GRANDANGOLO
Agrigento, eletti i sette componenti della Conferenza Provinciale della Rete Scolastica 2026/2027
Si tratta dei Sindaci di San Giovanni Gemini, Favara, Licata, Campobello di Licata, Montevago, Caltabellotta e Sant' Elisabetta.
Si e’ svolta, presso l’aula consiliare “Luigi Giglia” del Libero Consorzio Comunale di Agrigento, l’Assemblea dei Sindaci del Libero Consorzio Comunale presieduta dal Presidente Giuseppe Pendolino e dalla Dirigente del Settore della Pubblica Istruzione Maria Antonietta Testone.
All’ordine del giorno l’elezione dei sette componenti che faranno parte della Conferenza della Rete Scolastica per l’anno scolastico 2026/2027.
La proposta, presentata dal Sindaco di Comitini Luigi Nigrelli, e’ stata approvata all’unanimità dei presenti.
Con l’elezione dei sette componenti si rinnova, dunque, l’organismo, sancito dalla L.R. n. 6 del 2000, composto da Dirigenti scolastici, rappresentanti di genitori e studenti e dai Sindaci di San Giovanni Gemini, Favara, Licata, Campobello di Licata, Montevago, Caltabellotta e Sant’ Elisabetta.
SICILIA TARGET
Scuola: il Sindaco di Favara eletto membro della Conferenza Provinciale
Nell’aula consiliare “Luigi Giglia” si è riunita stamattina l’Assemblea dei Sindaci del Libero Consorzio Comunale di Agrigento per eleggere i sette componenti della Conferenza Provinciale della Rete Scolastica per l’anno 2026/2027.
Presieduto da Giuseppe Pendolino e con la partecipazione della dirigente Maria Antonietta Testone, l’incontro ha approvato all’unanimità la proposta avanzata dal Sindaco di Comitini Luigi Nigrelli.
I sindaci eletti provengono dai Comuni di San Giovanni Gemini, Favara, Licata, Campobello di Licata, Montevago, Caltabellotta e Sant’Elisabetta. La Conferenza, che coinvolge anche dirigenti scolastici e rappresentanti di studenti e famiglie, avrà il compito di supportare la programmazione scolastica provinciale, con particolare attenzione alla riorganizzazione della rete scolastica.
TELEACRAS
Regione, ok al piano rifiuti speciali
La giunta regionale ha approvato il secondo stralcio del Piano regionale di gestione dei rifiuti. Si tratta della parte riservata ai rifiuti speciali, per la quale è stato completato l’iter di aggiornamento. Adesso il documento sarà trasmesso al ministero dell’Ambiente e all’Unione Europea per l’apprezzamento necessario. Il presidente Schifani commenta: “Abbiamo lavorato con l’obiettivo di affrontare e risolvere in maniera sistemica una situazione che si presenta molto complessa, caratterizzata da un’elevata produzione di rifiuti speciali e da carenze impiantistiche. E una condizione che limita la possibilità di garantire un ciclo virtuoso di recupero e smaltimento dei rifiuti speciali. In generale, abbiamo definito uno strumento moderno, integrato e orientato alla sostenibilità” – conclude. Più nel dettaglio, lo stralcio appena approvato si riferisce ai rifiuti speciali provenienti da attività agricole, industriali, artigianali, commerciali, sanitarie, da demolizione e costruzione, veicoli fuori uso e Raee, che è l’acronimo di “Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”, ovvero tutti gli apparecchi che funzionano ad energia elettrica e che sono stati dismessi, come cellulari, elettrodomestici, apparecchiature informatiche e televisori. Il loro recupero è fondamentale perché contengono sostanze pericolose per l’ambiente ma anche materiali preziosi da riciclare. La produzione di rifiuti speciali in Sicilia è aumentata da 7,23 milioni di tonnellate nel 2018 a 8,96 milioni nel 2022 (che è l’ultimo dato disponibile), con un picco nel 2021 molto probabilmente legato alla pandemia e alla produzione di rifiuti sanitari pericolosi. Nonostante ciò, vi è un miglioramento nella gestione: il recupero di sostanze inorganiche è aumentato dal 67% nel 2018 al 74% nel 2022, mentre lo smaltimento in discarica si è ridotto dal 43% al 35%. Il nuovo piano, oltre a requisiti molto stringenti per la localizzazione di possibili nuovi impianti e per il rinnovo delle autorizzazioni già esistenti, include anche azioni di sensibilizzazione ed educazione ambientale, con il coinvolgimento attivo della cittadinanza, soprattutto nelle attività di segnalazione e pulizia dei territori.
ILSICILIA
Comunicare bene non significa "apparire"
Contratti P.A. 2025-2027, arrivano Social Media e Digital Manager negli enti locali: la Sicilia cambia davvero o resta ferma alle promesse?
Il 1° ottobre 2025, durante il Question time alla Camera dei deputati, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha annunciato una svolta storica per la Pubblica Amministrazione italiana: l’introduzione ufficiale dei Social Media Manager e dei Digital Manager nei contratti del personale per il triennio 2025-2027. La novità, sancita dalla Legge n. 69/2025 di conversione del Decreto Legge n. 25/2025, segna un passo decisivo verso la modernizzazione della comunicazione istituzionale e dei processi digitali in tutti gli enti pubblici.
Il Social Media Manager sarà responsabile della gestione dei canali digitali dell’ente, della produzione di contenuti istituzionali, del contrasto alle fake news e della promozione della partecipazione civica. Il Digital Manager, invece, coordinerà i progetti di innovazione tecnologica, l’integrazione dei servizi online e il rispetto degli standard AgID e delle normative europee.
Queste professionalità, inserite stabilmente nei profili contrattuali del Pubblico Impiego, mirano a rafforzare la trasparenza, migliorare l’efficienza dei servizi e ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche.
In Sicilia, regione caratterizzata da forte eterogeneità territoriale e gap infrastrutturali significativi, l’arrivo di Social Media e Digital Manager rappresenta un’opportunità strategica per modernizzare comuni, province e Regione, garantendo informazioni tempestive, servizi digitali più accessibili e una partecipazione civica più attiva.
Tuttavia, la piena efficacia di questi ruoli dipenderà dalla capacità delle amministrazioni locali di superare resistenze interne e di mettere al centro gli interessi dei cittadini, lasciando da parte la priorità spesso attribuita alla comunicazione personale della politica locale.
L’articolo esplora il quadro normativo, le competenze richieste, le dichiarazioni ufficiali del Ministro, le criticità e le opportunità, con un focus dedicato sulla Sicilia, offrendo una visione complessiva della trasformazione digitale della P.A. italiana.
Contesto nazionale e quadro normativo
La Legge n. 69/2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 maggio 2025, ha convertito il Decreto Legge n. 25/2025 introducendo significative novità per la Pubblica Amministrazione.
Tra queste, l’articolo 4, comma 9 istituisce ufficialmente i profili professionali del Social Media Manager e del Digital Manager, sancendo l’obbligo per gli enti pubblici di dotarsi di personale qualificato nella gestione della comunicazione digitale e nell’innovazione tecnologica. Dovranno, cioè, essere in grado di utilizzare anche l’Intelligenza artificiale in vari contesti, ad esempio per automatizzare risposte, analizzare commenti, prevedere trend comunicativi.
9-novies. Al fine di rafforzare il processo di transizione digitale, di sfruttare al meglio e nel modo corretto l'applicazione
delle nuove tecnologie, come l'intelligenza artificiale, e di migliorare la qualita' dei servizi destinati alle imprese e ai
cittadini nonche' la necessaria partecipazione dei cittadini stessi alla gestione delle politiche pubbliche, le pubbliche amministrazioni
possono individuare, tra il personale in servizio e nell'ambito delle
nuove assunzioni autorizzate a legislazione vigente, la figura professionale del social media e digital manager, con compiti di
elaborazione di strategie comunicative specifiche per i social media, in conformita' agli obiettivi istituzionali, anche fatte salve le
attuali competenze, e di gestione delle piattaforme di reti sociali telematiche.
Il provvedimento introduce formalmente le due figure, stabilendo non solo le loro competenze tecniche, ma anche i criteri contrattuali per la loro inclusione stabile nei contratti collettivi nazionali del Pubblico Impiego.
Le risorse dovranno essere selezionate con criteri di merito, privilegiando esperienze e competenze reali in comunicazione digitale e strumenti innovativi. Non cambiano però le modalità di selezione, perché l’articolo specifica che “il concorso è lo strumento ordinario e prioritario per il reclutamento di personale da parte delle amministrazioni”.
Il Decreto PA ha anche chiarito le modalità di reclutamento del social media e digital manager. La selezione potrà avvenire innanzitutto internamente: si potrà cioè nominare una figura tra i membri del personale in forza. Tuttavia, se all’interno del personale mancano le figure adatte, sarà possibile avviare nuove selezioni. E, come abbiamo anticipato, le selezioni dovranno avvenire tramite procedura concorsuale.
La legge 69/2025 chiarisce però che le eventuali nuove assunzioni non possano comportare nuovi costi per le finanze della PA. Tuttavia, nonostante questo dettaglio, è chiaro che l’introduzione del social media manager nella PA comporterà nuove assunzioni. Tra Ministeri, Regioni e Comuni, la selezione prevede l’inserimento di più di 16.000 nuovi specialisti della comunicazione.
Sempre secondo l’articolo 4, la legge precisa per i Social Media Manager inoltre che questi professionisti devono possedere competenze certificate in comunicazione digitale, capacità di analisi dei dati e social analytics e padronanza di strumenti digitali innovativi, in linea con le linee guida dell’AgID.
Per il Digital Manager l’articolo 4 stabilisce che coordini le iniziative tra dipartimenti, favorisca la digitalizzazione dei flussi operativi e assicuri il rispetto di normative sulla privacy, sicurezza dei dati e interoperabilità dei sistemi.
L’obiettivo è rafforzare la trasparenza, migliorare i servizi e rispondere alle nuove esigenze dei cittadini in un contesto sempre più digitale.
Fino a oggi, le linee guida AgID e l’Agenda Digitale Italiana avevano fornito solo indicazioni generali, ma mancava proprio un riconoscimento contrattuale stabile delle figure professionali dedicate alla comunicazione e all’innovazione.
L’inserimento di questi profili nel Contratto Collettivo 2025-2027 colma un vuoto normativo e istituzionalizza la figura del comunicatore digitale pubblico.
Il contesto nazionale mostra una progressiva evoluzione verso la digitalizzazione: SPID, PagoPA, poli digitali territoriali, e le piattaforme per l’interazione con cittadini e imprese hanno cambiato il modo di operare della P.A. Tuttavia, senza figure professionali dedicate, molte iniziative si sono rivelate frammentarie o discontinue.
Con i nuovi ruoli, si mira a garantire continuità e qualità nella gestione dei processi digitali e della comunicazione istituzionale.
Ruoli, funzioni e competenze
Social Media Manager
Il Social Media Manager avrà il compito di gestire i canali digitali ufficiali dell’ente, dalla creazione di contenuti istituzionali e informativi alla moderazione delle interazioni con cittadini, associazioni e imprese.
Il suo obiettivo è garantire una comunicazione chiara, tempestiva e affidabile, contrastando fake news e disinformazione.
Le sue competenze includono: storytelling istituzionale, analisi dei dati digitali, gestione delle community online e coordinamento con uffici stampa e URP.
Digital Manager
Il Digital Manager sarà responsabile del coordinamento dei progetti di innovazione tecnologica, dell’integrazione dei servizi online e del monitoraggio del rispetto degli standard AgID e UE.
Tra le competenze chiave: project management, gestione del cambiamento organizzativo, analisi dei flussi di lavoro e consulenza tecnica per la digitalizzazione dei processi.
Entrambe le figure lavoreranno in stretta sinergia, favorendo strategie integrate di comunicazione e innovazione. L’obiettivo è costruire una cultura digitale condivisa dentro la P.A., dove la comunicazione istituzionale non sia più vista come accessoria, ma come parte integrante della governance pubblica.
Le dichiarazioni del Ministro Zangrillo al Question Time della Camera
Nel suo intervento del 1° ottobre 2025, il Ministro Paolo Zangrillo ha definito l’introduzione dei Social Media e Digital Manager come un “passaggio storico verso una P.A. più moderna, trasparente e vicina ai cittadini”.
Il Ministro ha sottolineato come queste figure rappresentino “un investimento nella fiducia e nella partecipazione civica”, ricordando che la Legge n. 69/2025 e il D.L. n. 25/2025 sono “strumenti concreti per rendere stabile la trasformazione digitale”.
Zangrillo ha evidenziato che “una comunicazione efficace è la base della democrazia amministrativa”, aggiungendo che “il cittadino informato è un cittadino libero e partecipe”.
Durante il dibattito parlamentare, alcuni deputati hanno richiamato l’importanza di formazione e risorse adeguate per garantire che i nuovi ruoli non restino solo formali.
Il Ministro ha assicurato che nel Piano Triennale per l’Informatica nella P.A. 2025-2027 saranno previste linee di finanziamento dedicate e programmi di aggiornamento continuo, anche in collaborazione con Formez PA e AgID.
Focus sulla Sicilia
In Sicilia, la riforma assume un valore particolare. La regione si distingue per la frammentazione amministrativa e per la disomogeneità infrastrutturale: da un lato le grandi città — Palermo, Catania, Messina — dotate di esperienze digitali consolidate; dall’altro, decine di piccoli comuni ancora privi di servizi online o personale formato.
Il Social Media Manager potrà diventare ponte tra cittadini e istituzioni, promuovendo campagne informative, consultazioni pubbliche e iniziative partecipative. Il Digital Manager, invece, avrà il compito di coordinare progetti di innovazione, favorendo l’interoperabilità dei sistemi e l’adozione di piattaforme comuni.
Tuttavia, la Sicilia soffre di resistenze culturali e organizzative: molte amministrazioni locali restano ancorate a modelli comunicativi personalistici, dove la visibilità politica prevale sulla trasparenza istituzionale. La questione, quindi, non è solo tecnica, ma culturale: costruire una comunicazione pubblica condivisa, dove il cittadino torni al centro.
L’introduzione di queste figure apre opportunità reali ma anche contraddizioni profonde. In Sicilia, la riforma può rappresentare una leva per il cambiamento: maggiore efficienza, trasparenza e partecipazione. Ma la realtà mostra un sistema amministrativo spesso bloccato da inerzie e diffidenze.
Molte dirigenze pubbliche appaiono riluttanti ad accogliere professionalità esterne, temendo la perdita di controllo sulla comunicazione istituzionale. Parallelamente, la politica locale privilegia la comunicazione personale — social, slogan, immagine — rispetto a quella istituzionale e collettiva, spesso relegata in secondo piano. Il rischio è che le nuove figure, se non pienamente integrate, restino nomine simboliche prive di reale potere operativo.
A livello provinciale e regionale, le nuove figure potrebbero favorire la condivisione di buone pratiche, lo sviluppo di piattaforme comuni e strumenti di monitoraggio dei servizi digitali. Tuttavia, la politica locale spesso privilegia la visibilità personale rispetto all’innovazione, creando ritardi nell’adozione di strumenti digitali e limitando la comunicazione istituzionale verso i cittadini.
Superare queste resistenze sarà essenziale perché le nuove professionalità possano avere un impatto reale sulla trasparenza e sull’efficienza dei servizi pubblici.
dipendenti donne comuniEppure, la Sicilia dispone di un capitale umano e creativo notevole: giovani formati in comunicazione, informatica, design e data management, spesso costretti a emigrare. Se valorizzati, questi profili potrebbero diventare motore di rigenerazione amministrativa.
Serve però una visione politica chiara, formazione sistematica e un riconoscimento del valore strategico della comunicazione pubblica.
Solo così la riforma potrà trasformarsi da opportunità teorica in rivoluzione concreta per la Pubblica Amministrazione siciliana. Nonostante le criticità, le opportunità restano rilevanti: con visione strategica e formazione mirata, queste figure possono rendere l’azione pubblica più trasparente e accessibile, promuovendo una cultura digitale diffusa.
Prospettive e futuro della P.A. digitale
Il futuro della P.A. italiana si gioca sulla capacità di rendere la digitalizzazione un processo inclusivo e permanente.
Le nuove figure professionali sono la spina dorsale di questo cambiamento. In Sicilia, il successo dipenderà da tre fattori: formazione continua, collaborazione interistituzionale e infrastrutture tecnologiche adeguate.
I Social e Digital Manager potranno diventare ambasciatori di una nuova cultura pubblica, capaci di connettere cittadini e amministrazioni, tradizione e innovazione. Ma servirà una leadership politica lungimirante, capace di comprendere che comunicare bene non significa apparire, ma rendere accessibile l’informazione.
L’inserimento dei Social Media Manager e dei Digital Manager nei Contratti 2025-2027 rappresenta una svolta epocale per la Pubblica Amministrazione italiana. Per la Sicilia, è un’occasione per colmare ritardi storici e ripensare la comunicazione pubblica come servizio e non come vetrina politica.
Collegato al Decreto PA è parte della strategia complessiva che prevede infatti di migliorare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. La Legge 69/2025 intende migliorare i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini, introducendo una riorganizzazione degli enti locali per migliorare l’efficienza.
Non si tratta, dunque, solamente di migliorare la comunicazione con l’utenza finale, ma di introdurre la digitalizzazione a ogni livello. È un passo fondamentale e necessario: sono soprattutto gli enti locali versano in uno stato di arretratezza da questo punto di vista.
Secondo alcuni dati recenti, più del 50% degli enti locali ha un sito istituzionale puramente informativo. Il sito web, insomma, non permette alcun dialogo coi cittadini
I dati sui pagamenti digitali sono ancor meno incoraggianti dove solo il 30% degli enti locali italiani consente, attraverso il sito web istituzionale, di poter accedere ai pagamenti online.
L’obiettivo prioritario adesso è formare, integrare e valorizzare queste nuove competenze, garantendo continuità e trasparenza. Se la riforma sarà accompagnata da investimenti e visione, potrà segnare l’inizio di una nuova era amministrativa. Se resterà solo sulla carta, sarà un’altra promessa mancata.
La Sicilia — con la sua energia, le sue contraddizioni e la sua creatività all’interno della sua Pubblica Amministrazione — sarà il termometro di questa rivoluzione.
LENTEPUBBLICA
Maternità e incarico negli enti locali: cosa succede quando scade durante il congedo?
Cosa accade se una dipendente pubblica, titolare di un incarico di responsabilità, entra in congedo di maternità e nel frattempo il suo incarico arriva a scadenza?
La domanda, tutt’altro che teorica, tocca uno degli aspetti più delicati del diritto del lavoro pubblico: il bilanciamento tra tutela della maternità e organizzazione degli uffici.
Il tema è stato affrontato di recente da un orientamento dell’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, che con l’orientamento applicativo Id: 35357/2025 ha chiarito un punto essenziale: anche se l’incarico scade durante il periodo di maternità, la lavoratrice conserva sia la titolarità della posizione sia la retribuzione corrispondente fino alla conclusione del congedo.
Una precisazione che, pur partendo da un caso concreto, ha valore generale e contribuisce a delineare meglio i diritti delle lavoratrici in maternità all’interno della PA.
Il caso: incarico a termine e congedo anticipato
Il quesito nasce da una situazione reale. Una dipendente assunta a tempo indeterminato aveva ricevuto un incarico di Elevata Qualificazione (EQ) ai sensi del contratto collettivo nazionale del 16 novembre 2022, con durata fino al 31 dicembre 2025. Prima della scadenza dell’incarico, però, la lavoratrice è entrata in congedo obbligatorio per maternità, anticipato per motivi di salute previsti dal decreto legislativo n. 151 del 2001, la normativa di riferimento in materia di tutela della maternità e della paternità.
Il dubbio sollevato dall’amministrazione di appartenenza era se, alla naturale scadenza dell’incarico, fosse possibile assegnare la funzione a un’altra persona oppure se la dipendente, pur assente per maternità, avesse diritto a mantenerne la titolarità e la retribuzione fino alla fine del congedo.
La posizione dell’Aran: tutela piena del trattamento economico
L’Aran ha risposto richiamando sia la disciplina contrattuale che quella legislativa. L’articolo 45 del CCNL del 2022 stabilisce che durante il congedo di maternità la lavoratrice ha diritto a percepire l’intera retribuzione mensile fissa, comprensiva di tutte le voci accessorie ricorrenti. Tra queste rientra anche la cosiddetta “retribuzione di posizione”, che remunera l’incarico di responsabilità ricoperto.
Inoltre, la dipendente continua ad avere diritto anche agli eventuali premi di performance, secondo quanto previsto dalla contrattazione integrativa, mentre restano esclusi i compensi per lavoro straordinario e le indennità legate a prestazioni svolte in condizioni particolari o di disagio.
Sulla base di un consolidato orientamento interno, l’Agenzia ribadisce che la retribuzione di posizione deve essere garantita al 100% anche se l’incarico termina durante la maternità. Il principio si fonda sull’articolo 23 del decreto legislativo n. 151/2001, che vieta ogni forma di penalizzazione economica per le lavoratrici durante il periodo di astensione obbligatoria.
Incarico e retribuzione restano fino alla fine del congedo
In sostanza, la conclusione dell’Aran è chiara: la cessazione formale dell’incarico non interrompe né la titolarità né il diritto al relativo trattamento economico, che devono essere mantenuti fino alla fine del congedo di maternità.
Solo al rientro in servizio, una volta terminato il periodo di astensione, l’amministrazione potrà valutare se confermare l’incarico, assegnarne uno nuovo o attribuire le funzioni a un altro dipendente, nel rispetto delle procedure e dei criteri previsti dal contratto collettivo.
La logica è quella di evitare che un evento fisiologico e tutelato come la maternità possa tradursi in una perdita economica o in una riduzione delle opportunità professionali, principio cardine dell’ordinamento italiano e comunitario.
Una garanzia contro le discriminazioni
La posizione dell’Aran si inserisce in un quadro giuridico più ampio che da anni tutela le lavoratrici madri da qualsiasi forma di discriminazione. Il decreto legislativo 151/2001, noto come “Testo unico sulla maternità e paternità”, prevede una serie di garanzie economiche e occupazionali, tra cui il diritto a conservare il posto e a percepire la retribuzione piena per tutta la durata del congedo.
Il principio di non penalizzazione, sancito anche dalla Costituzione e dalla normativa europea, mira a impedire che la maternità possa incidere negativamente sul percorso di carriera o sul reddito delle lavoratrici.
Nel pubblico impiego, dove le funzioni di responsabilità sono spesso assegnate con incarichi a tempo determinato, la questione assume particolare rilevanza: se la scadenza dell’incarico coincidesse con il periodo di astensione, la mancata tutela comporterebbe un evidente squilibrio rispetto ai colleghi uomini o alle lavoratrici non in congedo.
Le implicazioni per le amministrazioni
Il chiarimento dell’Aran ha anche un valore pratico per le amministrazioni pubbliche. Significa che, in casi simili, non è possibile riassegnare immediatamente l’incarico a un’altra persona, almeno fino al termine del congedo della titolare.
Eventuali necessità organizzative potranno essere gestite con strumenti temporanei, come la sostituzione con un incarico ad interim, ma senza incidere sui diritti economici e giuridici della dipendente in maternità.
Questa impostazione rafforza il principio di continuità della posizione professionale e di parità di trattamento, ponendo un argine a pratiche che, seppur involontariamente, potrebbero sfociare in una discriminazione indiretta.
LIVESICILIA
Voto segreto e Finanziaria, curve pericolose all’Ars e la Dc va in pressing
La Dc punta i piedi. Prima di aprire il capitolo Finanziaria all’Ars, il partito di Totò Cuffaro accende i fari sulla necessità di una sorta di verifica di maggioranza. A spingere ancora una volta sull’acceleratore è il capogruppo a Sala d’Ercole, Carmelo Pace, che chiede “un banco di prova importante” prima che la nave del governo intraprenda il viaggio, al momento rischiosissimo, della Finanziaria 2026: la maggioranza faccia le prove generali della sua compattezza sul possibile voto dell’ars per restringer eil campo d’azione del voto segreto.
Voto segreto e Finanziaria, il messaggio della Dc
Da giorni in casa Dc monta il malcontento per quanto accaduto in occasione della manovra quater, quando FdI è rimasta l’unica forza di maggioranza in Aula a votare il provvedimento presentato dal governo. L’esito è stato poco felice, con una serie di norme (tra cui gli emendamenti territoriali) finite vittime dei franchi tiratori.
“Maggioranza unita o sono solo proclami?”
I democristiani non vogliono più rischiare e dopo un comunicato di alcuni giorni fa, nel quale Pace sfiorava l’argomento, adesso il capogruppo Dc prende la situazione di petto e torna a chiedere una prova di lealtà sulla possibile (ma per nulla certa ad oggi) votazione sul voto segreto. “L’esito sull’abolizione del voto segreto ci dirà se quelli sull’unità della coalizione sono solo proclami oppure, come è auspicabile attendersi, si tratta di uno stato di fatto che trova riscontro in Parlamento”, afferma.
“Prima il voto segreto, poi la Finanziaria”
Una verifica che per Pace deve avvenire “prima dell’approdo in Aula della prossima Finanziaria”. Calendario alla mano, si tratta della penultima legge di stabilità del governo Schifani e così la Dc, alleato tra i più fedeli all’Esecutivo finora, chiede garanzie contro gli episodi di “tafazzismo” (termine che si traduce nella voglia di farsi del male) portati a termine “con la complicità di alcuni esponenti della maggioranza”. Frasi preparatorie alla riaffermazione di un concetto già anticipato alcuni giorni fa ma ora apertamente scandito: “C’è da chiedersi, con queste premesse e in queste condizioni, se abbia ancora senso proseguire, come se nulla fosse, la legislatura”.
Finanziaria, governo al lavoro
La legge di stabilità si annuncia consistente nei numeri (circa un miliardo) nonostante, come chiarito più volte nelle scorse settimane, l’avanzo di 2,1 miliardi non sia ancora materialmente utilizzabile. In questi giorni a Palazzo d’Orleans si è lavorato alla stesura del testo: ascoltati i ‘desiderata’ provenienti dai vari rami dell’Amministrazione, con gli assessori che, di fatto, hanno anticipato i temi cari alle forze politiche. Si è portato a termine un lavoro preparatorio, anche da parte dell’assessorato all’Economia guidato da Alessandro Dagnino, rispetto a quel tavolo politico sulla legge di stabilità annunciato al termine del vertice di maggioranza. Il via libera in Giunta dovrebbe arrivare la prossima settimana, nel rispetto della tabella di marcia voluta dal governatore Renato Schifani, che punta a migliorare il record già raggiunto di due leggi di stabilità approvate nei tempi corretti.
QDS
Dal Consiglio dei Ministri via libera alla Manovra. Tra annunci e smentite tanti dubbi sul testo finale
Legge di bilancio manovra 2026
Tra le questioni più scottanti quelle relative alla rottamazione quinquies e ai limiti per l’applicazione del regime forfettario
ROMA – Nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di bilancio 2026. Gli interventi previsti nel testo prevede interventi per un totale di circa 18 miliardi. Dalle pagine di questo Quotidiano avevamo già annunciato le probabili novità fiscali della legge. Ma mentre alcune sono state ora confermate, altre sono state completamente stravolte. Dal comunicato stampa n. 146 del 17 ottobre scorso, emergono le nuove disposizioni di natura fiscale.
Riduzione dell’Irpef per i redditi intermedi
Confermata, intanto la disposizione che riduce l’Irpef per i redditi intermedi, ossia portando al 33% l’aliquota (precedentemente pari al 35%) alla quale assoggettare i redditi del secondo scaglione, quello da 28.000 a 50.000. Tassati, inoltre, con una flat tax del 5% gli aumenti contrattuali siglati nel 2025 e 2026, ma solo per i dipendenti con reddito fino a 28.000 euro. I premi di produttività fino a 5.000 euro lordi, invece, saranno tassati all’1%. Non è andato in porto l’auspicato contemporaneo aumento del “tetto” (a 60.000) riguardante la platea dei cennati contribuenti “ceto medio”. Il limite dello scaglione resta a 50.000 euro.
D’altronde il vice ministro Leo aveva manifestato le sue perplessità su tale aumento, impossibile a causa della mancanza della relativa copertura finanziaria. Sembrerebbe sia stata stravolta, invece, la normativa sulla “rottamazione delle cartelle”, la “quinquies”. In precedenza, alla luce di diverse dichiarazioni, specialmente dello stesso vice ministro Leo, ed anche in considerazione della necessità di ridurre sensibilmente il pesantissimo “magazzino della riscossione” esistente, era emerso che questa nuova rottamazione avrebbe potuto beneficiare di una lunga dilazione, addirittura in 96 rate.
Sempre secondo le dichiarazioni rese dagli addetti ai lavori, la definizione delle cartelle non sarebbe stata consentita ai “furbetti”, a coloro i quali, cioè, l’avevano chiesta per ottenere la sospensione delle misure cautelari della riscossione, senza poi continuare a pagare le rate successive. Peraltro, si voleva evitare di generalizzare troppo la definizione, per non farla apparire un vero condono, e ciò magari limitandola a contribuenti “non recidivi”, ponendo un tetto all’importo definibile. E invece, dal comunicato stampa risulta qualcosa di diverso: “Vengono introdotti interventi di pacificazione fiscale rivolti ai contribuenti per i carichi affidati all’agente della riscossione fino al 31 dicembre 2023”.
“Questi ultimi potranno essere definiti – si legge ancora – in una unica soluzione oppure pagati in 9 anni, in 54 rate bimestrali uguali. La misura è rivolta ai contribuenti che hanno presentato la dichiarazione ma hanno omesso il pagamento. Vi è la possibilità di aderire alla misura anche per gli enti locali”. Altro punto sul quale si attendeva qualche “buona nuova” era quello che riguarda la possibilità di innalzare, da 85.000 a 100.000 il limite dei ricavi/compensi previsto per l’applicazione del regime forfettario. Una disposizione che, a prescindere dalla necessità della sua copertura finanziaria, abbisogna anche di una specifica autorizzazione Ue.
L’unica modifica riguardante i “forfettari”
Anche in questo caso le aspettative sono state disattese. L’unica modifica riguardante i “forfettari” è quella relativa al limite di “redditi di lavoro dipendente o assimilati” che impedisce l’applicazione della flat tax. Con il disegno di legge in esame, sembrerebbe che il tetto di 30.000 euro sia stato aumentato a 35.000, ampliando di poco la platea di coloro i quali possono avvalersene. Un “tetto” che continua ad essere molto basso, impedendo a molte persone, che percepiscono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente (come le pensioni) di lavorare avvalendosi delle semplificazioni che il regime forfettario comporta. Insomma una serie di affermazioni e smentite che ancora non fanno capire quale possa essere, dopo l’approvazione parlamentare della legge di bilancio, l’assetto definitivo del fisco del 2026.