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Stipendi dipendenti pubblici: nuovi fondi per colmare il divario retributivo
Più equità tra le amministrazioni e maggiori risorse per i contratti integrativi: il Governo interviene sul fronte degli stipendi dei dipendenti pubblici con nuovi fondi per arginare il divario retributivo.Maggiori risorse per le retribuzioni nel pubblico impiego con uno stanziamento da 190 milioni di euro, formalizzate tramite il decreto del Presidente del Consiglio pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 giugno.L'iniziativa ha un obiettivo chiaro: ridurre le disparità retributive all'interno della Pubblica Amministrazione, rafforzando le componenti accessorie della busta paga per i lavoratori ministeriali meno remunerati rispetto ai colleghi delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici.
Stipendi dipendenti pubblici: nuovi fondi per colmare il divario retributivo
Si tratta di un'iniziativa che può far parte di un disegno più ampio e rappresentare un precedente per colmare il divario anche con altre amministrazioni come quelle locali.Secondo quanto stabilito dal decreto, i fondi verranno distribuiti tra i ministeri con i livelli più bassi di salario accessorio, in modo da allinearli progressivamente agli standard medi delle agenzie fiscali, dove gli importi annui sfiorano i 6.724 euro (circa 560 euro mensili).
A chi andranno i fondi?
Vari sono le amministrazioni che beneficeranno degli incrementi. Di seguito, l'elenco dei beneficiari e dei relativi importi:Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale: 3.812.000;Ministero dell'interno: 14.125.000;Ministero della giustizia: 43.749.000;Ministero della difesa: 19.532.000;Ministero dell'economia e delle finanze: 11.513.000;Ministero delle imprese e del made in Italy: 2.238.000;Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste: 1.569.000;Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica: 851.000;Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: 6.381.000;Ministero del lavoro e delle politiche sociali: 2.001.000;Ministero dell'istruzione e del merito: 1.778.000;Ministero dell'università e della ricerca: 32.000;Ministero della cultura: 15.481.000;Ministero della salute: 1.964.000;Ministero del turismo: 250.000;Presidenza del Consiglio dei ministri: 2.800.000.Quanto aumenteranno le buste paga?Il piano predisposto dal Ministero per la Pubblica Amministrazione, guidato da Paolo Zangrillo, prevede un incremento medio del 3,15% sulla retribuzione complessiva, che si aggiunge all'aumento del 6% già fissato con il rinnovo contrattuale 2022-2024.Gli importi esatti saranno definiti mediante apposita contrattazione sindacale e dovranno essere ufficializzati con un nuovo decreto interministeriale, da emanarsi in concerto con il Ministero dell'Economia.
Le stime: ecco chi guadagnerà di più.
Sulla base delle simulazioni fornite dalla Ragioneria Generale dello Stato, l'impatto degli aumenti varierà in funzione dell'amministrazione di appartenenza. Gli incrementi previsti su base mensile (12 mensilità) sono:Giustizia: fino a 480 euro;Infrastrutture e Trasporti: 465 euro;Interno: 401 euro;Ambiente: 310 euro;Lavoro: 283 euro;Affari Esteri: 240 euro;Difesa: 244 euro;Università e Ricerca: 176 euro;Istruzione e Merito: 169 euro;Made in Italy: 83 euro;Cultura: 78 euro.Restano invece esclusi dagli aumenti i lavoratori dei Ministeri del Turismo e dell'Economia, i cui trattamenti accessori superano già la soglia media presa a riferimento.
La Cassazione tutela i dipendenti pubblici: il part-time non si cambia senza accordo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per la tutela dei dipendenti pubblici che hanno dei rapporti di lavoro part-time.
Si tratta di una decisione in particolare rivolta a quelli transitati in un nuovo ente locale: la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time o viceversa, inclusa la variazione delle ore lavorative, non può avvenire per decisione unilaterale del datore di lavoro. È sempre necessario il consenso esplicito del lavoratore.La decisione della Suprema Corte si inserisce in un contenzioso che ha visto coinvolto un ente locale e il suo personale, trasferito da un'altra amministrazione.
L'ente sosteneva di poter applicare le proprie regole interne in merito al regime di lavoro a tempo parziale, anche imponendo ai nuovi dipendenti una nuova domanda per l'applicazione del part-time o modificando unilateralmente l'orario. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che le normative interne dell'ente non possono prevalere sulle disposizioni di legge che regolano il rapporto di lavoro a tempo parziale.
Il cuore della questione: la libertà di scelta del lavoratore
La Corte ha richiamato in particolare il Decreto Legislativo n. 81/2015, specificamente l'articolo 8. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile due punti cruciali:
Nessun licenziamento per rifiuto del part-time: Il rifiuto di un dipendente di passare da un contratto a tempo pieno a part-time, o viceversa, non può mai essere considerato un motivo valido per il licenziamento. Questo significa che il lavoratore ha il diritto di mantenere il proprio orario, senza subire ritorsioni o provvedimenti disciplinari.
Accordo scritto obbligatorio: Qualsiasi modifica dell'orario, che sia una riduzione a part-time o un aumento delle ore, deve essere formalizzata tramite un accordo scritto tra le parti, ovvero tra il datore di lavoro e il dipendente. Questa previsione, già consolidata nella giurisprudenza italiana, mira a proteggere la stabilità del rapporto di lavoro e la libera scelta del lavoratore. Solo il rientro dal part-time al tempo pieno può avvenire unilateralmente da parte del lavoratore.
Le argomentazioni dell'ente e la loro infondatezza
L'ente ricorrente aveva basato il proprio ricorso su diverse motivazioni. Aveva lamentato che l'estensione degli effetti dell'articolo 2112 del Codice Civile (che disciplina il trasferimento d'azienda e la conservazione dei diritti dei lavoratori) non si applicasse alla successiva gestione del rapporto di lavoro, sostenendo di avere piena autonomia regolamentare per disciplinare l'orario part-time. Inoltre, riteneva che la Corte d'Appello non avesse tenuto conto delle leggi e dei contratti collettivi che, a suo dire, avrebbero permesso al regolamento interno di prevalere.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto tutte queste argomentazioni. Ha evidenziato che la normativa che ha disciplinato il trasferimento del personale agli enti territoriali prevede esplicitamente la conservazione del trattamento in godimento al momento del passaggio. In altre parole, il contratto di lavoro così come costituito, inclusivo dell'orario di lavoro a tempo parziale, si trasferisce intatto al nuovo datore di lavoro.
Un segnale chiaro per la PA: la Cassazione tutela i dipendenti pubblici in part-time
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro a tutte le amministrazioni pubbliche: la flessibilità organizzativa non può andare a discapito dei diritti fondamentali dei lavoratori. La trasformazione del regime orario, come il passaggio al part-time o l'aumento delle ore, non può essere imposta, ma richiede sempre un atto di volontà e consenso da parte del dipendente.
Questa decisione rafforza la tutela del personale transitato tra enti e sottolinea l'importanza di rispettare le disposizioni di legge in materia di orario di lavoro, privilegiando la libertà di scelta del lavoratore e la necessità di un accordo scritto per qualsiasi modifica sostanziale del rapporto.
Turismo in Sicilia. Nuove regole, b&b a rischio: la Regione rivede il decreto
Sarà corretto il testo che riscrive le norme per tenere in attività strutture ricettive.
Protestano numerosi gestori, ma le strutture già esistenti alla fine verranno salvate
Alla fine di una giornata lunghissima all'Ars, l'assessore al Turismo, Elvira Amata, ammetterà che il decreto che riscrive le regole per aprire qualsiasi struttura ricettiva andrà corretto prima della pubblicazione. Evitando così una rivolta che già montava fra i titolari di B&b e case vacanze.
Con questo impegno il provvedimento che attua la riforma varata a inizio d'anno ha avuto il via libera della commissione Lavoro.
Il nodo erano i requisiti che ogni struttura deve avere per ottenere o continuare ad avere la possibilità di accogliere turisti. La rivolta è scattata sull'obbligo per tutti, anche per chi già opera sul mercato, di avere locali adeguati all'accoglienza dei disabili: dunque bagni dedicati, ascensori e porte abbastanza ampi per le carrozzine.
Secondo le associazioni di settore è impensabile che in palazzi antichi si possa adeguare le strutture ricettive a questi requisiti in tempi brevi (il decreto indicava il termine di un anno). In più B&b e case vacanze, vecchie e nuove, avrebbero dovuto presentare una copia del regolamento condominiale che accetta la loro presenza.Restano confermati tutti gli altri requisiti per ottenere nuove licenze. E si tratta di una trentina di pagine fitte di obblighi che valgono sia per grandi strutture che per i B&b.