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Elezioni provinciali. Oltre cento poltrone in palio. Il rebus di un'elezione di secondo grado. Alleanze e frizioni. Nel segno di Crocetta
Alberto Paternò
Nessuno sa come si vota, anche se molti, quasi tutti, sanno di non votare. Mancano dieci giorni alla (semi) farsa delle elezioni provinciali. La prima volta, dopo dieci anni e oltre di commissariamento (a cui la Consulta ha messo un freno), per eleggere i presidenti dei sei Liberi consorzi e i nove consigli provinciali, compresi i tre delle Città metropolitane. Qui i sindaci eletti continueranno a fare i presidenti: Lagalla (Palermo), Trantino (Catania) e Basile (Messina).Ma in tutti gli enti d'area vasta, come per magia, torneranno di moda le "poltrone". Si eleggono 18 consiglieri nelle città metropolitane oltre gli 800 mila abitanti (come nel caso di Palermo e Catania); 14 a Messina, 12 ad Agrigento, Ragusa, Siracusa e Trapani, 10 a Caltanissetta ed Enna. Per un totale, compresi i sei neopresidenti, di 124 caselle da riempire. Per questo l'attesa è spasmodica. Un posto di sottogoverno non si nega a nessuno e certamente non si regala agli avversari. Potenzialmente, neanche a un alleato. E' questa l'ultima moda nel centrodestra, che si presenta spaccato quasi ovunque: l'ambizione supera le ragioni dello stare insieme (parafrasando il politichese più abusato).La Legge Delrio, in vigore dal 2014, prevede elezioni di "secondo livello" in nome della spending review. E' passata una vita, al governo c'era niente meno che Matteo Renzi, e Delrio era ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Arrivò prima di lui Rosario Crocetta, che decise per l'abolizione degli enti intermedi durante una ospitata da Giletti (al tempo su La7). Con una spolverata di populismo, l'ultimo presidente di centrosinistra finì per annientare non solo la rappresentanza istituzionale all'interno di questi organismi, ma l'idea stessa di governo del territorio. Un'incombenza che è poi ricaduta a metà fra la Regione e i comuni. Basterebbe fare un giro per le strade interne di Sicilia per capire come si siano evolute in trazzere abbandonate.Se fu un'intuizione giusta o sbagliata, sarà la storia a dirlo. Ma è per effetto della Legge Delrio, e dell'impossibilità di abrogarla in tempi brevi (nonostante le promesse di Meloni e Calderoli), che le elezioni sono specificatamente di "secondo livello". Significa che alle urne - costituite in un unico seggio per provincia - si recheranno soltanto sindaci e consiglieri comunali. L'Assemblea regionale, con un paio di iniziative abortite sul più bello (a causa dei franchi tiratori) aveva provato a invertire il trend, pur nella consapevolezza che una nuova legge, con la reintroduzione del voto diretto per i cittadini, si sarebbe scontrata sulla probabile impugnativa di palazzo Chigi e della Corte Costituzionale.Il 27 aprile, quindi, potrebbe diventare la giornata della casta (che elegge se stessa). A Palermo sono attesi al voto i sindaci di 82 comuni, con 1.299 consiglieri comunali al seguito (i dati sono snocciolati nelle linee guida della Regione). A Catania 58 sindaci e 1.058 consiglieri, a Messina addirittura 108 sindaci e 1.476 consiglieri comunali. Questo per fermarci alle Città Metropolitane. Ma è nei Liberi consorzi, le 'province più piccole', che si misura la forza delle coalizioni. Attenzione, però: non tutti i sindaci saranno in possesso della stessa scheda. Il colore dipende dalla fascia demografica di appartenenza del proprio comune: si va dal marrone di Palermo all'azzurro di Roccafiorita (emblema dei comuni sotto i 3 mila abitanti). In mezzo ci sono varie tonalità: arancione, grigio, rosso, verde, viola e giallo.Non è soltanto una questione cromatica: per legge, infatti, ogni singolo elettore esprime un diverso "indice di ponderazione". Il suo peso elettorale cambia, e c'è una griglia per singola provincia che rende plastiche le differenze. Sarà compito degli uffici elettorali moltiplicare, per ogni fascia, il numero dei voti attribuiti a ogni lista e a ogni candidato per il relativo indice di ponderazione, e in seguito sommare i voti ottenuti in tutte le fasce, così da ottenere un quadro definitivo per poter assegnare il numero di consiglieri a ciascuna lista. Non sarà un'operazione molto semplice e sarà fondamentale il calcolo dei "quozienti" (o "resti"): questa parte ve la evitiamo (anche se è quella su cui hanno puntato maggiormente le liste concorrenti per decidere le candidature).Le operazioni di voto si terranno domenica 27 aprile dalle 8 alle 22. L'elettore dovrà esprimere una sola preferenza per i consigli metropolitani e provinciali. Nei Liberi consorzi ci saranno due schede: una per il presidente (da barrare) e l'altra per il consiglio. Il voto disgiunto è ammesso e talvolta potrebbe diventare una prassi. Lo spoglio è previsto per l'indomani, alle 8. La notte si friggerà tutti insieme appassionatamente.L'unico vero momento di coesione di queste elezioni, infatti, è l'attesa. Perché l'accordo è mancato anche fra i partiti tradizionalmente alleati: solo a Trapani il centrodestra ha trovato una quadra. Altrove si è spaccato: in maniera curiosa ad Agrigento, dove l'inciucio fra Forza Italia, Mpa, Pd e Cinque Stelle è malcelato solo dal "civismo". A Ragusa la Democrazia Cristiana va da sola contro il resto della coalizione (capeggiata da FdI). A Caltanissetta, addirittura, i partiti sono spaccati al loro interno: trovi pezzi di Fratelli d'Italia a supporto del sindaco del comune capoluogo, Walter Tesauro, e altri pezzi a sostegno del sindaco di Niscemi, Massimiliano Conti. Provincia che vai, schieramenti che trovi. Ma è questa grande confusione, condita da un comprensibile appetito, ad aver distolto la politica siciliana dal suo compito più alto. Almeno fino al 27 aprile.
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Il Futuro delle Province
Si è svolto lunedì scorso, presso il Circolo Empedocle di Agrigento, il convegno dal titolo "Il Futuro delle Province: tra Centralità Istituzionale ed Inutilità", che ha visto la partecipazione di relatori di spicco e un vivace dibattito sul futuro delle province italiane e il loro ruolo nelle politiche locali.Tra gli interventi più significativi, quello di Achille Contino, dirigente pubblico, che ha commentato la riforma del 2013 e le sue conseguenze. "Con la riforma, che in teoria aveva l'obiettivo di snellire la pubblica amministrazione e risparmiare sul bilancio dello Stato, è stato provato che, in realtà, si è trattato di un boomerang. Il blocco dei servizi ha comportato un'esplosione della spesa per poi cercare di risanare i danni che erano stati fatti", ha dichiarato Contino. "Inoltre, è stato dimostrato che i servizi forniti dalle province sono più economici di quelli gestiti dalla regione o dallo Stato per la stessa attività. Pertanto, il ritorno alle province non è solo un ritorno alla dignità delle istituzioni conquistate con il Risorgimento e con l'unità d'Italia, ma anche la constatazione che le circoscrizioni provinciali sono lo spazio ideale per il dialogo sui territori e per costruire progetti di sviluppo. Questi 12 anni sono stati un chiaro esempio che il dialogo tra comuni e regione, senza l'intermediazione delle province, è stato controproducente, dannoso e contrario a qualsiasi ipotesi di sviluppo dei territori", ha aggiunto Contino."Il libero consorzio dei comuni potrà avere un ruolo centrale nel settore culturale, e questo contribuirà in modo decisivo al successo di Agrigento come Capitale della Cultura. Il Teatro dell'Efebo, ad esempio, è uno degli esempi di come possiamo sfruttare le risorse locali per fare crescere la nostra città e il suo richiamo culturale", ha dichiarato Contino.In merito alla riforma del 2013, che ha ridisegnato il sistema delle province italiane, Contino ha aggiunto: "La riforma ha comportato la perdita di numerosi servizi, creando danni significativi ai cittadini. Ora, in questa nuova fase, ci auguriamo che i servizi che ancora dipendono dall'ente provincia possano essere gestiti in modo più efficace e tempestivo".Un altro intervento importante è stato quello di Calogero Pumilia, già deputato nazionale e sottosegretario di Stato, che ha criticato la riforma delle province, definendola un errore che ha penalizzato gravemente i territori. "Aver depotenziato le province è stato un danno per il territorio. Il mio paese, e molti altri centri, hanno certamente sofferto per la mancanza di un ente intermedio così fondamentale", ha affermato Pumilia.Secondo Pumilia, la riforma, che ha portato a una semplificazione forzata delle strutture istituzionali, è stata una "brutta riforma", realizzata con l'accetta e senza considerare le peculiarità locali, con un impatto negativo soprattutto nelle zone periferiche.Il dibattito ha visto anche la partecipazione di Francesco Pira, docente di sociologia della comunicazione all'Università di Messina, e di Giancarlo Granata, già amministratore provinciale e deputato regionale, che hanno contribuito a una riflessione sul futuro delle province e sulla possibilità di rinnovare l'approccio istituzionale per adattarsi meglio alle esigenze delle comunità locali.In conclusione, il convegno ha rappresentato un'importante occasione di confronto sui temi cruciali legati alla governance locale e alle sfide che il territorio siciliano dovrà affrontare nei prossimi anni, con uno sguardo particolare al rafforzamento delle istituzioni intermedie e alla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali.
LENTEPUBBLICA
Dal 2027 stop all'aumento automatico dell'età pensionabile?di Marco De GregorioPotrebbero arrivare novità davvero interessanti se la riforma della previdenza dovesse andare effettivamente in porto: uno dei punti più "caldi" è quello del possibile stop all'aumento automatico dal 2027 dell'età pensionabile.
Il tema delle pensioni resta sul tavolo delle priorità del governo Meloni che, nei prossimi mesi, potrebbe rilanciare il confronto su una riforma previdenziale strutturata, recuperando le promesse fatte in campagna elettorale e avviando un percorso di superamento graduale della legge Fornero.
Età pensionabile, verso lo stop all'aumento automatico dal 2027
Una delle mosse più attese riguarda il blocco dell'adeguamento automatico dell'età pensionabile alle aspettative di vita. In base ai dati ISTAT, la Ragioneria di Stato ha dichiarato che l'incremento dell'aspettativa di vita per la popolazione a partire dai 65 anni, porterà a un innalzamento di 3 mesi dei requisiti anagrafici e contributivi a partire dal 2027.
Il governo, tuttavia, starebbe valutando l'ipotesi di bloccare questo aumento, stanziando risorse dedicate entro la fine del 2025.
Anche se la misura non rappresenta una vera riforma nel senso ampio del termine, il blocco dell'aumento dell'età pensionabile segnerebbe un primo passo concreto verso il superamento della legge Monti-Fornero. Il Ministro Giorgetti ha lasciato intendere che l'esecutivo è determinato a intervenire, bloccando l'adeguamento e aprendo così la strada a ulteriori correttivi. Un gesto che potrebbe anticipare una revisione più ampia del sistema, volta a rendere più equo e flessibile l'accesso alla pensione.
Verso una flessibilità strutturata: pensione a 64 anni per tutti?
Un altro fronte caldo è quello delle misure di anticipo pensionistico. Se da un lato si punta a congelare i requisiti per la pensione di vecchiaia e quella anticipata ordinaria (attualmente fissati rispettivamente a 67 anni e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne), dall'altro si torna a discutere di opzioni che favoriscano l'uscita anticipata.
Tra le proposte più concrete c'è quella di introdurre una pensione contributiva accessibile già a 64 anni, con almeno 20 anni di versamenti e un importo minimo pari a tre volte l'assegno sociale (circa 1.616 euro al mese). In quest'ottica, anche i contributi versati a forme integrative sarebbero conteggiati, offrendo così una soluzione utile anche a chi non ha carriere lunghe alle spalle.
Quota 41 per tutti: la sfida della Lega
Accanto alla flessibilità anagrafica, il dibattito politico si concentra sulla cd. Quota 41, ovvero la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica. Ad oggi, questa opzione è riservata a specifiche categorie (precoci, invalidi, caregiver, disoccupati e addetti a mansioni gravose), ma la Lega continua a spingere per estenderla a tutti i lavoratori. Un intervento che richiederebbe sicuramente coperture finanziarie significative, ma che rappresenterebbe un punto di svolta nella politica previdenziale dell'esecutivo.
Prevenire nuovi esodati: una riforma per evitare vuoti normativi
Intervenire sull'età pensionabile non è solo una questione economica, ma anche sociale. Dal 2027, il rischio concreto è la creazione di nuovi "mini-esodati", ossia lavoratori rimasti senza ammortizzatori dopo l'uscita anticipata con strumenti come Isopensione o contratti di espansione, che si ritroverebbero con un vuoto di 3 mesi prima di maturare i requisiti.
Il 2025 potrebbe dunque segnare una svolta decisiva per il sistema pensionistico italiano, con il governo pronto a bloccare l'aumento dell'età pensionabile e a promuovere uscite più flessibili. Dalla pensione a 64 anni alla Quota 41 per tutti, le nuove misure mirano a rendere l'accesso alla pensione più equo e sostenibile.
Indicazioni sulla certificazione dei costi per i servizi essenziali negli enti locali
Il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell'Interno ha diffuso una circolare con cui fornisce indicazioni operative sulla certificazione dei costi sostenuti per alcuni servizi essenziali nel 2022 da parte degli enti locali in condizioni economiche critiche.
Il documento è rivolto a Comuni, Province, Città metropolitane e Comunità montane che risultano, per l'anno in esame, in stato di deficit strutturale, dissesto finanziario o soggetti a un piano di riequilibrio pluriennale.
Obbligo di certificazione per gli enti in difficoltà finanziaria
La certificazione richiesta serve a dimostrare la capacità degli enti di coprire, almeno parzialmente, le spese relative ad alcuni servizi pubblici. I soggetti interessati sono tenuti a utilizzare modelli approvati con decreto ministeriale del 19 febbraio 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 marzo. Tali moduli devono essere compilati e trasmessi entro il 31 maggio 2025 esclusivamente tramite modalità telematica. La validità dell'invio è subordinata alla firma digitale del Segretario comunale, del Responsabile del servizio finanziario e dell'Organo di revisione dell'ente.
Sono chiamati a presentare la certificazione:
gli enti risultati strutturalmente deficitari sulla base dei dati relativi al bilancio 2020;
quelli sottoposti a monitoraggio centrale per inadempienze nella presentazione del rendiconto 2020;
i soggetti dichiarati in dissesto, secondo quanto previsto dall'articolo 244 del TUEL;
e infine gli enti coinvolti in procedure di riequilibrio pluriennale ai sensi dell'articolo 243-bis.
Cosa rientra nella certificazione e quali spese sono escluse
La circolare chiarisce anche le voci di spesa da includere nella certificazione. Le tabelle relative alla "Gestione corrente" devono riportare:
nella sezione "Acquisto di beni e servizi", le spese per consumi, prestazioni, utilizzo di beni di terzi e oneri straordinari;
mentre nella sezione "Trasferimenti, ammortamenti e interessi passivi", vanno indicate le uscite legate a trasferimenti, imposte, interessi e ammortamenti.
Un'importante precisazione riguarda i servizi relativi agli asili nido: questi, come stabilito dalla legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 173 della legge n. 234/2021), sono esclusi dalle verifiche sulla copertura dei costi dei servizi a domanda individuale.
Controlli delle Prefetture e sanzioni per gli inadempienti
Dal 3 giugno 2025, le Prefetture potranno accedere ai certificati trasmessi dagli enti tramite l'apposita banca dati della Finanza Locale. Le stesse Prefetture sono invitate a sollecitare gli enti segnalati affinché rispettino puntualmente gli obblighi previsti.
Nel caso in cui un ente non dimostri il rispetto dei livelli minimi di copertura o non trasmetta la documentazione richiesta, è prevista una sanzione pari all'1% delle entrate correnti, come risultanti dal certificato di bilancio del penultimo esercizio precedente. Le sanzioni devono essere comunicate alla Direzione Centrale per la Finanza Locale tramite posta certificata.
Un'eccezione legata al caro energia
Tenendo conto dell'emergenza legata al rincaro dei costi di energia elettrica e gas nel 2022, la legge di bilancio 2023 (art. 1, comma 781, della legge n. 197/2022) ha introdotto una deroga. Gli enti sottoposti ai controlli centrali che, a causa di tale contingenza, non siano riusciti a garantire la soglia minima di copertura per alcuni servizi, potranno beneficiare di un'esenzione dalle sanzioni, se dimostrano che il mancato rispetto è direttamente riconducibile all'eccezionale aumento dei costi energetici.
Indicazioni operative e documentazione online
Le istruzioni dettagliate per la compilazione e l'invio dei certificati sono disponibili nell'area "Finanza Locale" del sito istituzionale del Dipartimento, accessibile con le credenziali già in uso agli enti. Vengono inoltre richiamate le disposizioni precedenti, contenute nella circolare n. 20 del 29 ottobre 2020, che restano valide come riferimento operativo.
In definitiva, la certificazione rappresenta uno strumento cruciale per il monitoraggio della tenuta finanziaria degli enti locali in difficoltà, contribuendo alla trasparenza e alla corretta gestione delle risorse pubbliche in un contesto economico ancora segnato da incertezze e criticità.