GIORNALE DI SICILIA
La manovrina all'Ars, approvata grazie al patto tra Schifani e l'opposizione.
La manovra bis è stata approvata, grazie al patto fra Schifani e l'opposizione che ha permesso di votare il testo base da 50 milioni praticamente senza emendamenti.
La legge è stata approvata con 44 voti a favore e 19 astenuti. In pratica il sostegno è arrivato da Forza Italia, Fratelli d'Italia, Dc, Grande Sicilia, Lega, Noi Moderati e Sud chiama Nord. I 5 Stelle, come annunciato dal capogruppo Antonio De Luca, si sono astenuti. Anche il Pd si è astenuto e, con il capogruppo Michele Catanzaro, ha parlato di «opposizione responsabile» ricordando che «tanti altri temi hanno bisogno di essere affrontati con urgenza». Parole che lasciano intendere che la vera battaglia sarà a luglio, quando arriverà all'Ars la terza manovra del 2025.
La manovra contiene soprattutto i fondi per contrastare la povertà e per aumentare i budget dei laboratori di analisi (di cui leggete a parte). Via libera anche alle somme che aiuteranno gli aeroporti minori, messi in condizione di abbassare una tassa molto invisa soprattutto a Ryanair.
Fra le ultime norme approvate, quella che finanza delle borse di studio in professioni sanitarie intitolate a Sara Campanella, la studentessa di Misilmeri vittima di femminicidio a Messina.
«Approvata oggi in Aula la manovra sulle variazioni di bilancio che prevede un pacchetto di misure finanziarie a supporto delle imprese siciliane, il cui fine è quello di rafforzare la competitività non solo in ambito nazionale ma anche internazionale - ha commentato il deputato in quota Lega Vincenzo Figuccia -. Inoltre, nello specifico, sono previsti investimenti specifici per i settori strategici, con particolare attenzione alla sanità, all'export, all'emergenza idrica e alla realizzazione di infrastrutture necessarie per la chiusura del ciclo dei rifiuti. Di assoluta importanza e di notevole impatto sociale è ciò che prevede l'articolo 1 che si rivolge alle fasce più deboli per i quali sono previste tre linee di intervento in favore di nuclei o persone in condizioni di povertà.
Ringrazio il governo e il presidente Schifani per aver proposto una variazione di bilancio che disciplina lo stanziamento di circa 50 mln di euro e che rappresenta un sostegno concreto per la Sicilia e per i siciliani dimostrando, sempre di più, che il percorso intrapreso è quello giusto finalizzato al rilancio, in tutti i settori, della nostra regione».
GIORNALE DI SICILIA
Sondaggio di Swg sui governatori, il presidente Schifani è all'ultimo posto.
Luca Zaia, presidente del Veneto, è il governatore italiano più gradito, seguito da Massimiliano Fedriga del Friuli-Venezia Giulia. È quanto emerge da un sondaggio di Swg. I due leghisti, seguiti dalla new entry dell'Umbria Stefania Proietti, confermano tra marzo e maggio 2025 i risultati del 2024: alla domanda su quanto ritenga efficace l'operato di Zaia, ha risposto «molto» o «abbastanza» il 70% degli intervistati; per Fedriga la percentuale è stata del 64%. Terza è Proietti, prima governatrice del centrosinistra di questa classifica, con il 53%.
Al quarto posto troviamo il forzista Roberto Occhiuto (Calabria) al 52% ma in sensibile crescita (+6%) rispetto al 2024. Quinto è Vincenzo De Luca, governatore Pd della Campania che sebbene ottenga lo stesso risultato di Occhiuto, 52%, è in calo di 4 punti rispetto allo scorso anno. Tra i primi cinque governatori, dunque, ce ne sono tre - Zaia, De Luca e Fedriga - che sono già al secondo mandato e che quindi, a regole vigenti, non potranno ricandidarsi.
Proseguendo la graduatoria, al sesto posto c'è Eugenio Giani (Pd, Toscana), col 47% (+6% rispetto al 2024). Il neo-eletto Michele de Pascale (Pd, Emilia-Romagna) ottiene il 45%; segue Alberto Cirio (FI, Piemonte) con il 42% (-3%). Vito Bardi (FI, Basilicata) è al 39% (-4%) come Marco Bucci (centrodestra, Liguria) al 39%. Al 37% Alessandra Todde (M5s, Sardegna) e Francesco Acquaroli (FdI, Marche) che però sale di un punto. Attilio Fontana (Lega, Lombardia) è più in basso (35%, -3%).
Stesso valore per Michele Emiliano (Pd, Puglia) che però registra un calo del 4%. Il terzetto di coda: stabile Marco Marsilio (FdI, Abruzzo) al 35%, penultimo Francesco Rocca (FdI, Lazio) al 31% ma in crescita del 2%. Ultimo, a distanza, Renato Schifani: il governatore FI della Sicilia è al 25%, in calo del 2%.
SCRIVOLIBERO
Agrigento, tutto pronto per le celebrazioni del 211° Annuale della Fondazione dell'Arma dei Carabinieri
Domani, 5 giugno, alle ore 19.00, presso il Tempio dei Dioscuri all'interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi, si terrà la solenne cerimonia per celebrare il 211° Annuale di Fondazione dell'Arma dei Carabinieri.
Alla cerimonia parteciperanno le Autorità civili, militari e religiose della provincia, rappresentanze delle Associazioni Sindacali, dell'Associazione Nazionale Carabinieri, i Gonfaloni della Città di Agrigento e del Libero Consorzio Comunale e i Sindaci dei Comuni agrigentini.
L'evento rappresenta un momento solenne per rinnovare i valori di legalità, giustizia e vicinanza al cittadino, che da sempre contraddistinguono l'Istituzione.
LENTEPUBBLICA
Il certificato di malattia in ritardo fa scattare il licenziamento.
Un semplice ritardo, anche di un giorno, nell'invio del certificato medico può costare il posto di lavoro: lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 13747 depositata il 22 maggio 2025.
Si accendono così i riflettori su un obbligo spesso sottovalutato ma fondamentale per i rapporti tra datore di lavoro e dipendente: la tempestiva comunicazione dello stato di malattia.
La controversia è nata da un episodio apparentemente banale ma con conseguenze gravi. Una lavoratrice, colpita da un malessere improvviso, si era assentata dal lavoro per cinque giorni consecutivi. Tuttavia, anziché avvisare tempestivamente il datore di lavoro e inviare il certificato medico come previsto dalle norme contrattuali, aveva comunicato l'assenza con diversi giorni di ritardo. Il certificato, infatti, era stato inoltrato solo a distanza di tempo dall'inizio dell'infermità, senza alcuna spiegazione convincente sulle ragioni di quel ritardo.
L'ente, venuto a conoscenza della prolungata assenza solo successivamente, ha interpretato quel comportamento come un venir meno degli obblighi minimi di lealtà e collaborazione. Di fronte a quella che ha ritenuto una mancanza ingiustificata e potenzialmente lesiva dell'organizzazione interna, ha scelto la linea dura: il licenziamento per giusta causa, motivato dalla perdita di fiducia nel rapporto professionale.
La dipendente, però, si è opposta fin da subito alla decisione, ritenendo sproporzionata la reazione del datore di lavoro rispetto all'accaduto. A suo avviso, si trattava di un errore umano, una dimenticanza occasionale che non avrebbe dovuto portare alla sanzione estrema del licenziamento. Ha quindi intrapreso un'azione legale, puntando a dimostrare che la sua condotta non era sufficientemente grave da giustificare la cessazione immediata del contratto.
Il certificato di malattia in ritardo fa scattare il licenziamento: il parere della Cassazione
La Suprema Corte ha confermato senza esitazioni la legittimità del licenziamento, ribadendo un principio tanto semplice quanto inderogabile: il lavoratore, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato, è tenuto a comunicare tempestivamente l'assenza per motivi di salute, salvo che non sussistano impedimenti oggettivi e documentabili. Il termine di riferimento è di un giorno dall'inizio dell'assenza, come stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Secondo i giudici di legittimità, non si tratta di un dettaglio procedurale, ma di un obbligo sostanziale che incide direttamente sulla tenuta del rapporto di lavoro. Le norme contrattuali - ha spiegato la Cassazione - parlano chiaro e non ammettono letture estensive: il mancato rispetto delle tempistiche nella trasmissione del certificato medico configura una violazione rilevante, capace di minare in modo irreversibile il rapporto fiduciario tra dipendente e amministrazione.
Nel caso specifico, la lavoratrice non aveva fornito spiegazioni sufficienti né giustificazioni concrete per il ritardo, limitandosi a definire l'accaduto come una semplice dimenticanza. Ma per la Corte, un simile comportamento è incompatibile con i doveri del pubblico dipendente, che è chiamato ad agire con particolare attenzione e correttezza proprio in virtù della funzione pubblica che esercita.
Lo sostiene anche il Codice Civile
Il riferimento al Codice Civile è stato altrettanto netto: l'articolo 2104, che sancisce l'obbligo di diligenza del lavoratore, impone una condotta scrupolosa nell'adempimento dei propri compiti. Nell'ambito del pubblico impiego, ciò si traduce anche nel rispetto rigoroso delle procedure previste per le assenze per malattia. L'invio tempestivo del certificato sanitario, quindi, non è una mera formalità burocratica, ma una componente essenziale del rapporto lavorativo, funzionale a garantire trasparenza, correttezza e continuità nei servizi offerti alla collettività.
La pronuncia si inserisce così nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta alla responsabilità individuale nel pubblico impiego, dove la fiducia tra amministrazione e dipendente è considerata un bene da tutelare con rigore, anche a costo di ricorrere alla sanzione più drastica.
Una decisione formalmente corretta, ma che divide
Da un punto di vista strettamente giuridico, il procedimento seguito appare legittimo: il datore di lavoro, di fronte a una violazione degli obblighi contrattuali, può contestare l'inadempimento e - nei casi più gravi - arrivare alla risoluzione del rapporto. I CCNL del comparto pubblico, prevedono espressamente che il lavoratore debba comunicare l'assenza entro un giorno dall'inizio.
Ad esempio, l'articolo 12 del CCNL del comparto Funzioni Centrali stabilisce:
"L'assenza per malattia, salvo comprovato impedimento, deve essere comunicata all'ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione dell'assenza."
Il mancato rispetto di tale termine, se non giustificato da impedimenti reali, può configurare una condotta sanzionabile, anche con il licenziamento.
Tuttavia, sul piano dell'equità e della proporzionalità, la questione è tutt'altro che pacifica. Molti giuristi sollevano perplessità sulla rigidità con cui vengono applicate queste norme, soprattutto quando mancano precedenti disciplinari e la condotta incriminata sembra derivare più da una dimenticanza che da una reale volontà di danneggiare l'ente.
Il principio di proporzionalità sotto pressione
Il diritto del lavoro, specie nel settore pubblico, si fonda sul principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione. Secondo alcuni esperti, è discutibile che un semplice ritardo - in assenza di dolo o recidiva - possa giustificare una sanzione così estrema come il licenziamento per giusta causa. La Cassazione, però, ha ritenuto che in quel caso la fiducia fosse compromessa al punto da non lasciare alternative.
Secondo il giuslavorista Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro all'Università La Sapienza, "la sentenza si muove dentro un quadro normativo ben definito, ma forse sottovaluta l'importanza del contesto. È legittimo sanzionare l'inosservanza, ma prima di arrivare al licenziamento si dovrebbe valutare l'effettiva incidenza del comportamento sull'organizzazione lavorativa."L'importanza della casistica
Altri giuristi sottolineano che la giurisprudenza tende a valutare caso per caso. In passato, la stessa Corte ha ritenuto sproporzionato il licenziamento per ritardi simili, specie in presenza di condizioni personali o di salute gravi, oppure quando il lavoratore aveva comunque informato informalmente l'ufficio. Nel caso specifico, però, pare che non vi siano stati segnali o comunicazioni tempestive e che la documentazione sia arrivata solo dopo diversi giorni e senza alcuna spiegazione.
Tra diritto e buonsenso
In definitiva, la sentenza è giuridicamente ineccepibile ma umanamente controversa. Mette in luce quanto sia sottile il confine tra una mancanza formale e una rottura insanabile del rapporto di fiducia. E solleva una domanda più ampia: le regole devono sempre essere applicate alla lettera, o è doveroso valutare anche le circostanze individuali?
Il mondo giuridico resta diviso. Ma per i dipendenti pubblici - dopo questa sentenza - il messaggio è chiaro: sottovalutare una scadenza, anche solo di un giorno, può costare carissimo.
entilocali&edilizia.it
Zangrillo: «Stipendi Pa, aumenti al 9% da sbloccare dopo giugno»Il ministro per la Pa: «Sui contratti no a una stasi infinita.
Aspettiamo i referendum, poi bisogna agire o soldi in busta solo nel 2026»
Prima si è aspettato il rinnovo delle Rsu del pubblico impiego con le elezioni di aprile. Ora il quadro si ferma fino ai referendum su lavoro e cittadinanza dell'8 e 9 giugno per non alzare ancora la temperatura dello scontro politico-sindacale. «Ma l'attesa non può essere infinita - avverte Paolo Zangrillo -, dopo le urne di giugno porterò la questione in consiglio dei ministri per valutare un'erogazione unilaterale». Cioè, in pratica, aumenti in busta paga dati ai dipendenti pubblici direttamente dal Governo, utilizzando i fondi a disposizione ma senza passare dai contratti.Il ministro per la Pa è arrivato ieri a Trento reduce dall'ultimo capitolo, il più acceso fin qui, della polemica con Cgil e Uil sul loro «no» alle intese sui rinnovi nel pubblico impiego. Ad accenderla è stata la riunione di giovedì all'Aran sul contratto 2022/24: «Cgil e Uil fanno politica sulla pelle dei lavoratori», aveva detto Zangrillo con una dichiarazione che le due sigle interessate hanno voluto «rispedire al mittente» giudicandola irrispettosa.A Trento Zangrillo ha tenuto il punto, ricordando «i rinnovi al 3,4% firmati nel 2016 con un Governo di centrosinistra anche se l'inflazione maturata nel periodo era molto maggiore» e sostenendo quindi che «la posizione assunta oggi da Cgil e Uil non è spiegabile solo in termini negoziali»: oggi gli aumenti contrattuali sul tavolo sono del 6% ma nei calcoli governativi «con lo sblocco dei fondi accessori si arriva intorno al 9%».Al di là del botta e risposta, è però un doppio ordine di ragioni ad alimentare l'urgenza su cui il titolare di Palazzo Vidoni ha cominciato a insistere con intensità crescente, in un quadro che vede sanità, enti locali e istruzione ferme al 2022/24 mentre nel bilancio pubblico ci sono le risorse per le due tornate successive.Il primo è di ordine immediatamente pratico. «Tra la firma dell'intesa e l'entrata in vigore dei contratti - spiega Zangrillo - passano circa quattro mesi per le verifiche da parte di Ragioneria generale e Corte dei conti, per cui se non sblocchiamo il quadro entro l'estate gli aumenti potranno arrivare solo nel 2026». Ma nemmeno troppo sullo sfondo resta uno snodo più sistemico, che alla platea trentina il ministro squaderna con trasparenza: «Dall'Irpef sul ceto medio alle pensioni - ragiona - il Governo ha molte urgenze, e non troverei sorprendente che dopo aver dedicato al pubblico impiego 20 dei 54 miliardi delle ultime due manovre a un certo punto il ministro dell'Economia mi chiedesse: ma quei soldi li usate?». Il rischio, insomma, è di trasformare risorse oggi disponibili in futuribili «pagherò», per il dirottamento dei fondi verso altre misure in cambio della promessa di compensazioni successive.Su un terreno puramente politico, la possibilità di azionare in prima persona la leva degli aumenti può essere attraente per le sue ricadute di consenso personale. Ma sul punto Zangrillo è netto: «L'erogazione unilaterale resta l'extrema ratio, perché farebbe saltare tutte le nuove regole contrattuali che sono cruciali».
Dai capitoli ordinamentali dei contratti passa del resto una fetta importante della trasformazione della Pa che il Governo prova a perseguire anche con il Ddl sul merito, quello che disegna percorsi di carriera alternativi alla via principale del concorso pubblico. Dopo l'esame in consiglio dei ministri a metà marzo, la riforma è uscita dai radar del dibattito pubblico per entrare nel negoziato con le Regioni. «È stato un confronto con osservazioni costruttive - spiega Zangrillo -, e ora siamo pronti a portare il testo in Parlamento».