LENTEPUBBLICA
Ecco quando le progressioni verticali in deroga aggirano i vincoli assunzionali.
A precisare le casistiche in cui le progressioni verticali in deroga aggirano i vincoli assunzionali negli Enti locali è la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo del Piemonte, con la deliberazione del 20 dicembre 2024, n. 184.
Il testo giuridico da poco emanato in sostanza enuncia che le progressioni verticali nel pubblico impiego finanziate con lo 0,55% del monte salari (riferite in particolare all'anno 2018) possono essere realizzate in deroga ai consueti limiti assunzionali. Questo meccanismo permette alle amministrazioni di valorizzare il personale interno, mantenendo però standard qualitativi comparabili a quelli di una selezione esterna.
Un modello contrattuale transitorio
L'articolo 13 del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) del 16 novembre 2022 regola queste progressioni, concepite come una "finestra" temporanea valida fino al 31 dicembre 2025. Durante questo periodo, le amministrazioni pubbliche possono scegliere se adottare il regime ordinario o quello in deroga, a seconda delle proprie esigenze organizzative. La deroga consente flessibilità nell'utilizzo delle risorse, prevedendo il finanziamento tramite una quota del monte salari 2018, come stabilito dall'articolo 1, comma 612, della Legge di Bilancio 2022, e dalle facoltà assunzionali disponibili.
Progressioni verticali in deroga e vincoli assunzionali: differenze con il regime ordinario
Le differenze tra regime ordinario delle progressioni verticali nel pubblico impiego e regime in deroga sono significative e riguardano sia le modalità di finanziamento che i vincoli alle facoltà assunzionali.
Modalità di finanziamento
Nel regime ordinario, il meccanismo delle progressioni verticali è strettamente legato alle facoltà assunzionali dell'amministrazione, ossia alla capacità di reclutare personale in base alle disponibilità di bilancio e ai limiti imposti dalla normativa vigente. Ciò significa che il numero e la tipologia di avanzamenti di carriera sono condizionati dalla possibilità di assumere nuovi dipendenti, rendendo il processo più rigido e dipendente dalla pianificazione delle risorse umane.
Al contrario, nel regime in deroga, introdotto dalla Legge di Bilancio 2022, viene concessa maggiore flessibilità. In questo caso, le progressioni possono essere finanziate anche utilizzando risorse straordinarie previste dalla legge, che si aggiungono alle facoltà assunzionali ordinarie. Questa misura consente di ampliare il bacino di dipendenti che possono accedere alle progressioni, superando i limiti finanziari e organizzativi tipici del sistema ordinario.
Utilizzo delle facoltà assunzionali
Un altro aspetto distintivo del regime in deroga riguarda l'utilizzo delle facoltà assunzionali durante la fase transitoria. La normativa consente infatti di destinare fino al 50% di queste facoltà alle progressioni verticali. Questa disposizione rappresenta una deviazione rispetto al regime ordinario, dove le facoltà assunzionali devono essere utilizzate prioritariamente per nuove assunzioni o per la copertura di vuoti in organico.
Impatto pratico
Queste differenze si traducono in una maggiore flessibilità gestionale per le amministrazioni durante il periodo di deroga, con l'obiettivo di accelerare la valorizzazione del personale interno e di incentivare la crescita professionale senza sacrificare completamente le nuove assunzioni. Tuttavia, questa deroga può generare criticità sul lungo termine, in quanto un uso eccessivo delle facoltà assunzionali per progressioni interne potrebbe limitare il ricambio generazionale e l'ingresso di nuove competenze.
Focus sull'esperienza
La procedura transitoria per le progressioni verticali introduce un approccio innovativo che pone l'esperienza maturata dai dipendenti al centro del processo di avanzamento. Questo criterio è rilevante sia per l'accesso alla selezione che per la valutazione finale, riflettendo un intento chiaro: valorizzare le professionalità già presenti nell'amministrazione, riconoscendo il ruolo del bagaglio di competenze acquisite sul campo.
Esperienza come criterio d'accesso
Per poter partecipare alle progressioni verticali in deroga, i dipendenti devono soddisfare determinati requisiti legati al servizio prestato. In particolare, si richiede che il personale abbia accumulato un numero minimo di anni di esperienza nella categoria di appartenenza o in funzioni assimilabili. Questo vincolo garantisce che i candidati abbiano una conoscenza approfondita delle mansioni e dei contesti lavorativi, riducendo il rischio di inadeguatezza rispetto alle responsabilità della nuova posizione.
Esperienza come elemento di valutazione
Durante il processo di selezione, l'esperienza non si limita a essere un requisito formale ma diventa un elemento qualificante della valutazione. Le amministrazioni considerano:
Anzianità di servizio, come indicatore di continuità e affidabilità.
Competenze specifiche acquisite, che vengono spesso documentate attraverso certificazioni, attività formative concluse o risultati raggiunti in ambito professionale.
Contributo al miglioramento dei processi lavorativi, valutato attraverso relazioni o evidenze di progetti svolti.
Questo sistema consente di premiare i dipendenti che hanno dimostrato dedizione e capacità di contribuire al miglioramento organizzativo, offrendo un riconoscimento tangibile del valore apportato nel tempo.
Obiettivi di qualità e valorizzazione
Pur enfatizzando l'esperienza interna, il regime transitorio mantiene come priorità il livello qualitativo richiesto per la nuova posizione. Questo equilibrio viene garantito attraverso due meccanismi principali:
Selezione competitiva: i candidati devono superare una valutazione che, oltre all'esperienza, considera altri fattori come competenze trasversali, titoli di studio e, in alcuni casi, prove pratiche o teoriche.
Monitoraggio del processo: l'amministrazione deve assicurarsi che l'avanzamento non comprometta gli standard operativi, evitando promozioni che non siano supportate da un adeguato livello di qualificazione.
Tuttavia, vi sono anche alcune sfide:
Rischio di disparità: l'enfasi sull'esperienza potrebbe penalizzare dipendenti giovani o con percorsi professionali meno tradizionali.
Necessità di criteri oggettivi: per evitare discrezionalità, è fondamentale che i parametri di valutazione siano chiari, trasparenti e uniformi.
Una fase limitata nel tempo
La finestra temporale fissata per le progressioni verticali in deroga, compresa tra il 1° aprile 2023 e il 31 dicembre 2025, rappresenta un elemento cruciale della disciplina transitoria introdotta dal CCNL del comparto Funzioni Centrali. Questa scelta non è casuale, ma risponde a esigenze specifiche legate alla riorganizzazione degli ordinamenti professionali e alla valorizzazione del personale interno.
Il legame con i nuovi ordinamenti professionali
Il periodo individuato coincide con l'implementazione dei nuovi ordinamenti professionali, un sistema pensato per:
Armonizzare qualifiche esistenti e nuove categorie: l'obiettivo è creare una struttura più coerente e omogenea che superi le frammentazioni del passato.
Favorire la transizione del personale: attraverso queste progressioni, si offre al personale interno la possibilità di adattarsi e crescere professionalmente all'interno del nuovo sistema.
Questa fase transitoria rappresenta, quindi, un ponte tra il vecchio e il nuovo regime, che consente alle amministrazioni di sperimentare i nuovi criteri di valutazione e avanzamento, promuovendo il personale che ha dimostrato competenze e impegno consolidati.
Requisiti di esperienza: il criterio dei cinque anni
La disciplina transitoria pone un'enfasi particolare sull'esperienza maturata dai dipendenti. In particolare, per poter accedere alle progressioni verticali, è necessario aver accumulato almeno cinque anni di servizio all'interno dell'amministrazione. Questo requisito risponde a diverse esigenze:
Premiare la continuità lavorativa: i dipendenti che hanno servito per un lungo periodo sono considerati portatori di un'esperienza pratica preziosa per il funzionamento dell'ente.
Garantire un livello minimo di competenza: l'anzianità di servizio diventa una sorta di filtro per selezionare candidati con una conoscenza consolidata delle dinamiche amministrative.
Facilitare la transizione verso nuove responsabilità: l'esperienza maturata riduce il rischio di inefficienze legate all'inserimento in un ruolo più complesso.
La natura temporanea della disciplina
La limitazione temporale riflette la natura straordinaria e sperimentale di queste progressioni. Ciò implica che, dopo il 31 dicembre 2025, salvo eventuali proroghe o modifiche normative, le progressioni verticali torneranno a essere regolate esclusivamente dal regime ordinario. Questo significa:
Ritorno alle regole tradizionali: basate esclusivamente sulle facoltà assunzionali e su procedure aperte anche all'esterno.
Conclusione della fase transitoria: le amministrazioni dovranno aver completato l'allineamento al nuovo ordinamento e la valorizzazione del personale interno entro la scadenza stabilita.
Implicazioni per le amministrazioni e i dipendenti
La scadenza temporale impone alle amministrazioni di pianificare con attenzione le progressioni, considerando:
Le risorse disponibili: le progressioni in deroga richiedono l'utilizzo di risorse specifiche, tra cui quelle previste dalla Legge di Bilancio 2022.
La gestione del personale: è essenziale identificare i dipendenti più meritevoli e garantire che la selezione sia equa e trasparente.
Per i dipendenti, invece, la finestra temporale rappresenta un'occasione unica per avanzare professionalmente, purché si soddisfino i requisiti di esperienza e si superino le fasi di selezione.
LENTEPUBBLICA
Assenze prolungate e NASpI, cosa cambia per i lavoratori.
La gestione delle assenze non giustificate e prolungate sul lavoro cambia volto con l'introduzione del nuovo Collegato Lavoro: modifiche che vanno a influire anche sul diritto alla NASpI.
La norma, parte del D.D.L. Lavoro 1264/2024, mira a contrastare abusi nel sistema di disoccupazione e a semplificare le procedure per aziende e lavoratori. Tra le principali novità, spicca l'esclusione dal diritto alla NASpI per chi si assenta senza giustificazione per lunghi periodi, accompagnata dall'eliminazione dell'obbligo di dimissioni telematiche. Una misura che promette di ridurre oneri per le imprese e costi per il sistema previdenziale, ma che solleva dubbi sulla concreta capacità di controllo da parte degli organi ispettivi.
Come anticipato, il Collegato Lavoro introduce cambiamenti importanti relativamente alle assenze non giustificate dei lavoratori. Al riguardo, particolarmente rilevante è l'esclusione dal diritto di ricevere la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) nei casi di assenze non giustificate prolungate, escludendo in tali circostanze l'applicazione delle norme relative alle dimissioni telematiche previste dall'art. 26 del D.Lgs. 151/2015.
Tale norma infatti viene modificata dall'art. 19 del D.D.L. Lavoro 1264/2024, attraverso l'introduzione del co. 7 bis, che recita: "In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l'impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza".
Assenze prolungate e NASpI, cosa cambia per i lavoratori
La normativa, quindi, si applica alle assenze non giustificate di lunga durata, che superino i termini fissati dai contratti collettivi o che siano comunque superiori a 15 giorni (dal sedicesimo giorno in poi). Secondo quanto previsto, la risoluzione del rapporto è automatica, presupponendo la volontà del lavoratore di concludere il rapporto lavorativo senza ricorrere alla procedura delle dimissioni telematiche.
La disciplina vigente invece, come modificata nel 2015, prevede un sistema in cui le dimissioni devono essere effettuate telematicamente ad opera del lavoratore. La nuova normativa invece consente al datore di lavoro di non attendere l'avvio della procedura telematica da parte del lavoratore, sollevandolo anche dagli obblighi legati all'avvio di un licenziamento disciplinare, che parte con un procedimento disciplinare, cui seguono la comunicazione formale del licenziamento e il pagamento del ticket NASpI.
Ora, invece, spetta al datore di lavoro comunicare l'assenza ingiustificata all'Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL), il quale potrà accertarne l'effettività e verificare eventuali abusi da parte del datore stesso.
Questa normativa comporta dunque vantaggi sia per le imprese che per il sistema previdenziale. Infatti, con riferimento ai datori di lavoro, questi ultimi non devono più affrontare procedure di licenziamento disciplinare né pagare il ticket di licenziamento, ovvero un contributo economico finalizzato a sostenere il costo della disoccupazione, il cui importo è stabilito annualmente, tenendo conto dei dati dell'inflazione.
Quanto invece al sistema previdenziale, la riforma evita abusi nell'accesso alla NASpI, garantendone l'erogazione solo ai destinatari legittimi.
Contolli e requisiti più stringenti: misure che penalizzano i lavoratori?
La riforma rende più stringenti i requisiti necessari per beneficiare dell'indennità di disoccupazione, evitando che il lavoratore possa ottenerla semplicemente accumulando sanzioni disciplinari per assenze non giustificate. In base alla nuova normativa, infatti, nei casi di licenziamento per giusta causa causato da assenze reiterate e immotivate, il lavoratore perde il diritto alla NASpI, considerata una misura a cui si accede solo rispettando precisi obblighi contrattuali. Si sottolinea quindi l'importanza di seguire le procedure previste per la giustificazione delle assenze, poiché il rischio di perdere l'indennità diventa una conseguenza diretta e immediata.
La riforma introdotta dal Collegato Lavoro 1264/2024, pur presentandosi come una risposta concreta alla necessità di razionalizzare le procedure e contrastare gli abusi, solleva questioni rilevanti sul piano applicativo e sociale. Da un lato, appare evidente il vantaggio per le imprese e per il sistema previdenziale, che vedranno ridursi i costi e semplificarsi le pratiche; dall'altro, emergono dubbi sulla capacità dell'Ispettorato del Lavoro di svolgere controlli tempestivi ed efficaci, considerando le attuali carenze di risorse.
Questa misura, se non accompagnata da un rafforzamento delle strutture ispettive, rischia di lasciare ampi margini di discrezionalità e di generare contenziosi, soprattutto nei casi in cui il lavoratore invochi cause di forza maggiore.
In un contesto già segnato da una precarietà crescente, il provvedimento potrebbe essere percepito come un ulteriore sbilanciamento a favore delle imprese, rendendo necessario un attento monitoraggio degli effetti concreti della norma per garantire un equo bilanciamento tra le esigenze di efficienza e la tutela dei diritti dei lavoratori.
BLOGSICILIA
La sfida del ritorno alle Province, l'assist involontario e l'apertura di Mattarella "garantire le aree interne" Garantire i "servizi essenziali ed eguali diritti di cittadinanza" delle aree interne. Il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, in visita ufficiale al piccolo comune di Militello Val di Catania, per la prima volta nel suo decennio come primo carica dello Stato (dieci anni di mandato li compirà il 3 febbraio) rompe il protocollo e lo fa per rispondere ad una sollecitazione di un sindaco, un sindaco "amico" ma facendolo apre anche la porta alla interpretazione del Presidente della regione e alla battaglia del centrodestra siciliano, finora senza esito, per il ritorno alle province elette a suffragio universale.
All'indomani del 45esimo anniversario dell'uccisione del fratello, il Presidente Mattarella è in visita ufficiale al piccolo Borgo barocco di Militello Val di Catania. Meno di seimila anime, sindaco Giovanni Burtone, il piccolo centro è noto agli italiani per aver dato i natali al Pippo nazionale, l'ormai anziano presentatore Pippo Baudo, ma anche al Ministro ed ex presidente della Regione Nello Musumeci.
Quella di Mattarella è una visita fra il ricordo della resistenza e le inaugurazioni delle infrastrutture ma il protocollo si infrange quando Burtone approfitta della presenza dei media per lanciare il grido di dolore del suo paese che è anche quello di tutte le comunità più piccole delle aree interne "Le nostre comunità soffrono il ridimensionamento dei servizi che riguardano la sanità, la scuola, i trasporti. Bisogna fermare questo processo, occorre combattere la dispersione scolastica e il rischio di isolamento. Spesso vedono i propri figli partire per studiare, lavorare, affermarsi in luoghi lontani, ritornare nelle feste comandate e avere un cuore sanguinante perché le radici sono forti e fa male andare via".
E Mattarella gli risponde anche se fuori protocollo e sposa l'allarme e rafforza l'esigenza: "Bisogna garantire i servizi essenziali, uguali diritti ai cittadini delle aree interne" e poi il richiamo all'unità del paese sotto il, tricolore.
L'attacco di Burtone trasformato in assist
Quello di Burtone che voleva essere un "attacco" all'azione del governo, all'autonomia differenziata, anche se tutto nella bolla dell'istituzionale, la risposta di Mattarella che non prescinde mai dal suo ruolo, a Palermo arrivano, invece, come un assist
"Accolgo con grande attenzione l'appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a non sottovalutare il problema delle aree interne, che rappresentano una parte fondamentale del nostro territorio e della nostra identità. Questi luoghi, spesso trascurati, necessitano di politiche dedicate che garantiscano sviluppo, servizi essenziali e il diritto a una vita dignitosa per i cittadini che vi risiedono" dice il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, a margine proprio della visita che il Capo dello Stato a Militello in Val di Catania.
Tornare alle vecchie province
"In questo contesto - prosegue Schifani - ritengo che il sistema delle ex Province, con l'elezione diretta, rappresentasse uno strumento fondamentale per assicurare maggiore attenzione istituzionale a questi territori. Agendo come enti intermedi tra i Comuni e la Regione, infatti, garantivano una risposta più rapida ed efficace ai bisogni della popolazione e una presenza più vicina alle specificità locali. Auspico che si possa ritornare presto a questo modello di governance, restituendo così centralità a questi enti e valorizzandone il ruolo per il rilancio delle aree interne e per la costruzione di un equilibrio territoriale più giusto e sostenibile". Ed ecco che il 2025 può diventare anche l'anno del ritorno all'elezione diretta nelle Province
ILSICILIA
Aree interne, Schifani: "Bene l'appello del presidente Mattarella, le Province essenziali per il rilancio dei territori"
"Accolgo con grande attenzione l'appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a non sottovalutare il problema delle aree interne, che rappresentano una parte fondamentale del nostro territorio e della nostra identità. Questi luoghi, spesso trascurati, necessitano di politiche dedicate che garantiscano sviluppo, servizi essenziali e il diritto a una vita dignitosa per i cittadini che vi risiedono". Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, a margine della visita che il Capo dello Stato ha fatto oggi pomeriggio a Militello in Val di Catania.
"In questo contesto - prosegue Schifani - ritengo che il sistema delle ex Province, con l'elezione diretta, rappresentasse uno strumento fondamentale per assicurare maggiore attenzione istituzionale a questi territori. Agendo come enti intermedi tra i Comuni e la Regione, infatti, garantivano una risposta più rapida ed efficace ai bisogni della popolazione e una presenza più vicina alle specificità locali. Auspico che si possa ritornare presto a questo modello di governance, restituendo così centralità a questi enti e valorizzandone il ruolo per il rilancio delle aree interne e per la costruzione di un equilibrio territoriale più giusto e sostenibile".
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Schifani sulle aree interne: "Tornare al modello delle province"
Il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani accoglie l'appello che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto, nel corso della sua visita a Militello, sul bisogno di non sottovalutare le aree interne della Sicilia.
Lo ha detto lo stesso Schifani a margine della visita di Mattarella, sottolineando che a suo parere sarebbe necessario tornare al sistema delle ex province per garantire attenzione istituzionale ai territori interni e alle campagne.
Schifani: "Restituire centralità"
"Accolgo con grande attenzione - dice Schifani - l'appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a non sottovalutare il problema delle aree interne, che rappresentano una parte fondamentale del nostro territorio e della nostra identità".
"Questi luoghi, spesso trascurati - prosegue Schifani - necessitano di politiche dedicate che garantiscano sviluppo, servizi essenziali e il diritto a una vita dignitosa per i cittadini che vi risiedono".
"In questo contesto - prosegue Schifani - ritengo che il sistema delle ex Province, con l'elezione diretta, rappresentassero uno strumento fondamentale per assicurare maggiore attenzione istituzionale a questi territori".
"Agendo come enti intermedi tra i Comuni e la Regione - dice ancora Schifani - garantivano una risposta più rapida ed efficace ai bisogni della popolazione e una presenza più vicina alle specificità locali".
"Auspico - conclude Schifani - che si possa ritornare presto a questo modello di governance, restituendo così centralità a questi enti e valorizzandone il ruolo per il rilancio delle aree interne e per la costruzione di un equilibrio territoriale più giusto e sostenibile".
QDS
Pensionamento anticipato: ecco come arrivarci con Quota 103 L'accesso al pensionamento anticipato con Quota 103 è consentito ai lavoratori con 41 anni di contributi e 62 anni di età
Pensione anticipata con Quota 103: è possibile. Il via libera alla legge di bilancio per il 2025 consente, infatti, di accedere anche quest'anno al pensionamento anticipato con Quota 103. Ecco le regole, dai requisiti indispensabili al tetto all'importo, al divieto di cumulo.
I requisiti indispensabili per l'accesso a Quota 103
L'accesso al pensionamento anticipato con Quota 103 è consentito ai lavoratori con 41 anni di contributi e 62 anni di età.
Quando scatta l'assegno?
L'assegno scatta dopo una finestra di sette mesi per i lavoratori del settore privato e di nove mesi per quelli del settore pubblico.
Qual è il tetto del trattamento corrisposto?
La normativa prevede un tetto all'importo dell'assegno corrisposto a chi sceglie l'accesso al pensionamento anticipato con Quota 103. L'assegno, infatti, fino al raggiungimento del requisito alla pensione di vecchiaia (67 anni), non può superare l'importo pari a quattro volte la pensione minima. Dunque circa 2.460 euro.
Vige un divieto di cumulo?
Fino al raggiungimento del requisito alla pensione di vecchiaia (67 anni) vige un divieto di cumulo con redditi da lavoro (tranne i 5mila euro per lavori occasionali).
lentepubblica.it
Confermata la mancanza di colpa grave nella reiterazione dei contratti a termine
L'avvocato Maurizio Lucca fornisce alcuni chiarimenti sulla mancanza di colpa grave nella reiterazione dei contratti a termine.Per far fronte ad esigenze temporanee [1], con i severi limiti di spesa in materia del personale, l'Amministrazione può ricorrere al "lavoro flessibile" all'interno del quadro specifico dei rapporti di coloro che collaborano con le Pubbliche Amministrazioni in virtù di contratti diversi da quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato, risultando una modalità derogatoria della normale "provvista" del personale, da seguire con cautele e motivandone le ragioni.La ratio.In effetti, i limiti "quantitativi" alla spesa del personale, si inseriscono in un più generale disegno volto ad arginare l'utilizzo indiscriminato di contratti di tipo flessibile in chiave antielusiva rispetto ai vincoli progressivamente introdotti per le spese di personale a tempo indeterminato, evitando, al contempo, l'insorgenza di nuovo precariato, in grado di vanificare le politiche di stabilizzazione : l'art. 36, del d.lgs. n. 165/2001, introduce un evidente favor per i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, da utilizzare per dare risposta ai fabbisogni ordinari ed alle esigenze di carattere duraturo, nel rispetto delle norme contrattuali e della disciplina di settore, e al contempo, relega le forme contrattuali flessibili all'esclusivo soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo o eccezionale [6].In effetti, il disposto del cit. art. 36, comma 2, non può che essere inteso come regola di limitazione delle assunzioni a tempo determinato a quei casi in cui ricorrano appunto condizioni di temporaneità ed eccezionalità che sono radicalmente escluse quando i rapporti di lavoro temporaneo hanno il fine, inevitabilmente proprio delle esigenze a carattere duraturo, di continuare a mantenere un adeguato standard quantitativo e qualitativo dei servizi, fornire continuità e stabilità all'attività, al fine di evitare gravi disservizi nell'erogazione della prestazione.Il mancato rispetto delle limitazioni predette costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.