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Barbagallo: "Elezioni dirette per le province? Eterno gioco dell'oca"
Oggi, infatti, la commissione Bilancio della Camera ha dichiarato inammissibili gli emendamenti dei parlamentari siciliani
"L'eterno gioco dell'oca sull'elezione diretta per le province in Sicilia. Oggi, infatti, la commissione Bilancio della Camera ha dichiarato inammissibili gli emendamenti dei parlamentari siciliani di centrodestra al decreto 'Emergenze' con cui si chiedeva la reintroduzione dell'elezione diretta per le province in Sicilia".
Le parole di Barbagallo
Lo rivela il segretario regionale del Pd Sicilia e deputato alla Camera, Anthony Barbagallo, che sul punto aggiunge: "questo è un gioco sfiancante sulla pelle dei siciliani, una vera presa in giro. Il centrodestra continua a promettere l'elezione diretta ma poi lo stesso centrodestra a Roma, prima impugna il testo davanti la corte costituzionale e poi tramite la presidenza della commissione Bilancio alla Camera, dichiara inammissibili gli emendamenti. Nelle città metropolitane e nei liberi consorzi, infatti, a causa di questo balletto ridicolo, ogni giorno che passa si determina sempre di più una serie innumerevoli di disastri, sia dal punto di vista economico finanziario sia dal punto di vista gestionale. Ora basta, Schifani - conclude - ne prenda atto e indica immediatamente le elezioni di secondo grado".
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Fratelli d'Italia contro tutti, salta l'accordo sulle province, è scontro nel centrodestra siciliano
Adesso si rischia lo scontro diretto dentro il centrodestra siciliano. Dopo il terzo stop al percorso che porta all'elezione diretta nelle province siciliane gli alleati in Sicilia sembrano pronti alla guerra interna. Succede dopo che da Roma si è nuovamente stoppato il percorso per una deroga alla legge Delrio per la Sicilia riguardo proprio l'elezione diretta nelle ex Province.
La spartizione delle province e l'accordo che salta
E dire che fra i partiti in Sicilia l'accordo c'era già e ciascuno aveva la sua fetta: a Catania la provincia doveva essere appannaggio di un candidato della Lega (dopo che Sudano aveva fatto un passo indietro per aprire la strada a Trantino sindaco di FdI); Messina è la terra promessa di Cateno De Luca e di Sud chiama Nord, pegno per i suoi voti all'Ars e l'appoggio degli ultimi mesi a molti provvedimenti del governo Schifani (e lo sottolinea anche il fatto che uno dei quattro emendamenti alla camera era firmato proprio da Sud Chiama Nord); a Palermo Schifani voleva piazzare Marcello Caruso coordinatore di Forza Italia. In tutti e tre i casi si parla della Presidenza del Consiglio provinciale visto che nelle città metropolitane i presidenti corrispondono ai sindaci delle città capoluogo. a meno che la riforma (che l'Ars vuole fare) non cassi anche questo aspetto e porti all'elezione diretta anche il presidente. E allora cambia tutto.
FdI all'angolo, tanto vale far saltare il banco
Ad Enna puntano gli autonomisti di Lombardo, a Caltanissetta Noi Moderati di Saverio Romano, Agrigento è territorio della Dc di Cuffaro, Ragusa è contesa fra la stessa Dc e MpA. A Fratelli d'Italia restano Siracusa e Trapani ma anche lì non è proprio tutto sereno. A Trapani c'è la lega di turano che scalpita e a Siracusa la situazione politica è in totale evoluzione. Insomma Fratelli d'Italia in questa partita si sente all'angolo e dunque gioca la carta del rimandiamo tutto. Insomma i meloniani non stanno seduti comodi alle province se in caso di elezioni di secondo livello e+ne in caso di riforma ed elezione diretta. tanto vale far saltare il banco
Un passo indietro, le puntate precedenti
Facciamo un passo indietro guardando alle puntate precedenti. Il ritorno al voto diretto nelle ex province è nei programma del governo meloni come in quello del governo Schifani. Meloni, però, punta ad una riforma nel 2026 per andare al voto nel 2027 insieme alle elezioni nazionali e magari anche a quelle regionali in Sicilia e a tutti i grandi comuni possibili,. una sorta di enorme election day.ma in Sicilia non si può più aspettare. I Liberi Consorzi sono commissariati da undici anni e per due volte la Corte Costituzionale ha detto che l'ulteriore commissariamento è illegittimo. nell'isola l'attuale legge Prevede elezioni di secondo livello ovvero al voto vanno sindaci e consigli comunali e non i cittadini. una elezione che, fatta così, dilanierebbe lo schieramento al suo interno. per questo òla richiesta di una deroga nazionale per mettere in piedi una elezione diretta in Sicilia da subito ed evitare accordi trasversali molto dannosi.
Il no di Roma
Ma da Roma come da palermo i meloniani dicono di no. Lo hanno fatto in tutti i modi possibili. Una volta fermando la legge di riforma all'Ars. Una seconda volta è stato il Consiglio dei Ministri ad impugnare la leggina che aveva rinviato le elezioni di secondo livello ottenendo ragione dalla Corte Costituzionale,. Più di recente, dopo che in Sicilia una parte di FdI si era accodata alle richieste degli alleati temendo proprio di restare con il cerino in mao in caso di elezioni di secondo livello, una nuova formulazione di quel rinvio è stata, invece, impugnata di nuovo dal Consiglio dei Ministri. Eppure in elezioni di secondo livello vince chi fa alleanze ampie. I più penalizzati rischiano di essere i partit che non amano le alleanze proprio come FdI a destra (e i 5 stele a sinistra)
Gli emendamenti al milleproroghe o decreto emergenze
Così, dopo vertici e accordi, si era arrivato all'ultimo tentativo. un emendamento alla legge milleproroghe (o decreto emergenze come è stato chiamato) per giungere a quella piccola deroga. una forzatura normativa come altre se ne sono fatte in nome della politica.
In realtà non uno ma quattro diversi emendamenti in modo da offrire diverse soluzioni agli alleati: il 7,01 della Lega a firma Carrà, Sudano, Minardo; il 7.02 dei deputati di Forza Italia Calderone e Pella; il 7.03 di Francesco Gallo di Sud Chiama Nord e il 7.04 di Saverio Romano di Noi Moderati. Sarebbe bastato rendere ammissibile una delle quattro tesi per evitare il rischio frammentazione in Sicilia.
L'ultimo stop
Da Roma, però, è stato ancora una volta pronunciato un chiaro no agli alleati. I ben quattro diversi emendamenti sono stati giudicati inammissibili in Commissione. un no che porta un nome ed un cognome. E' quello di Mauro Rotelli, esponente proprio di FdI e presidente della Commissione Ambiente da cui è partito il parere negativo sull'ammissibilità dei quattro emendamenti siciliani. Al contrario la Commissione bilancio presieduta dall'azzurro Giuseppe Mangialavori aveva dato il suo assenso.
Come già avvenuto altre due volte (anche tre a ben guardare), dunque, è Fratelli d'Italia a bloccare il percorso della riforma siciliana escludendo dalla discussione tutti e quattro gli emendamenti che, puntando su aspetti diversi, tentavano di risolvere il problema dell'elezione diretta delle province in Sicilia.
L'occhio puntato all'election day
Ma la questione siciliana per FdI romana è solo una questione locale e non si intende cedere sul percorso dell'idea dell'election day generale del 2027 nel quale far confluire ogni sorta di elezione possibile per ottenere una sorta di "all in" ovvero per massimizzare l'effetto trascinamento a vantaggio proprio del partito di maggioranza relativa nazionale: FdI appunto.
Il rischio spaccatura
Da tutto questo adesso deriva, adesso, un rischio spaccature (più di una) nel centrodestra siciliano. Da una parte i partiti territoriali che avevano già fatto capire la propria intenzione di fare accordi fuori dagli schemi in caso di elezioni di secondo livello, dall'altro lato l'allarme di Cuffaro che parla di rischio frammentazione, in mezzo un probabile nuovo vertice di coalizione nel quale le nomine diventano ancora più centrali e divisive se non c'è da trattare anche sulle elezioni dirette. E adesso che la spartizione sembra definitivamente saltata, al tavolo del centrodestra bisogna trovare un'altra quadra se si vuole restare insieme.
LIVESICILIA
Barbagallo: "Elezione diretta nelle province, no dalla commissione"."Un gioco sfiancante sulla pelle dei siciliani".
PALERMO - "L'eterno gioco dell'oca sull'elezione diretta per le province in Sicilia. Oggi, infatti, la commissione Bilancio della Camera ha dichiarato inammissibili gli emendamenti dei parlamentari siciliani di centrodestra al decreto 'Emergenze' con cui si chiedeva la reintroduzione dell'elezione diretta per le province in Sicilia".
Lo rivela il segretario regionale del Pd Sicilia e deputato alla Camera, Anthony Barbagallo.
"Questo è un gioco sfiancante sulla pelle dei siciliani, una vera presa in giro. Il centrodestra continua a promettere l'elezione diretta - aggiunge - ma poi lo stesso centrodestra a Roma, prima impugna il testo davanti la corte costituzionale e poi tramite la presidenza della commissione Bilancio alla Camera, dichiara inammissibili gli emendamenti".
"Nelle Città metropolitane e nei Liberi consorzi, infatti, a causa di questo balletto ridicolo, ogni giorno che passa si determina sempre di più una serie innumerevoli di disastri, sia dal punto di vista economico-finanziario sia dal punto di vista gestionale. Ora basta, Schifani - conclude - ne prenda atto e indica immediatamente le elezioni di secondo grado".
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Primo stop all'elezione diretta delle Province in Sicilia, l'emendamento romano dichiarato inammissibile.
Primo stop per l'emendamento romano sull'elezione diretta delle Province in Sicilia. Da fonti parlamentari si apprende che la proposta modificativa presentata al "decreto emergenze" è stata dichiarata inammissibile dagli uffici legislativi della Camera per fare gli opportuni approfondimenti. Ancora ignote le motivazioni. Si potrebbe sapere di più nel pomeriggio. La partita però non è chiusa e i proponenti del testo hanno annunciato che verrà presentato ricorso interno. Sull'emendamento vengono riposte le ultime speranze del Governo regionale per evitare le elezioni di secondo livello. Tanto che, fonti della maggioranza all'Ars, parlano di un'ulteriore visita romana, nella giornata odierna, del governatore Renato Schifani.
I firmatari dell'emendamento
L'emendamento per garantire l'elezione diretta delle Province siciliane era stato presentato ufficialmente la scorsa settimana. A sottoscriverlo i deputati nazionali Anastasio Carrà, Valeria Sudano, Nino Minardo (Lega); Lorenzo Cesa (UdC); Tommaso Calderone, Roberto Pella (Forza Italia); Francesco Gallo (Sud Chiama Nord); Saverio Romano (Noi Moderati). Firme a cui si sarebbe aggiunta quella, a titolo personale, della deputata nazionale di Fratelli d'Italia Carolina Varchi.
Il contenuto del testo sulle Province
Il testo punta a modificare parte dell'articolo 7 del decreto emergenze. "Al fine di assicurare, mediante un efficace coordinamento tra i diversi livelli di governo, una migliore gestione delle emergenze presenti nella Regione Siciliana, con particolare riguardo al fenomeno della scarsità idrica - si legge nel testo - la Regione siciliana può, secondo quanto previsto dal proprio statuto di autonomia, con propria legge regionale, dettare disposizioni in materia di organizzazione, funzionamento e sistema elettorale degli enti di area vasta, anche prevedendo l'elezione diretta degli organi di vertice dei suddetti enti, senza oneri per il bilancio dello Stato".
I tempi sono stretti
Un dispositivo a cui seguono una serie di norme soppressive. Se il ricorso verrà accolto, il testo potrà proseguire l'iter sui controlli di ammissibilità, approdando così a Montecitorio. Dopodichè la parola passerà all'Ars, dove riposa il disegno di legge a prima firma del deputato regionale Ignazio Abbate. Il tempo comunque stringe. Tutto dovrà essere approvato entro e non oltre fine febbraio. Termine ultimo nel quale dovranno essere convocati i comizi elettorali per svolgere le elezioni in primavera. Senza l'ok di Roma, la sensazione è che si procederà alle elezioni di secondo livello. E con le acque agitate dei vari partiti, la competizione si annuncia piena di sorprese.
BUTTANISSIMASICILIA
Il vuoto calendario dell'Ars.
Province, dirigenza, forestali. Le cose che Sala d'Ercole vorrebbe fare in realtà non si possono fare
La riforma della dirigenza dalla porta di Sala d'Ercole non è mai passata: s'è fermata prima, su richiesta del presidente Schifani che non voleva correre il rischio di ritrovarsi l'ennesima norma confezionata ad hoc per qualche (rac)comandato; ma anche la riscrittura del disegno di legge sulle province è rimasto fuori dal dibattito, in attesa di capire se e come il parlamento nazionale concederà una deroga alla Sicilia. L'altro rinvio con cui deve fare i conti l'Assemblea regionale è la riforma dei forestali, al centro di una protesta la settimana scorsa: non s'è ha da fare (per il momento) nonostante le promesse seminate dal centrodestra in questi anni.
Anche questa, a palazzo dei Normanni, rischia di essere una settimana infruttuosa. Si comincerà, oggi, dalle comunicazioni e della discussione di un disegno di legge sulla disciplina delle strutture ricettive. Nulla che possa dare un impulso deciso alle fortune di questa regione. La Sicilia attende che i 70 deputati offrano qualcosa di concreto all'agenda della legislatura, ma la carne al fuoco - per usare una vecchia espressione del presidente Galvagno - rimane pochina. I tentativi prodotti in questi mesi dal parlamento siciliano, al netto della sessione finanziaria che ha portato in dote una manovra da quasi un miliardo (e un maxiemendamento parlamentare da 80 milioni), non hanno condotto a niente.
Sui forestali, ad esempio, il tentativo non s'è neppure fatto. Si parla di una riforma giunta allo striscione del traguardo dai tempi di Sammartino, che non è più assessore all'agricoltura da aprile 2024 (quando si dimise a seguito di un'inchiesta giudiziaria). A lui è subentrato Schifani con una gestione ad interim di qualche mese, e infine Salvatore Barbagallo, espressione 'tecnica' della Lega. Eppure non s'è mossa una foglia, tanto da indurre gli operai forestali, all'inizio della scorsa settimana, a presentarsi a Palermo per inscenare una protesta. "Da anni rivendichiamo una legge di riorganizzazione - hanno scritto in una nota i sindacati - che assicuri a tutti i siciliani la presenza stabile di specialisti della difesa ambientale al servizio del territorio. Dissesto idrogeologico, incendi, lo spopolamento delle aree interne e siccità si combattono anche così. Non a chiacchiere. Il testo normativo è pronto, ma non trova inspiegabilmente la strada per approdare in sala-giunta e, poi, all'Ars. Il presidente Schifani chiarisca cosa sta accadendo, cosa vuol fare".
A chiarirlo ci hanno pensato i due assessori competenti in materia. La prima è Giusy Savarino, con delega a Territorio e Ambiente: "Abbiamo confermato l'intenzione del governo di realizzare un'importante riforma di settore affrontando con serietà i problemi degli operai, ma anche garantendo la copertura finanziaria per un triennio. Per questo motivo abbiamo convocato i segretari generali dei sindacati per il prossimo 3 febbraio, per avere certezza della tempistica e delle risorse, con il contributo dell'assessore all'Economia, Alessandro Dagnino". Barbagallo ha aggiunto qualche frase di rito: "Non posso che riaffermare la volontà di portare a compimento questa riforma". Ma il dato di fatto è che i soldi non ci sono. Quanti ne servirebbero? Non si capisce bene: secondo alcuni una quarantina, secondo altri di più. Dagnino darà le carte.
E' a un punto fermo anche la reintroduzione del voto diretto nelle ex province, dopo che la Corte Costituzionale ha impugnato l'emendamento al ddl urbanistica con cui l'Ars ha rinviato ulteriormente le elezioni di secondo livello (già previste il 15 dicembre) e prorogato i commissari. Sarà l'ultima proroga, giurano da Fratelli d'Italia. Il nuovo disegno di legge c'è ed è fermo in commissione Affari istituzionali all'Ars: questa volta, però, nessuno oserà tirarlo fuori finché da Roma non scioglieranno l'arcano della deroga alla Legge Delrio (cioè quella che impone di celebrare le elezioni facendo votare sindaci e consiglieri comunali). Nell'emendamento presentato in commissione Bilancio e Ambiente, a Montecitorio, dalla leghista Sudano, pur di giustificare il ritorno diretto alle urne si tira in ballo una "migliore e più efficace gestione delle emergenze" siciliane, a partire dalla siccità: anche se non è chiaro il legame fra la proposta di redistribuire 300 poltrone e l'acqua carente negli invasi. Le competenze sulla rete idrica sono della Regione - che ha creato persino una cabina di regia - e tutt'al più dei consorzi di bonifica.
Ma non è il solo interrogativo che affligge l'Ars. Dopo vent'anni di profonde anomalie e varie pronunce da parte degli organi preposti (dal Tribunale del Lavoro alla Corte Suprema di Cassazione) nessun governo ha provveduto a eliminare la cosiddetta terza fascia dirigenziale (che non esiste in nessun'altra regione d'Italia). Nell'accordo Stato-Regione del 2021, quello che serviva a riscrivere i termini del rientro dal disavanzo da parte della Regione siciliana, fra i compiti a casa che il governo Musumeci avrebbe dovuto svolgere c'era una richiesta esplicita: "eliminare le distinzioni tra la prima e la seconda fascia dei dirigenti di ruolo, superare la terza fascia dirigenziale avente natura transitoria con l'inquadramento nell'istituenda unica fascia dirigenziale, agli esiti di una procedura selettiva per titoli ed esami (...) con espresso divieto a regime di inquadramenti automatici o per mezzo di concorsi riservati per l'accesso alla dirigenza". Oggi, a distanza di tempo, quella indicazione è rimasta lettera morte. Fino a qualche settimana fa, quando si è deciso di ripescarla.
Ma se la politica vorrebbe tener fede alla fascia unica, i sindacati spingono per averne due, così da garantire il transito dalla terza alla seconda (oggi svuotata) a tutti i dirigenti che negli anni - pur non potendo - hanno assunto la guida dei dipartimenti apicali. E sono davvero tanti, quasi tutti. Il risultato è un'altra stasi e la situazione è addirittura peggiorata da quando qualche furbetto ha provato ad agganciare alla proposta legislativa un emendamento per consentire la stabilizzazione all'assessorato alla Salute di alcuni dirigenti (molti medici e farmacisti) comandati da altri enti. Gli uffici della burocrazia fanno gola, ma Schifani ha stoppato il tentativo e ottenuto dall'assessore alla Funzione pubblica, Andrea Messina, di "congelare" (ma non ancora ritirare) la discussione. Un rallentamento è necessario perché la proposta della fascia unica, stando ai bene informati, sarebbe andata incontro a una infelice bocciatura dell'aula con l'ausilio del voto segreto, lo stesso che ha rotto le uova nel paniere della maggioranza la prima volta che si era parlato di province (un anno fa).
Le uniche cose che l'Ars vorrebbe fare - purtroppo per Galvagno e per i settanta deputati - non si possono fare. Non ancora. E allora, viva il collegato alla Finanziaria. Presto su questi schermi.
LENTEPUBBLICA
La tassazione italiana del TFR vale anche all'estero: il caso dei residenti in Grecia.
A stabilire il principio che la tassazione italiana del TFR vale anche in casi specifici all'estero, come per chi si è trasferito in Grecia dopo la pensione, è l'Agenzia delle Entrate.
Un pensionato che ha trasferito la propria residenza in Grecia, iscrivendosi all'AIRE, dovrà pagare in Italia la ritenuta del 30% sulle somme ricevute a titolo di TFR (trattamento di fine rapporto).
Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 12 del 28 gennaio 2025, specificando che l'imposizione fiscale di queste indennità avviene nello Stato in cui il beneficiario era residente durante l'attività lavorativa.
Normativa applicabile e doppia imposizione
Il quesito era stato posto da un contribuente che, dopo aver cessato il proprio rapporto con una banca italiana, aveva trasferito la residenza in Grecia e richiesto il trattamento fiscale agevolato riservato ai pensionati esteri. La questione centrale riguardava l'applicazione della Convenzione Italia-Grecia contro la doppia imposizione: il contribuente riteneva che, in base a tale accordo, il TFR dovesse essere tassato solo nel Paese di residenza attuale, ossia la Grecia.
Tuttavia, l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che l'indennità deve essere assoggettata alla ritenuta del 30% in Italia, conformemente all'articolo 25, comma 2, del Dpr n. 600/1973. Secondo la normativa fiscale italiana, infatti, i redditi derivanti da indennità di fine rapporto erogate da soggetti residenti in Italia a persone non residenti sono imponibili nel nostro Paese.
Prevalenza del criterio di residenza durante il rapporto di lavoro
L'Agenzia ha richiamato l'articolo 14 della Convenzione Italia-Grecia, che assegna la potestà impositiva allo Stato di residenza del percettore, salvo il caso in cui il reddito sia attribuibile a una base fissa nel Paese della fonte. Tuttavia, il criterio decisivo è stato individuato nella residenza fiscale del contribuente al momento in cui le somme sono maturate: essendo stato residente in Italia fino alla cessazione del rapporto di lavoro, il trattamento di fine rapporto rientra nella fiscalità italiana.
Le implicazioni per i contribuenti all'estero
Questa interpretazione ha implicazioni rilevanti per i pensionati italiani che si trasferiscono all'estero dopo aver lavorato in Italia. Chi riceve il TFR da un datore di lavoro italiano e ha cambiato residenza fiscale dopo la cessazione del rapporto lavorativo continuerà a essere soggetto alla ritenuta del 30% sulle somme percepite.
Il caso esaminato evidenzia la necessità di un'attenta valutazione delle norme fiscali applicabili prima di trasferirsi in un altro Paese, specialmente per chi intende beneficiare di regimi agevolati per pensionati esteri. L'Agenzia delle Entrate conferma quindi la linea interpretativa secondo cui il luogo di maturazione delle indennità prevale su quello di effettiva percezione, rafforzando il principio di tassazione nel Paese in cui è stato svolto il lavoro.