quotidiano di sicilia.it
Stipendi più bassi nel 2025: chi perderà denaro con il nuovo taglio del cuneo e quanto
Il governo Meloni, nel 2025, ha optato per un nuovo taglio del cuneo fiscale: ecco chi andrà a perderci nel corso dell'anno
Il governo Meloni, nel 2025, ha optato per un nuovo taglio del cuneo fiscale, simile negli effetti a quello già in vigore lo scorso anno, ma non più basato su una riduzione dei contributi da versare. La sostanza, per la maggior parte dei lavoratori, non cambierà: i soldi in busta paga resteranno gli stessi. Altri, specialmente nelle fasce di reddito medio-alte interessate dalla misura (attorno ai 40mila euro all'anno), avranno un guadagno rispetto al 2024. Ma c'è anche chi, nel passaggio da un sistema all'altro, avrà una perdita, pur lieve.
La simulazione: da 5 euro in meno a 96Il portale Italia Oggi ha effettuato una simulazione con i nuovi criteri per il taglio del cuneo. Nel complesso, le perdite appaiono moderate: si va ad chi riceverà cinque euro in meno all'anno, a chi ne perde 96. Guardando alla simulazione, risulta che il calo maggiore in busta paga arriverà per chi guadagna 25mila euro. Si tratta, come detto, di circa 96 euro all'anno. Che tradotti in busta paga significano poco più di sette euro al mese per tredici mensilità. Per le altre fasce di reddito, la perdita è più leggera. Chi ne guadagna 35mila ne avrà 27 in meno, chi ha 30mila euro di reddito si troverà 42 euro in meno di stipendio netto. Vale anche i redditi più bassi: con 10mila euro all'anno ci sarà un taglio da 16 euro. Al contrario, altri gruppi avranno uno stipendio leggermente maggiore. Chi guadagna fino a 8.500 euro all'anno prima era escluso dal taglio del cuneo, mentre ora potrà approfittarne. E lo stesso si può dire per chi supera i 35mila euro di entrate annue, arrivando fino a 40mila euro. Proprio qui si avrà il guadagno più alto: chi prende 40mila euro annui avrà 35 euro in più al mese, quindi circa 460 euro in più nel corso del 2025.Il motivo per cui alcuni sono penalizzati e altri avvantaggiati è che il taglio del cuneo è cambiato. Fino all'anno scorso, il dipendente versava meno contributi previdenziali (che quindi gli restavano in busta paga) e lo Stato pagava la differenza all'Inps per evitare che ci fossero conseguenze sulle pensioni future. Da quest'anno, invece , sono in vigore due meccanismi diversi.
Innanzitutto bisogna ricordare che il nuovo taglio del cuneo non si basa solo sulle entrate da stipendio, ma sul reddito complessivo, Si calcolano, quindi, anche le rendite degli affitti di proprietà, attività da lavoro autonomo, e qualunque altro tipo di entrata, per stabilire di quanto può aumentare la busta paga. Le cifre per redditi fino a 20mila euro Per chi ha un reddito fino a 20mila euro, arriva direttamente un'indennità in busta paga. Questa viene calcolata come una percentuale del reddito annuo complessivo, pari a:il 7,1% del reddito fino a 8.500 euro
il 5,3% del reddito tra 8.500 e 15mila euro
il 4,8% del reddito tra 15mila e 20mila euro Invece per chi supera i 20mila euro di reddito complessivo ottiene uno sconto fiscale. Una detrazione Irpef di importo variabile a seconda delle proprie entrate. In particolare:1000 euro di detrazione annua per i redditi tra 20mila e 32mila euro (per chi lavora tutto l'anno, altrimenti 2,74 euro per giorno lavorato) un importo calante man mano che il reddito aumenta, e che sparisce del tutto per chi supera i 40mila euro di reddito.
GIORNALE DI SICILIA
Invasi meno vuoti dopo oltre un anno, incremento dell'acqua del 14%
La crescita, nello stato di siccità severa in cui si trova il territorio, rappresenta un segnale confortante. Era già accaduto che i volumi, anziché calare, diventassero più o meno stabili, come appurato lo scorso novembre, ma un consistente rialzo, finora, non era mai stato registrato, perlomeno su base mensile: torna a salire l'asticella delle dighe siciliane, con un incremento d'acqua del 14% rispetto a inizio dicembre 2025. A dirlo è l'ultimo report dell'Autorità di bacino, che poco prima di Capodanno registra nel complesso degli invasi 195 milioni di metri cubi di risorsa idrica rispetto ai 171 rilevati 30 giorni prima.
Certo, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno resta un deficit del 34%, ma la crescita, nello stato di siccità severa in cui si trova il territorio, rappresenta un segnale confortante, «frutto delle piogge dell'ultimo mese e, per quanto riguarda l'Ancipa, che ha superato i 12 milioni di metri cubi raggiungendo gli stessi livelli di gennaio 2024, anche dello scioglimento della neve caduta sui Nebrodi nonché dalla gestione dei prelievi tra i comuni del Nisseno e dell'Ennese che dipendono dalla diga in questione, disposto dalla Regione».
Parola del capo della Protezione civile siciliana e della task force anti-siccità istituita da Palazzo d'Orleans, Salvo Cocina, che adesso, «considerando il sensibile aumento dei volumi», non esclude «di allentare le turnazioni dell'approvvigionamento» che qualche settimana fa scatenarono la "guerra dell'acqua" tra i sindaci dei distretti serviti dalla struttura nebroidea, ossia Caltanissetta e San Cataldo da una parte, Troina, Nicosia, Gagliano Castelferrato, Cerami e Sperlinga dall'altra, «portando i giorni da tre a due».
Ma a migliorare è anche la situazione dei bacini che servono il Palermitano, «anche se il riempimento», continua Cocina, «procede più lentamente», soprattutto per il Rosamarina, ancora in calo (del 5%) su base mensile. Resta invece critica la situazione nel versante orientale dell'Isola, dove ha ricominciato a piovere solo ieri dopo diversi giorni di clima siccitoso, e dove, solo per fare un esempio, la diga Ragoleto, nel Ragusano, presenta meno di 4 milioni di metri cubi.
Intanto, a Caltanissetta resta in vigore l'ordinanza che dal 10 gennaio vieta il consumo idrico potabile a causa della torbidità dell'acqua, tanto che il "Comitato delle mamme per l'acqua" ha scritto una lettera di fuoco al sindaco stigmatizzando l'assenza e il silenzio dell'amministrazione comunale. Mercoledì il gruppo incontrerà il prefetto Chiara Armenia chiedendo una turnazione più equa e ulteriori analisi.
GIORNALE DI SICILIA
Agrigento Capitale Cultura, il disappunto di Schifani che medita il commissariamento
Il presidente diserterà la conferenza stampa di domani a Roma dopo l'ennesimo problema legato a infiltrazioni d'acqua nel Teatro Pirandello, scelto per la cerimonia ufficiale di inaugurazione dell'evento.Pur essendo presente domani a Roma, il presidente della Regione siciliana Renato Schifani ha delegato l'assessore ai Beni culturali Francesco Paolo Scarpinato per partecipare alla conferenza stampa, in programma nel pomeriggio nella sede della stampa estera a Palazzo Grazioli, per presentare il programma di Agrigento Capitale della Cultura 2025.
Una decisione dalla quale trapela una certa freddezza del governatore rispetto all'organizzazione che non sarebbe all'altezza di un evento così importante.
In queste ore circola anche l'ipotesi di un commissariamento da parte di Palazzo d'Orleans.
Al momento nessun commento ufficiale da parte di Schifani che tuttavia ieri aveva espresso tutto il suo disappunto in seguito all'ennesimo problema legato a infiltrazioni d'acqua nel Teatro Pirandello di Agrigento dove sabato prossimo si svolgerà la cerimonia ufficiale di inaugurazione dell'evento alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Non possiamo permettere che una situazione così grave, con infiltrazioni d'acqua che rischiano di compromettere la cerimonia inaugurale della Capitale italiana della Cultura 2025, rimanga irrisolta». Aveva detto Schifani, al vice sindaco di Agrigento, vista l'impossibilità di parlare con il primo cittadino.
Il presidente aveva chiesto rassicurazioni immediate riguardo alla sistemazione immediata del Teatro in vista della cerimonia di sabato mattina.
LENTEPUBBLICA
Estinzione dei reati ambientali: la natura giuridica del verbale di prescrizione.
Approfondimento sulla natura giuridica del verbale di prescrizione, in seguito alla pubblicazione delle nuove linee guida dell'estinzione dei reati ambientali espresse nella Parte VI-bis d.lgs. n. 152/2006.
Sono state recentemente pubblicate le linee guida del Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA) n. 52/2024, approvate con delibera del Consiglio n. 252/2024 del 23 luglio 2024, per l'applicazione della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali, ex Parte VI-bis, d.lgs. n. 152/2006.
In tale documento, è definita la natura giuridica della prescrizione, impartita ai sensi dell'articolo 318-ter del d.lgs. n. 152/2006, dall'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, ovvero dalla polizia giudiziaria, asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia in rilievo.
Può, dunque, così leggersi: «Riguardo alla natura giuridica del verbale di prescrizioni risulta pacifico che debba riconoscersi al suddetto la natura di atto tipico di polizia giudiziaria. La conseguenza è che il verbale di prescrizioni risulta sottratto alle impugnazioni previste per i provvedimenti amministrativi, tanto in sede amministrativa, quanto in sede giurisdizionale. Il verbale di prescrizioni non è quindi impugnabile né con ricorso al TAR, né con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica».
Su tale interpretazione convergono gli indirizzi delle varie Procure che sul punto si sono espresse dall'entrata in vigore della legge n. 68/15 ad oggi e la copiosa giurisprudenza formatasi con riferimento all'analoga procedura estintiva disciplinata dal d.lgs. n. 758/1994 e consolidatasi con le pronunce gemelle delle Sezioni Unite della Cassazione civile (nn. 3694 e 3695 del 09.03.2012).
Natura giuridica del verbale di prescrizione
Sul piano giurisprudenziale, sulla procedura estintiva di cui alla Parte VI-bis, d.lgs. n. 152/06 si segnalano, al momento, l'ordinanza del TAR Toscana n. 770 del 19.11.2015 e la sentenza del TAR Toscana n. 1611 del 08.11.16, nonché la decisione resa su un ricorso straordinario dal Presidente della Repubblica con decreto del 22.12.2020 (sulla base del parere del Consiglio di Stato, adunanza del 7 ottobre 2020).
Le citate pronunce si collocano nel solco tracciato dalla giurisprudenza in materia di sicurezza di lavoro.
Infine, anche la lettera dell'art. 318-ter, d.lgs. 152/06 porta a riconoscere la natura di atto di polizia giudiziaria alle prescrizioni: infatti, da un punto di vista soggettivo il verbale di prescrizioni non è imputabile ad un organo dell'apparato amministrativo, bensì all'organo di vigilanza nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, ovvero alla polizia giudiziaria, entrambi chiamati ad operare sotto la direzione dell'autorità giudiziaria.
Peraltro, anche se l'art. 318-ter (innovando rispetto all'analoga procedura estintiva vigente in materia di sicurezza del lavoro) prevede che la prescrizione prima di essere impartita debba essere "asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata", tale passaggio non muta la natura del verbale con cui le stesse vengono impartite al trasgressore.
Estinzione dei reati ambientali è e resta procedimento penale
Dal tenore della disposizione e dalla lettura confermata dalle Procure, si evince infatti che l'attività di asseverazione (che di per sé non richiede l'attribuzione di poteri di polizia giudiziaria) svolge una funzione di validazione tecnico-amministrativa del contenuto delle prescrizioni e viene assolta dagli enti istituzionalmente preposti alle attività connesse alla materia ambientale, senza mutare la natura penale della procedura, né dei relativi atti.
Da un punto di vista oggettivo, dunque, l'atto con il quale vengono impartite le prescrizioni non è affatto avulso dal procedimento penale, in quanto presuppone l'accertamento di un reato ed ha la finalità di estinguere la contravvenzione accertata.
Più in generale, infatti, il procedimento di estinzione, anche se può terminare con un'estinzione del reato in sede amministrativa è, e resta, un procedimento penale regolato, anche in sede di indagini, dalle norme del Codice di procedura penale.
La sentenza della Corte di cassazione n. 24483/2021 ha ulteriormente precisato che la prescrizione è un atto tipico della polizia giudiziaria, non autonomamente né immediatamente impugnabile davanti al giudice penale, che infatti può esercitare il sindacato sulla correttezza dell'operato dell'organo di vigilanza/polizia giudiziaria solo all'esito delle determinazioni del PM in ordine all'esercizio dell'azione penale (in tal senso Linee guida della Procura di Asti del 25 gennaio 2022).
LENTEPUBBLICA
Affidamenti in House e obbligo di acquisizione del CIG: chiarimenti applicativi.
Ecco alcuni interessanti chiarimenti applicativi forniti dal Dottor Luca Leccisotti sull'obbligo di acqusizione del CIG e gli affidamenti in House.
Il tema degli affidamenti in house è oggetto di particolare attenzione nel quadro normativo del Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 36/2023). Recenti interpretazioni, tra cui le specificazioni fornite dall'ANAC e il Decreto PNRR 3 (D.L. 13/2023), hanno contribuito a delineare con maggiore chiarezza gli obblighi delle amministrazioni pubbliche in materia di acquisizione del Codice Identificativo Gara (CIG). Questo articolo analizza gli elementi normativi e applicativi, soffermandosi sulle implicazioni pratiche per gli affidamenti a società in house.
Gli affidamenti in house rappresentano una deroga al principio di evidenza pubblica, consentendo alle amministrazioni pubbliche di affidare direttamente appalti o servizi a società da esse interamente partecipate, purché sottoposte a controllo analogo. Tale possibilità è regolata dall'articolo 7 del D.lgs. 36/2023, che stabilisce i requisiti per garantire la conformità con i principi di trasparenza e concorrenza.
L'obbligo di acquisizione del CIG per gli affidamenti in house si colloca in questo contesto, come strumento per garantire la tracciabilità e il monitoraggio delle procedure, in linea con quanto previsto dall'articolo 23, comma 5, del Codice.
Le Indicazioni ANAC
L'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), attraverso la FAQ B.10 relativa alla digitalizzazione dei contratti pubblici, ha chiarito che:
Obblighi di comunicazione:
Gli affidamenti in house sono soggetti agli obblighi di comunicazione e classificazione delle informazioni riguardanti le procedure e l'esecuzione, come previsto dall'articolo 23, comma 5.
Necessità del CIG:
Le amministrazioni devono acquisire il CIG anche per gli affidamenti in house, al fine di garantire la trasparenza delle operazioni. Questo obbligo si estende agli appalti finanziati con risorse PNRR o PNC, per importi superiori a 5.000 euro, come stabilito dall'articolo 5, comma 5, del Decreto PNRR 3.
Implicazioni per le Amministrazioni Pubbliche
Le amministrazioni devono adottare un approccio rigoroso per conformarsi agli obblighi normativi, assicurando la tracciabilità e il monitoraggio degli affidamenti in house. Le principali implicazioni operative includono:
Acquisizione tempestiva del CIG:
È fondamentale garantire che il CIG sia acquisito prima dell'affidamento, rispettando le disposizioni del Codice e le indicazioni dell'ANAC.
Registrazione delle informazioni:
Le amministrazioni devono assicurarsi che tutte le informazioni richieste siano registrate in modo accurato e completo nelle piattaforme di monitoraggio previste.
Adempimenti aggiuntivi per appalti PNRR-PNC:
Per gli affidamenti finanziati con risorse PNRR o PNC, è obbligatorio rispettare soglie di importo più stringenti e garantire una tracciabilità conforme ai requisiti specifici di questi programmi.
Conclusioni su affidamenti in House e obbligo di acquisizione del CIG
Gli affidamenti in house, pur rappresentando una soluzione flessibile e funzionale per le amministrazioni pubbliche, richiedono un rigoroso rispetto degli obblighi normativi in materia di trasparenza e tracciabilità. L'acquisizione del CIG, come ribadito dall'ANAC e dal Decreto PNRR 3, costituisce un elemento imprescindibile per assicurare la correttezza e la trasparenza delle operazioni.
Le amministrazioni sono chiamate a integrare queste disposizioni nei propri processi operativi, adottando prassi uniformi e garantendo una gestione conforme alle norme vigenti. Tale approccio contribuirà a consolidare la fiducia dei cittadini e degli operatori economici nel sistema degli appalti pubblici.
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La tarantella delle province. Smaltita l'abbuffata delle mance, il centrodestra si misura con l'altro passatempo. "Uniti alla meta". Come?
All'Ars sono già maturi i tempi per lasciarsi alle spalle l'abbuffata delle mance, ormai note col nome di "marketing territoriale", e tuffarsi in una nuova avventura: non si parla della sanità derelitta, che toglie il sonno a pazienti e lavoratori (del pubblico e del privato); bensì delle agognate province, per le quali il centrodestra è tornato a lottare in maniera strenua. Pur senza un appiglio normativo preciso. Alla coalizione non sta tanto a cuore il loro funzionamento ma, almeno in questa prima parte, l'elezione diretta dei loro rappresentanti. Poter contare su oltre 300 poltrone sarebbe un buon modo per dare riparo ai tanti "trombati" delle ultime Regionali, che non riescono a trovare posto neppure in un Cda di sottogoverno. E tornare a drenare preferenze alla macchina del consenso, che prima o poi si rimetterà in marcia. Così è capitato che i rappresentanti dei partiti, ieri mattina, si ritrovassero a Palermo per provare a smussare gli angoli di Fratelli d'Italia, che - per bocca del suo enfant prodige, Gaetano Galvagno - non sembravano disposti a correre alcun rischio con la reintroduzione del suffragio universale, correndo il rischio di una impugnativa. Finché rimane in vigore la Legge Delrio, l'unico modo per rinnovare gli organi elettivi è affidarsi al voto di sindaci e consiglieri comunali (le cosiddette elezioni di secondo livello, che portano con sé parecchie insidie); ma per i patrioti non è appetibile nemmeno l'altra ipotesi, cioè ignorare le due sentenze della Corte Costituzionale che chiede di porre un freno alla proroga dei commissari - giudicati "illegittimi" - che da oltre dodici anni imperversano negli enti d'area vasta. Sembra un giochino disperato, utile a ingannare il tempo (o la noia?) nelle more della prossima emergenza, o della prima riforma utile (giacché l'Assemblea, al netto della sessione di bilancio, non ne ha scritta una). Dicevamo di Fratelli d'Italia: all'appuntamento di ieri c'erano i soliti due segretari (Pogliese e Cannella) che pare si siano allineati alle posizioni dominanti (dei Cuffaro e dei Lombardo). Nel corso dell'incontro, infatti, è stata ribadita "la volontà comune di lavorare in modo unitario per superare ogni ostacolo di natura normativa, burocratica e attuativa legato alla riforma delle Province e per l'elezione diretta dei Presidenti, ritenute scelte strategiche per rafforzare la partecipazione democratica e garantire una rappresentanza effettiva dei cittadini". Superare, non "scavalcare": è già un passo avanti. Anche se oltre alla proiezione, non resta nulla. "La Sicilia - prosegue la nota, firmata anche da Forza Italia e Lega - ha bisogno di istituzioni locali forti e operative, in grado di rispondere concretamente alle esigenze delle comunità. Per questo riteniamo che sia utile dotare la macchina amministrativa di strumenti di governo e indirizzo politico eletti direttamente dai cittadini e capaci di assicurare l'indispensabile legame con le comunità amministrate. L'obiettivo è quindi quello di proseguire nel percorso legislativo già intrapreso, lavorando per superare le attuali criticità e poter così restituire alle Province un ruolo centrale nella gestione dei servizi e nello sviluppo territoriale". Non è ancora chiaro il "come", anche se - insistiamo - l'unico orizzonte della politica, all'inizio di questo 2025, non può essere la restaurazione dello status quo. Dei tanti problemi sul tavolo, a partire dalla sanità, l'aula del parlamento non ne ha affrontato uno. Questa settimana a palazzo dei Normanni si è tornata a discutere la riforma della dirigenza, per l'introduzione di una fascia unica dirigenziale (anche se i sindacati ne preferirebbero almeno un paio). Mentre il dibattito là fuori è rovente: sia per il caos nei Pronto soccorso, con le barelle stipate nei corridoi e i pazienti che vanno incontro alla morte; che per la crisi delle strutture convenzionate, debilitate dal nomenclatore Schillaci e sotto ricatto dell'assessorato alla Salute, che "minaccia" di revocare l'accreditamento qualora laboratori d'analisi e ambulatori non garantiscano le prestazioni sottocosto (sulla scorta di un tariffario aggiornato senza alcun raziocinio) e proseguano nello stato d'agitazione.Sono temi "caldi", che hanno a che fare con la vita delle persone. Ma da cui i partiti, con una spocchia che si fatica a comprendere, rimangono alla larga. Se prima c'era l'ossessione delle mance, e s'è fatto il possibile e l'impossibile per garantirsi un maxi emendamento con 1.200 voci di spesa (nonostante gli scandali arretrati) nell'ultima Legge Finanziaria, adesso sono tornate di moda le province. Una sorta di assicurazione sulla vita della "casta" che - a parte Schifani - non ha battuto ciglio nemmeno di fronte al tentativo di due assessorati (l'Economia e la Salute) di stabilizzare nei propri uffici il personale in "comando" da altri enti (con parenti illustri nei piani alti della burocrazia).E' in questo esempio spicciolo, dichiaratamente populista, o nei frequenti tentativi di beffare la Consulta e prorogare i commissariamenti negli enti intermedi (già 18 i rinvii), che si nasconde la cecità di una classe politica che non sembra avere molto a cuore il benessere della Sicilia. L'unico scopo sembra la conservazione della specie. La propria.
GIORNALE DI SICILIA
Agrigento Capitale Cultura, il disappunto di Schifani che medita il commissariamento
Il presidente diserterà la conferenza stampa di oggi a Roma dopo l'ennesimo problema legato a infiltrazioni d'acqua nel Teatro Pirandello, scelto per la cerimonia ufficiale di inaugurazione dell'evento
Pur essendo presente oggi a Roma, il presidente della Regione siciliana Renato Schifani ha delegato l'assessore ai Beni culturali Francesco Paolo Scarpinato per partecipare alla conferenza stampa, in programma nel pomeriggio nella sede della stampa estera a Palazzo Grazioli, per presentare il programma di Agrigento Capitale della Cultura 2025.Una decisione dalla quale trapela una certa freddezza del governatore rispetto all'organizzazione che non sarebbe all'altezza di un evento così importante. In queste ore circola anche l'ipotesi di un commissariamento da parte di Palazzo d'Orleans.
Al momento nessun commento ufficiale da parte di Schifani che tuttavia aveva espresso tutto il suo disappunto in seguito all'ennesimo problema legato a infiltrazioni d'acqua nel Teatro Pirandello di Agrigento dove sabato prossimo si svolgerà la cerimonia ufficiale di inaugurazione dell'evento alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Non possiamo permettere che una situazione così grave, con infiltrazioni d'acqua che rischiano di compromettere la cerimonia inaugurale della Capitale italiana della Cultura 2025, rimanga irrisolta». Aveva detto Schifani, al vice sindaco di Agrigento, vista l'impossibilità di parlare con il primo cittadino.
Il presidente aveva chiesto rassicurazioni immediate riguardo alla sistemazione immediata del Teatro in vista della cerimonia di sabato mattina.
QDS
Stipendi più bassi nel 2025: chi perderà denaro con il nuovo taglio del cuneo e quanto
Il governo Meloni, nel 2025, ha optato per un nuovo taglio del cuneo fiscale: ecco chi andrà a perderci nel corso dell'anno
Il governo Meloni, nel 2025, ha optato per un nuovo taglio del cuneo fiscale, simile negli effetti a quello già in vigore lo scorso anno, ma non più basato su una riduzione dei contributi da versare. La sostanza, per la maggior parte dei lavoratori, non cambierà: i soldi in busta paga resteranno gli stessi. Altri, specialmente nelle fasce di reddito medio-alte interessate dalla misura (attorno ai 40mila euro all'anno), avranno un guadagno rispetto al 2024. Ma c'è anche chi, nel passaggio da un sistema all'altro, avrà una perdita, pur lieve.
La simulazione: da 5 euro in meno a 96
Il portale Italia Oggi ha effettuato una simulazione con i nuovi criteri per il taglio del cuneo. Nel complesso, le perdite appaiono moderate: si va ad chi riceverà cinque euro in meno all'anno, a chi ne perde 96. Guardando alla simulazione, risulta che il calo maggiore in busta paga arriverà per chi guadagna 25mila euro. Si tratta, come detto, di circa 96 euro all'anno. Che tradotti in busta paga significano poco più di sette euro al mese per tredici mensilità.
Per le altre fasce di reddito, la perdita è più leggera. Chi ne guadagna 35mila ne avrà 27 in meno, chi ha 30mila euro di reddito si troverà 42 euro in meno di stipendio netto. Vale anche i redditi più bassi: con 10mila euro all'anno ci sarà un taglio da 16 euro.
Al contrario, altri gruppi avranno uno stipendio leggermente maggiore. Chi guadagna fino a 8.500 euro all'anno prima era escluso dal taglio del cuneo, mentre ora potrà approfittarne. E lo stesso si può dire per chi supera i 35mila euro di entrate annue, arrivando fino a 40mila euro. Proprio qui si avrà il guadagno più alto: chi prende 40mila euro annui avrà 35 euro in più al mese, quindi circa 460 euro in più nel corso del 2025.
Il motivo per cui alcuni sono penalizzati e altri avvantaggiati è che il taglio del cuneo è cambiato. Fino all'anno scorso, il dipendente versava meno contributi previdenziali (che quindi gli restavano in busta paga) e lo Stato pagava la differenza all'Inps per evitare che ci fossero conseguenze sulle pensioni future. Da quest'anno, invece , sono in vigore due meccanismi diversi.
Innanzitutto bisogna ricordare che il nuovo taglio del cuneo non si basa solo sulle entrate da stipendio, ma sul reddito complessivo, Si calcolano, quindi, anche le rendite degli affitti di proprietà, attività da lavoro autonomo, e qualunque altro tipo di entrata, per stabilire di quanto può aumentare la busta paga.
Le cifre per redditi fino a 20mila euro
Per chi ha un reddito fino a 20mila euro, arriva direttamente un'indennità in busta paga. Questa viene calcolata come una percentuale del reddito annuo complessivo, pari a:
il 7,1% del reddito fino a 8.500 euro
il 5,3% del reddito tra 8.500 e 15mila euro
il 4,8% del reddito tra 15mila e 20mila euro
Invece per chi supera i 20mila euro di reddito complessivo ottiene uno sconto fiscale. Una detrazione Irpef di importo variabile a seconda delle proprie entrate. In particolare:
1000 euro di detrazione annua per i redditi tra 20mila e 32mila euro (per chi lavora tutto l'anno, altrimenti 2,74 euro per giorno lavorato)
un importo calante man mano che il reddito aumenta, e che sparisce del tutto per chi supera i 40mila euro di reddito.
LA SICILIA
Mattarella, torna la politica di potenza ottocentesca In contrasto con le esigenze del mondo che chiedono risposte
ROMA, 13 GEN - "E un periodo di grandi tensioni internazionali a causa dei tanti conflitti e a causa di ritorni ottocenteschi ad una politica di potenza. Sembra quasi che siamo a un ritorno a una politica di potenza che è estranea ai tempi. C'è un evidente contrasto con le esigenze del mondo che richiederebbero risposte comuni e condivise. E' davvero una singolare contraddizione". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricevendo al Quirinale i Segretari di Legazione della Farnesina.
LENTEPUBBLICA
Anche in Italia si arriverà (finalmente) al diritto di disconnessione dal lavoro?
Il diritto alla disconnessione rappresenta la libertà del lavoratore di non essere sempre reperibile, preservando il tempo personale e il riposo senza conseguenze sul rapporto di lavoro: ma qual è la situazione attuale in Italia? Siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei?
Con l'evoluzione tecnologica, il lavoro ha superato le barriere tradizionali di luogo e orario, trasformandosi in un'attività svolta "ovunque e in qualsiasi momento". Questa flessibilità, sebbene offra vantaggi nella gestione del tempo, rischia di compromettere l'equilibrio tra vita privata e professionale, rendendo i confini tra i due ambiti sempre più sfumati.
Ma qual è la situazione in Europa? L'Italia è ancora indietro?
L'esempio della Francia: un precursore
Tra i Paesi europei che hanno affrontato le sfide legate all'uso invasivo delle tecnologie sul lavoro, la Francia si distingue come pioniera nell'introduzione del diritto alla disconnessione. Questo principio è stato formalizzato nel 2016 attraverso la Loi Travail, una riforma che ha posto le basi per la regolamentazione dell'utilizzo delle tecnologie al di fuori dell'orario di lavoro.
La normativa francese si caratterizza per il suo approccio equilibrato: anziché imporre regole rigide, ha delegato alla contrattazione collettiva il compito di definire le modalità pratiche con cui i dipendenti possono esercitare questo diritto. Ogni settore e ogni azienda, in base alle proprie specificità, ha quindi l'opportunità di individuare soluzioni su misura. Questo modello garantisce una flessibilità operativa, ma al contempo tutela la qualità della vita dei lavoratori, proteggendoli da una reperibilità illimitata.
Un esempio concreto di applicazione si ritrova nei contratti aziendali e settoriali che, in seguito alla riforma, hanno stabilito fasce orarie di non reperibilità, notifiche ridotte fuori servizio e la promozione di pratiche come il "silenzio digitale". In particolare, grandi aziende francesi, tra cui colossi del settore tecnologico e bancario, hanno introdotto policy per disattivare le e-mail lavorative al di fuori dell'orario di servizio. Questo ha contribuito a ridurre il fenomeno del cosiddetto "burnout digitale" e a migliorare il bilanciamento tra vita professionale e privata.
L'approccio francese è anche emblematico per il riconoscimento dell'impatto psicologico della costante reperibilità. La normativa pone al centro il benessere del lavoratore, riconoscendo che la capacità di "staccare" dal lavoro non è solo una questione tecnica, ma un diritto fondamentale che incide sulla salute mentale, sulla produttività e sul senso di soddisfazione personale.
La situazione del diritto alla disconnessione dal lavoro in Italia: un quadro frammentato
In Italia, il diritto alla disconnessione è stato introdotto nel 2017 attraverso la legge n. 81, dedicata al lavoro agile. Tuttavia, a differenza del modello francese, il legislatore italiano ha adottato un approccio meno strutturato: il diritto alla disconnessione non è stato riconosciuto in modo esplicito e universale, lasciando che la sua applicazione fosse definita caso per caso, mediante accordi individuali tra datore di lavoro e dipendente.
Secondo l'articolo 19 della normativa, ogni accordo di lavoro agile deve specificare:
i tempi di riposo del lavoratore;
le misure organizzative e tecniche per garantire la disconnessione dalle tecnologie aziendali.
Queste disposizioni, pur rappresentando un passo avanti, hanno generato ambiguità e applicazioni non uniformi. In assenza di un quadro normativo chiaro e vincolante, molti lavoratori continuano a subire le conseguenze di una reperibilità costante, con notifiche e richieste lavorative che arrivano ben oltre l'orario stabilito.
Recenti sviluppi: verso una normativa più chiara
Nel 2021, due accordi interconfederali hanno cercato di dare maggiore concretezza al principio della disconnessione. Uno di questi riguarda il settore pubblico, mentre il Protocollo nazionale sul lavoro agile si focalizza sui lavoratori privati. Questi accordi, pur rappresentando un passo avanti, hanno un'applicazione limitata, non sempre efficace e spesso circoscritta a specifiche categorie contrattuali.
Nel tentativo di colmare il vuoto legislativo, è stata recentemente depositata una proposta di legge alla Camera, promossa dal Partito Democratico. Il testo mira a definire regole più rigide, stabilendo che:
Fuori dall'orario di lavoro e per almeno 12 ore consecutive dopo il turno, il lavoratore non debba ricevere comunicazioni aziendali, se non in casi di emergenza;
Le aziende si impegnino a rispettare questi limiti, pena sanzioni o altre conseguenze legali.
Un tentativo di estendere la tutela a tutti i lavoratori
L'ambizione di questa proposta è di natura inclusiva: non limitarsi ai soli lavoratori dipendenti, ma estendere la protezione anche a categorie spesso trascurate, come i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Questi ultimi, infatti, sono particolarmente esposti a richieste incessanti, spesso senza limiti di orario.
Per garantire tale estensione, il testo invita le associazioni professionali e gli ordini di categoria a modificare i propri codici deontologici, adeguandoli alle nuove esigenze di tutela. Questo aggiornamento, se approvato, rappresenterebbe un importante riconoscimento della necessità di proteggere la salute mentale e la qualità della vita anche dei lavoratori indipendenti.
Qui il testo della proposta di legge alla Camera.
L'impatto negativo della mancata disconnessione sul benessere dei lavoratori italiani
L'assenza di una normativa chiara e uniforme sul diritto alla disconnessione in Italia ha conseguenze significative sulla vita dei lavoratori, sia in termini di salute fisica che psicologica. La reperibilità continua, alimentata dall'uso pervasivo di e-mail, messaggi e piattaforme di collaborazione digitale, rischia di sfociare in una vera e propria "cultura della connessione permanente", con effetti deleteri a più livelli.
Stress e salute mentale
Il sovraccarico digitale derivante dalla mancanza di confini netti tra vita lavorativa e privata contribuisce ad aumentare i livelli di stress, ansia e affaticamento mentale. Studi internazionali hanno dimostrato che il burnout - un esaurimento psicofisico legato al lavoro - è strettamente correlato all'assenza di pause adeguate e alla pressione costante di rispondere a richieste aziendali. In Italia, questa condizione si manifesta soprattutto nei settori più esposti al lavoro agile, come la pubblica amministrazione, i servizi professionali e il commercio.
Calo della produttività
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la reperibilità continua non si traduce in una maggiore produttività. Anzi, l'incapacità di "staccare la spina" può portare a una riduzione dell'efficienza lavorativa, a causa della stanchezza accumulata e della difficoltà a mantenere concentrazione e creatività. I lavoratori costantemente sotto pressione tendono a commettere più errori, ad avere tempi di risposta più lenti e a sviluppare un senso di insoddisfazione che incide negativamente sulla qualità del lavoro svolto.
Impatti sulle relazioni personali
La mancata disconnessione non si limita a danneggiare il singolo lavoratore: ha ripercussioni anche sulla sua sfera privata e familiare. Le continue notifiche e richieste di lavoro durante il tempo libero riducono il tempo dedicato alla famiglia, agli amici e agli interessi personali, minando la qualità delle relazioni e alimentando sentimenti di isolamento.
Diseguaglianze sociali
Un altro effetto collaterale è rappresentato dall'ampliamento delle disuguaglianze sociali. I lavoratori con maggiore autonomia e risorse, come manager e professionisti qualificati, sono spesso in grado di negoziare tempi di disconnessione più flessibili, mentre le categorie meno tutelate - come i precari o i lavoratori a bassa qualifica - subiscono maggiormente la pressione di essere costantemente disponibili. Questo squilibrio aggrava ulteriormente le disparità già esistenti nel mondo del lavoro.
Rischio per la salute fisica
La prolungata esposizione alle tecnologie senza pause adeguate può anche avere effetti diretti sulla salute fisica. Problemi come disturbi del sonno, dolori muscoloscheletrici e affaticamento visivo sono sempre più frequenti tra i lavoratori italiani. Inoltre, il tempo eccessivo trascorso davanti agli schermi riduce le opportunità di attività fisica, contribuendo a stili di vita sedentari che possono favorire malattie croniche.
Un futuro sostenibile richiede una risposta urgente
Se l'Italia non affronta in modo tempestivo il problema della disconnessione lavorativa, le conseguenze saranno sempre più gravi e diffuse. Il benessere dei lavoratori non è solo una questione di tutela individuale, ma un investimento per il futuro del sistema produttivo e sociale del Paese. Adottare misure efficaci per garantire il diritto alla disconnessione non significa limitare la flessibilità lavorativa, ma preservare la salute e la dignità di chi lavora, creando un equilibrio sostenibile tra vita privata e professionale.