LA SICILIA
Punto nascite, si va ai Tar
Il sindaco Angelo Graci e il suo vice Giuseppe Arnone non sono stati ricevuti dai vertici Asp e scrivono direttamente all'assessore Russo: "Sull'ospedale pronti a impugnare il decreto"
Il comune di Licata è risoluto ad andare fino in fondo nella vicenda relativa alla paventata chiusura del punto nascite del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale San Giacomo D'Altopasso.
Il punto nascite del nosocomio di contrada Cannavecchia è inserito nella «black list» resa nota recentemente dall'assessorato regionale alla sanità. Venerdì scorso il sindaco Angelo Graci e il suo vice Giuseppe Arnone avrebbero dovuto incontrare il commissario regionale dell'Asp di Agrigento, Salvatore Messina, i tre avrebbero dovuto discutere del futuro del reparto, l'incontro non si è concretizzato per l'assenza di Messina e dunque Graci, tornato a Licata e ha scritto una lettera direttamente all'assessore Russo. Il primo cittadino ha chiesto di conoscere le ultime decisioni in merito ai destino del reparto, nello specifico, nella nota Graci chiede di sapere se «sia stato definitivamente individuato il punto nascite funzionante presso la struttura ospedaliera dell'Ospedale San Giacomo d'Altopasso di Licata, tra le strutture sanitarie da chiudere o meno». La nota scaturisce dalla necessità di rassicurare o meno la cittadinanza di Licata, che risulta essere fortemente allarmata dalla minacciata soppressione del punto nascite esistente sul territorio. In modo particolare è stato chiesto di avere una risposta con la massima urgenza «al fine - si legge ancora testualmente nella lettera - di proporre nei termini di scadenza l'eventuale ricorso al Tar». Il 4 marzo, secondo quanto fatto sapere scadono i termini per proporre ricorso avverso il decreto assessoriale firmato qualche settimana fa dall'assessore Russo. Le prime avvisaglie sulla chiusura del punto nascite di I.icata si sono avute nell'agosto del 2011, il decreto varato dall'assessore Russo, che doveva entrare in vigore entro la fine del 2011, era stato sospeso per le numerose proteste giunte dai territori interessati ai tagli. Era stata accordata una proroga di un anno entro il quale si sarebbero riviste, eri eventualmente modificate, le decisioni prese dall'assessore Russo. A gennaio la nuova lista diffusa ancora dall'assessore con l'indicazione della chiusura, anche per il punto nascite di Licata, a partire da novembre. GIUSEPPE PATTI
DI SICILIA
TURISMO. In programma a Milano fiere, dal 16 al 19 febbraio prossimo
La provincia va alla "Bit" con un carico di 7 camping, 102 alberghi e 18 residence
Due case per ferie, 400 strutture alberghiere e ricettive, 179 B&B, 102 alberghi, 39 affittacamere, 18 residence, 7 camping e 42 case vacanze, 11 strutture di turismo rurale e 17 di Agriturismo, con due strutture che hanno 5 stelle, per un totale di 18.000 posti letto. Ecco l'offerta ricettiva per il turismo che la Provincia di Agrigento porterà alla Bit, la Borsa internazionale del turismo, in programma a Milano fiere di Rho, dal 16 a1 19febbraio prossimo. Per il più importante evento fieristico del turismo italiano la Provincia spenderà 32.000 euro per coprire gli oneri di partecipazione all'unico stand che rappresenta il territorio siciliano, allestito a cura dell'Unione regionale delle Province siciliane dove la Provincia di Agrigento potrà contare su uno spazio espositivo di 70 mq. Già definiti alcuni appuntamenti, all'interno della Bit. Giovedì 16 febbraio alle 12:30 nello stand dell'Urps, la Comunità Montana della provincia offrirà una degustazione di prodotti tipici e si incontrerà con gli operatori per pubblicizzare le bellezze paesistiche e gli itinerari della zona montana. Venerdì 17 febbraio, alle 15 ci sarà una conferenza stampa dell'Assessore al Turismo Angelo Biondi, insieme agli operatori della provincia per proporre l'offerta turistica di tutto il territorio. Sabato 18 febbraio, alle 10,30, infine, si terrà una conferenza stampa di tutti i Presidenti delle Province Siciliane, per presentare l'offerta turistica dell'Isola. PAPI
LA SICILIA SABATO 11 FEBBRAIO
ATO IDRICO
Si discute il 30 per cento di Girgenti acque
E' stato convocato per lunedì prossimo, dal presidente Eugenio D'Orsi, il Cda dell'ato idrico. All'ordine del giorno ci saranno una serie di argomenti di una certa importanza, a partire dalla stabilizzazione di 8 ex dipendenti del consorzio del Voltano che passeranno alle dipendenze dello stesso ato Di essi, tuttavia, quelli con la qualifica di operaio andranno in comando a Girgenti Acque dato che quest'ultima società ha maggiori possibilità di fruire in pieno della loro opera. Il Consiglio dovrà anche esaminare l'ipotesi di compartecipazione, con una aliquota del 30%, di Girgenti Acque alla spesa per la razionalizzazione degli impianti idrici in diversi comuni della provincia. Si tratta del finanziamento di 64 milioni di euro già erogato dal Dipartimento dei rifiuti e delle acque che consentirà, tra le altre cose, di sistemare una volta per tutte le reti idriche di Agrigento e di Sciacca. Interventi di portata molto rilevante che dovrebbero consentire - una volta ultimati - di erogare il prezioso liquido con cadenza giornaliera. Allo stato attuale, infatti, la distribuzione avviene secondo turni che comunque sono ormai abbastanza brevi rispetto a quelli che si registravano alcuni anni addietro. Il Cda dovrà anche occuparsi del bilancio di previsione 2012 che, una volta approvato, sarà portato all'esame dell'assemblea dei sindaci che a sua volta è stata convocata per i giorni 28 e 29 febbraio prossimi. Se gli amministratori locali saranno presenti, garantendo così la validità della seduta per la presenza del numero legale e della percentuale di quote richiesta dallo statuto, oltre ad approvare lo strumento finanziario dovranno anche esaminare la struttura tariffaria. Per quest'ultima in ogni modo è stato già chiesto il commissariamento (dato che già in due convocazioni dell'assemblea andate deserte era all'ordine del giorno) ma fino ad ora senza alcun esito da parte del Dipartimento regionale delle acque. S.F.
SOLE24ORE
Lavoro. La pronuncia supera le previsioni del Collegato lavoro che prevede rimborsi standard a chi ottiene il posto fisso
Doppio indennizzo ai «precari
La Corte d'appello di Roma sancisce la restituzione delle retribuzioni perse
Tornano all'operai «giudici legislatori», autori di sentenze particolarmente creative. Il nuovo caso è rappresentato dalla pronuncia 267/2012 della Corte d'Appello di Roma con la quale è stata di fatto modificata la normativa sul contratto a termine. Secondo questa sentenza, i lavoratori che ottengono la conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine hanno diritto a due risarcimenti: l'indennità sostitutiva prevista dal «Collegato lavoro», e un ulteriore risarcimento, pari alle retribuzioni che il dipendente avrebbe percepito a partire dalla data di deposito del ricorso giudiziale. Questa sentenza va in direzione diametralmente opposta a quanto dice la legge e la giurisprudenza costituzionale. L'articolo 32, comma 5 della legge 183 2010, il «Collegato lavoro» appunto, ha introdotto nell'ordinamento un principio innovativo: se un lavoratore ottiene la trasformazione a tempo indeterminato di un contratto a termine, non ha più diritto a ottenere un risarcimento del danno pari alle retribuzioni che avrebbe percepito dalla fine del rapporto (meglio, dalla sua offerta di riprendere a lavorare) sino alla sentenza. Al posto di questa somma, il Collegato lavoro riconosce solo il diritto di ricevere un'indennità di importo variabile tra le 2,5 e le 12 mensilità. L'indennità, specifica la legge, è omnicomprensiva, quindi il suo godimento esclude qualsiasi altro risarcimento. Subito dopo l'approvazione del Collegato lavoro, alcuni Tribunali (ad esempio Busto Arsizio e Napoli) hanno provato a interpretare diversamente la norma, sostenendo che la nuova indennità sostitutiva si sarebbe dovuta sommare al risarcimento calcolato secondo le vecchie regole. Queste pronunce hanno avuto una portata limitata, per ché la maggioranza dei Tribunali ha interpretato correttamente l'istituto, riconoscendo che in caso di conversione del contratto a termine spetta al lavoratore solo l'indennità introdotta dal Collegato lavoro.
E poi accaduto un fatto che avrebbe dovuto risolvere qualsiasi dubbio residuo. Nel gennaio del 2011, la Corte di Cassazione ha sollevato dei dubbi sulla costituzionalità della norma, chiedendo alla Corte Costituzionale di chiarire se l'introduzione di un tetto massimo al risarcimento fosse compatibile con le norme costituzionali. La Consulta, con la sentenza n. 303 del 9 novembre 2011, ha escluso ogni possibile incostituzionalità delle norme del Collegato lavoro, evidenziando che queste non producono alcuna ingiusta penalizzazione, e ricordando che un meccanismo analogo viene già applicato da decenni anche per altre situazioni (i licenziamenti nelle imprese fino a 15 dipendenti). La Sentenza della Consulta ha chiarito un altro fatto importante: è stato precisato che l'indennità prevista dal Collegato lavoro assorbe ogni altra possibile rivendicazione economica del lavoratore (come dice la pronuncia «il danno forfetizzato dall'indennità copre il periodo che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza»), Di fronte a una posizione così chiara e lineare, sembrava destinato a cessare qualsiasi contrasto interpretativo in merito all'indennità sostitutiva. La previsione è oggi smentita dalla sentenza della Corte d'Appello di Roma, che in maniera del tutto isolata (le altre Corti territoriali stanno utilizzando come criterio conforme a quello della Corte Costituzionale, e anche gli altri tre collegi giudicanti della Corte romana sono su posizioni diverse) ritiene di non applicare le regole contenute nella legge e convalidate dalla Corte Costituzionale. Secondo la Corte, l'indennità prevista dal Collegato non è omnicomprensiva, ma si somma a un ulteriore risarcimento, pari alle retribuzione perse nel periodo successivo alla data di deposito del ricorso, Ma come giustifica la sentenza della Corte d'Appello questa interpretazione? La pronuncia - con apprezzabile sincerità, ma anche con sconcertante disattenzione per il principio di legalità - sostiene che questa ricostruzione serve a non penalizzare eccessivamente il lavoratore. Nessun cenno viene fatto alla necessità di applicare la legge, a prescindere dalle proprie preferenze personali. E auspicabile che la questione arrivi quanto prima in Cassazione, e che in quella sede i giudici della Suprema Corte rimettano le cose alloro posto, evitando la pericolosa tendenza di alcuni loro colleghi (pochi, per fortuna) a comportarsi da legislatori. Giampiero Falasca
Semplificazioni. Le prime regole operative dopo la pubblicazione in «Gazzetta» (Dl 5/2012)
Pa, Via alla cura anti-ritardi
Commissari e sanzioni ai funzionari se la procedura è troppo lenta
La cura «anti-ritardi» per la burocrazia, lo snellimento delle pratiche con la nuova spinta alla Scia e le novità su documenti e assunzioni partono ufficialmente oggi. Con l'entrata in vigore del decreto sulle semplificazioni varato in via definitiva venerdì scorso dal consiglio dei ministri e pubblicato ieri in «Gazzetta Ufficiale» (è il Dl 5/2012) dopo l'esame puntuale del Quirinale e la firma del capo dello Stato, partono davvero i primi ingredienti della ricetta che, insieme al decreto liberalizzazioni che ora impegna il Parlamento, dovrebbe aiutare la ripresa del nostro Pil oggi in sofferenza. Un gruppo consistente di norme ha bisogno di decreti e altri provvedimenti attuativi, per disciplinare per esempio il cambio di residenza in tempo reale o l'unificazione delle autorizzazioni ambientali, ma molte regole partono subito, senza bisogno di passaggi ulteriori. Tra queste, una posizione di spicco va senza dubbio assegnata alla cura «anti-ritardi», che anche per il suo valore "strategico" occupa il primo articolo del decreto pubblicato ieri. Le procedure portate a termine oltre i tempi previsti da leggi o regolamenti, o quelle che addirittura sprofondano nelle sabbie mobili fino a produrre un silenzio - inadempimento, incontrano con il nuovo decreto una doppia penalità. La prima è organizzativa, e porta alla possibile diffusione di una serie di "commissariamenti" in cui i vertici delle amministrazioni sostituiscono i dirigenti e i funzionari che guidano le strutture ritardatarie. I «sostituiti» si vedono macchiata la pagella che riporta i dati sulle loro performance, sulla cui base viene distribuita la retribuzione di risultato, e possono andare incontro alla responsabilità amministrativa e a quella amministrativo-contabile. La sanzione, insomma, punta dritta sui portafoglio dei dirigenti o funzionari responsabili, con conseguenze potenziali ancora più pesanti quando l'inerzia dell'amministrazione produce un ricorso in via amministrativa (nella nuova disciplina la tutela contro i silenzi della Pa è disciplinata dal Codice del diritto amministrativo scritto nel Dlgs 104/2010): se il ricorso ha successo, la sentenza passata in giudicato viene girata in automatico alla Corte dei conti, che può quindi procedete per i profili di competenza (danno erariale causato da dolo o colpa grave). Un'ultima sanzione è d'immagine, e costringe l'ufficio ritardatario a rilasciare i documenti con l'indicazione dei tempi previsti dalla legge e di quelli, più lunghi, utilizzati in concreto per portare a dama il provvedimento. Sempre sul fronte della burocrazia, cambiano le scadenze dei documenti, che vanno a coincidere con il compleanno dei titolare, e viene portata a dieci anni la validità delle tessere di riconoscimento (con fotografia) rilasciate dalle Pubbliche amministrazioni. L'entrata in vigore del decreto porta con sé anche la riforma dei controlli, che amplia gli spazi per il revisore unico sia nelle Srl sia nelle Spa a scapito dei collegi (gli attuali, però, rimangono in carica fino alla scadenza). Nelle università, cadute le previsioni sul riordino del Cun e sui limiti alla partecipazione dei professori alle commissioni di reclutamento, l'entrata in vigore del provvedimento porta con sé come primi effetti lo stop alla possibilità di affidare attività di tutoraggio o didattica integrati- va ai ricercatori a tempo indeterminato. Novità anche in campo assunzioni: la notizia-clou sul punto è la proroga di un anno del bonus Sud, che attende però l'accordo con le Regioni per la ripartizione dei fondi. Gianni Trovati
DI SICILIA
COSTI DELLA PROVINCIA. "La riforma farebbe risparmiare 5 miliardi reali"
Province, l'Upi rilancia: 10 città metropolita ne e abolizione di 40 enti
Istituire le dieci città metropolitane previste dalla legge delega sul federalismo fiscale con l'effetto raggiungibile in meno di un annodi ridurre il numero delle Province, portandole dalle attuali 108 a 60 con un risparmio «reale» di 5 miliardi di euro. Le Province, ancora «minacciate» da una eventuale cancellazione, passano alle vie di fatto e propongono a governo e gruppi parlamentari una loro controproposta di legge per ridurre i costi della politica. La proposta prevede contestualmente anche il riordino dell'amministrazione periferica dello Stato e dei tanti enti strumentali, intermedi, aziende, consorzi, società che esercitano funzioni tipiche di Comuni e Province. Il presidente dell'Upi, l'Unione delle Province italiane, Giuseppe Castiglione, che ieri ha presentato alla stampa la contro- proposta, ha detto che la porterà al Comitato paritetico che entro 90 giorni dovrà esprimersi sul riordino istituzionale, e ai gruppi parlamentari. Le 10 aree metropolitane considerate coincidenti con le province (da qui la riduzione delle stesse province) hanno una superficie che corrisponde all' 11% del territorio nazionale ma una popolazione che arriva al 31,5% e un Pil pari al 34% in rapporto al dato nazionale. «Il profondo riordino delle istituzioni di area vasta - è stato spiegato - implica un accordo preventivo tra tutti i soggetti costitutivi della Repubblica in Conferenza Unificata». Un ruolo decisivo è affidato alle Regioni chiamate a ridisegnare le aree metropolitane e le Province del loro territorio, d'accordo con la maggioranza dei Comuni interessati e a proporre le nuove circoscrizioni, come previsto dall'art.133 della Costituzione.