni offerte.La sentenza ha inoltre confermato che le amministrazioni pubbliche hanno un'ampia discrezionalità nel definire i titoli di accesso ai concorsi e i criteri per la valutazione dei candidati. Tale discrezionalità è soggetta a controllo solo in caso di evidenti irregolarità o abusi di potere.La limitazione del numero di candidati
Uno degli aspetti più contestati dal ricorrente riguardava il numero di candidati ammessi alla prova scritta. Il bando prevedeva che solo un numero pari a dieci volte i posti disponibili fosse ammesso alla prova scritta. Nel caso specifico, questo significava che solo quaranta candidati avrebbero potuto accedere alla prova successiva. Il TAR ha giudicato questa limitazione ragionevole e conforme alla normativa vigente, citando precedenti decisioni del Consiglio di Stato che sostenevano l'uso di sbarramenti per garantire l'efficienza delle procedure concorsuali.
Accesso ai documenti Infine, il ricorrente aveva richiesto l'accesso a documenti relativi ai titoli e ai curricula dei candidati vincitori e idonei. Tuttavia, il TAR ha stabilito che tale richiesta non era rilevante ai fini della decisione del caso, confermando la correttezza della procedura seguita dall'amministrazione. Le conclusioni del Tribunale.


QDS
Bonus busta paga fino a 60 mila euro, ci siamo: cosa cambierà nel 2024.
Tutte le novità della riforma Irpef 2024: cosa cambia per il bonus busta paga e qual è l'obiettivo del governo
Il governo Meloni ha intenzione di proseguire nella strada intrapresa già nel 2023 con l'introduzione del taglio del cuneo fiscale, nel tentativo di fornire un aiuto ai lavoratori e contribuenti italiani. Oggi l'importo degli stipendi è condizionato dal riconoscimento di una serie di bonus, tutti in scadenza a fine anno:
lo sgravio contributivo riservato ai lavoratori che guadagnano fino a 2.692 euro con il quale spettano fino a 100 euro in più, netti, al mese;
il taglio dell'Irpef, con un vantaggio fino a 260 euro l'anno;
lo sgravio contributivo riservato alle lavoratrici con almeno due figli di cui almeno uno di età inferiore ai 10 anni. Per le sole lavoratrici con almeno 3 figli (di cui almeno uno minorenne) lo sgravio vale anche nel 2025 e 2026, mentre per le altre come anticipato è in scadenza a fine anno. Lo sgravio vale fino a 3.000 euro l'anno.
Obiettivo della legge di bilancio 2024 è conferma di sgravio contributivo
L'obiettivo è dunque lavorare su queste tre misure per evitare che nel 2025 gli stipendi possano essere più bassi rispetto a quest'anno. A tal fine, fonti governative hanno già fatto sapere che l'obiettivo della prossima legge di Bilancio 2024 è la conferma dello sgravio contributivo per le buste paga d'importo inferiore a 2.692 euro, ma come spiegato dal viceministro dell'Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, l'intenzione è di proseguire anche sulla strada della rivisitazione delle aliquote Irpef. A tal proposito, questo ha aggiunto che con la prossima legge di Bilancio bisognerà intervenire a favore del ceto medio, in particolare sulla fascia tra i 50 e i 60 mila euro che al momento è esclusa dai vantaggi della revisione Irpef attuata dall'ultima manovra.
La riforma Irpef 2024
Ma in che modo potrebbe cambiare l'Irpef? Il viceministro al Mef ne ha dato alcune anticipazioni. Ecco per chi potrebbe essere in arrivo un nuovo bonus in busta paga.
Con la legge di Bilancio 2024 si è intervenuti sul secondo scaglione Irpef, quello che comprende i redditi tra i 15 mila e i 28 mila euro. Nel dettaglio, si è passati da un'aliquota del 25% a una del 23%, la stessa utilizzata per i primi 15 mila euro di reddito.
Ciò ha comportato il passaggio a 3 aliquote:
fino a 28.000 euro: 23%;
tra i 28.000 e i 50.000 euro: 35%;
sopra i 50.000 euro: 43%.
Ovviamente, dal momento che l'Irpef è un tributo progressivo, a beneficiare dei vantaggi della riforma sono anche coloro che hanno un reddito superiore a 28.000 euro. La parte di reddito compresa in tale soglia, infatti, è comunque tassata al 23%. Pensiamo ad esempio a un reddito di 40.000 euro. I primi 28.000 euro sono tassati al 23%, i successivi 12.000 con un'aliquota del 35%.


SICILIA24H
L'incubo dell'Autonomia differenziata in Sicilia.
L'Autonomia differenziata rischia di rivelarsi cancerogena per la Sicilia, a danno
dell'economia e del progresso sociale dell'isola. Gli interventi di Cgil e
Federconsumatori. 
L'Autonomia differenziata rischia di rivelarsi cancerogena per la Sicilia, a danno dell'economia e del
progresso sociale dell'isola. Sono ricorrenti e numerose le reazioni negative alla legge del leghista
Calderoli, nonostante la 'benedizione' in primis del 'primo cittadino' della regione, ovvero Renato
Schifani. Tra gli altri, la Cgil ha sollevato le barricate. E il segretario regionale, Alfio Mannino, tuona:
"La riforma dell'Autonomia differenziata appena approvata porterà a un taglio di un miliardo e 300
milioni l'anno per la Regione siciliana. A essere colpita sarà soprattutto la Sanità, che in Sicilia vive già
gravi sofferenze, con 800 mila siciliani che rinunciano alle cure, e una carenza di organico di 17 mila
unità, tra medici e paramedici".
Dunque il sindacato rosso boccia senza appello la riforma e annuncia l'avvio in Sicilia della raccolta
delle firme necessarie per sostenere il referendum abrogativo della legge. E Alfio La Rosa, presidente di
Federconsumatori Sicilia, sottolinea: "Occorre raccogliere le firme entro il 30 settembre, così da andare
al voto nella prima finestra utile, quella della primavera del 2025. Servono 500 mila firme in tutta Italia,
che non sono poche, ma tutti insieme contiamo di riuscirci. La situazione della Sanità in Sicilia è
gravissima, con questa norma rischiamo che le persone smettano di curarsi".
Riassumendo in sintesi: la legge sull'Autonomia differenziata consente alle Regioni di appropriarsi di
alcune competenze di rilievo finora dello Stato o concorrenti tra Stato e Regione. In particolare: sanità,
istruzione, ambiente, turismo ed energia. La Regione gestirà in proprio tali competenze trattenendo
nella regione il gettito fiscale derivante, che invece finora, secondo il principio di solidarietà nazionale, è
stato equamente distribuito tra tutte le regioni. Nella Sanità ciò si ripercuoterebbe, ad esempio, nel
Servizio sanitario nazionale ovvero pubblico. Ed ecco perché, tra le altre ragioni, la legge "Calderoli" è
avversata in Sicilia. Infatti, ancora il segretario Cgil Sicilia, Mannino, scava col dito sulla piaga e
aggiunge: "L'approvazione della riforma sull'Autonomia differenziata arriva in un momento critico per
la sanità regionale. La situazione richiederebbe investimenti consistenti, anziché tagli. Anche il Pnrr, a
quanto pare, non ha dato i risultati sperati per il rilancio del comparto Sanità. In questo quadro
sottrarre 1 miliardo e 300 milioni al sistema sanitario è una follia, che rischia di rendere la vita difficile
a centinaia di migliaia di cittadini che aspettano visite ed esami importanti".
E il sindacalista rilancia: "Dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale si raccolgono le
firme. C'è anche un'altra possibilità: il referendum può essere convocato anche su richiesta di almeno
cinque Regioni. E governatori di centrodestra come Roberto Occhiuto, presidente della Calabria, e Vito
Bardi, presidente della Basilicata, sono molto critici verso la riforma. Al contrario di Schifani, che non si
rende conto del danno che ci sarà per la Regione siciliana". E Federconsumatori Sicilia, con Alfio La
Rosa, condivide e altrettanto rilancia: "La Regione ha appena pubblicato dei numeri sulle liste d'attesa.
Sarebbero 87 mila le persone che in Sicilia attendono cure, ricoveri, analisi. E sarebbero dati peraltro
sottostimati. E' in corso un doppio attacco alla salute dei cittadini siciliani. Da una parte la Regione
dirotta risorse pubbliche sulla sanità privata convenzionata. Dall'altra lo Stato centrale taglia le risorse
dando un duro colpo al Sistema sanitario nazionale. Da qui l'impegno dei consumatori siciliani a
promuovere il referendum abrogativo, per fermare la riforma nel più breve tempo possibile".


LENTEPUBBLICA.IT
I Comuni bloccano il decreto spending review in conferenza Stato-Città.

Immagine in evidenza del post: I Comuni bloccano il decreto spending review in conferenza Stato-Città
Nella recente conferenza Stato-Città-Autonomie locali, non è stato raggiunto un accordo con il Governo sul decreto relativo alla spending review con i Comuni che si sono opposti all'intesa.
Nonostante le correzioni apportate al decreto, la mancanza di un'intesa definitiva evidenzia le difficoltà nel bilanciare le esigenze degli enti locali con le necessità di contenimento della spesa pubblica. Le associazioni delle autonomie locali infatti continuano a esprimere preoccupazione per l'insufficienza delle modifiche proposte, auspicando ulteriori negoziazioni per arrivare a soluzioni più equilibrate.
Ecco dunque i dettagli sul mancato accordo e la situazione allo stato attuale.
I Comuni bloccano il decreto spending review in conferenza Stato-Città-Autonomie locali
La mancanza di intesa, con parere negativo dell'Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), si riferisce al decreto del Ministro dell'Interno, in concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, che stabilisce i criteri di riparto delle risorse del fondo previsto dalla legge n. 213 del 30 dicembre 2023.
Il decreto doveva quantificare i tagli ai trasferimenti a carico di Comuni, Province e Città Metropolitane per gli anni 2024-2028. Il taglio, pari a 250 milioni di euro, di cui 200 milioni a carico dei Comuni e 50 milioni a carico di Province e Città Metropolitane, è previsto dalla Legge di Bilancio 2024. La riduzione è parametrata su due grandezze:
la spesa corrente degli enti locali
e le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) assegnate a ciascun ente, escludendo le misure totalmente definanziate.
Il criterio di ripartizione dei tagli è stato uno dei punti più controversi della proposta. Infatti, i tagli sarebbero stati proporzionali ai finanziamenti del PNRR ricevuti dai singoli Comuni, penalizzando maggiormente quelli che avevano ricevuto più fondi.
Alcuni contributi sono stati tuttavia esclusi dalla base di riparto, come quelli finanziati con risorse del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, destinati al supporto sociale, e quelli relativi a specifiche missioni come il "Piano per asili nido e scuole dell'infanzia" e "Attrattività dei borghi". La motivazione sta dietro al fatto che si tratta di risorse di importo rilevante finalizzate al sostegno dello sviluppo economico/sociale delle zone svantaggiate e destinate ai piccoli centri per la rigenerazione culturale e il rilancio turistico.
Altri interventi invece, come quelli per lo sviluppo del trasporto rapido di massa, sono stati inclusi solo se attuati tramite società o enti partecipati, con l'ente locale come soggetto attuatore di primo livello.
Nonostante gli intensi confronti tecnici tra i Comuni e il Ministero dell'Economia nelle ultime settimane, che hanno portato a profondi correttivi, l'associazione dei sindaci italiani ha comunque negato l'intesa.
Cosa accadrà adesso?
Nonostante la mancata intesa il decreto comunque potrebbe essere adottato lo stesso, seppur questo metterebbe gli enti locali sul piede di guerra.
Gli enti locali in tal caso dovranno affrontare i tagli previsti e questo potrebbe portare a un aumento delle difficoltà finanziarie per alcuni di essi, specialmente per quelli che hanno ricevuto maggiori finanziamenti dal PNRR e che quindi subiranno tagli più consistenti (citiamo come paradigmatico il caso del Comune di Marzabotto, in provincia di Bologna). Le associazioni delle autonomie locali continueranno probabilmente a fare pressione sul Governo per ottenere ulteriori correzioni e supporto.
Ciò nonostante non è escluso che, di fronte a criticità evidenti e proteste da parte degli enti locali, possano essere avviate nuove negoziazioni tra Governo e autonomie locali. Questo potrebbe portare a ulteriori revisioni del decreto o all'introduzione di nuove misure di compensazione.
Vedremo intanto cosa accadrà alla prossima Conferenza e quali saranno le nuove posizioni espresse sia da una parte sia dall'altra.



ILSOLE24ORE

Autonomia, Veneto capofila: prima di fine anno bozza su 9 materie. E Zaia chiama il Sud: «Chiedetela»A remare contro le cinque Regioni del centrosinistra che in settimana dovrebbero ufficializzare la nascita di un coordinamento verso il referendum abrogativo.

Sale di giri il tema dell'autonomia differenziata: il governatore del Veneto Luca Zaia tende una mano alle Regioni del Sud e suggerisce loro di farsi avanti, dicendosi anche disposto a gemellarsi con un territorio del meridione per testare la legge e far emergere eventuali disuguaglianze. Intanto ipotizza per la sua Regione un accordo entro fine anno, naturalmente dicendosi pronto a presentare le richieste per le materie. A remare contro, oltre al Comitato referendario delle opposizioni, ci sono sempre le cinque regioni del centrosinistra (Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Campania a guida dem e la Sardegna a trazione M5s) che in settimana dovrebbero ufficializzare la nascita di un coordinamento che dovrà stilare una bozza di testo condiviso e "inattaccabile" per il referendum abrogativo. Ma bisognerà fare in fretta visto che tra una decina di giorni al massimo il presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini dovrà dimettersi per il disbrigo amministrativo utile al suo insediamento al Parlamento europeo il 16 luglio.
Le 9 materie non Lep
All'idea del gemellaggio col Sud lanciata da Zaia ha risposto il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio (Forza Italia), osservando che «ben venga ogni idea se può essere buona, ma in Piemonte abbiamo già un gemellaggio naturale con il Sud, qui vivono già tante genti del Sud, quindi non abbiamo bisogno di proporre un gemellaggio, qui c'è l'Italia». Zaia intanto lancia una stilettata alle cinque Regioni contrarie alla legge Calderoli spiegando che sì, il referendum abrogativo «è un diritto democratico ma bisogna vedere se quello che si chiede è costituzionale». Sempre lui, che negli anni scorsi era uno dei "cavalieri" dell'autonomia per il suo Veneto, insieme a Lombardia e Emilia Romagna, ha anche fatto sapere di aver già fatto un passo in avanti per le 9 materie non Lep (cioè Rapporti internazionali e con l'Ue; Commercio con l'estero; Professioni; Protezione civile; Previdenza complementare e integrativa; Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; Organizzazione della giustizia di pace). E in una lettera inviata alla presidente del consiglio Giorgia Meloni ha chiesto di «aggiungere per una prima indagine dei più complessi profili di attribuzione» anche le materie Lep inserite nella pre-intesa del 2018: Politiche del lavoro, Istruzione, Salute, Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Le Regioni del Sud, in particolare quelle di centrodestra corteggiate da Zaia ma anche dal fronte dei governatori del no, intanto tacciono anche se Occhiuto e Bardi avevano sollevato perplessità sull'accelerazione che ha portato all'approvazione del provvedimento. «Sembra più una bandierina da dare ad una forza politica che invece una riforma capace di superare anche il divario fra le regioni del Sud e quelle del Nord», aveva detto il presidente della Calabria e il governatore della Basilicata aveva sottolineato l'occasione persa di «migliorare ulteriormente il provvedimento».
n casa dem intanto si continua a chiedere una grande mobilitazione contro la legge, come ricorda il deputato Piero De Luca, che da Napoli parla di «battaglia epocale perché dobbiamo difendere il futuro del nostro territorio». La strada per l'autonomia differenziata comunque non sarà breve visto che tra l'altro dovrà essere completato l'iter, complesso, per la determinazione dei Lep, che significa anche le risorse necessarie per garantire il livello minimo e uniforme sul territorio nazionale dei servizi, naturalmente nei limiti delle disponibilità del bilancio. Solo al termine di questo iter le funzioni potranno essere trasferite a ogni singola regione.



























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