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Raccolta firme Referendum autonomia differenziata: prime schermaglie su ammissibilità quesito.
È partita in tutta Italia la campagna di raccolta firme per il Referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata, messa in moto da un comitato promotore composto da partiti, associazioni, sindacati che lo scorso 5 luglio hanno depositato presso la Corte di Cassazione il quesito che si vuole sottoporre al voto: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione"?».
Prima dell'eventuale scontro referendario, gli opposti schieramenti stanno concentrando il confronto sul tema dell'ammissibilità del quesito. Materia alquanto tecnica e scivolosa, considerati i limiti molto labili e la diversa giurisprudenza della Corte costituzionale che negli anni si è venuta formando. Difficile, quindi, tracciare un quadro di certezze rispetto al dibattito in corso, che solo il giudizio della Consulta potrà dipanare.
Le obiezioni all'ammissibilità del quesito per il Referendum sull'autonomia differenziata
Le principali obiezioni che vengono avanzate dai sostenitori dell'inammissibilità sono due:
necessarietà della legge
e normativa collegata al bilancio.
Necessarietà della legge
Rispetto alla prima, si afferma che questa legge sia nient'altro che l'attuazione dell'art. 116, terzo comma della Costituzione, e quindi una norma costituzionalmente necessaria. Se così fosse, non vi sarebbe dubbio che una consolidata giurisprudenza ne ha escluso la sottoposizione a Referendum abrogativo.
Ne sono esempi i casi di leggi a contenuto costituzionalmente vincolato «il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)», sentenza n. 16/1978; oppure, quelle «la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione», sentenza n. 35/1997.
E ancora le leggi costituzionalmente obbligatorie, cioè norme essenziali per il funzionamento dell'ordinamento democratico, come quelle riferite agli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, che non possono essere esposti al pericolo di una paralisi nella loro attività, sentenza n. 29 del 1987.
Infine, va evidenziata la categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, delineata dalla Corte sin dalla sentenza n. 16/1978 e più volte confermata. All'interno di tale categoria rientrano ad esempio le leggi elettorali, che non possono essere sottoposte al Referendum abrogativo qualora dalla loro soppressione si producessero lacune tali da non poter essere colmate nelle more di un'apposita normativa d'integrazione.
A riassumere mirabilmente l'orientamento della Consulta in tali ambiti è stata la recente sentenza n. 50/2022, allorché si è dovuta esprimere sull'ammissibilità del cosiddetto Referendum per l'eutanasia, con il quale si chiedeva di depenalizzare l'omicidio del consenziente. È utile riportare alcune parti delle pronunce in essa richiamate per determinarne l'inammissibilità.
All'interno di questa categoria di norme legislative che non possono essere oggetto di richieste referendarie, la sentenza n. 27/1987 ha chiarito che debbono essere enucleate «due distinte ipotesi: innanzitutto le leggi ordinarie che contengono l'unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest'ultima (cfr. sentenze nn. 26/1981 e 16/1978); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del Referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale "la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25/1981)"».
Successivamente, la sentenza n. 35/1997 ha riferito quest'ultima ipotesi anche a quelle «leggi ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione», e la sentenza n. 49/2000 ha puntualizzato che le leggi «costituzionalmente necessarie», poiché sono «dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento».
Con la sentenza n. 45/2005, infine, si è ulteriormente precisato, per un verso, che la natura di legge costituzionalmente necessaria può anche essere determinata dal fatto che una certa disciplina «coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa», e per l'altro, che «il vincolo costituzionale può anche riferirsi solo a parti della normativa oggetto del quesito referendario o anche al fatto che una disciplina legislativa comunque sussista».
Fatto questo opportuno excursus e rammentando sempre la complessità degli orientamenti, mi si consenta di avanzare qualche dubbio sul fatto che la legge sull'autonomia possa essere ricondotta, sic et simpliciter, all'interno di queste fattispecie.
Innanzitutto perché essa, come rivendicato dagli stessi promotori, è una semplice normativa di natura procedurale, dove vengono indicati il percorso e le regole che dovranno essere seguite qualora alcune Regioni vogliano ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Dunque, farla è stata una libera scelta del legislatore, in quanto non espressamente prevista, né richiesta, dal terzo comma dell'art. 116 Cost., che potrebbe essere realizzato senza il bisogno di norme attuative, come dimostra il tentativo delle pre-intese del 2018, nonché quelli di governi successivi.
Questa, in altre parole, mette in atto una tra le molteplici soluzioni che potrebbero adottarsi per l'esecuzione dell'articolato costituzionale. È appunto una legge ordinaria e in quanto tale può essere modificata da un legislatore successivo, oppure non essere del tutto rispettata nelle leggi ordinarie attuative delle intese che, essendo dello stesso rango, chiaramente non possono esserne vincolate.
Inoltre, ritengo altrettanto complicato sostenere che la sua abrogazione comporterebbe un vuoto normativo e inevitabili problemi di funzionamento delle Regioni. Dalla Riforma del Titolo V del 2001 sono passati 23 anni e non sembra che la mancata realizzazione dell'autonomia differenziata abbia causato nulla di ciò.
Per ultimo, va sempre ricordato che le richieste ai sensi dell'art. 116 Cost. terzo comma non sono una forma di attuazione della Costituzione imperativamente richiesta dalla modifica del Titolo V, ma frutto di una molteplice libera scelta: delle Regioni, che possono decidere o meno di richiederla; del Governo che può stipulare o meno l'intesa; del Parlamento, che può approvare o meno la relativa legge.
Normativa collegata al bilancio
La seconda obiezione che viene avanzata per sostenere l'inammissibilità del Referendum abrogativo è che, essendo la norma collegata alla legge n. 197 del 29 dicembre 2022 («Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025»), rientri tra quelle per cui è esplicitamente escluso dal secondo comma dell'art. 75 Cost.
Tale argomentazione appare parecchio forzata. È indubbio che non possa essere considerata propriamente una legge di bilancio, e neppure un mero richiamo formale della Finanziaria 2023 o il collegamento ad essa di alcuni suoi aspetti attuativi sembrano sufficienti a giustificare questa pretesa. Tra l'altro, per precisa decisione politica del legislatore l'intero impianto economico della norma si basa sul presupposto dell'invarianza finanziaria (sic!), quindi senza alcun impatto diretto e immediato sul bilancio dello Stato.
La terza ipotesi di inammisibilità
In conclusione, merita un cenno anche una terza ipotesi, meno propagandata: la Corte costituzionale, a fronte di una legge che contiene argomenti così diversi, potrebbe ravvisare una disomogeneità del quesito, in quanto non sia distinguibile una matrice razionalmente unitaria delle norme sottoposte alla richiesta di abrogazione, tale da ledere l'effettiva espressione della libertà di voto del cittadino-elettore.
Non è un argomento liquidabile in poche righe, ma lo accenno solo perché utile a comprendere il motivo per cui autorevoli studiosi, pur contrari all'impianto generale della legge Calderoli, stanno sostenendo la necessità di affiancare alla richiesta di Referendum per l'abrogazione totale anche alcuni quesiti di abrogazione parziale; infatti, si sostiene che, potendo questi aggredire più facilmente parti omogenee della norma, sarebbero meno esposti a un'eventuale inammissibilità.
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Il "vigile in mutande" vince anche in Cassazione: 130mila euro di risarcimento.
Il cosiddetto "vigile in mutande", alias Alberto Muraglia, ha vinto anche in Cassazione e avrà un risarcimento di 130mila euro.
Era diventato il simbolo dell'assenteismo e dell'operazione Stachanov della Guardia di Finanza: Alberto Muraglia, conosciuto anche come "vigile in mutande" ha ottenuto la vittoria anche dalla Cassazione.
Era il 2015 quando Muraglia era stato accusato di aver timbrato il badge in intimo per poi tornare a casa a dormire, invece di entrare in servizio.
L'uomo era sia Vigile che custode del mercato. Alle 5.30 del mattino, vestito in borghese, apriva i cancelli, per poi rientrare a casa, indossare la divisa e strisciare il badge.
Il ruolo di custode veniva svolto senza ricevere alcuna remunerazione in denaro, perché in cambio gli veniva concesso l'alloggio nello stabile del mercato.
Dopo una lunga vicenda processuale, sembra, però, che siamo arrivati al termine. Anche la Cassazione ha deciso per l'innocenza di Muraglia e il Comune dovrà pagargli un risarcimento di 130mila euro.
Vediamo nel dettaglio.
La Cassazione dà ragione al "vigile in mutande": pronto il risarcimento
Lo scorso febbraio, la Corte d'Appello ha riconosciuto l'innocenza di Alberto Muraglia: il lavoratore è stato, perciò, assolto.
Oltre alla revoca del licenziamento, al lavoratore spettava un risarcimento danni pari a 227'443,36 euro lordi.
Il Comune di Sanremo aveva deciso di presentare ricorso alla Cassazione che, però, ha dato ragione nuovamente ad Alberto Muraglia.
La Cassazione, infatti, ha dato valore alla sentenza adottata in sede penale e ha escluso l'assenteismo e la truffa ai danni dello Stato, adottando la formula "perché il fatto non sussiste".
Il Comune sarà quindi costretto a versare tutti gli arretrati, pari a 130mila euro al netto delle imposte.
La battaglia legale, però, non è finita: potrebbe iniziarne, infatti, un'altra in merito all'ammontare del risarcimento che, secondo i legali, non avrebbe contemplato alcune voci, come le somme per le ferie non godute, la rivalutazione e gli interessi.
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Conguagli Covid negli enti locali: le istruzioni della Ragioneria di Stato.
La Ragioneria Generale dello Stato ha recentemente chiarito le disposizioni contabili per la regolazione delle risorse e dei conguagli Covid negli enti locali: ecco i dettagli.
Le disposizioni della Ragioneria Generale dello Stato mirano a regolare con precisione la gestione delle risorse COVID-19 per gli enti locali, garantendo trasparenza e rigore contabile.
La RGS ha fornito esempi applicabili a partire dal Bilancio di Previsione 2024-2026 e fino al triennio 2027-2029. Queste disposizioni, che si fondano sul principio dell'integrità, prevedono che le entrate e le spese siano iscritte al lordo, senza compensazioni.
Gli enti locali, come comuni, province e città metropolitane, possono essere distinti in base alla loro situazione finanziaria. La differenziazione avviene in base alla combinazione tra il surplus finale e i ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022.
In questo senso gli enti locali possono essere suddivisi in due categorie principali:
Enti con eccedenza complessiva di risorse (Surplus):
Caso A: questi enti presentano un "Surplus Finale" e/o ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022.
Caso B: gli enti di questa categoria hanno un "Deficit Finale" che è inferiore ai ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022.
Enti con deficit complessivo di risorse (Deficit):
Caso C: in questo caso, gli enti hanno un "Deficit Finale" superiore ai ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022.
Caso D: questi enti hanno un "Deficit Finale" e non dispongono di ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022.
Questa suddivisione e i relativi meccanismi di restituzione e acquisizione delle risorse sono fondamentali per garantire che le risorse pubbliche siano gestite in modo equo e che gli enti locali possano bilanciare i loro bilanci senza incorrere in squilibri finanziari eccessivi.
Approfondiamo adesso meglio la gestione contabile di questi fondi.
Modalità di restituzione e acquisizione delle risorse
enti con eccedenza di risorse (Surplus): le risorse in eccesso devono essere restituite allo Stato in quote costanti dal 2024 al 2027. Questa restituzione viene effettuata tramite trattenuta da parte del Ministero dell'Interno, utilizzando fondi come il Fondo di Solidarietà Comunale per i comuni e il Fondo Unico per province e città metropolitane.
enti con deficit di risorse: le risorse necessarie vengono erogate dal Ministero dell'Interno in quote costanti dal 2024 al 2027, attingendo al fondo istituito dall'articolo 1, comma 508, della legge di bilancio 2024.
Esempi esplicativi
Caso A: Enti con Surplus Finale
Comparto Comuni, Province e Città Metropolitane:
Supponiamo che un ente abbia un surplus finale di 1.000 euro, con una quota annuale di 250 euro. Se questo ente ha ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022 per un totale di 2.000 euro, con una quota annuale di 500 euro, l'importo totale da restituire allo Stato sarà di 3.000 euro, con una quota annuale di 750 euro.
Caso B: Enti con Deficit Finale inferiore ai ristori non utilizzati
Comparto Comuni, Province e Città Metropolitane:
Se un ente presenta un deficit finale di 1.000 euro con una quota annuale di 250 euro, e ha ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022 per un totale di 3.000 euro con una quota annuale di 750 euro, l'importo totale da restituire allo Stato sarà di 2.000 euro, con una quota annuale di 500 euro.
Caso C: Enti con Deficit Finale superiore ai ristori non utilizzati
Comparto Comuni, Province e Città Metropolitane:
Consideriamo un ente con un deficit finale di 3.000 euro e una quota annuale di 750 euro, che ha ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022 per un totale di 1.000 euro con una quota annuale di 250 euro. In questo caso, l'importo del deficit finale riconosciuto all'ente sarà di 3.000 euro, di cui 2.000 euro saranno erogati con il fondo previsto dall'art. 1, comma 508, della L. 213/2023.
Caso D: Enti con Deficit Finale e ristori non utilizzati pari a zero
Comparto Comuni, Province e Città Metropolitane:
Se un ente ha un deficit finale di 3.000 euro con una quota annuale di 750 euro e non dispone di ristori non utilizzati al 31 dicembre 2022, l'intero importo del deficit finale riconosciuto all'ente sarà di 3.000 euro, erogati tramite il fondo previsto dall'art. 1, comma 508, della L. 213/2023.
QDS
Pesca, intesa Regione-Gal su fondi Feampa.
Saranno i gruppi di azione locale, i Gal Pesca, e il dipartimento regionale della Pesca mediterranea ad occuparsi della gestione delle attività progettuali legate al Feampa, il Programma nazionale del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l'acquacoltura 2021/2027, che ha l'obiettivo di "consentire un'economia blu sostenibile nelle aree costiere, insulari e interne e promuovere lo sviluppo di comunità della pesca e dell'acquacoltura".
Fondi Feampa, accordo Regione siciliana e Gal
È stato approvato con decreto del dirigente generale del dipartimento lo schema della convenzione che verrà sottoscritta tra gli uffici regionali e i diversi Gal. Secondo quanto si legge nello schema allegato al decreto, il dipartimento della Pesca mediterranea della Regione siciliana è responsabile dell'efficace ed efficiente attuazione e gestione dell'azione 1 e dell'azione 2. Si impegna a fornire un supporto al Gal in fase di predisposizione degli avvisi o bandi, ovvero fornire il proprio nulla osta entro e non oltre un termine stabilito dal dipartimento regionale. Inoltre dovrà verificare e approvare eventuali modifiche o variazioni della strategia di sviluppo locale, provvedere a revisionare e convalidare i dati anagrafici, finanziari, fisici e procedurali relativi a tutte le operazioni nei sistemi informativi.
Ancora, il dipartimento si occuperà di assicurare il flusso delle informazioni necessarie ad alimentare il monitoraggio finanziario, fisico e procedurale, di concerto con i responsabili del Gal, e ne verificherà le richieste di erogazione del finanziamento. Quindi, procederà all'erogazione dei contributi e le eventuali anticipazioni, adottando atti e procedure che salvaguardino la possibilità di rientro delle somme anticipate nel caso di irregolarità. Sempre il dipartimento metterà in atto i controlli e monitoraggi di sua competenza, individuando i responsabili delle attività di verifica.
Nel caso fosse necessario, proporrà modifiche e integrazioni della strategia di sviluppo locale (Ssl) per esigenze di adeguamento a situazioni che rendono difficilmente realizzabile quanto programmato, sempre di concerto con il Gal. Il tutto avverrà durante riunioni periodiche, necessarie proprio per valutare l'avanzamento del progetto e quindi introdurre eventuali azioni correttive. Il sito internet regionale diventerà un mezzo di pubblicizzazione degli avvisi, per dare spazio agli interessati di approfondire al meglio la tematica. Il Gal, da parte sua, si impegna a presentare la documentazione necessaria per il monitoraggio fisico, finanziario e procedurale relativo allo stato di avanzamento dei progetti.
Il gruppo di azione locale, infatti, è tenuto a rendicontare le spese sostenute per lo svolgimento delle azioni previste dalla Ssl approvata. La fase di rendicontazione potrà avvenire oltre il termine previsto per l'ultimazione dell'attività progettuale, secondo quanto deciso dal dipartimento di riferimento. Ancora, il Gal si impegna a trasmettere agli uffici regionali ogni informazione e documento utile a verificare l'attuazione delle funzioni delegate.
In ultimo, non può cedere a terzi, nemmeno parzialmente, quanto previsto dalla convenzione. Si tratta, nell'insieme, di un investimento di grande importanza per il settore pesca, considerato che per la gestione del Feampa 2021/2027 sono stati messi a disposizione 58 milioni di euro dall'Unione europea, quasi 41 milioni dallo Stato e oltre 17 milioni in quota regionale, per una dotazione complessiva di poco più di 116 milioni di euro.
LA SICILIA
Autonomia, da cinque Regioni progressiste sì al referendum
Con via libera Puglia prende corpo richiesta della consultazione.
Con il via libera della Puglia prende forma il quadro dei cinque consigli regionali necessari per richiedere il referendum contro l'autonomia differenziata. In base all'articolo 75 della Costituzione il referendum abrogativo può essere chiesto da 500mila cittadini oppure da cinque Consigli regionali. Un obiettivo, quest'ultimo, ora centrato. L'iter innescato dalle cinque Regioni a guida progressista era partito l'8 luglio scorso con il sì della Campania. Erano seguiti poi il disco verde dei consigli regionali di Emilia Romagna, Toscana e Sardegna. E stasera è arrivato il via libera anche della Puglia. Una sfida vinta dal campo largo a livello locale che innesca la richiesta di referendum abrogativo per la legge nazionale 86 sull'autonomia differenziata, voluta dalla Lega. Il consiglio regionale della Puglia ha votato a favore, nonostante il parere contrario espresso nei giorni scorsi dalla commissione regionale sulle Riforme. Tutte le regioni progressiste hanno approvato gli stessi provvedimenti: il quesito che intende abolire interamente la norma e l'altro per la modifica parziale. Eletti anche i due delegati, figure previste dall'articolo 75 della Costituzione, che presenteranno, insieme a quelli delle altre regioni, i quesiti alla Corte costituzionale. "Non prendiamo una decisione per consolidare le bandiere ma per far prevalere la ragione, con l'obiettivo di ricreare uno spirito di difesa dell'unità d'Italia", aveva detto il governatore Vincenzo De Luca quando l'Aula della Campania aveva dato il via libera alla richiesta di referendum.
LIVESICILIA
Ecco perché le Province sono un bene necessario per tuttiRiannodare il filo con il territorio
Le Province sono un bene necessario e vanno reintrodotte. Abbiamo già permesso alla pancia di prevalere sulla ragionevolezza, abbiamo sopportato abbastanza gli effetti del pauperismo a tutti i costi e, così facendo, abbiamo per troppo tempo abbandonato il territorio a se stesso.
Le comunità montane, le borgate marinare, i Comuni dell'entroterra ... chiedete a loro. Ai sindaci, agli operatori culturali, alle piccole e medie aziende, alle Proloco, al mondo delle scuole, alle associazioni, ai pendolari, chiedete a loro se il giacobinismo abbattutosi sulle teste di presidente, consiglieri e assessori (espressione prossima di quelle comunità) abbia portato un qualche beneficio; oppure se abbia solo scavato un solco profondissimo tra quelle realtà e i Palazzi del potere centrale.
Adesso è tempo di tornare alle Province! E non c'è nessuna connotazione politica in questo, nessun proclama di parte, tutt'altro; l'errore è proprio quello di continuare a far delle Province una bandiera ideologica, sventolata da una parte e dall'altra.
Ho fatto l'assessore provinciale per anni, conosco l'importanza, amministrativa e politica, di questo ente intermedio, so quanto esso sia "capace di costituire un riferimento per l'intero sistema delle autonomie e in particolare per i Comuni, specie quelli di dimensioni minori" (sono parole della Corte dei Conti, contenute in una relazione di qualche anno fa). E sappiamo tutti (ce l'abbiamo sotto gli occhi) quale vuoto, nei processi decisionali e amministrativi, esso ha lasciato, penalizzando l'erogazione di servizi importanti.
La manutenzione delle strade provinciali, la gestione delle scuole secondarie superiori, la promozione e valorizzazione di siti culturali e ambientali, il supporto ai Comuni attraverso le stazioni appaltanti (siamo in piena epoca PNRR), l'impulso a manifestazioni e iniziative artistiche, culturali e sportive d'interesse sovracomunale, il supporto alle strutture ricettive, il sostegno delle attività artigiane ...
Funzioni - queste e altre - oggi in capo alle attuali Città metropolitane/liberi consorzi che - causa la loro vocazione elettiva indiretta - si sono rivelate delle spurie controfigure prive di quella sensibilità politico/istituzionale che solo un'Amministrazione autenticamente elettiva può avere.
Il presidente, gli assessori, i consiglieri: possiamo scegliere di guardare ancora a queste figure con l'occhio torvo della demagogia, definirle poltrone da occupare e voltarci dall'altra parte; oppure possiamo scegliere di riscoprire e difendere il valore delle istituzioni (e dei loro interpreti) e affermare il principio delle Provincie regionali come autentiche leve di decentramento e autonomia, amministrativa e finanziaria.
L'autenticità é data proprio dall'elezione diretta, dal fatto, cioè, che sono i cittadini a eleggere i propri rappresentanti. Piaccia o no, è così: si chiama democrazia diretta ed è il bene più prezioso d'ogni Ordinamento compiuto. Ci si presenta con un programma politico, con una squadra di assessori e con delle liste di candidati al Consiglio provinciale e ci si rimette al giudizio insindacabile delle urne.
É da lì, dal ventre sacro di quelle teche, che devono rinascere le Province e si deve riannodare quel cordone ombelicale tra politica e territorio, che un infausto giorno di dieci anni fa la legge Delrio (e recepimenti vari) spezzò. E che il Parlamento siciliano non riannodò.
L'Ars ha tempo fa "segretamente" bocciato il ritorno a un passato che sa tanto di futuro, visto anche il chiaro intendimento del governo nazionale e le trasversali spinte che, in tal senso, provengono da parlamentari e amministratori di tutta Italia.
E comunque, forse non tutti rammentano che la riforma pensata dal governo Renzi doveva essere temporanea, doveva cioè traghettare le Province verso la completa rottamazione salvando soltanto le città metropolitane; solo che - circostanza che non definirei propriamente marginale - dopo il fallimento del referendum renzicida del 2016 le Province sono rimaste nell'articolo 114 della Costituzione quali enti costitutivi della Repubblica.
Insomma, la strada é quella lì e va percorsa. Del resto le vie legislative non sono infinite, no, ma non sono neppure state del tutto esplorate.
Infinito può, invece, essere il buon senso di chi - da destra a sinistra - voglia continuare a lavorare per la reintroduzione delle Province, contenendone i costi, certo, ma non nel solco di un'austerity forsennata, bensì nel segno precipuo d'una opportuna sostenibilità gestionale. I risparmi tranchant si pagano in confusione e disservizi; altra cosa, buona e giusta, è la razionalizzazione.
Qualsiasi Ente può essere un poltronificio mangia-soldi o laboratorio di buona amministrazione: dipende dalla Politica, se quella quella p la scriviamo in maiuscolo oppure piccola piccola ... la matita all'elettore.
BLOGSICILIA
Falcone saluta, arriva Dagnino all'Economia, debutto all'Ars in attesa del giuramento.
Nella serata di ieri è stato siglato il passaggio di consegne all'assessorato regionale all'Economia in Sicilia. Dopo aver inaugurato la nuova caserma dei Vigili del Fuoco a Siracusa realizzata dalla Regione con criteri innovativi e concessa in comodato d'uso. L'assessore uscente Marco Falcone ha rassegnato le dimissioni nella sede della Regione a Catania per trasferirsi a Bruxelles, dove si è già insediato. Si chiude così l'era di Marco Falcone alla Regione: cinque anni da assessore alle Infrastrutture con Musumeci e due da assessore all'Economia con Schifani prima di diventare eurodeputato.
La nomina di Alessandro Dagnino
Con un decreto firmato ieri, Schifani ha nominato ufficialmente Alessandro Dagnino come nuovo assessore regionale all'Economia. L'avvocato palermitano, esperto in materie tributarie e amministrative, giurerà giovedì all'Assemblea regionale siciliana e solo allora entrerà pienamente nelle sue funzioni. La nomina di Dagnino, voluta da Schifani in accordo con l'ex assessore Gaetano Armao, segna l'inizio di un mini-rimpasto di giunta che il governatore intende completare nel giro di un paio di settimane. Dagnino, 50 anni, è figlio di un magistrato della Corte dei Conti e in passato ha difeso la Regione in controversie con la magistratura contabile. Oltre al delicato assessorato all'Economia, gestirà anche i rapporti tra Regione e Corte dei Conti.
Cgil, Cisl e Uil in piazza ma il sindaco non li riceve
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Cgil, Cisl e Uil in piazza ma il sindaco non li riceve
La nomina formalizzata questa mattina
La formalizzazione della nomina è arrivata questa mattina con una nota di Palazzo d'Orleans: "Il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, ha nominato l'avvocato Alessandro Dagnino nuovo assessore all'Economia. Dagnino, che prende il posto dell'europarlamentare Marco Falcone, ieri ha già rassegnato le dimissioni dal componente del consiglio camerale della Camera di commercio di Palermo-Enna e da vice presidente di Confcommercio Palermo. Il neo assessore giurerà davanti all'Assemblea regionale siciliana nei prossimi giorni" vi si legge.
Il debutto di Dagnino all'ARS
Intanto ieri Dagnino ha fatto il suo debutto all'ARS partecipando ai lavori della commissione Bilancio sulla manovra finanziaria da 160 milioni, anche se formalmente la giunta è stata rappresentata da Roberto Di Mauro. "Sono veramente onorato della fiducia ricevuta dal Presidente della Regione siciliana - scrive sui social -, e consapevole degli oneri di un incarico così delicato, che porterò avanti con impegno e determinazione al servizio del popolo siciliano".
Il rimpasto
Sempre sul fronte del rimpasto, la Lega formalizzerà a breve la nomina del professore Salvatore Barbagallo all'Agricoltura: un tecnico vicino al deputato Luca Sammartino, escluso dalla giunta per l'inchiesta di Tremestieri Etneo. Fratelli d'Italia cambierà l'assessore al Territorio: al posto di Elena Pagana arriverà la deputata agrigentina Giusi Savarino. Tutto il resto dell'esecutivo dovrebbe rimanere invariato, compresi Mimmo Turano alla Formazione e Francesco Scarpinato ai Beni Culturali.
AGRIGENTOOGGI
Secondo appuntamento con la rassegna teatrale Classico e del Mito al Teatro dell'Efebo. In scena "Sette contro Tebe" di Eschilo.
Prosegue al teatro dell'Efebo nel Giardino Botanico di Agrigento la rassegna teatrale Classico e del Mito, organizzata dal Libero Consorzio Comunale di Agrigento. Dopo il grande successo di "Antigone" domani sera, 24 luglio, alle ore 21 sarà la volta di un'altra produzione della Dide di Michele Di Dio, ovvero "Sette contro Tebe", tragedia di Eschilo con adattamento e regia di Cinzia Maccagnano, già ammirata in Antigone, e musiche originali del Maestro Marco Podda, autore di diverse composizioni in molte tragedie greche dell'Istituto Nazionale Dramma Antico di Siracusa dal 2004 al 2014.
Anche in questo caso la messa in scena di uno dei classici della tragedia greca nell'antica cava all'interno del Giardino Botanico si preannuncia di grande richiamo ed altissimo livello per recitazione, scenografia e costumi, questi ultimi firmati dal professionista agrigentino Vincenzo La Mendola, già apprezzato per gli stessi contenuti in Antigone. Nel cast, tra gli altri, Simone Ciampi nel ruolo di Eteocle, Alessandro Romano (Messaggero), Valerio Santi (Polinice) e Giulia Galiani (Antigone).
Ricordiamo che dopo "Sette contro Tebe" la rassegna del Teatro Clssico e del Mito prevede il 27 luglio "Il rapimento di Proserpina o l'inganno di Venere", dell'associazione culturale Kairos, "Kokalos", dell'associazione Centro Cultura Mediterranea il 2 agosto, e "Icaro, il pensiero in movimento" della Agenzia spettacoli Savatteri srls, i 15 settembre.
Per informazioni e biglietteria: www.giardinoefebo.it. Biglietti disponibili anche al Box Office di Via Imera, tel. 0922-20500 o direttamente al botteghino del Giardino Botanico stesso.
AGRIGENTONOTIZIE
Teatro dell'Efebo, ecco il secondo appuntamento: in scena "Sette contro Tebe"
Prosegue al teatro dell'Efebo, nel giardino botanico di Agrigento in via Demetra, la rassegna del teatro classico e del mito organizzata dal Libero Consorzio comunale di Agrigento. Dopo il grande successo di "Antigone", il 24 luglio alle 21 sarà la volta di un'altra produzione della Dide di Michele Di Dio, ovvero "Sette contro Tebe": tragedia di Eschilo con adattamento e regia di Cinzia Maccagnano, già ammirata in Antigone, con musiche originali del maestro Marco Podda, autore di diverse composizioni in molte tragedie greche dell'Istituto nazionale "Dramma antico" di Siracusa dal 2004 al 2014.
Anche in questo caso la messa in scena di uno dei classici della tragedia greca, nell'antica cava all'interno del giardino botanico, si preannuncia di grande richiamo e di altissimo livello per recitazione, scenografia e costumi, questi ultimi firmati dal professionista agrigentino Vincenzo La Mendola, già apprezzato per gli stessi contenuti in Antigone.
Nel cast, tra gli altri, Simone Ciampi nel ruolo di Eteocle, Alessandro Romano (Messaggero), Valerio Santi (Polinice) e Giulia Galiani (Antigone).
Dopo "Sette contro Tebe" la rassegna proseguirà il 27 luglio con "Il rapimento di Proserpina o l'inganno di Venere" dell'associazione culturale Kairos; "Kokalos" dell'associazione "Centro cultura Mediterranea" il 2 agosto e "Icaro, il pensiero in movimento" dell'Agenzia spettacoli Savatteri il 15 settembre.
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Possibile la deroga all'equo compenso negli appalti?
Immagine in evidenza del post: Possibile la deroga all'equo compenso negli appalti?
Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania ha emesso una pronuncia che fornisce un ulteriore indirizzo all'eventuale deroga all'applicazione dell'equo compenso negli appalti.
La sentenza del TAR Campania sottolinea quindi la necessità di un'accurata preparazione e di una profonda conoscenza delle normative vigenti da parte di tutti gli attori coinvolti nelle procedure di gara, al fine di evitare contestazioni e garantire il rispetto delle disposizioni in materia di equo compenso e correttezza delle offerte economiche.
Che cosa si intende per "equo compenso" in questo contesto?
L'equo compenso è un principio introdotto nel sistema normativo italiano per garantire che i professionisti ricevano una retribuzione adeguata e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, in linea con gli standard stabiliti dai parametri ministeriali. Questo concetto mira a contrastare la pratica delle offerte economicamente non sostenibili, che possono compromettere la qualità del servizio offerto e la dignità professionale.
Il principio dell'equo compenso è stato sancito dalla Legge n. 49/2023, che mira a tutelare i professionisti dalle clausole vessatorie nei contratti stipulati con clienti forti, come la pubblica amministrazione e le grandi imprese. La legge stabilisce che le tariffe professionali devono essere stabilite in base ai parametri definiti dai decreti ministeriali relativi a ciascuna categoria professionale.
Nel contesto degli appalti pubblici, l'equo compenso si applica ai servizi di architettura e ingegneria, ma si applica in generale nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, anche con riferimento ai contratti regolati dal Codice Appalti del 2023.
Le stazioni appaltanti sono tenute a garantire che i compensi previsti per i professionisti siano conformi ai parametri stabiliti dalla normativa, evitando il ribasso eccessivo delle offerte che potrebbe portare a retribuzioni non dignitose.
Deroga all'equo compenso negli appalti: la risposta del TAR Campania
Con la sentenza del 16 luglio 2024, n. 1494, i giudici campani hanno confermato la possibilità di ridurre la quota di compenso attraverso il meccanismo di verifica dell'anomalia a seguito della presentazione delle offerte.
Secondo il TAR Campania, solo al termine della verifica di anomalia è possibile valutare in modo completo e concreto, all'interno del contesto dell'offerta economica esaminata, la voce corrispondente alle remunerazioni spettanti ai professionisti incaricati dall'impresa concorrente. Questo permette di rapportare l'esatta entità del compenso ai parametri tabellari vigenti.
Pertanto, secondo i giudici amministrativi, le disposizioni della Legge n. 49/2023 sull'equo compenso delle prestazioni professionali non devono essere considerate imperative ed eterointegrative della lex specialis di gara. Al contrario, tali disposizioni devono essere viste come principi direttivi per la valutazione di congruità dei ribassi delle offerte economiche. Questo significa che l'equo compenso non è un parametro rigido da applicare automaticamente, ma un criterio da considerare attentamente durante la valutazione delle offerte, soprattutto in fase di verifica dell'anomalia.
Giudici amministrativi confermano i dubbi dell'Anac
Il TAR ha inoltre seguito il ragionamento dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), confermando che l'integrazione eterogenea della disciplina di gara con quella sull'equo compenso professionale deve fare i conti con i limiti di compatibilità tra i due impianti normativi.
L'Autorità aveva infatti diverse settimane fa riconosciuto sottolineato che entrambi i sistemi normativi hanno lo stesso scopo: garantire una corretta gestione dei contratti pubblici, promuovere la concorrenza e assicurare il corretto utilizzo delle risorse pubbliche. Tuttavia, data la complessità delle normative e la loro intersezione con il diritto europeo, è fondamentale considerare attentamente come queste leggi si integrino e si armonizzino tra loro.
L'Anac aveva infine evidenziato il fatto che esiste un vuoto normativo riguardante i requisiti speciali per partecipare alle gare d'appalto. Questo vuoto normativo indica la necessità di un intervento legislativo per chiarire e regolare in maniera adeguata questa delicata materia.
ILSICILIA.IT
Siccità, Varchi: "In arrivo quindici milioni, governo Meloni al fianco della Sicilia"
"La presenza del ministro Lollobrigida in Sicilia e i provvedimenti assunti e in fase di definizione per contrastare il fenomeno della siccità, dimostrano ancora una volta l'attenzione del governo Meloni per l'Isola".
Lo dichiara Carolina Varchi, deputato e Responsabile Politiche per il Mezzogiorno di Fratelli d'Italia.
"Oltre ai 15 milioni in arrivo per gli agricoltori - aggiunge - il ministro Lollobrigida, che ringrazio per la sensibilità dimostrata, ha annunciato un intervento sulla Pac, in modo da garantire una proroga che consentirà a tutto il settore di ricevere i fondi previsti e tirare così un sospiro di sollievo. Ma è solo l'inizio: il governo Meloni è dalla parte dei siciliani - conclude Varchi - e aiuterà in tutti i modi gli agricoltori a risollevarsi da questa crisi"
QDS
Agrigento verso il 2025 da Capitale della Cultura.
I vertici delle istituzioni locali e regionali hanno incontrato a Roma il ministro Sangiuliano: il Governo ha promesso massimo interesse per il centro siciliano che l'anno prossimo sarà protagonista nazionale
AGRIGENTO - Prosegue alacremente e senza sosta l'impegno della Fondazione Agrigento 2025 e del Comune nella prospettiva dell'avvento dell'anno di Capitale italiana della Cultura.
Dopo il proficuo incontro in Prefettura, coordinato dal prefetto Filippo Romano, si è tenuto un nuovo importante appuntamento nel corso di una trasferta a Roma, nella sede del ministero della Cultura, dove la delegazione siciliana ha incontrato il ministro Gennaro Sangiuliano.
A rappresentare la Città dei templi e l'Isola il sindaco Miccichè, l'assessore comunale alla Cultura e al Turismo, Alfonso Ciulla, il presidente della Fondazione Agrigento 2025, Giacomo Minio, l'assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Scarpinato, il componente della Commissione Cultura alla Camera dei Deputati, Manlio Messina, e i dirigenti dello stesso ministero.
Il ministro Sangiuliano ha ribadito il massimo interesse personale e dell'intero Governo retto da Giorgia Meloni per l'evento prossimo, assicurando sostegno e collaborazione su diverse e prestigiose iniziative.
Analizzati i lavori finora svolti
Sono stati analizzati i lavori finora svolti e le prossime tappe lungo un percorso multilivello, costruttivo e determinato tra tutte le istituzioni, con l'obiettivo dell'elevata qualità delle manifestazioni che caratterizzeranno il trascorrere dell'anno Capitale, quando Agrigento assurgerà a meta attrattiva in ambito internazionale.
Il ministro Sangiuliano ha inoltre anticipato che a settembre, in coda al G7 della Cultura che si svolgerà a Pompei, sarà in visita ad Agrigento con alcuni dei partecipanti al summit. Sarà l'occasione di un'anteprima istituzionale in cui sarà presentata ufficialmente all'Italia Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025.