Insediati questa mattina i tre componenti del Collegio Revisori dei Conti dell'Ente per i triennio 2025/2028. Ignazio Riscili il Presidente
Questa mattina, si e' insediato, presso l'ufficio di Presidenza del Libero Consorzio Comunale, il nuovo collegio dei revisori dei Conti dell'Ente. Sono tre professionisti scelti attraverso un' estrazione con procedura informatica avvenuta il giorno 03 settembre durante lo svolgimento del Consiglio del Libero Consorzio comunale. L'incontro si e' svolto alla presenza del Presidente Giuseppe Pendolino, del Segretario Generale Alessandra La Spina, della Dirigente Maria Antonietta Testone e del Dirigente del Settore Bilancio e programmazione Fabrizio Caruana. I tre professionisti sorteggiati sono Chiello Giovanni, Riscili Ignazio e Cannarella Sebastiano, dalla verifica compiuta dei requisiti posseduti il Collegio sarà presieduto dal dott. Ignazio Riscili. Rimarrano in carica fino al 2028 come stabilito dalle norme vigenti.
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L'86% delle tasse resta a Roma: i dati CGIA e il nodo dell'autonomia differenziata.
Il nuovo rapporto dell'Ufficio studi della CGIA di Mestre offre una fotografia chiara - con dati per certi versi impietosi - della distribuzione delle tasse e del gettito fiscale in Italia.Nel 2023, i cittadini e le imprese hanno versato nelle casse pubbliche complessivamente 613,1 miliardi di euro. Una cifra imponente che, tuttavia, non si traduce in una distribuzione equilibrata tra i diversi livelli di governo.Lo Stato centrale trattiene quasi tutte le entrateA trattenere la quasi totalità delle entrate è lo Stato centrale, che ha incassato ben 529,4 miliardi, pari a circa l'86% del totale. Alle Regioni, alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali resta invece poco più di un decimo: 83,7 miliardi, cioè il 14% complessivo.Il confronto con i dati sulla spesa pubblica rende ancora più evidente questa asimmetria. Sempre nel 2023, al netto delle pensioni e degli interessi sul debito, la spesa complessiva dello Stato ha raggiunto i 644 miliardi di euro. Di questi, poco più della metà - circa 362 miliardi, il 56% - sono stati gestiti direttamente da Roma. Il resto, 281 miliardi, pari al 44%, è stato invece sostenuto da Regioni ed enti locali.Lo squilibrio a danno degli enti localiSebbene, dunque, lo Stato raccolga la maggior parte delle tasse, non è l'unico responsabile nell'erogazione dei servizi ai cittadini, che in larga misura ricadono proprio sulle più svantaggiate amministrazioni territoriali.Un esempio aiuta a comprendere la portata di questa sperequazione.Nel 2023, gli enti locali hanno incassato direttamente 83,7 miliardi di euro, ma hanno dovuto farsi carico di 281 miliardi di spesa. Significa che per ogni euro riscosso direttamente, Regioni e Comuni ne spendono oltre tre. La differenza, pari a quasi 200 miliardi, è coperta da trasferimenti di fondi da parte dello Stato centrale. Trasferimenti, però, che non sempre sono sicuri e che spesso sono vincolati. Ciò condiziona pesantemente la capacità di programmazione degli enti territoriali.L'analisi delle entrate nel particolareLo squilibrio diventa ancora più evidente se analizziamo nel dettaglio le entrate.Lo Stato trattiene le tasse più importanti: IRPEF (oltre 208 miliardi), IVA (quasi 140 miliardi) e IRES (circa 50 miliardi), senza contare accise su carburanti, imposte sui tabacchi, tasse di registro e altre voci minori.Le Regioni, invece, possono contare quasi esclusivamente sull'IRAP (28,9 miliardi), sull'addizionale regionale IRPEF (13,5 miliardi) e sulla tassa automobilistica (6,6 miliardi). I Comuni, dal canto loro, si sostengono soprattutto con l'IMU (18,6 miliardi) e con l'addizionale comunale IRPEF (5,7 miliardi), mentre le Province hanno margini residuali, come l'imposta RC Auto (2,1 miliardi).Non sorprende, dunque, che il report sottolinei come Regioni e Comuni dipendano quasi totalmente dai trasferimenti statali per finanziare servizi fondamentali come sanità, trasporti, edilizia abitativa o assistenza sociale. In molti casi, osserva la CGIA, l'erogazione di alcuni servizi è stata attribuita alla competenza degli enti locali. I cittadini, quindi, si trovano spesso a dover sostenere un doppio onere: prima il pagamento delle imposte statali e poi quello di ticket o addizionali locali.Divergenze enormi tra gettito fiscale e spesaQuesto squilibrio tra gettito fiscale e spesa è uno dei motori che alimenta il dibattito sull'autonomia differenziata. Il dossier ricorda che Veneto e Lombardia, le due regioni che più spingono per la riforma, già nel 2017 avevano consultato i propri cittadini con un referendum. Secondo i dati della Banca d'Italia riportati dalla CGIA, nel 2019 ogni abitante della Lombardia ha versato allo Stato circa 5.090 euro in più di quanto ricevuto sotto forma di spesa pubblica; per il Veneto il saldo negativo è stato di 2.680 euro pro capite. Tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria, hanno registrato residui negativi.Al contrario, nel Mezzogiorno la situazione è rovesciata: i cittadini ricevono più di quanto versano. Sempre nel 2019, la Calabria ha beneficiato di un saldo positivo di +3.085 euro pro capite, la Sicilia di +2.989, la Puglia di +2.440. Non si tratta di un'anomalia, precisa la CGIA, ma della conseguenza diretta di un reddito medio più basso e quindi di un gettito fiscale minore, compensato dai trasferimenti pubblici.La questione politicaIl rapporto della CGIA pone una questione politica di fondo: finché l'86% delle tasse resterà concentrato nelle mani dello Stato, le autonomie locali continueranno a dipendere da Roma per sopravvivere. La riforma dell'autonomia differenziata può rappresentare un'occasione di riequilibrio, ma solo se accompagnata da strumenti di perequazione trasparenti ed efficaci. Altrimenti, il rischio è quello di trasformare un Paese già diviso in un quadro ancora più frammentato, con cittadini di serie A e di serie B a seconda del territorio in cui vivono.
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Leadership autentica: perché uscire dalla comfort zone è il primo dovere di un leader nella Pubblica Amministrazione.
Il paradosso del dirigente pubblico: quando la sicurezza diventa il rischio maggioreÈ lunedì mattina, ore 8:30. Il dirigente entra nel suo ufficio, accende il computer, apre la stessa cartella di sempre, controlla le email con la stessa routine. Fuori dalla finestra, la città si sveglia con nuove sfide, nuove aspettative, nuovi problemi che richiedono soluzioni innovative. Dentro l'ufficio, però, il tempo sembra essersi fermato al 2010.Questa scena è più comune di quanto si possa immaginare nelle pubbliche amministrazioni. Non perché i dirigenti siano incompetenti o disinteressati, ma perché molti hanno costruito intorno a sé un ecosistema di certezze che li protegge dall'incertezza del cambiamento. Hanno trasformato la prevedibilità in una strategia di sopravvivenza professionale.Il paradosso è che questa apparente sicurezza è diventata il rischio più grande per loro stessi, per i loro team e per i cittadini che dovrebbero servire. Nella pubblica amministrazione, più che altrove, la comfort zone non è un rifugio: è una trappola dorata che si stringe lentamente intorno alle possibilità di fare davvero la differenza, di fare innovazione.Che cos'è davvero la Comfort Zone per un leader pubblicoLa comfort zone di un dirigente pubblico si manifesta in modi specifici e spesso sottili:Le routine consolidate diventano scudi protettivi contro l'incertezza del cambiamento. "Abbiamo sempre fatto così" diventa il mantra che blocca ogni possibilità di miglioramento. Queste routine, nate spesso da buone intenzioni ed esperienze passate, si trasformano gradualmente in gabbie che limitano la visione strategica.L'evitare le decisioni difficili rappresenta un altro aspetto cruciale. Rimandare le scelte complesse, delegare verso l'alto ogni responsabilità, cercare sempre il consenso unanime prima di agire: sono tutti comportamenti che offrono l'illusione della sicurezza ma paralizzano l'azione amministrativa.
La resistenza all'innovazione tecnologica è forse l'esempio più evidente. Molti dirigenti pubblici si sentono sopraffatti dalle nuove tecnologie e preferiscono mantenersi sui sistemi obsoleti piuttosto che investire tempo ed energia nell'apprendimento di nuovi strumenti che potrebbero rivoluzionare l'efficienza dei servizi. E' il caso dell'intelligenza artificiale.Perché uscire dalla Comfort Zone non è opzionaleIl Mandato Etico del Servizio PubblicoChi assume ruoli di leadership nella pubblica amministrazione accetta implicitamente un contratto sociale: utilizzare le risorse pubbliche nel modo più efficace possibile per il bene comune. Questo mandato etico rende l'uscita dalla comfort zone non solo auspicabile, ma moralmente necessaria.Quando un dirigente pubblico evita il cambiamento per preservare la propria tranquillità, sta di fatto scegliendo il proprio benessere personale a discapito dell'interesse collettivo. È una forma sottile ma reale di tradimento della fiducia pubblica.L'accelerazione del cambiamento esternoIl mondo esterno alla pubblica amministrazione si muove a velocità sempre crescenti. Le aspettative dei cittadini, influenzate dalle esperienze con servizi privati digitalizzati e personalizzati, aumentano costantemente. Le tecnologie evolvono, le normative cambiano, le crisi richiedono risposte rapide e innovative.
Un leader che rimane nella propria comfort zone si trova rapidamente in una situazione di disallineamento crescente tra le capacità della sua organizzazione e le esigenze del contesto. Questo gap non si colma da solo: richiede azione deliberata e coraggiosa.L'effetto moltiplicatore della LeadershipNella pubblica amministrazione, più che in altri contesti, la leadership ha un effetto moltiplicatore. Le decisioni e i comportamenti di un dirigente influenzano non solo il proprio team diretto, ma si propagano attraverso l'intera struttura organizzativa, toccando potenzialmente migliaia di dipendenti e, attraverso i servizi erogati, centinaia di migliaia di cittadini.Un leader che dimostra coraggio nell'uscire dalla propria comfort zone autorizza implicitamente tutti i suoi collaboratori a fare lo stesso. Crea una cultura dell'innovazione e del miglioramento continuo che si autoalimenta e si espande. Sul tema, mi permetto di dare alcuni consigli sul come fare, dettati dall'esperienza professionale e soprattutto, dagli errori commessi.
Le strategie pratiche per uscire dalla Comfort ZoneLa mappatura delle proprie Zone di ComfortIl primo passo è riconoscere onestamente dove si annidano le proprie resistenze al cambiamento. Un esercizio utile è creare una mappa personale delle comfort zone, identificando:Competenze che si evita di sviluppare: Quali tecnologie, metodologie o approcci manageriali vengono sistematicamente rimandati?Decisioni che si tende a delegare: Quali tipologie di scelte vengono sistematicamente trasferite ad altri o rinviate?Relazioni che si evitano: Con quali stakeholder (sindacati, media, altre amministrazioni) si evita il confronto diretto?Il Principio del "piccolo discomfort quotidiano"Non si tratta di compiere gesti eroici, ma di introdurre sistematicamente piccole sfide che espandono gradualmente i propri confini. Alcuni esempi pratici:Dedicare 30 minuti settimanali all'apprendimento di una nuova competenza digitaleAssumere personalmente una decisione che normalmente si delegherebbeOrganizzare un incontro con uno stakeholder con cui si ha difficoltà di dialogoSperimentare un nuovo approccio in una riunione o nella gestione di un progettoLa costruzione di reti di supportoUscire dalla comfort zone è più facile quando non si è soli. Costruire una rete di colleghi, mentori e consulenti che possano offrire supporto, feedback e incoraggiamento è fondamentale. Questa rete può includere:Colleghi di altre amministrazioni che hanno affrontato sfide simili (anche con una chat su whatsapp)Mentori esterni con esperienza nel settore privato o in organizzazioni internazionaliTeam interni motivati e pronti al cambiamentoConsulenti specializzati in innovazione pubblicaLa metodologia del "prototipo sicuro"Una strategia particolarmente efficace nella PA è quella di testare i cambiamenti su scala ridotta prima di implementarli completamente. Questo approccio permette di:Ridurre i rischi associati all'innovazioneRaccogliere feedback in un ambiente controllatoCostruire consenso attraverso risultati tangibiliAffinare le soluzioni prima dell'implementazione su larga scalaI benefici concreti: cosa succede quando si esce dalla Comfort ZoneMiglioramento misurabile delle performanceLe amministrazioni guidate da leader che escono sistematicamente dalla comfort zone mostrano indicatori di performance superiori: tempi di risposta ridotti, maggiore soddisfazione dell'utenza, utilizzo più efficiente delle risorse, riduzione degli errori e dei contenziosi .Esempi di dirigenti illuminati nelle pubbliche amministrazioni ce ne sono tanti.Incremento del morale e dell'EngagementParadossalmente, mentre l'uscita dalla comfort zone può inizialmente generare ansia, nel medio termine produce un significativo incremento del morale del personale. I dipendenti pubblici, spesso frustrati dalla staticità del sistema, ritrovano motivazione e senso di appartenenza quando vedono che è possibile cambiare e migliorare.Rafforzamento della credibilità istituzionaleUna pubblica amministrazione che si rinnova e si adatta alle esigenze dei tempi guadagna credibilità presso i cittadini, i media e le altre istituzioni. Questa credibilità si traduce in maggiore supporto politico, risorse aggiuntive e spazio d'azione per ulteriori innovazioni.Conclusione: il coraggio come competenza managerialeUscire dalla comfort zone non è questione di carattere o di predisposizione naturale: è una competenza manageriale che può essere sviluppata sistematicamente. Per i leader della pubblica amministrazione, questa competenza è particolarmente cruciale perché determina la capacità dell'intera organizzazione di evolversi e rispondere efficacemente alle sfide del futuro. Capisco che non è semplice quando la politica può seguire logiche diverse, spesso orientate al consenso immediato piuttosto che al miglioramento strutturale. Tuttavia, è proprio in questi contesti che il dirigente pubblico deve assumere il ruolo di guida tecnica, proponendo soluzioni innovative e sostenendo con competenza e determinazione le scelte che servono davvero ai cittadini. Non si tratta di sostituirsi alla politica, ma di orientarla verso decisioni informate e lungimiranti. Per riassumere.Il primo passo è riconoscere che la comfort zone, per quanto rassicurante, è in realtà la zona più pericolosa in cui un leader pubblico possa trovarsi. È lì che si perde la connessione con la realtà, si smette di crescere e si tradisce la fiducia dei cittadini.Il secondo passo è agire: iniziare oggi stesso con una piccola sfida, un piccolo cambiamento, una piccola uscita dalla routine consolidata. Perché la leadership autentica non si misura dalla capacità di mantenere lo status quo, ma dal coraggio di cambiarlo per il bene di tutti.
La pubblica amministrazione del futuro sarà costruita da leader che hanno scelto la crescita invece della sicurezza, l'innovazione invece della tradizione, il servizio ai cittadini invece del proprio comfort personale.